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Era l'autunno del 1975 quando Chris Taylor diede alla luce suo figlio Faisal, il disgraziato frutto di una breve e sfortunata relazione con uno studente conosciuto alla scuola di formazione.

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La disabilità, che sia intellettiva o di altro tipo, di solito l'affronto con la serenità con cui tratto tutti gli altri difetti umani – garantendo agli svantaggiati i diritti loro dovuti. E in tal senso il piccolo Faisal Taylor non era diverso da nessuno.

Era l'autunno del 1975 quando Chris Taylor diede alla luce suo figlio Faisal, il disgraziato frutto di una breve e sfortunata relazione con uno studente conosciuto alla scuola di formazione.

Questi aveva fatto ritorno in Palestina e non se ne era più saputo niente ma Chris Taylor, sebbene affranta per la fine del rapporto, si era ripresa in modo sensazionale. Era la loro “bolla d'amore”, diceva. Lei e suo figlio contro il mondo.

Le cose erano andate avanti così fino a che non era arrivato Valentine Shannon, piombato nella loro sfera emotiva privata nella primavera del 1987, dopo aver ottenuto un incarico in prima media a Tower Hamlets.

Un evento, questo, che era stato motivo di grande gioia per Valentine Shannon,

il quale, ex membro della congregazione dei Fratelli Cristiani

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, era immigrato

dall'Irlanda alla fine dell'estate precedente senza avere in alcun modo perso la

speranza di trovare un'occupazione sicura, regolare o di altro tipo che fosse.

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E adesso, benché a 42 anni fosse ancora vergine – c'era qualcuno a Londra che avrebbe mai creduto a una cosa del genere? – si era trovato profondamente preso da una donna che amava.

La riconoscenza per la fortuna ricevuta era sconfinata. Ne prendeva atto giorno dopo giorno. Nemmeno le tante difficoltà affrontate al Glassdrummond College, la scuola dove aveva lavorato prima, erano riuscite ad aprire una breccia nella sua fede. No, nell'intima cittadella del cuore di Valentine Shannon, la fede in Dio rimaneva inviolabile.

Ecco perché, con grande stupore della sua amata Chris, esigeva ancora che, non appena il tempo avesse consolidato la loro unione, questa si sarebbe dovuta celebrare in seno alla Chiesa cattolica.

Questo era l'auspicio, il desiderio, che le aveva espresso molte volte e lei lo rispettava.

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Da giovane Chris Taylor, da ardente femminista qual era, avrebbe prontamente disdegnato certe obsolete ortodossie. Per lei, ogni occasione era buona per protestare.

Ma l'arrivo di Valentine Shannon aveva sconvolto tutto quanto. Proprio come

aveva fatto l'imperturbabile susseguirsi delle notti nel suo appartamento di

Cracklewood – in cui l'inarrestabile polemica degli anni passati adesso si

scontrava unicamente con delle ferme convinzioni; così come aveva fatto il

ricordo dell'abituale ribellione universitaria di quegli anni quando la cerchia di

studenti di materie umanistiche di cui faceva parte, solida e combattiva più che

mai, si radunava nel cortile di sassolini dell'università per l'ennesimo corteo –

contro le tasse o simili lagnanze. Adesso tutto appariva insignificante, come le

foto, anonime e banali, di una famiglia di periferia.

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Valentine le piaceva soprattutto perché era sincero. In questo somigliava a suo figlio – il bambino affetto da parziale sordità, che lui aveva soprannominato

“piccolo Fysie”.

—Gli vuoi bene, eh? Diceva a suo figlio, pettinandogli i capelli, vuoi bene al tuo nuovo babbo, vero? È così affidabile! Sappi solo che lui ci sarà sempre. Capito, Faisal?

E suo figlio annuiva. Del resto, era l'unico padre che avesse mai conosciuto. Se non fosse che Valentine Shannon era tutto tranne che sincero. Come avevo constatato a mie spese per un certo periodo. Proprio come farà Christine – e presto.

O non mi chiamo più Balthazar Bowen.

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Malgrado l'età relativamente giovane, in passato Valentine Shannon era considerato una sorta di tradizionalista e per questo veniva rispettato. Imperioso, passava tra i corridoi del Glassdrummond College come un moderno “Mr Chips”

– romanzo che, per puro caso, era stato inserito nel programma per gli allievi di quell'anno accademico e che non aveva perso l'occasione di sbeffeggiare. Per l'ennesima volta, aveva spostato la testa all'indietro con arroganza e aveva riversato il proprio disprezzo sul testo, prendendone in giro i valori con ostentata enfasi e in modo piuttosto pesante a dire il vero.

—Sì, ragazzi, adesso gli anni per Mr Chipping sembravano trascorrere lenti come per un “pigro bestiame” al pascolo.

E lui stesso, nel frattempo, simile al vecchio comandante di una nave che misura ancora il tempo con metodi sorpassati, ascoltava le nuove, vane, geremiadi dei suoi alunni – Pettider, Pollett, McKenna, McCartan...

Alunni, stimati tradizionalisti o meno, che sicuramente non avrebbe mai più rivisto. Come si rese conto quando, alla fine, trapelarono alcune notizie dello

“Scandalo del Glassdrummond”. O meglio quando cominciarono a diffondersi

dettagli del “Caso Martin Ossol”. E Valentine Shannon fu obbligato a lasciare il

posto in modo disonorevole, bandito per sempre dal Glassdrummond.

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Questo accadeva un bel po' di tempo fa, è vero. Ma sembrava se ne fosse dimenticato mentre spulciava tra altre opere riguardanti la stessa identica

“bagattella”. Una definizione, questa, che insisteva nell'attribuire al romanzo di Hilton, il quale, lungi dall'essere “un classico sulla vita scolastica”, egli riteneva di così poco valore da non rappresentare nient'altro che una perdita di tempo prezioso, sia per lui che per i suoi alunni. Per un istante, aveva persino preso in considerazione l'ipotesi di vedere in classe la trasposizione cinematografica degli anni '30 con Ronan Donat per sbeffeggiarlo ancora di più. E si era spinto talmente oltre da respingere con disprezzo la sola idea di “scuola a tempo pieno” come stile di vita. Anche se uno si potrebbe domandare perché mai il semplice e innocuo resoconto di un modo di vivere, pressoché svanito, avesse assunto tanta importanza nella sua testa. Dopo tutto, se era così insignificante, perché lo irritava tanto?

Ma questa era una domanda a cui sapevo non avrebbe mai risposto – e non mi aspettavo nemmeno che lo facesse. Finché una sera d'ottobre – il 16 precisamente – in prima media, ancora intento a prendere dei quaderni da una pila, Valentine fu distratto per un istante da quello che avrebbe giurato fosse un rimbombo. Un rumore simile al brontolio di un tuono in lontananza. Si sporse in avanti, ascoltando attentamente. Non c'era niente. L'aria era calma e serena.

Allora ne approfittò ancora una volta per rivolgere amorevoli pensieri verso Chris, che lo aspettava nella loro casa di Barnet insieme a Faisal.

Ecco come si comportava l'uomo chiamato Valentine Shannon mentre

l'osservavo attentamente, ascoltando i suoi sporadici sospiri nello strattonare

distrattamente le maniche del giubbotto di plaid. Un giubbotto “sportivo”, con

tanto di toppe di pelle rinforzanti sui gomiti.

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—C'è una chiamata per lei, annunciò il giovane, facendo capolino dalla porta.

Allora il “custode” della prima media si alzò dalla sedia e, con fare solenne, si diresse a grandi passi verso il corridoio della John Briory School.

Proprio un innocente, conclusi alquanto sdegnato. E mi domandavo perché non avessi prestato attenzione ai costanti e insistenti avvertimenti di mio fratello. Il mio amato gemello Bailey, da tutti reputato asociale e addirittura crudele. Ma la verità è che di rado il mio caro parente si sbagliava, almeno in linea di principio.

Si avvicinava alla finestra e mi rimproverava senza pietà:

—Balthazar sei troppo permissivo! Non avresti mai dovuto invitare quello Shannon a La Magione. Finirà male – dammi retta.

Mamma aveva vissuto a lungo con noi dopo la morte di nostro padre. Non eravamo mai andati d'accordo. Forse sarebbe stato meglio se mi avesse cacciato da quella casa – in cuor suo, era quello che intimamente desiderava.

