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5.1 Il parco delle Alpi Apuane.

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CAPITOLO V

GLI ATTI REGOLAMENTARI E PIANIFICATORI DEGLI ENTI LOCALI CONCORRENTI NELLA MATERIA DI

GOVERNO DEL TERRITORIO

5.1 Il parco delle Alpi Apuane.

Nel 1985 con la legge n. 5 del 21 gennaio il consiglio regionale approvava l’istituzione del Parco naturale delle Alpi Apuane.

Le finalità del parco riguardano congiuntamente la tutela dei

valori naturali e culturali presenti nel territorio protetto e il

miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali, con la

realizzazione di un rapporto armonico ed equilibrato fra le attività

economiche e la realtà ambientale. All’articolo 3 (Classificazione

tipologia delle aree e criteri generali di gestione) si indicavano le

tipologie di aree presenti nei confini del parco individuando, tra le

altre, quelle caratterizzate dalla presenza di giacimenti lapidei

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economicamente sfruttabili, con la segnalazione delle localizzazioni destinate all’escavazione secondo le previsioni del «Progetto Marmi» e del Piano regionale delle attività estrattive di cui all’art. 2 della Legge Regionale 30 aprile 1980, n. 36.

La stessa legge all’art. 4 istituiva il comitato di coordinamento del parco, individuato come organo direttivo competente ad adottare indirizzi e direttive per favorire l’attuazione del «Progetto Marmi» e del piano delle attività estrattive in coerenza con le finalità del parco.

La legge è stata abrogata nel 1997 dalla L.R. n. 65 che ha operato la soppressione del consorzio inizialmente preposto al controllo del parco.

Infatti la Legge Regionale n. 65, 11 agosto 1997 istituiva l’ente per la gestione del Parco Regionale delle Alpi Apuane in attuazione dell’articolo 23 della Legge 6 dicembre 1991 n. 394 che sanciva la possibilità da parte delle regioni di istituire parchi naturali regionali, indicandone la perimetrazione provvisoria, definendo le misure di salvaguardia da applicare al relativo territorio, individuare i soggetti preposti alla gestione e indicare gli elementi fondamentali del piano e i principi del regolamento che poi l’ente del parco avrebbe dovuto adottare.

Nasceva in questo modo l’ente parco delle Alpi Apuane che

andava a sostituire e sopprimere il consorzio che precedentemente

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aveva avuto il compito di regolamentare questa zona.

Così si è venuto a creare un altro ente pubblico concorrente alla regolamentazione delle attività estrattive in quanto nel territorio del parco delle Alpi Apuane sono inglobate anche alcune cave dei comuni di Massa e di Carrara oltre quelle localizzate nella provincia di Lucca.

Il Parco, caratterizzato da una modesta estensione territoriale, tra

l’alto ridotta nel 1997, ha strette relazioni col territorio circostante

nel quale si trovano importanti insediamenti e rilevanti attività

economiche e sociali, pertanto le finalità cui è preposto richiedono la

cooperazione delle comunità locali ed in particolare delle istituzioni

del governo locale. Ciò comporta politiche volte ad integrare

armoniosamente il Parco nel suo contesto territoriale, a valorizzare

le identità locali, promuovendo ed organizzando forme appropriate

di fruizione sociale del territorio apuano, dei suoi paesaggi e delle

sue risorse, pertanto soltanto l’azione concorde delle Province, dei

Comuni e dell’Ente Parco, può consentire a quest’ultimo di

diventare motore di sviluppo sostenibile per il territorio apuano. Tra

le attività economiche rilevanti nell’ambito del parco, l’escavazione

del marmo, pur essendo tra quelle molto redditizie, registra la

maggiore difficoltà nel trovare un equilibrio tra salvaguardia

dell’ambiente e sviluppo economico in quanto apporta forti

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97 modifiche al territorio.

