CAPITOLO 4
Eziologia
La vasculopatia periferica nei pazienti diabetici e non, è dovuta alla presenza di placche aterosclerotiche che diminuiscono od interrompono completamente con occlusioni dei vasi, il flusso di sangue in una o più arterie dell’arto inferiore: risulta essere quindi un’arteriopatia obliterante periferica (AOP). Le lesioni, che hanno come caratteristica specifica la componente lipidica più o meno abbondante, si evolvono con il tempo. Iniziano nell’infanzia come strie lipidiche a carattere reversibile e tendono a divenire vere e proprie placche aterosclerotiche, che possono anche ulcerarsi e complicarsi con una trombosi sovrapposta, che può portare ad occlusione dell’arteria 47.
L’aterosclerosi è la causa principale di morte nei pazienti diabetici, causando, in questa parte della popolazione, il 75% dei decessi, rispetto al 35% dei decessi della popolazione non diabetica. Nella maggior parte dei casi l’aterosclerosi si presenta dopo pochi anni dallo stabilirsi della malattia diabetica.
L’AOP è prevalentemente distale e bilaterale, le pareti arteriose sono molto spesso calcifiche, prevalgono le occlusioni rispetto alle stenosi. Queste peculiarità rendono più difficile l’approccio diagnostico e terapeutico in questi pazienti e sono alla base del ruolo che l’AOP ha come determinante di amputazione maggiore. È stato ampiamente dimostrato che procedure di rivascolarizzazione anche molto distali, sia con angioplastica che con by-pass, sono fattibili più di quanto ritenuto possibile in passato e sono in grado di modificare la prognosi amputativa 44-48: trascurare l’accuratezza
diagnostica di questa patologia significa rischiare di privare alcuni pazienti di un’opportunità terapeutica di eccezionale efficacia .
L’ostacolo per curare correttamente l’AOP è proprio la difficoltà nel diagnosticare la patologia, perché i tradizionali metodi, che risultano validi per i non diabetici, nei pazienti diabetici presentano molti fattori confondenti. La diagnosi precoce di arteriopatia obliterante consente una cura efficace della malattia.
Fattori di rischio AOP
Nella popolazione generale diabete e tabagismo sono considerati i maggiori fattori di rischio per AOP. Fattori di rischio nella popolazione diabetica oltre il tabagismo sono l’età, la durata del diabete, la presenza di neuropatia, l’ipertensione e la dislipidemia. La cessazione del tabagismo, la terapia antiaggregante e una corretta attività fisica, il controllo pressorio e lipidico sono con certezza utili nel controllo della AOP.
L’AOP è particolarmente frequente nella popolazione diabetica ed è il principale fattore di rischio per amputazione sopra la caviglia.
Classificazione
La vasculopatia periferica non predispone il paziente
all’ulcerazione, ma ha un ruolo sulla prognosi dell’ulcera; in sostanza è più facile che evolva verso la mancata guarigione e quindi verso l’amputazione un paziente con vasculopatia periferica rispetto ad un paziente con quadro vascolare non compromesso.
I parametri ispettivi che vengono indagati inizialmente sono la presenza di cianosi, ipotermia, ipotrofia, anomalie del sistema pilifero. Dopo tutto questo
si prosegue con lo screening, valutando quello che risulta essere il sintomo più precoce di AOP, comune anche nella popolazione generale, che è la claudicatio. Nel diabetico viene spesso confusa o attenuata dalla presenza in concomitanza della neuropatia. È necessario quindi valutarne la presenza senza che il paziente ne riferisca la sintomatologia con evidenza esatta.
La claudicatio viene definita come ―insorgenza di dolore dopo un determinato numero di passi, che costringe ad interrompere il cammino e che regredisce con il riposo.‖ La diagnosi della claudicatio viene affidata all’uso di questionari sensibili e specifici; importantissimo per la valutazione è valutare precisamente l’intervallo libero di marcia, cioè della distanza percorribile in assenza di dolore al polpaccio.
Generalmente il dolore insorge a livello del polpaccio, ma si può localizzare anche a livello della coscia o piede. Chiaramente il sintomo dolore può essere riferito in maniera ambigua, per esempio con dolori crampiformi o solo senso di fatica della gamba.
Secondo Fontaine, esistono quindi quattro stadi (Tabella 5):
Stadio 1: malattia occlusiva arteriosa senza sintomi clinici Stadio 2: claudicatio intermittens
Stadio 3: dolore ischemico a riposo Stadio 4: ulcerazione/gangrena
T abella 5: st adi azi one di F ont ai ne del l a vasc ul opat i a peri feri ca.