—Non diventerai mai nulla, niente in confronto a Bailey! La sentivo lamentarsi più e più volte con amara regolarità, mentre irrequieta entrava e usciva dalle stanze. O almeno questo è quello che ricordo, quello che penso stesse dicendo.

—Ti rendi conto? Borbottava con quel suo tono noioso, elogiando, come d'abitudine, i rigidi principi morali di Bailey e ponendoli in risalto a spese della mia presunta e sregolata emotività. Fino a che un giorno non ne ebbi abbastanza.

Ricordo nitidamente quell'episodio, se così lo possiamo chiamare. Era come se il cervello mi si fosse aperto in due. Una spaccatura così netta da richiamare una mela. Mentre una cascata di lacrime mi bagnava le guance.

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Ma, sebbene mia madre avesse sempre sostenuto il contrario, non serbo rancore nei confronti di mio fratello per essere stato il suo preferito.

La solitudine poteva assalirlo a La Magione. Visto e considerato che era relegato in un piccolo angolo dell'edificio, il quale, come molti altri di quel genere nei tempi moderni, non era più economicamente sostenibile.

Non so cosa avrei dato per tenergli compagnia – intendo al mio burbero e asociale gemello.

No. Non a Shannon.

Possa la maledizione di sette regni cadergli sulla testa.

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Mi ricordo di un giorno a Rosses Point, io e Valentine Shannon. Era lì che tenevo

ormeggiato il mio yacht, The Morning Star, sei mesi all'anno. Gli avevo appena

offerto un pranzo strepitoso e prelibato e mi pare di ricordare che avesse

praticamente pulito il piatto. Eh già, era davvero affamato quel giovanotto dei

quartieri bassi. Sì, aveva mostrato un entusiasmo a dir poco vorace durante

quell'ultimo pranzo insieme. Non che ne fossi consapevole. Dopo tutto si era

dimenticato di informarmi che aveva già deciso, per così dire, di fare visita alla

stazione di polizia locale. No, non ero ancora a conoscenza di quel deplorevole

fatto.

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Ma adesso, se non vi dispiace, Valentine Shannon si ritrovò a canticchiare, cosa alquanto sorprendente, mentre percorreva il corridoio e si avvicinava allegramente alla porta della sala dei professori. Indice di quanto convinto e sicuro di sé fosse diventato. Tanto da sembrare che lo scandalo della scuola non fosse mai esistito.

Un tempo, credetemi, il solo annuncio di qualcosa d'innocuo come una telefonata sarebbe bastato a gettarlo nell'angoscia e nell'apprensione più totale. Ma non ora, a quanto pare.

—Ti amo Chris Taylor, mormorò tra sé e sé mentre apriva la porta della sala dei professori.

—Sono lieto di informarla che per stasera è previsto bel tempo, osservò il preside, sollevando gli occhi dalla scrivania. Perlomeno a detta della BBC – e del nostro, vecchio, fidato meteorologo Michael Fish, l'onnipresente!

—Sì, ho sentito, rispose Valentine, e la cosa mi rincuora dato che stasera me ne andrò di qui ben più tardi delle sei.

—Coraggio, signor Shannon! Manca poco agli scrutini! Sorrise il preside. Non ci vuole molto perché il lavoro arretrato si accumuli!

—Eh già, concordò Valentine, mentre il preside annuiva e si avvicinava alla cornetta sulla scrivania.

—Grazie, disse, e si allungò per rispondere.

Il preside si scusò e uscì dalla stanza.

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Valentine stentava a credere che lui e Chris si fossero incontrati al mercato di Camden Town – un posto in cui era stato soltanto due volte in vita sua. Qui, Chris aveva allestito una bancarella di ninnoli e gioiellini vari: articoli di cuoio, collane di perle e svariati pezzi di gioielleria orientale. Lei e Faisal erano molto conosciuti – tutti i commercianti li chiamavano per nome.

Mai, nemmeno nel più folle dei sogni, si sarebbe aspettato che avessero qualcosa in comune. E, a giudicare dall'aspetto, non si sarebbe mai detto:

giacchetto di pelle nera, anfibi da metallara e immancabile “dispiegamento” di sigarette rollate. Il modo di fare e di vivere di Chris sembrava lontano anni luce dal suo. Ma erano usciti insieme e, con sorpresa, si erano resi conto che c'era un certo feeling tra loro.

—Mi piace il tuo accento, gli aveva confidato, mi piace il suono.

Questo era tutto ciò che gli aveva detto quel giorno al Golden Spoon Cafè a Camden Town. Mentre Faisal, con i capelli nero corvino che gli andavano sul viso, mescolava del gelato sciolto in un bicchiere, del tutto ignaro del baccano che faceva. Valentine non poteva credere che stesse succedendo proprio a lui. I commenti di Chris sulla sua voce lo avevano fatto perfino arrossire.

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Ma quel giorno apparteneva già a un tempo piuttosto lontano. Lontano, in un certo

senso, quasi quanto quelle poche, ultime, misere settimane al Glassdrummond

College. Era un uomo nuovo adesso – sereno e sicuro di sé. Tutto grazie a Chris e

al suo adorabile figlio, Faisal. Sorrise e si schiarì la voce, mentre picchiettava le

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dita sulla superficie imbottita della scrivania del direttore.

Si accostò la cornetta all'orecchio, sicuro che dall'altra parte ci fosse Chris, la quale, molto probabilmente, si domandava se avrebbe fatto tardi quella sera.

Sapeva che gli scrutini di metà trimestre si avvicinavano. Sorrise tra sé e sé nel pensarla lì seduta a casa, con Faisal dietro di lei steso sul tappeto, con le gambe tirate su tutto preso dai suoi puzzle, come al solito.

—Gioca con me Valentine! era solito gridare il bambino.

Shannon parlò di proposito così al ricevitore:

—Pronto, sei tu Chris?

Niente.

—Pronto? Ripeté.

Ancora niente, strano. Non che fosse preoccupato. Era giusto una scocciatura.

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Pensò a lei, raggomitolata sul divano senza stivali, che sfogliava le pagine di una delle sue riviste – il New Statesman con tutta probabilità. E accennò un sorriso.

Ma, proprio in quel momento, i muscoli del collo gli s'irrigidirono. Dietro la finestra, scorse il volto di un ragazzo che lo fissava dritto negli occhi. Premeva la faccia in modo grottesco contro il vetro – uno spettacolo assai raccapricciante, a dire il vero. Restò così per un po', in quella posa decisamente riprovevole, prima di scomparire, ancora inspiegabilmente e in modo piuttosto teatrale, lanciando un urlo stridulo. Una folata sparpagliò alcuni fogli sulla scrivania.

Valentine Shannon strinse forte la cornetta.

—Sei tu Chris? Continuò – con una certa impazienza.

Un rumore di interferenza, poi ancora silenzio.

—Faisal? Se sei tu Faisal —!

Faceva bene a essere agitato adesso, e mi preparai a emettere un bel sussurro.

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—No, non sono Chris, dissi. Sono io – il signor Ossa. Di' ciao, caro Valentine.

Su, sii gentile, saluta!

Un silenzio assordante fu la mia ricompensa.

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Proprio in quel momento tornò il direttore che diede una passata ad alcuni schedari e altri fogli, prima di recuperare un documento che aveva dimenticato sulla scrivania. Per poi sparire un'altra volta, con il solito trambusto.

—Pronto? Ripeté Shannon, picchiettando la cornetta.

Ma non si udì alcun rumore. Perfino l'interferenza aveva lasciato spazio al

silenzio.

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La donna al secondo piano dell'autobus aveva fissato a lungo Chris Taylor, ma la mamma di Faisal non se ne era minimamente accorta. Soltanto una volta che si fu ripresa dal sogno a occhi aperti, si rese conto del motivo di tanto interesse – e di quanto eccessivamente protettiva fosse nei confronti di suo figlio la cui mano, paffuta e molliccia, le poggiava sfinita sul grembo.

—Mi hai fatto male, mamma! Gridava Faisal.

Senza farci caso, Chris l'aveva stretta fortissimo – e adesso se ne vergognava profondamente. Non era la prima volta, come ben sapeva. Tirò fuori dalla borsa un pacchetto di caramelle Emerald, un regalo di Valentine, di cui Faisal andava ghiotto.

—Adesso sì che è contento, disse la donna seduta di fronte, sistemandosi le mani sulla pancia con sollievo.