L’articolo 14 della Legge 65/1997 indica come strumento attuativo della tutela dei valori naturali ed ambientali cui l’ente parco è preposto, il piano per il parco redatto ai sensi della Legge 394/1991 art. 12 e in riferimento ad eventuali criteri e indirizzi individuati nel PAER (Piano Ambientale ed Energetico Regionale di cui alla Legge Regionale 19 marzo 2007 n. 14). Al secondo comma dello stesso articolo 14 L.R. 65/1997 si dispone che il piano per il parco deve individuare i parametri entro i quali sono consentiti l’esercizio delle attività estrattive e la valorizzazione dei materiali lapidei esclusivi delle Alpi Apuane tra i quali viene esplicitamente indicato anche il marmo.

Al comma 3 dello stesso articolo il legislatore dispone che il piano del parco ha valore di piano paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici, territoriali e urbanistici di qualsiasi livello già creati.

Il piano, nella sua previsione riferita alle cave di cui al comma 2, costituisce stralcio del piano regionale delle attività estrattive di cui alla L.R. 3 aprile 1980 n. 36 e successive modificazioni.

Il 28 giugno 1996, con deliberazione n. 280, il Consiglio di

gestione del Consorzio Parco delle Alpi Apuane, sostituito l’anno

dopo dall’ente per la gestione del parco delle Alpi Apuane, affidava

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al prof. arch. Roberto Gambino del Politecnico di Torino, l’incarico di coordinatore urbanista per la redazione del Piano per il parco

1

. Nell’agosto del 2001 dopo ben 5 anni, la bozza definitiva del Piano per il Parco veniva inviata a Comuni, Province e Comunità Montane competenti per territorio, si avviava in questo modo una prima fase di confronto costruttiva e concertativa con i rappresentanti delle comunità locali sulle tematiche e gli argomenti più significativi affrontati nella bozza di piano. I vari enti hanno apportato il loro contributo suggerendo in diversi casi modifiche ed integrazioni soprattutto in materia di perimetrazione dell’area protetta.

La proposta di piano per il parco, dopo l’approvazione con delibera del consiglio direttivo n. 27 del 23 luglio 2003 è stata inviata alla Comunità del Parco e al Comitato scientifico per i pareri obbligatori previsti all’art. 15 della L.R. 11 agosto 1997, n. 65.

Per quanto attiene la materia estrattiva la proposta del piano per il parco del 2002 prevedeva che la competenza pianificatoria del

«Piano» non era limitata al solo territorio perimetrato come Parco, ma si estendeva pure a quelle aree contigue

2

in cui è previsto

1 Fonte: sito istituzionale del Parco delle Alpi Apuane.

2 Le aree contigue ai parchi sono state considerate degne di una tutela meno

stringente di quella delle aree protette in maniera più forte, si tratta di fasce intermedie di

raccordo graduale con il territorio esterno che fanno da «cuscinetto» con il territorio

esterno al parco. Queste sono state oggetto di contrasti a causa dei costanti divieti

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l’esercizio di attività estrattive tradizionali

3

.

Viene qui infatti individuata una categoria particolare di area contigua, finalizzata alle cave di pietre ornamentali, nella quale, l’Ente Parco non ha bisogno di stabilire intese con altri soggetti istituzionali, per confini e direttive che riguardano la specifica attività estrattiva. La ragione di questa «anomalia apuana» nel sistema delle aree protette italiane è la diretta conseguenza sul piano legislativo di un’eccezionale concentrazione, all’interno di un territorio di grande pregio paesaggistico e naturalistico, di vaste aree deputate all’escavazione lapidea rivolta ad una risorsa economica di notevole valore, il cui reperimento ha una continuità storica e un importanza economica industriale per la comunità residente

riguardanti svariati tipi di attività. Si è voluto dare ai parchi una tutela concentrica dalla tutela integrale ad una più debole in cui determinate attività, purché compatibili con la tutela della natura, dell’ambiente e del paesaggio sono state consentite pur controllate in relazione all’impatto ambientale che esercitano sul territorio. Pertanto molte attività possono essere inserite in tali zone e tra quelle che in modo specifico rispondono allo spirito del parco sono state previste anche attività di sicuro impatto quali quelle estrattive che comunque hanno dovuto armonizzarsi e in un certo senso convivere con finalità naturalistiche dei parchi. (M. Vaccarella, La disciplina delle attività estrattive nell’amministrazione del territorio, Torino, 2010, pp. 148-149)

3 Tra le attività estrattive tradizionali delle Alpi Apuane si possono annoverare quelle rivolte ai lapidei ornamentali che risultano appartenere alle grandi famiglie dei marmi s.l.

e delle arenarie, anche metamorfosate, escavati sia in blocchi che in informi e destinati

alla produzione di lastre lavorate ed affini.