Stadi o Sinto mo Q uantificaz ione
1° stadio As intom atic o ---
2° stadio a C laudic ati o Li eve (>20 0 m)
2° stadio b C laudic ati o G rave (<50 m)
3° stadio D ol or e a ri p os o A rip os o
4° stadio U lc er a o g an gr en a ---
Potenziali segni di ischemia critica sono il pallore dei piedi all’elevazione, arrossamento variabile, ulcerazione, necrosi della cute o gangrena. Tuttavia, a causa della neuropatia periferica, il piede ischemico critico può presentarsi relativamente caldo, con scarso impallidimento 34.
L’ischemia critica può essere un importante indice di rischio di amputazione maggiore dell’arto inferiore, a meno che non venga risolta da un intervento di rivascolarizzazione.
L’arteriopatia periferica può essere presente nel paziente diabetico ed essere asintomatica. Per coesistenza di neuropatia sensitiva può mancare la claudicatio, che ne è il sintomo più precoce. È opportuno che la presenza di arteriopatia occlusiva venga quindi indagata periodicamente in assenza di sintomi.
L’American Diabetes Association (Diabetes Care dicembre 2003) ha raccomandato insieme alla palpazione dei polsi la misura dell’indice caviglia-braccio( ABI) come metodologia di screening appropriata, dando delle classi di riferimento di gravità (Tabella 6).
Tabella 6: classi di riferimento di gravità
Valore di ABI Gravità Vasculopatia
0.91-1.30 Normale
0.70-0.90 Lieve
0.40-0.69 Moderata
< 0.40 Severa
> 1.30 Non attendibile per calcificazioni
L’ABI è un metodo diagnostico molto utilizzato, rappresentato dal rapporto tra la pressione sistolica rilevata a livello della tibiale posteriore o della pedidia e la pressione sistolica rilevata sull’omerale o sulla radiale. Per queste rilevazioni è necessaria una sonda Doppler.
L’osservazione epidemiolo gica che la pressione sistolica agli arti inferiori era un discriminante prognostico oggettivo in soggetti con AOP, ha spinto a una ridiscussione dell a classificazione di ischemia. In 4 Consensi Internazionali tenutisi da l 1982 al 1990 è stato identificato il concetto di ―ischemia critica cronica degli arti inferiori‖ (CLI — Critical Limb Ischaemia), cioè un grado tale di ischemia da porre ad alto rischio la sopravvivenza dell’arto. Questo grado di ischemia è definito da parametri soggetti vi (dolore) o oggettivi (ulcerazione) ma anche da parametri strumentali (pressione assoluta) .
L’ischemia critica cronica è definita correntemente da l’uno o l’altro dei criteri che seguono:
persistente dolore ischemico a riposo, tale da richiedere trattamento analgesico per un arco di tempo superiore alle due settimane;
ulcerazione o gangrena del piede o delle dita del piede, entrambe associate con una pressione sistolica alla caviglia < 50 mmHg o a una pressione sistolica al dito < 30 mmHg.
Questi criteri si basano sull’assunto che, per quanto concerne l’ischemia critica, non ci sono differenze tra pazienti diabetici e non diabetici 37.
Tabella 7: criteri diagnostici di ischemia critica cronica dell’arto inferiore
Questi criteri identificano i soggetti con ischemia critica cronica: identificano quindi soggetti con arteriopatia occlusiva ad alto rischio di amputazione.
Nei soggetti con lesione del piede è indispensabile assicurarsi che i valori di pressione alla caviglia e di ossimetria transcutanea non collochino il paziente nella classe di ischemia critica. In questo caso è indispensabile provvedere alla rivascolarizzazione, che è essenziale per garantire il massimo di probabilità di guarigione dell’ulcera e remissione del dolore ischemico se presente.
La determinazione della pressione alla caviglia o dell’ABI hanno un’ampia applicabilità nello screening dell’AOP nella popolazione diabetica, ma come
Transatlantic Inter-Society Consensus II
ISCHEMIA CRITICA CRONICA: CRITERI DIAGNOSTICI (TASC II)
soggetti con ulcera o gangrena o dolore a riposo causato da arteriopatia periferica con alta probabilità di amputazione a 6-12
mesi con
pressione alla caviglia < 50-70 mmHg
o all’alluce < 30-50 mmHg o
strumento diagnostico in diabetici con ulcera del piede è molto meno utilizzabile.