Chris Taylor accennò un sorriso – ma continuava a sentirsi agitata. Sapeva che

un tempo avrebbe affrontato la sua compagna di viaggio senza remore,

chiedendole di farsi gli affari suoi. Ma, per varie ragioni, col passare degli anni si

era molto tranquillizzata. E adesso certe polemiche le riservava esclusivamente

per questioni più importanti.

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I dibattiti a tarda notte sull'aborto, lo stupro e la pericolosità della strada per le donne, per cui aveva speso un sacco di tempo quando lavorava al centro di accoglienza di Hackney, erano svaniti nel nulla. Rimpiazzati adesso da argomenti ben più dirimenti. Come quelli che riguardavano i bambini meno fortunati come Faisal, sul cui comportamento aveva lavorato giorno e notte, nel tentativo di assicurargli un posto alla scuola media di Kingsbury. Dato che fra non molto sarebbe giunto il momento per lui di lasciare la scuola per bambini disabili di Coles Green. Ma non era stato affatto un gioco da ragazzi per Chris. E la cosa aveva largamente contribuito all'origine di quel suo comportamento iperprotettivo, per non parlare degli attacchi di panico di cui aveva sofferto negli ultimi tempi, i quali, da buona razionalista, faceva fatica a comprendere. In genere, dava la colpa ai soliti sovraccarichi di lavoro. È colpa del lavoro, si convinceva. Ma a volte gli attacchi erano talmente forti da debilitarla in modo assai preoccupante. Cosa che mi divertiva, devo confessarlo. Una volta l'avevo vista letteralmente inciampare per strada per paura che qualcuno la inseguisse. Un'altra, invece, si era convinta che Faisal fosse rimasto vittima di un terribile incidente. E tutto ciò era frutto della sua immaginazione, anche se in quei momenti le sembrava così nitido e vero. Addirittura, un'altra volta ancora, era certa di avere udito Faisal che la chiamava. Niente sembrava poter dare tregua alla sua mente. Poi c'era stato il cosiddetto incidente “della sega a nastro” – quando venne ossessionata dall'idea che fosse capitato qualcosa di terribile a suo figlio, che avesse perso parte del pollice al laboratorio protetto di falegnameria. Ma, una volta arrivata sul posto, in preda al panico, la prima persona che aveva visto era stato proprio suo figlio Faisal. In piedi, nella sua tuta e con i capelli corvini che gli oscuravano il volto, la salutava.

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E, nel gettarle le braccia al collo, aveva mostrato nientepopodimeno che il pollice più intatto che si fosse mai visto! Perdonate il tono irriverente e inappropriato. Non rientra nelle mie intenzioni, almeno per il momento.

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Semplicemente perché i miei piani per Chris Taylor, così come per il suo compagno, il signor Shannon, in realtà sono molto più ambiziosi di questo. Ed è tutta colpa di una notizia dell'Evening Standard, riguardante un fatto accaduto in Florida, negli Stati Uniti. Uno fra gli omicidi più raccapriccianti mai commessi ai danni di un ragazzo, anche lui affetto da disabilità – in questo caso la sindrome di Down.

Fin dal preciso istante in cui lessi l'articolo, pensai che fosse un destino più che appropriato per l'ingenuo gioiellino di Chris. Per il suo piccolino adorato, che conta così tanto per la cara signora. Ma questa è una faccenda di cui inevitabilmente mi occuperò con cura non appena l'avrò fatta finita con Valentine Shannon. O meglio, quando avrò ritenuto totale la sua rovina. A questo preciso scopo ho destinato un personaggio che, con il dovuto rispetto, non vede l'ora di entrare in scena. Una tipa che potreste descrivere come un vero angelo a bordo della sua Fiat Uno bianca. Una devota e giudiziosa angioletta che, a tempo debito, sarà inviata per condurre Shannon verso quei lieti pascoli: la carissima Ronnie Clegg.

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Di sicuro qualcuno obietterà, forse con una certa ragionevolezza, che Chris Taylor e suo figlio non meritino una punizione del genere. Ma per favore!

Lasciatemelo dire. Nel frattempo, permettete che vi tranquillizzi per benino con l'unica canzoncina in mio possesso, nonché mio marchio di fabbrica, che canto in disteso falsetto:

—Di' ciao a Ossolio Sempre da solio

Senza mai un brontolio Perché è il tuo miglior amico!

Tremarella!

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Stando al giornale, a quanto pare vi erano state numerose scomparse nella zona di South Beach a Miami. Ma solo ultimamente erano state ricollegate alle feste per bambini. In particolare, a quelle capitanate da un clown che sul lavoro si faceva chiamare “Ossolio”. La cosa, come potete immaginare, mi eccitava immensamente dato che richiamava alla mente, almeno per il nome, un mio simpatico amico di vecchia data, il signor Ossa.

—Mio figlio stava salutando i fenicotteri rosa, protestava la madre impotente, e quando mi sono voltata, non c'era più! Come se fosse letteralmente svanito nel nulla!

Il modo in cui si consumavano effettivamente gli omicidi, perché spesso è di questo che si trattava, era cento volte più terribile di come lo descriveva la stampa.

Non c'era niente che saltasse subito all'occhio nella camera da letto

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dell'International Hotel. Era nel frigorifero che le loro impensabili paure si materializzavano e avveniva la macabra scoperta: tre bianchi dentini da latte macchiati di cremisi, posati su un piatto. Niente ferite sul corpo del bimbo. Devo precisare che queste sono parole mie non dell'ispettore, il quale avrebbe senza dubbio usato termini più tecnici e neutri, più gentili, giustamente, date le circostanze. Non si rilevava traccia di denti sul corpo del cadavere, maschio, 12 anni. Probabilmente è così che avrebbe detto. Fin da subito, era chiaro che il clown Ossolio prediligesse bambini con disturbi fisici o mentali, insomma bambini affetti da qualche handicap.

—Tutto questo calza semplicemente a pennello per il piccolo Faisal, dissi

sorridendo, mentre ripiegavo la copia dell'Evening Standard. E vi presterò la

massima attenzione, non appena l'avrò fatta finita con quel professore da quattro

soldi di Shannon, quel raggiante Giuda, infame traditore.

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[…] —È così che vanno le cose, non è colpa sua, Balthazar. Ti userà, si prenderà gioco di te e infine ti volterà le spalle, come tutti. È così che fanno con noi della piccola aristocrazia terriera.

Ecco come la pensava il mio amato fratello Bailey. Se solo gli avessi dato ascolto! Ma, come diceva lui, ero un inguaribile romantico che si lasciava fin troppo facilmente trasportare dalle emozioni. Non sorprende che fosse lui il cocco di mamma, mentre a me questa guardava in quel modo in cui lei sola faceva.

Come per dire:

—C'è qualcosa che non va in te. A volte, Dio solo lo sa, mi domando addirittura perché ti ho messo al mondo!

Un giorno l'avevo affrontata: avevo battuto i piedi a terra e urlato fino a perdere la voce. Era stata la cosa peggiore che avessi mai potuto fare date le circostanze.

Una volta rientrato a casa, papà l'aveva trovata singhiozzante e mi aveva preso da parte per darmele di santa ragione. Poi mi aveva scaraventato nel sottoscala. In un certo senso, mi piaceva stare lì, al buio, con l'odore di paraffina, a giocare con il mio pupazzo, il famoso signor Ossa. Era un giocattolino a forma di scheletro che avevo trovato in mezzo a certe cianfrusaglie. Avrei tanto voluto essere come Bailey: disciplinato, calcolatore, del tutto in grado di dominare il suo istinto.

—Ti mangeranno vivo! Un boccone dopo l'altro, mi diceva.

E quanto aveva ragione il mio fratello gemello! [...]

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[…] Mentre camminava sulla strada di là dal parcheggio a Camden, improvvisamente Chris Taylor ebbe un'idea straordinaria. Così, dal nulla, decise che sarebbe stato fantastico arrivare nella sua casetta di Barnet con in tasca dei biglietti per una favolosa vacanza a sorpresa!

—Dove potremmo andare? Si domandò, mentre cercava la carta di credito e il portamonete nella borsa.

L'impiegata dietro la scrivania dell'agenzia di viaggi non poteva essere stata di maggiore aiuto.

—Cosa ne dice di questo posto? Ci sono appena stata! Suggerì, facendo passare il lucido catalogo dall'altro lato della scrivania.

—Miami, Florida, Stati Uniti, meditò Chris mentre distratta sfogliava pagine sfavillanti di colori che illustravano l'imponente frangersi delle onde contro una battigia da sogno, acque cristalline e sabbia finissima.