(7)

100 impensabile altrove

4

.

Secondo gli intenti del consiglio direttivo le attività estrattive godevano dunque nel Piano di uno status speciale che, grazie alla deroga di cui al comma 4 art. 11 della Legge 394/91

5

riguardante la regolamentazione delle aree protette, permettevano alle cave di continuare la propria attività sia pure all’interno di parametri definiti nel rispetto di norme ed indirizzi stabiliti dal Piano per il Parco e entro i termini di programmazione del Piano Regionale delle Attività Estrattive, di cui agli articoli 2 e 3 dell’ex LR 30 aprile 1980, n. 36 e successive modificazioni ed integrazioni. Le premesse sopra indicate hanno portato alla creazione di una normativa del parco relativa alle attività estrattive

6

nella quale l’ente per il parco si riservava di raggiungere determinati obbiettivi specificando le azioni di tutela,

4 Nelle Alpi Apuane si trova il 90% della produzione di lapidei della Toscana e il 40% del marmo estratto in Italia. I dati a nostra disposizione indicano come la produzione regionale, dominata dal comprensorio apuano, rappresenti il 20% del mercato nazionale dei lapidei, raggiungendo il 30 % nel solo settore degli ornamentali calcarei.

5 La stessa legge al art. 11 comma 3 sancisce generalmente che nelle aree protette sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati alla lettera b) l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali. Viene poi creata una deroga prevista al comma 4 dove si da la possibilità al regolamento del parco di stabilire eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3.

6 Il piano per il parco è composto da vari documenti tra questi la relazione per le

attività estrattive e le note tecniche per le attività estrattive disciplinano la normativa di

settore.

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conservazione, riqualificazione, restauro e valorizzazione in riferimento al territorio di competenza.

All’articolo 4, comma 2 dell’allegato «norme tecniche attività estrattive», si indicava come finalità principale la tutela della risorsa mineraria attraverso la definizione di un tetto quantitativo annuale di prelievo estrattivo, comprensivo del materiale utile alla produzione lapidea e dei residui inerti derivanti dall’escavazione.

Tale tetto era stabilito per l’intero complesso delle aree contigue destinate all’attività di cava, in relazione ai fabbisogni, alle tendenze del mercato e al principio della sostenibilità nell’utilizzo della risorsa mineraria.

Al comma 3, dello stesso articolo, l’ente parco si prefissava quindi di valorizzare la risorsa lapidea attraverso soluzioni localizzative e tecnologiche tese a tutelare le risorse ambientali, paesaggistiche e naturalistiche, di limitare l’attività di cava alla sola produzione di blocchi di materiali ornamentali (di pregio), circoscrivendo gli inerti a obiettivo secondario del ciclo estrattivo, di promuovere e sostenere soluzioni di escavazione in sotterraneo per limitare quelle a cielo aperto più problematiche e meno

«controllabili» sia in riferimento all’impatto ambientale che allo

smaltimento degli scarti e rifiuti dell’escavazione.

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102

Altri obbietti significativi indicati nel piano si riferivano alla tutela della sicurezza e della salute degli operatori durante lo svolgimento del loro lavoro, alla «incentivazione alle imprese estrattive che operino con procedure di certificazione di qualità e/o sperimentino soluzioni innovative a più ridotto impatto ambientale nella coltivazione dei lapidei, nell’accesso ai siti e nel trasporto dei materiali estratti, alla tutela dei materiali pregiati, evitando l’esaurimento della risorsa, nonché la loro valorizzazione finalizzata al restauro e alle lavorazioni artistiche ed artigianali, alla conservazione dei reperti di archeologia industriale, quali cave e ravaneti storici, manufatti, lizze e sentieri d’accesso, che costituiscono elementi qualificanti del territorio e alla razionalizzazione, recupero e reintegrazione paesistico-ambientale delle attività estrattive, soprattutto nei confronti dei siti e dei ravaneti dismessi, con l’eliminazione delle attività improprie e degli elementi di degrado»

7

.