—Ci sono offerte speciali per bambini con disabilità! Sembra fatto apposta per

me! Fantastico! Sarò pazza, ma credo che opterò per questo! Annunciò Chris. [...]

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Tu e quell'Ossa, diceva mio fratello. Sei superstizioso quasi quanto quegli schifosi contadini. Ma se, come dici, quel pupazzo ha davvero certi poteri, perché non ti predice la terribile fine che è in serbo per te? Quando fili di corsa in paese con quella paglietta in testa, sembri un pazzo! Grazie a Dio nostra madre è morta e non deve assistere a tutto ciò. E quando, a bordo della Trojan, strombazzi il clacson, recitando in tutto e per tutto la parte del galantuomo caritatevole?

Mamma ti avrebbe rimesso nel sottoscala in un baleno, caro il mio illuso, insopportabile fratello. Come al solito, avrebbe detto che non “stavi bene”; che, fin da quando ti portava in grembo, sapeva che c'era qualcosa che assolutamente non andava in te.

E come dare torto a mio fratello? Dato che, come aveva predetto, mi stavo scavando la fossa con le mie stesse mani.

—Stai lontano da quello Shannon, ti supplico, ora come sempre. Finirà male, Balthazar.

È ovvio che all'epoca stesse soltanto sprecando fiato. Ero un pazzo, non ascoltavo.

Beh, può benissimo darsi che Valentine Shannon avesse pianificato tutto quanto

– approfittarsi di me per poi informare la polizia. Ad oggi, francamente, non posso

esserne certo. Non lo posso dire. Quello che so è che mi ha spezzato il cuore e

frantumato l'anima per benino. E per questo la pagherà, credetemi. La vendetta

che ho in serbo per lui non avrà precedenti. (Beh, quasi! Ah ah ah!)

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Certo è che non avrei dovuto permettergli di arrivare a tanto, come sosteneva Bailey. Ma, per quanto mi sforzassi, per un motivo o per l'altro, non riuscivo a percepire l'astuzia di Valentine Shannon. O almeno non all'inizio, quando veniva a La Magione dopo scuola.

—Adoro Pinky e Perky, diceva.

Mi premuravo sempre di offrirgli un sacco di torte. Il miglior ciambellone fatto in casa dalla signora Thornton, preparato con uova fresche e latte fra i più cremosi. Nemmeno Bailey poteva resistervi e, per quanto si sforzasse, molte volte ci raggiungeva, per intrattenersi con noi, alla rimessa della barca dove avevo montato uno schermo e un proiettore, un Bell & Howell che avevo comprato a Londra. E ridevamo a crepapelle, mentre ci guardavamo Betty Boop.

________________

Altre volte, invece, di ritorno dal paese a tarda sera, trovavo mio fratello seduto al buio, pensieroso. Accovacciato tutto solo in salotto, coi lineamenti sfocati, appena accennati. Le sue parole si distinguevano per il falso contegno:

—Ti proibisco per sempre di invitarlo ancora!

Adesso è solo questione di tempo, diceva.

E quanto aveva ragione! Il sergente era arrivato esattamente un mese dopo.

—Valentine Shannon le ha rivolto queste accuse, aveva detto, sostiene che lei lo abbia molestato...è vero?

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—C'è solo una cosa che puoi fare adesso, fratello mio.

Le ricordo benissimo – le parole di addio di Bailey. Mentre di spalle, con quel suo solito tono pungente e traboccante di rimpianto, mi aveva detto:

—Addio amico mio. Qualunque cosa sarai, rimarrai per sempre il mio fratello gemello.

Con il cuore distrutto avevo annuito e me ne ero andato.

________________

Papà aveva comprato la Trojan decappottabile rosso ciliegia in Germania. Era una macchina strepitosa: una quattro posti decappottabile, con solidi pneumatici in gomma e due portiere che si sollevavano per mostrare gli interni. Senza pensarci due volte, spinsi al massimo il piede sull'acceleratore e, con estrema calma, mi lanciai a diritto nelle acque verdastre, colando a picco verso il fondo senza pensieri in testa, tranne uno:

—La pagherai, stanne certo. Pagherai per quello che hai fatto oggi, Valentine

Shannon. Di questo stanne certo. E sappi che non avrò pace finché non sarai

punito, finché un terrore inestimabile non si stabilirà in eterno nel tuo crudele,

infido, cuore.

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Il passo rapido e leggero con il quale adesso avanzava apparentemente senza sforzo – e che ostentava fin dall'incontro con Christine Taylor – era diventato l'emblema della serenità e della risolutezza di Valentine Shannon. Era come se Chris lo avesse reso capace, tra le altre cose, di trovare dentro di sé la determinazione con cui finalmente affrontare il passato. Cosa che per molto tempo non era stato in grado di fare. C'era forse da meravigliarsi se, nel tragitto verso casa, sorrise intento a svoltare in Aldgate High Street – diretto verso la loro umile ma confortevole dimora di Barnet? E il buonumore non diminuì in alcun modo, quando ripensò al famoso meteorologo Michael Fish. Aveva intravisto il suo faccione tondo e innocente, passando con la macchina di fronte a un negozio di televisori. Non faceva che ripetere che non c'era assolutamente di che preoccuparsi per la serata, e che le chiacchiere su una possibile e imminente tempesta erano del tutto infondate.

—Non vengono uragani in Inghilterra! Aveva dichiarato con una sicurezza sconvolgente, quasi da scolaretto.

Essendo della solita opinione, Valentine sorrise. Nella sala dei professori, si

erano fatti alcuni discorsi riguardo a probabili burrasche. Ma non vi aveva dato

peso – e ora sembrava aver fatto bene. Motivo per cui stava seriamente prendendo

in considerazione la possibilità di portare Faisal allo zoo. Magari a Chessington

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Capace, come era diventato ultimamente, di affrontare il passato con serenità. Ci aveva sperato a lungo. Era un uomo nuovo, senza colpe. Ma allora perché mai il solo pensiero di dovere rimettere piede in quel posto – se mai avesse dovuto – nel seminario minore, che adesso gli sembrava un luogo così mediocre, tetro e insulso, lo turbava tanto? Perché, se davvero era stato sincero per tutta la durata della sua permanenza, qualcosa aveva messo fine alla monotona prevedibilità della routine senza, tuttavia, riuscire a toglierli il sorriso dalla faccia? Sto parlando dell'incidente da lui denominato “Cappello a Cilindro”.

Il cappello a cilindro apparteneva a uno dei suoi studenti, Martin Ossol. Un tipo davvero insolito per il Glasdrummond, un ragazzo di sani principi, estremamente originale. Valentine gli aveva insegnato teatro – e diretto in una recente rappresentazione di Oliver!. In cui il giovane recitava la parte di Artful Dodger. È da qui ovviamente che veniva il cappello. Quello che avevano appena preso a calci nel corridoio, in una sorta di delirio di ubriachi.

Tuttavia, il cappello fu utilizzato per un altro scopo – come scoprì Fratello

Valentine una volta terminato lo spettacolo. Sì, Martin Ossol aveva trovato un

nuovo impiego per il cappello. In parole povere, lo indossava facendo finta di

essere una pop star. Una pop star che all'epoca, nel 1981, era famosa e che

sembrava avere un debole per certi costumi teatrali, da quello che poi emerse. Sto

parlando di Adam Ant, il quale non era soltanto appassionato di eccentrici berretti

ma, da quello che emerse, adorava vestirsi come un pirata, con balze, fasce e

soprabiti a coda di rondine. Un giorno Martin Ossol si presentò in classe vestito

così. Un gesto allarmante dato che, in quanto decano dell'istituto, sarebbe dovuta

essere responsabilità di Fratello Valentine educare il ragazzo, facendogli presente

che si trattava di un palese sgarro alle regole, una forma di “tacita disubbidienza”,

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come la cosa sarebbe stata intesa. Valentine doveva ribadire che un fatto del genere non si sarebbe più dovuto ripetere. Assolse il proprio dovere alla lettera.

Prontezza di decisione e altrettanta rapidità di esecuzione: questi erano i suoi tratti distintivi nelle vesti di responsabile del Glassdrummond. Con discrezione, mise al corrente lo studente che si trattava di una questione di disciplina.

Ma, Martin Ossol scrollò le spalle, senza dire una parola. E la mattina seguente, si ripresentò vestito nel solito modo. Questo spiacevole fatto, il primo di una lunga serie, diede avvio ai problemi tra il decano e lo studente. Triste, Shannon rifletteva su quanto fossero cambiate le cose tra di loro adesso – e pensare che in passato erano stati amici per la pelle. Valentine si era mostrato così orgoglioso della performance del ragazzo in Oliver! in cui questi aveva lasciato tutti col fiato sospeso, spiccando tra tutti i membri del cast, senza eccezione.

Da qualche tempo, Valentine Shannon aveva iniziato a percepire un misterioso e inspiegabile cambiamento nella personalità di Martin Ossol. Sembrava non volere fare altro che scioccare i compagni ad ogni costo. Sistematicamente a spese di Fratello Valentine, o almeno così sembrava. Il ragazzo adesso non faceva che sbuffare annoiato tutte le volte che gli veniva domandato di svolgere il minimo compito. Ogni volta che il decano della disciplina gli passava accanto, Martin gli lanciava delle sospette frecciatine.

Non ci si poteva sbagliare su queste osservazioni furtive, un lento stillicidio di

velate provocazioni. E, alla fine, vedendo palesemente calpestata la sua autorità,

Fratello Valentine non ebbe altra scelta. Una notte, dopo la preghiera, convocò

Martin Ossol nel suo studio. Sperava ancora di potere mettere fine a quelle

scaramucce, alquanto disdicevoli. Era questo ciò a cui pensava mentre, a grandi

passi, si dirigeva verso la porta e si avvicinava al corridoio, trovandosi di fronte lo

studente. Questi se ne stava in piedi, davanti a lui, e lo guardava attonito. Per

prima cosa, il decano si sfregò le nocche, piuttosto pensieroso, poi abbassò lo

sguardo e infine disse:

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—Vedo che stasera non indossi il cilindro, Martin.

L'indisponente Ossol scrollò le spalle, senza nemmeno preoccuparsi di dare una spiegazione per l'accaduto. Ecco perché, trattenendosi come meglio poteva, il decano si sforzò di ripetere la frase, stavolta in tono cupo, monocorde:

—Come ho detto, vedo che non indossi il cilindro stasera, Martin.

—No, rispose con sufficienza il ragazzo, girandosi i pollici distrattamente e dondolandosi su e giù sulle caviglie.

A quel punto, la mano di Fratello Valentine agguantò il fermacarte e lo scagliò contro la faccia incredula del giovane.

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18

Il film Passatempi di Natale con Betty Boop non turbava i pensieri dell'ex Fratello Cristiano Valentine Shannon adesso inginocchiato, con la testa china in segno di devozione, sulla panca in prima fila della Chiesa cattolica di Spitalfields. E perché mai avrebbe dovuto, visto e considerato che per molto tempo aveva addirittura insistito nel negarne l'esistenza? E così facendo, ovviamente, si redimeva con cura da qualsiasi piacere che, nel corso degli anni, potesse essere derivato o che fosse collegato a simili passatempi. Perché mai voleva guardare certe porcherie? Ma, certo, lui non voleva! Ero io che lo obbligavo, decisamente contro la sua volontà.

—È colpa dei Bowen, aveva detto al sergente, non avevo altra scelta. Mi hanno obbligato a farlo! Avevo paura, capisce? Avrei guardato qualsiasi film avessero voluto. Ho passato dei momenti terrificanti, capisce?

Oh sì, terrificanti! Forzato a guardare Betty Boop che faceva le compere natalizie. E non solo! Che andava alle sfilate di moda, al mare. Dio ce ne scampi e liberi!

C'erano anche altri film e chiaramente l'agente aveva ascoltato tutto a riguardo.

C'era Carry On Sergeant e uno che, date le circostanze, produceva effetti a dir

poco esilaranti. Un film per cui io e Bailey, da bravi sentimentalisti quali eravamo,

nutrivamo una passione particolare: la vecchia versione di Goodbye Mr Chips con

Robert Donat. Bailey aveva un'ampia scelta di 8 millimetri, li acquistava in un

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Il sergente mi aveva trattenuto per tre ore intere. Perché le falsità del professor Shannon sembravano non avere fine. Ma, come era solito dire Bailey per mettermi in guardia, cosa cavolo mi aspettavo?

E la cosa che più mi fa imbestialire, come se tutto ciò non fosse abbastanza, è cosa accadde dopo meno di due anni! Quel viscido mascalzoncello annunciò di voler consacrare la propria vita a Dio! Essendo stato accettato – mirabile dictu! – da uno squallido e insignificante seminario minore a Carlow!

Sua madre – la signora Verza Scialba, come l'aveva ribattezzata con acuta ironia e assoluta precisione mio fratello – ovviamente era al settimo cielo. Come tutte le avvilite matriarche dei quartieri bassi del tempo che si crogiolavano nella pura luce della tradizione.

—Avere un religioso in famiglia – che onore!

E come fremeranno di gelosia i vicini! Pensava.

A partire da quel momento, ogni giorno, la donna fu vittima di straordinarie

“apparizioni”. Forse c'era da aspettarselo, almeno secondo Bailey.

—Ti ho visto montare in sella a un mulo bianco, diceva a suo figlio, vestito con un magnifico mantello color magenta. C'era una carrozza dorata tirata da sei cavalli, Valentine, e non appena passavi accanto alla gente del paese subito tutti si inginocchiavano. Sia lodato il Signore e sia resa grazia al mio angelo!

Angelo, addirittura. Brutto cattolico spregevole e intrallazzatore.

Presto gli farò vedere io cos'è un “angelo”.

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Le chiacchiere sulle nostre “segrete” proiezioni di Chips e Betty Boop

cominciarono a circolare. Il coro di disapprovazione, come c'era da aspettarsi, era

unanime. Dopo tutto si trattava di un paesino arretrato. E Valentine diede prova di

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una brillante interpretazione, accertandosi di arricchire il racconto di colorite infiorettature, fronzoli e insinuazioni. Ogni volta che lo raccontava, piangeva a dirotto – e, come al solito, balbettava. Lo faceva sempre quando si agitava, ci avevo fatto caso.

—Mi obbligava a dire Ti a-amo Be-Betty! Ma non lo facevo, sergente. Li odio tutti quanti!

—L'apostasia degli ingrati, ribolliva di rabbia Bailey, mentre, in piedi, vicino alla finestra, si pareggiava i risvolti della giacca. Sapevo che sarebbe finita così.

Se solo gli avessi dato retta. Invece di accostarmi con la mia Trojan decappottabile sotto casa di Shannon, sorridendo all'ombra del mio panama, mentre mi sporgevo dal finestrino e domandavo se per caso il ragazzo fosse in casa.

—Certo che c'è, signor Balthazar! Tuonava con immenso piacere la signora Verza, del tutto fuori di sé dall'eccitazione, mentre per l'ennesima volta assaporava la fremente e inevitabile invidia dei vicini.

—Sarò lì fra un attimo, zio Balthazar! Le urla stridenti di Valentine risuonavano e filtravano tra l'odore di gas e cavolo bollito delle squallide casette.

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La risata di Betty Boop era incredibilmente frivola. E le reazioni che scatenava comunemente non erano poi così difficili da comprendere. Voglio dire, era erotica. Tanto per cominciare, aveva la giarrettiera: un oggettino ornato da pizzi e merletti che non perdeva occasione di maneggiare, mentre batteva la frusta a terra e si toccava il seno, sculettando sinuosamente in quel modo straordinario.

—Il mio caro Babbo Natale! Squittiva, mentre si avvinghiava al suo pancione e premeva le sue manone, falsamente restie, contro le sue labbra.

________________

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Ma la cosa senza dubbio più bizzarra è che non mi pare di ricordare lacrime quel giorno, quando lo avevamo proiettato. Anzi, da quello che mi ricordo, Valentine Shannon si agitava di gusto, lasciandosi scappare gridolini di contentezza. Ed erano lacrime di gioia le sue, non certo di abuso – parola che divenne di moda più avanti – né tanto meno di maltrattamento di nessun genere da parte mia o di mio fratello. Quanto avevamo riso guardando il vecchio, caro Mr Chipping che, seduto accanto al fuoco mentre la burrasca autunnale sbatacchiava le finestre, ripensava per l'ennesima volta a tutti i suoi alunni che non c'erano più. Dove sono andati tutti quanti? Meditava spesso vicino al fuoco, scrollando la testa, avvolto nella vestaglia e dai capelli bianchi. E, mentre gli occhiali con la montatura in acciaio gli scivolavano sul naso, mormorava:

—“Ricordo la prima bicicletta. Ricordo quando non c'erano né luce né gas e fra noi professori avevamo un addetto che chiamavamo 'l'uomo torcia'. E adesso, mentre l'orologio da terra ticchetta e l'odore d'inchiostro e vernice svanisce, vedo gli ultimi raggi rosso fuoco del sole filtrare dai vetri colorati delle finestre...alla Brookfield School dove eravamo tanto felici.”