La difesa della natura e lo sviluppo socio-economico sono, in particolare nell’attività estrattiva, in conflitto fra loro e trovare un equilibrio è il risultato di un attento monitoraggio per conciliare interessi opposti. É ormai chiaro che la conservazione degli ambienti

7 Bozza piano per il parco Alpi Apuane, note tecniche di attuazione dell’allegato

«Attività Estrattive» art. 4, comma 3, punto f), g), h), i).

(10)

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naturali si configura come fonte di ricchezza per le numerose attività ad essi legate e che possono rappresentare a loro volta sviluppo economico (turismo, agricoltura in relazione a prodotti tipici, cultura) e benessere per le popolazioni residenti (senso di appartenenza ed identità), ma non bisogna dimenticare che nelle zone di cui ci stiamo occupando l’attività estrattiva rappresenta una delle voci fondamentali nella economia e nella storia del territorio, fonte di profitto, di reddito e di occupazione. È naturale che il depauperamento delle risorse, il degrado del territorio, l’inquinamento del suolo e delle acque comportano un immiserimento del suolo, pertanto gli enti preposti al governo del territorio devono rendere possibile uno sviluppo sostenibile di quest’ultimo, attraverso una attenta valutazione di meritevolezza degli interessi in gioco.

L’iter di approvazione del Piano per il Parco iniziato nel 1996

però non fu mai portato a compimento e la regione Toscana nel 2006

decise con la legge n. 63 di attuare uno stralcio del piano lasciando

irrisolta la regolamentazione dell’attività estrattiva, questo

probabilmente perché il legislatore regionale ritenne che uno dei

motivi principali per cui l’iter di approvazione si fosse così tanto

dilungato fosse da attribuire proprio alla materia estrattiva, per la

quale in effetti era difficile addivenire ad una condivisione di intenti

(11)

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fra i vari portatori dei differenti interessi in gioco.

In realtà lo stralcio non ha rappresentato una particolare accelerazione delle procedure in quanto il piano ad oggi non è ancora stato approvato.

5.2 Il piano territoriale di coordinamento della provincia di Massa e Carrara.

Il piano territoriale di coordinamento provinciale è previsto della L.R. 5/1995 (oggi sostituita dalla legge 1/2005) nella quale, all’articolo 16, viene individuato il P.T.C. (piano territoriale di coordinamento) quale atto di programmazione con cui la provincia esercita, nel governo del territorio, un ruolo di coordinamento, programmazione e raccordo tra le politiche territoriali della regione e la pianificazione urbanistica comunale.

Il piano provinciale di coordinamento agisce per il territorio a cui fa riferimento, in conformità alle prescrizioni del PIT e rispettando le competenze dei comuni e degli enti-parco istituiti.

La Provincia nell’esercizio del ruolo attribuitole tiene conto delle

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105

finalità generali indicati agli articoli 1 e 2 della L.R. n. 5/1995 e si conforma alle norme generali per la tutela e l’uso del territorio contenute all’articolo 5 della legge sopra citata.

Il P.T.C. della Provincia di Massa e Carrara, approvato con delibera del Consiglio Provinciale n. 9 del 13 aprile 2005, si pone nello specifico gli obbiettivi di salvaguardia e tutela del territorio di competenza nei suoi aspetti fisici, idrogeologici, ambientali attraverso azioni di indirizzo e controllo delle trasformazioni del territorio, promuove inoltre interventi di valorizzazione ambientale e delle risorse essenziali che caratterizzano il territorio delle province di Massa e Carrara con particolare attenzione agli ambiti montani e alle risorse di maggiore valenza economica come il marmo, le acque oligominerali, il mare etc. Altro obbiettivo del P.T.C. è lo sviluppo economico delle realtà locali, che la provincia cerca di perseguire attraverso una specifica azione di programmazione.