Proprio come, in un certo senso, eravamo noi. Io e mio fratello a La Magione.

Tanti anni fa, in quei giorni innocenti del 1963. Senza disordini politici di alcun genere, quando la gente sembrava addirittura apprezzare la maggioranza protestante di cui avevamo sempre fatto parte o, perlomeno, che avevamo sempre rispettato.

O forse anche questa era soltanto un'illusione, una crudele chimera, come aveva suggerito Bailey.

—Vedrai quando il tuo amichetto ti abbandonerà, con un sorriso non diverso dall'infedele apostolo della Bibbia.

Quanto aveva ragione.

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[…] Sulla panca in prima fila della chiesa di Spitalfields, Valentine Shannon rese infinita grazia al Signore, promettendo di non dare mai per scontato l'affetto di Chris e Faisal. Il loro aiuto era stato fondamentale per cancellare gli spiacevoli ricordi de La Magione – e non solo quelli. Ancora più sconvolgenti, di tanto in tanto, erano le tristi reminiscenze dei suoi ultimi, pochi, mesi al Glassdrummond, in seguito a quanto accaduto con Martin Ossol. Era chiaro che sarebbe stato allontanato con disonore dal suo posto di lavoro e dall'intera struttura. Ma ciò che continuava ad assillarlo era quel dubbio persistente: cos'è che l'aveva spinto a colpire il ragazzo? Non capiva. Qualcosa l'aveva costretto? Concluse che con ogni probabilità non l'avrebbe mai saputo, ma a lungo aveva avuto il sospetto che, a sua parziale discolpa, fosse stato influenzato.

Chinò la testa ed espresse una richiesta di sostegno, dopo che si rese conto che

l'ansia lo aveva sopraffatto di nuovo e che avrebbe potuto trovare beneficio nella

consolazione della fede. Ma, la costernazione che lo aveva avvolto non si dissolse

facilmente. Un sottile strato di sudorazione adesso gli brillava sulla fronte, mentre

si arrendeva alla prospettiva di un'imminente promessa di matrimonio. Dall'altra

parte, solo nella navata laterale, un anziano signore tossì leggermente prima di

cadere in lacrime sulle ginocchia per venerare un'immagine sacra. Valentine pregò

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E aveva ragione – almeno in questo. Mentre il volto della compagna gli appariva dolcemente in testa.

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Proprio come accadde, di nuovo, nel parcheggio della chiesa di Spitalfields che lo vide sorridere mentre cercava le chiavi, un attimo prima di venire distratto da uno strano rumore. Uno di quei rumori che mi divertiva da pazzi, devo ammetterlo.

Dato che si trattava – ci crederete? – del solitario lamento di una sirena, letteralmente posizionata a chilometri e chilometri di distanza dal mare – beh, di sicuro assai lontana da Rosses Point. Poi il vagare smarrito di qualche passante e i passi che si accalcavano lo allarmarono ulteriormente.

—Possono dire ciò che vogliono di Michael Fish, ma sa di cosa parla. Guardati intorno – vedi forse qualche avvisaglia di un imminente temporale o ancora peggio di un uragano? Ma certo che no! Sono tutte cavolate! Michael Fish sì che ne intende! Non sbaglia un colpo.

Valentine Shannon salì in macchina e la mise in moto. L'atmosfera era calmissima. Ma poi – beh, si bloccò.

—Papà, sentì la voce del bambino supplicare alla radio, quell'uomo vuole togliermi i denti. Dice che i bimbi arabi sono i migliori.

Non c'erano dubbi: era la voce di Faisal.

—Ti prego aiutami! Qualcuno mi aiuti! Sono tutto solo.

Perché aveva dovuto sentire una cosa del genere? Si domandò. Avrebbe dato

qualsiasi cosa per essersi sbagliato. Per non aver udito niente di niente, ancora

meno il fragore della risata di un uomo. Ci vollero quattro tentativi per fare partire

la macchina. Infine ci riuscì, con grande fatica. Ma in fondo al cuore, già

paralizzato di paura, qualcosa gli diceva che era diventato il burattino nelle mani

di uno sconosciuto.

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[...] —Ehi, maledetto pezzo di merda! Ma mi vuoi ammazzare?

I freni stridettero bruscamente mentre un disgraziato gli piombava sul cofano, spiaccicando la faccia in modo grottesco contro il parabrezza. Agitava i pugni in aria. Poi apparve un altro tipo delle stesse risme e nel giro di pochi secondi i due si urlavano contro a vicenda, stretti in un violento e insensato abbraccio.

—Ti uccido, cazzo, brutto stronzo! Ti faccio fuori una volta per tutte!

Il semaforo diventò improvvisamente verde e Valentine spinse il piede sul pedale, riuscendo soltanto ad allertare i due litigiosi vagabondi della situazione.

Piccole gocce di sudore gli scorrevano sulle guance. Allungò le mani verso la tasca per prendere il fazzoletto, ma non ce la fece. Proprio in quell'istante sentì il finestrino andare in frantumi. Una mano sudicia lercia gli tastava la tempia.

—Dammi i soldi! Mi hai sentito brutto stronzo?

L'altro sciagurato era montato sul cofano e premeva la mano insanguinata contro il vetro.

—Per l'amor di Dio! Implorava Valentine Shannon.

Ma ovviamente era inutile parlarci – la faccia di quello insanguinato era deformata dalla follia.

Guardò in macchina minaccioso e afferrò il guidatore:

—Pensi che abbia ragione Michael Fish, eh? Beh, è qui che ti sbagli caro mio!

Dopodiché se la diede a gambe correndo via per la strada.

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Valentine Shannon si guardò attentamente allo specchietto retrovisore – adesso il

suo volto era pallido e titubante. Se prima vi aveva intravisto una rilassatezza di

tutto rispetto, adesso di tutto ciò non c'era la benché minima traccia.

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—La pagherai cazzo! Stanne certo, la pagherete tutti quanti! Aveva giurato quel disgraziato.

Afferrò il volante dirigendosi verso Hendon.

Probabilmente erano due internati dell'ospedale psichiatrico locale, rilasciati grazie a quella fantomatica associazione Care del programma comunitario, di cui il governo conservatore andava tanto fiero, pensò.

—Non toccare questo argomento! Udì Chris lamentarsi.

Terrorizzato, si rese conto che adesso la sua Renault aveva mancato un'altra macchina per un soffio. Ma, santo cielo, a che gioco stai giocando? Si domandò. Il suo stato d'animo veniva sbalzato da una parte all'altra.

Poi, la breve strofa di una melodia mai sentita prima, con la cadenza cantilenante delle canzoncine dei bambini al parco giochi, irruppe nella sua testa. Valentine rabbrividì fortemente:

—Se con Pepsodent lavi i denti sempre li avrai risplendenti!

Inaspettatamente, proprio come l'arrivo della canzone, stava cominciando a familiarizzare con un personaggio a lui del tutto sconosciuto – Ossolio, il clown.

Il signor Pompon, l'inimitabile.

—Considerati a casa, considerati uno di famiglia! Canticchiava ripetutamente

l'ex Fratello Cristiano, in un coraggioso sforzo di ristabilirsi, sorridendo in modo

poco convincente mentre esortava l'automobile a proseguire dopo che del fumo

era iniziato a fuoriuscire dal cofano. Ma proprio in quel momento, dopo un grande

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Sono certamente pronto ad ammettere che questo racconto contenga elementi che non servono ad altro se non a divertirmi. Il pechinese, sbalzato da invisibili raffiche di vento a una notevole distanza da Kew Gardens, di sicuro rientrava in questa categoria. Che spettacolo vedere la padrona, una certa signorina Joan Morrison di Richmond, Surrey, del tutto sgomenta e affranta, invocare invano soccorsi che non sarebbero arrivati. Con l'animale che, tristemente, finiva la sua corsa spezzandosi la schiena contro un alto edificio. Del tutto ignaro di questi avvenimenti, Valentine Shannon continuava in un certo senso a comportarsi come un giocattolo a molle difettoso, gridando davanti a quel benedetto semaforo e implorando qualsiasi forma di trasporto di portarlo a casa. Ci aveva provato per oltre un'ora ed era ormai esausto e demoralizzato quando, infine, apparve un taxi.

Non fece caso al guidatore mentre, ringraziando, si precipitava in macchina.

Motivo per cui non si accorse che vi era un non so che di bizzarro nella persona al

volante – e ancor meno lo preoccupò l'aria astuta e terrificante che questi aveva

negli occhi. Non si allarmò nemmeno quando – cosa che avrebbe dovuto fare –

udì la già nota canzoncina: Se con Pepsodent lavi i denti sempre li avrai

risplendenti! Cantata con tono distaccato e composto.

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—Accipicchia, che serataccia! Osservò il clown, con una smorfia che pareva la fetta di un melone sospesa tra le orecchie.

Fino a che Shannon non realizzò – a dire il vero non era poi così tardi – che ciò che lo inquietava più di ogni altra cosa era l'alta possibilità che gli insoliti eventi della serata, in realtà, non lo avessero semplicemente accompagnato verso quel regno di irrazionalità che adesso lo circondava, ma che lo avessero letteralmente intrappolato. Rinchiuso in un mondo spaventoso, fatto di terrore e follia. A nulla erano valsi i suoi sforzi. Ma le sue paure erano da ritenersi infondate – il clown era soltanto un intrattenitore amatoriale per bambini della zona di Harrow.

Lavorava part-time come tassista, aveva detto a Valentine.

—Ossolio è il mio nome da clown, sorrise prima di proseguire:

—Vado nelle scuole e in posti del genere, amico. Faccio part time la mattina e la sera eccomi qua, a guidare il mio taxi. Non è fantastico? Non è bello essere portati a spasso dal signor Pompon?

Quel viso truccato in modo pacchiano si girò. Due occhi sgranati e curiosi osservavano Shannon, mentre due riccioli arancioni gli dondolavano sulle orecchie. Cosa che, in realtà, Valentine trovò a tal punto divertente da venire travolto da un vortice crescente di sensazioni positive. Fino a che ebbe un brutto presentimento, uno di quelli che a volte dona ai sogni quel velo di terrore, e i suoi occhi corsero verso lo specchietto, in cui era riflesso lo sguardo allucinato del clown e la sua facciona bianca come un cadavere. L'espressione del guidatore era davvero bizzarra. L'automobile curvò e il clown adesso sorrise, in modo misteriosamente affabile, ma non senza un preciso scopo – e un chiaro cenno di minaccia.

—Per favore chiamami Ossolio, Valentine Shannon.

Valentine, paralizzato, si rannicchiò nel sedile posteriore. Lo stomaco gli si

rivoltava dentro e le mani si strinsero in un pugno. Ma il guidatore continuò a

parlare fittamente, con il sorriso che si faceva sempre più grande man mano che si

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animava.

—Sai, amico, di solito la gente ci confonde. I clown non sono tutti uguali, niente affatto. Uno può essere timido, l'altro estroverso. Uno goffo e l'altro abile.

Un clown può indossare abiti gioiosi e colorati e un altro straccetti scialbi e dimessi. Ognuno deve apparire e comportarsi in modo distinto. Anche se è facile riconoscere un clown grazie al trucco e al costume, ogni clown deve avere il proprio carattere e la propria personalità.

L'auto sobbalzò inaspettatamente mentre il clown si voltava, sorridendo spietatamente:

—Hai capito cosa intendo? Indagò, con le spalle incurvate.

Ma Valentine non ebbe modo di rispondere poiché il tassista proseguì con gli occhi sgranati:

—Quello che voglio dire è che troppo spesso i clown alle prime armi prestano poca attenzione al trucco; mettono un tocco di ombretto qui, un po' di rossetto qua e – magia! – pensano di essere dei clown.

I freni stridettero violentemente.

—Ma io ti chiedo: questi sono clown? Domandò.

Ancora una volta non concesse diritto di replica. E continuò, insidioso:

—Direi di no. Ma voglio dirti di più! Lo sai cosa sono questi? IMPOSTORI!

Mi hai sentito? IMPOSTORI!

Uno spiffero d'aria gelida, emanata dal respiro del guidatore, centrò in pieno il sopracciglio di Valentine.

—L'abito e il trucco sono parti ESTREMAMENTE importanti del camuffamento da clown. Molte volte, sono solo queste due cose che distinguono i clown dagli altri animatori per bambini. Per essere un vero clown devi entrare nella parte.

Vedi i miei pompon? I riccioli arancioni...li vedi? Il modo in cui mi sono dipinto i lati della bocca che enfatizzano il bianco della faccia.

—La prego, implorava Valentine, alquanto pateticamente.

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—Ecco – in tutta franchezza – il mio, si potrebbe considerare il trucco da clown più raffinato e, al tempo stesso, facile da realizzare che si sia mai visto. Il colore principale è il bianco che copre l'intero volto. Poi si aggiungono dei tratti, semplici e sottili, di solito rossi o neri, per enfatizzare la bocca e gli occhi. Tutto sommato, non c'è bisogno di altro, a parte qualche sfumatura qui. È molto simile al trucco del mimo, ecco. Per quanto mi riguarda – come puoi ben vedere – cerco di abbondare col trucco. Cosicché la bocca e gli occhi diventino un grande sfavillio di colori e il naso – guarda! – è infilato in una grossa lampadina. C'è anche la papalina che si intona bene con la tuta, non credi? E i miei pompon – GUARDA!

I freni fischiarono e l'automobile per poco non andò a sbattere contro il bordo del marciapiede.

—Santo cielo, ma può guardare dove sta andando?

Avrebbe fatto meglio a tapparsi la bocca – alla luce di tutte le risposte che gli si ripercossero contro. Adesso, il folle guidatore saltava su e giù sopra il sedile anteriore, facendo le boccacce, continuando a tenere stretto il volante.

—Ma alla fine quello che conta veramente è il proprio tratto distintivo. Il mio sono le canzoncine e le battute. Ti piace la musica? La musica, ti piace?

—La musica? Rispose Valentine, se mi piace la mu― ?

Ma il guidatore lo aveva preso sul tempo e canticchiava in falsetto:

—Di' ciao a Ossolio Sempre da solio

Senza mai un brontolio Perché è il tuo miglior amico!

Tremarella!

—Cosa diavolo sta facendo? Guardi la strada, le dico! Vuole guardare questa

maledetta strada!

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—Hai mai sentito la battuta di Michael Fish? Cosa dice un ciclone all'altro? Ti tengo d'occhio! Rideva e la lancetta del tachimetro iniziò a salire bruscamente mentre l'auto svoltava all'impazzata in una traversa. Proprio di fronte a loro, un tetto si sbriciolò come un pezzo di pane.

—Dove cavolo stiamo andando? Domandò Valentine, a cosa diavolo crede di giocare?

Eh già, adesso l'ex decano del Glassdrummond era davvero preoccupato! E faceva bene!

O forse dovrei dire Giuda – un tempo detentore della più odiosa perfidia. Il quale presto di sicuro raccoglierà i frutti del suo abbondante raccolto.

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—Toglili i denti! E poi vedi come – sono risplendenti! Sì, poi i denti sono risplendenti!

Ossolio strillava in falsetto mentre la macchina procedeva a casaccio per le strade devastate. Il passeggero ormai era stremato mentre il tassista, con la sua tuta a scacchi colorati slargata e sul volto quel cerone bianco, continuava a voltarsi verso di lui, fissandolo con quell'espressione malvagia – in quello che ormai era diventato un gesto insopportabile e ripetitivo.

—Ossolio! Sono io – Ossolio! Guardami bene mentre gli estraggo i denti!

I riccioli arancioni sembravano impazziti, continuavano ad andare su e giù.

—Ti piacerebbe sapere cosa sta per succedere, eh Valentine?

Era più di quanto Valentine Shannon potesse sopportare. Si scagliò in avanti e afferrò il volante, con una determinazione impressionante, devo ammetterlo.

—Tu, maledetto pazzo! Lurido bastardo! Esclamò il clown mentre il volante gli sfuggiva di mano. Non prima però di riuscire vigliaccamente a dare una controsterzata che per poco non li fece ribaltare, lanciandoli a dritto contro un palo della luce. Un getto di acqua nebulizzata sprizzò fuori dal cofano. Quasi come all'interno della parodia di un racconto per bambini, il clown continuava a urlare, saltellando follemente da un piede all'altro:

—È finita per te, Valentine Shannon! Finita! Hai capito?