Il P.T.C. all’articolo 13, riconosce al materiale lapideo

un’importanza fondamentale per il ruolo storico, strategico, socio-

economico e ambientale che questa risorsa ha avuto nel processo di

sviluppo e caratterizzazione del territorio provinciale, non solo come

attività di cava ma anche per gli aspetti economici e culturali

connessi con la lavorazione industriale e artistica del marmo, le

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interconnessioni con i sistemi infrastutturali, per la promozione del territorio e del paesaggio apuano, la sicurezza sui posti di lavoro, la tutela ambientale e il recupero delle situazioni di degrado facendo ben capire l’importanza strutturale ed occupazionale che sottende all’escavazione lapidea.

Il marmo per il legislatore provinciale non è quindi rappresentato

solamente dall’escavazione ma si configura come una vera e propria

risorsa sulla quale fondare progetti economici, urbanistici e culturali,

come eventi e percorsi turistici, laboratori di scultura e scuole del

marmo come l’Accademia delle belle arti, la creazione di musei del

marmo e di «cave musei», valorizzando così anche le cave dismesse

che da un punto di vista turistico e paesaggistico caratterizzano le

Alpi Apuane. Naturalmente, in conformità con il P.I.T., viene

prestata attenzione alla salvaguardia del territorio per far si che le

attività che gravitano intorno al settore lapideo siano sviluppate

tenendo conto dell’impatto ambientale, dell’inquinamento

sostenibile e della razionalizzazione dell’utilizzo e del reperimento

dei materiali che si trovano su queste montagne.

(14)

107

5.3 Il regolamento di Carrara del 1995 e seguenti modificazioni

Come accennato, con delibera del Consiglio comunale del 29 dicembre 1994 il comune di Carrara ha approvato il proprio regolamento per la Concessione degli agri marmiferi comunali, approvato nel 1995 dalla amministrazione regionale. L’iter di formazione è stato molto lungo e complesso ed ha portato alla stesura di un regolamento che è già stato oggetto di due interventi di modifica, il primo nel 1998, il secondo nel 2005.

Il regolamento ha comunque definitivamente abrogato le leggi preunitarie ponendo due principi fondamentali: il primo è che gli agri marmiferi comunali fanno parte del patrimonio indisponibile del comune, il secondo è che l’escavazione del marmo avviene attraverso concessioni di diritto pubblico e che oggetto della concessione è l’area, di proprietà del comune, data in uso al concessionario a fronte del pagamento di un canone e per un periodo di tempo limitato.

Nel regolamento infatti viene affermato che l’articolo 64 della

legge mineraria all’ultimo comma non ha previsto la conservazione

delle leggi estensi in quanto sarebbero contrarie ai principi

pubblicistici sui quali la legge del 1927 si fondava, motivando altresì

che la normativa estense doveva essere mantenuta in vigore soltanto

(15)

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per il periodo transitorio necessario ad approvare il regolamento e che, con l’entrata in vigore di quest’ultimo, che disciplina gli agri marmiferi di proprietà dell’Ente, le leggi preunitarie vengono definitivamente abrogate. Si ribadisce inoltre che il regolamento comunale è un atto di autonomia con efficacia di legge, conforme ai principi della legge mineraria del 1927 nella quale viene affermato il carattere pubblicistico dell’attività estrattiva. Attestando l’inclusione delle cave nel patrimonio indisponibile del Comune viene quindi sancito che la concessione, in quanto riguardante un bene pubblico, non potrà essere che temporanea ed onerosa e dovrà essere rilasciata nel rispetto di quanto indicato dagli strumenti urbanistici.

Il regolamento per la concessione degli agri marmiferi comunali

di Carrara distingue tra la domanda di ricerca di cave e la domanda

di concessione per l’escavazione creando un iter procedurale che

parte dalla ricerca di cave per concludersi con la domanda di

concessione. L’autorizzazione di ricerca di cave viene accordata a

chi ne faccia domanda con le modalità procedurali prescritte in

materia dalle leggi della Regione Toscana ed è valida per dodici

mesi e rinnovabile per una sola volta. La normativa comunale dà un

forte connotato pubblicistico a questa procedura ordinando che

soltanto chi è provvisto del permesso di ricerca, rilasciato dalla

giunta comunale, possa svolgere le attività di ricerca di cave negli

(16)

109

agri di proprietà comunale e che la relativa domanda di concessione per l’escavazione della vena marmifera possa essere fatta al Sindaco solo entro il termine di validità del permesso di ricerca con l’ulteriore obbligo di presentare una planimetria della zona interessata, una relazione geologica e un piano indicativo di coltivazione della cava.