Valentine lo spinse con violenza e corse via sulla strada sparsa di vetri rotti. Poi,

come dal nulla, un'altra figura si stagliò. Per poco Valentine non si mise a piangere

in pubblico.

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Il tossico teneva stretta nella mano una siringa. La alzò minacciosamente sopra la testa.

—Dammelo, per favore! O giuro su Dio che lo faccio.

Gli alberi al bordo della strada erano in procinto di sradicarsi per via della tempesta – oh, adesso sì che era una tempesta, di questo non c'era alcun dubbio..

—Ho l'AIDS! Capito, stronzo? Ok, allora beccati questo! L'hai voluto tu!

La situazione era talmente assurda, pensò Valentine in quel momento, che per poco non scoppiò a ridere. Ma poi la siringa affondò e dalla punta dell'ago si spanse un dolore acuto, quasi insostenibile, che gli corse lungo la schiena.

—È solo colpa tua! Gridò il drogato con voce roca, non hai voluto darmi ascolto e adesso ho il tuo portafoglio lo stesso!

Le dita di Valentine si macchiarono di goccioline di sangue. Di fronte a lui, come per dare un senso a quest'ultima assurdità, un gatto lo fissava. Poi, del tutto inaspettatamente, il vento issò in aria il povero micino. Mentre un ramo, che pareva plastilina, cadde con una mezza giravolta da un albero. Notò che la ferita aveva smesso di sanguinare ma, poco dopo, cominciò di nuovo.

Colsi l'occasione per toglierli ogni dubbio dalla testa.

—Ah, sussurrai, com'è piacevole e delizioso – lo spettacolo di una vendetta tanto attesa.

Mentre lo terrorizzavo il cuore iniziò a battergli piuttosto forte.

—Corri, professor Valentine. Corri per l'amor di Dio!

E, da ragazzo disciplinato quale era, Valentine Shannon obbedì diligentemente.

Mentre accelerava il passo divenne ossessionato dall'idea – forse comprensibile

date le circostanze – di quanto gli ci sarebbe voluto per morire di AIDS.

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Perplesso, adesso cominciò a domandarsi se avrebbe mai fatto ritorno a casa.

Questo era ciò che frullava nella testolina calda e impaurita di Valentine Shannon.

Sotto la pioggia battente trasportata dal vento che aumentava di intensità, ebbe paura di perdere del tutto il senso dell'orientamento. Un'eventualità contro la quale si batté piuttosto valorosamente fino a che, attraverso la foschia del diluvio flagellatore, intravide con suo immenso stupore il muso di una macchina a lui familiare, una Fiat Uno bianca, che avanzava a passo d'uomo sulla pericolante strada principale. E di là dal parabrezza, con grande sorpresa, scorse nientemeno che Ronnie Clegg – eh già, il mio dolce e premuroso angioletto – un'amica di vecchia data di Chris. La signora, ovviamente a sua insaputa, stava attendendo il segnale – pronta per entrare in scena. Si conoscevano fin dai tempi dell'università, che fortuita coincidenza. Come era possibile? Ma non c'era tempo per futili domande! Valentine la intravide mentre, agitata, gli faceva cenno di salire.

—Per l'amor di Dio, Valentine, sali in macchina![...]

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[…] La Fiat Uno si fermò proprio sulla parallela della strada di casa sua. Scese, in quella che sembrava una Berlino del dopoguerra, con macchine distrutte e tegole frantumate.

[…] —Che serata! Pensò, dopo aver a lungo cercato le chiavi. Ma non disperò – perché avrebbe dovuto? Dopo tutto, a differenza di altri, lui era riuscito a tornare a casa.

[…] —Sono io Christine, tesoro. Finalmente a casa, amore. Ci sei? Faisal?

—Sì, Val, amore, fece lei, ci sono, sono qui in camera. Arrivo subito. Oh sono così contenta! Grazie al cielo sei arrivato a casa sano e salvo!

Non appena udì queste parole, Valentine mostrò un sorriso a trentadue denti.

—Oh, non preoccuparti. Ero sicuro che ce l'avrei fatta ad arrivare a casa tutto intero. Potevo forse deludere la mia Christine proprio adesso, eh?

Un'ondata di affetto e di calore lo travolse. Cadde sulle ginocchia e salutò Ezra, prima di tirare un sospiro di sollievo e attraversare la stanza diretto al frigorifero.

—È il tuo giorno fortunato, mio cagnolino adorato! Per noi è una giornataccia ma per i cagnolini è una splendida giornata!

La cosa che più lo rendeva felice era quanto incredibilmente calmo e rilassato si

sentisse adesso. E la causa, con ogni probabilità, suppose, era da attribuirsi al fatto

di esser ritornato in quello che da sempre aveva considerato il suo santuario. Si

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tamponò la fronte con il dorso dei guanti. Ah, proprio come aveva pensato – nemmeno una goccia di sudore. Non vi erano dubbi a riguardo: una nuova serenità si era stabilita definitivamente nella sua anima. Che evento straordinario, pensò.

—Non è forse stato un evento alquanto scioccante? Sentì Christine che diceva dalla camera, nessuno aveva mai visto una cosa simile, di certo non in questo paese!

—È la fine per Michael Fish! Rise chiassosamente Valentine Shannon.

—È la fine per chi? La sentì rispondere.

—È la fine per Michael Fish! Ripeté Valentine.

Era ovvio che non l'avesse sentito.

—È la fine per chi? Chiese di nuovo Chris.

—Oh, niente, disse. Ascolta Christine, c'è qualcosa da mangiare per il cane?

—Piano, tesoro! Rispose, Faisal sta dormendo. Ho paura si sia un tantino spaventato per via della tempesta. Strano, eh?

—Eh già, strano! E chi non si è spaventato – chi, dico io?

—Perché non vieni qui? Sono così contenta che tu sia qui! Dai!

Valentine rimase di stucco nel notare nella voce di Christine una spudorata malizia che lo aveva eccitato. Date le circostanze, era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato.

La sua eccitazione salì quando ci fece caso di nuovo.

—Vieni qui e fammela vedere. Quella faccina ammiccante irlandese! Quella che mi piace tanto! È così bella!

E dopo aver ascoltato quelle parole, Valentine mise da parte qualsiasi pensiero per il cane. Il cuore iniziò a battergli forte in una mix di amore e passione travolgente.

—Voglio dire, non è eccitante? Con la tempesta fuori e Faisal che dorme. Eh,

Valentine?

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Con suo immenso stupore, adesso venne colto da un leggero imbarazzo. E perché? Del resto, poteva benissimo trattarsi di una replica del signor “Cappello a Cilindro” e delle sue sceneggiate. Quando Martin Ossol lo derideva, lasciandosi scappare parole indecenti, a mezza bocca.

Poi si rese conto che Ezra era sparito. Il cane, non si sa come, era sfuggito alla sua presa.

—Su, Fratello Valentine! Vieni a salutare Christine. La tua compagna che ti ama e si prende cura di te. Lo so che lo vuoi! Lo so.

Era eccitato e stordito come un adolescente alle prime armi.

—Ah ah, sorrise un po' intontito, Ezra, santo cielo, dove cavolo ti sei cacciato?

—Ma con chi stai parlando Valentine? Con Ezra? Lascia stare il cane. Vieni a proteggermi dalla spaventosa tempesta.

—Ezra, mi senti? Ezra, sei qui?

Finalmente, gli parve di intravedere la coda che spuntava da dietro al divano.

Ma si era sbagliato, era soltanto il bordo del tappeto arricciolato.

—Oh, accidenti! Gridò esasperato.

—Valentine, tesoro. Ho qualcosa per te.

A quel punto, non poté più resistere e si diresse verso la porta, divorato da un desiderio ardente e inappagabile. La compagna se ne stava seduta, di spalle, sul letto e, come se niente fosse, si pettinava i capelli, canticchiando a ritmo di ogni colpo di spazzola. Valentine tentennò un momento. Le spalle di Christine sembravano tremare e, per un istante, per un millesimo di secondo, avrebbe giurato di averla sentita trattenere una strana risatina.

Ma non vi prestò troppa attenzione. Anzi proprio per niente. In quel momento,

Valentine Shannon era così preso dalla situazione che niente avrebbe potuto

dissuaderlo o distrarlo dallo scopo che si era prefissato. Balzò in avanti, con

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