Una volta presentata la domanda di concessione il comune provvede ad assolvere gli obblighi di trasparenza e pubblicità: la richiesta viene pubblicata su due quotidiani locali per tre giorni consecutivi e per sessanta giorni viene affissa nell’albo comunale, entro questi termini chiunque ne abbia interesse può proporre opposizione (art. 3).

Successivamente, nel caso non vi siano opposizioni o le stesse siano rigettate, inizia la fase autorizzativa nella quale l’ufficio cave del comune invita il richiedente della concessione a produrre tutta la documentazione indicata dalle leggi regionali per le autorizzazioni all’escavazione, procedendo nel contempo a raccogliere tutti i pareri e nulla osta necessari per l’apertura della cava secondo le modalità previste dalla normativa regionale.

All’ufficio cave del comune spetta poi il compito di redigere una

apposita planimetria corredata da relazioni riguardanti dati tecnici

funzionali all’escavazione.

(17)

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La concessione viene data tramite delibera del Consiglio Comunale entro un termine massimo di 6 mesi dalla richiesta, il suo rilascio è subordinato al rispetto degli strumenti urbanistici e ai vincoli ambientali e paesaggistici ed idrogeologici previsti dalla Legge.

Uno degli aspetti più problematici del regolamento è quello

relativo alla disciplina della coltivazione, all’articolo 7 si è disposto

che le cave dovranno essere coltivate esclusivamente dal

Concessionario vietando l’affitto e la sub-concessione e dando al

comune poteri di controllo su ogni trasferimento dei diritti del

concessionario; questa disposizione creava vari problemi nei casi in

cui più soggetti fossero stati co-concessionari di un unico agro

marmifero. Solamente con la modifica del 2005 si è venuti a capo di

tale problematica e all’articolo 15 del nuovo testo si prevede

un’apposita disciplina in riferimento alla questione della contitolarità

della concessione di cava. Nei casi in cui il concessionario della cava

sia una società prevista dal codice civile nel libro V ai titoli V e VI, o

più soggetti siano contitolari di una concessione, anche per quote

differenti, e ancora se la coltivazione della cava è oggetto di più

concessioni nella titolarità di soggetti diversi, la coltivazione di cava

può essere attuata da uno dei soci o da un contitolare della

concessione o da un co-concessionario esperto del settore.

(18)

111

Il regolamento del Comune di Carrara all’articolo 9 ha poi confermato la previsione secondo cui il diritto del concessionario, pur essendo limitato nel tempo per un massimo di 29 anni, è oggetto di possibile rinnovo ed è qualificabile come «[...]diritto reale parziario di natura privata, ancorché creato da un atto pubblicistico di concessione amministrativa[...]»

8

.

Con la modifica del 2005 viene contemplata sempre all’articolo 9 la possibilità di rinnovo automatico qualora non «sussistano gravi motivi per il diniego» cosa che riavvicina sostanzialmente la disciplina odierna a quella estense prevedendo di fatto la possibilità della perpetuità della concessione in piena contraddizione con la sentenza della Corte Costituzionale n. 488/1995 che pone la regola della temporaneità della concessione in linea con l’art. 21 della legge mineraria nazionale

9

.

Nella normativa comunale all’articolo 13 comma 1 viene inoltre previsto che la nuova disciplina concessoria, cosi come disciplinata dal regolamento e dalle leggi regionali, si applicherà anche alle concessioni livellarie già rilasciate, andando ad incidere in questo

8 S. Menchini,Il «microsistema» della disciplina degli agri marmiferi dei Comuni di Massa e Carrara, in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2007, p. 148-149.

9 C. Piccioli, Relazione e proposta di modifica della commissione consultiva sulle

problematiche del settore del marmo del comune di Carrara, in La disciplina degli Agri

Marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2007, p. 213.

(19)

112

modo su diritti soggettivi già maturati nel tempo.

Infine si danno disposizioni che riguardano l’escavazione ordinando che la stessa dovrà essere sottoposta ai vincoli ambientali e paesaggistici previsti dalla legge.

Il regolamento sugli agri marmiferi del comune di Carrara dà una forte impronta pubblicistica alla relativa normativa seguendo molti dei principi già presenti nella legge del 1927.

Questo atto normativo che, nella previsione della legge di unificazione mineraria, doveva essere espressione di una autodeterminazione locale, ha messo in evidenza una limitata autonomia giuridica in quanto il regolamento ha finito per uniformarsi, nelle sue linee fondamentali, all’ideale pubblicistico che ha caratterizzato la legge del 1927 omologando a tutto il resto del nostro paese una zona che per le sue peculiarità doveva avere, almeno nelle intenzioni primarie del legislatore, una normativa anomala e speciale

10

.

Si può quindi affermare che, in considerazione dei principi pubblicistici che la legge Regionale Toscana applica alle cave, miniere e torbiere, si registri un avvicinamento normativo di territori con origini storico-giuridiche molto differenti. Questo ha comportato

10 V. Giomi, Considerazioni e profili critici sulla specialità del regime giuridico degli

agri marmiferi di Carrara e Massa, in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e

storia, Torino, 2007, pp. 172 ss.

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un affievolimento della specialità della disciplina giuridica degli agri marmiferi di Carrara grazie ad un regolamento che si poggia non più su principi propri ma su quelli della legislazione regionale, ormai distanti dal sistema minerario estense, portando alla sostanziale uniformità della regolamentazione con alcuni comuni della Garfagnana, vicini territorialmente ma allo stesso tempo molto distanti per le origini storiche e i regimi giuridici che li hanno caratterizzati nel tempo.

Pertanto secondo una recente teoria la specialità del regime minerario di Massa e di Carrara andrebbe eventualmente ricercata non negli aspetti relativi ai provvedimenti amministrativi, in virtù dei quali il privato può sfruttare gli agri marmiferi, che non possono prescindere dalla normativa regionale e nazionale, ma nella regolamentazione di eventuali situazioni giuridiche connesse alla realtà del territorio in esame che nella attuale disciplina non hanno avuto alcuna tutela. Si tratta delle antiche situazioni giuridiche che caratterizzavano il territorio e che ancora oggi necessitano di una regolamentazione particolare, rispettosa della complessità storico giuridica presente negli agri marmiferi dei due comuni Apuani.

Sono questi diritti soggettivi, configurabili come usi civici,

appartenenti alle comunità vicinali, stanziate in luoghi di dominio

collettivo, prima prevalentemente boschivi e adibiti a pascolo, che si

(21)

114

trovavano in prossimità dei giacimenti di marmo da coltivare. Nel momento in cui le vicinanze di Carrara furono soppresse nel 1812 gli agri marmiferi furono trasferiti al comune e gli antichi diritti su questi beni, appartenenti agli abitanti di questi ambiti geograficamente circoscritti, sono rimasti in vita. «La riunione degli agri marmiferi al patrimonio comunale, tuttavia, muta la classificazione giuridica degli stessi ma non ne muta le caratteristiche ontologiche essenziali, né cancella le situazioni giuridiche soggettive che in essi si sono sviluppate [...]»

11

.

Una volta riconosciuta la natura di demanio civico ai territori sui cui sorgono le cave, il regolamento potrebbe, adottando norme a tutela degli antichi diritti demaniali, recuperare quello spazio di autonomia previsto dall’ordinamento regionale e nazionale, dal momento che il comune di Carrara nell’esercizio dei poteri normativi speciali ha tralasciato di regolamentare questi diritti di uso civico, focalizzando la propria attenzione solo sugli aspetti legati alla proprietà e ai diritti di estrazione.

11 V. Giomi, op. cit. in La disciplina degli AgriMmarmiferi fra diritto e storia,

Torino, 2007, pp. 185.

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