Con la tecnica Doppler a onda continua e con apparecchi più sofisticati ma più ingombranti e soprattutto molto più costosi è possibile ottenere oltre che la pressione, una valutazione morfologica dell’onda e della velocità del flusso ematico nei vari distretti arteriosi. L’analisi delle onde visualizzate con curve analogiche può fornire indicazioni sulla presenza di stenosi e occlusioni (ampiezza dell’onda) e sulla presenza di calcificazioni (mancanza dell’onda di reflusso diastolico). Le stenosi emodinamicamente significative (più del 70% del lume del vaso) sono caratterizzate da un aumento della velocità a monte della stenosi e da un’onda bassa e allargata con incisure legate alla turbolenza del flusso a livello della stenosi e da una significativa riduzione della velocità a valle. Tuttavia, queste informazioni sono molto variabili in relazione alla profondità dell’arteria e all’angolo di incidenza della sonda: questa variabilità rende questi dati poco accurati.
L’ossimetria transcutanea misura in condizioni di vasodilatazione termica indotta costante, l’ossigenazione cutanea al dorso del piede. Esprime un dato funzionale complessivo dell’irrorazione dell’arto, indicativa della gravità dell’ipossia tissutale, sia che derivi da un deficit micro che macrocircolatorio o da ambedue. Più è alto il valore ossimetrico che si ha o che si ottiene con la rivascolarizzazione, più certa e rapida sarà la guarigione. L’ossimetria è considerata una misurazione obiettiva dell’efficacia di trattamento terapeutico sia farmacologico che ricostruttivo. L’ossimetria transcutanea è pertanto un indice polivalente in grado di fornire informazioni diagnostiche sull’esistenza di ischemia critica, indicazioni prognostiche sulla necessità d’amputazione e sulla scelta del livello di amputazione, una misurazione obiettiva del
miglioramento indotto dall’approccio terapeutico. Chiaramente la presenza di edema o flogosi rendono la misurazione ossimetrica meno precisa.
Figura 5: protocollo diagnostico-terapeutico
L’aver definito con parametri clinici e strumentali oggettivi un livello di ischemia dell’arto critica per la conservazione dello stesso ha soddisfatto l’obiettivo fondamentale di fornire a tutti i clinici un modello per le procedure diagnostiche e terapeutiche necessarie in questi pazienti. I criteri della TASC individuano con molta precisione tutti i pazienti con CLI che necessitano senza dubbio di rivascolarizzazione per la conservazione dell’arto.
L’ischemia critica può essere un importante indice di rischio di amputazione maggiore dell’arto inferiore, a meno che non venga risolta da un intervento di rivascolarizzazione. Può verificarsi in maniera progressiva o acuta, e l’ostruzione parziale o completa del settore terminale dell’aorta o dei suoi
Polsi del piede presenti TcPO2 ≥ 50 mmHg pressione alla caviglia ≥ 70 mmHg Trattamento meditativo o chirurgico della lesione del piede
Polsi del piede assenti
TcPO2 < 50 mmHg
pressione alla caviglia < 70 mmHg
Arteriografia e concomitante angioplastica periferica
Angioplastica non fattibile: bypass periferico
rami iliaci può essere la conseguenza della partenza di un embolo, una trombosi sovrapposta dopo una rottura di una placca, o la rottura di un aneurisma.
Le procedure oggi disponibili che si sono dimostrate di provata efficacia sono l’angioplastica percutanea e il by-pass chirurgico.
L’angioplastica percutanea è fattibile ed efficace in un’alta percentuale di casi anche nelle arterie sottogenicolari fino al piede e non è dipendente dalla lunghezza delle steno-occlusioni. Nei pazienti in cui la rivascolarizzazione non porta alla risoluzione del quadro clinico (ischemia critica persistente) è opportuno prendere in considerazione protocolli di trattamento farmacologico intensivo, rivalutando periodicamente le possibilità di rivascolarizzazione.
Principi di trattamento
L’arteriopatia periferica è spesso una conseguenza di processi sistemici identificati in sedi arteriose multiple, anche se spesso una localizzazione clinicamente evidente della malattia non si sviluppa in più di un organo.
L’epidemiologia, la storia naturale e la prognosi dell’aterosclerosi sono conseguenze della presenza dei fattori di rischio, classici (razza, sesso, età, fumo di sigaretta, diabete mellito, ipertensione, dislipidemia) e non tradizionali (iper-omocisteinemia, iperfibrinogenemia, aumento dei livelli sierici di Proteina C reattiva), pertanto in tutti i pazienti vasculopatici il primo obiettivo terapeutico deve consistere nel trattamento dei fattori di rischio modificabili dell’aterosclerosi (cura del diabete mellito, dell’ipertensione arteriosa, delle dislipidemia, cessazione dell’abitudine tabagica).
Inoltre, nei pazienti con claudicatio intermittens o in fase di ischemia critica, il trattamento deve mirare al controllo della sintomatologia locale, alla prevenzione o riduzione della perdita di tessuto, oltre alla prevenzione primaria e secondaria delle complicanze aterosclerotiche generali, come malattie coronariche o cerebrovascolari.
AOCP IN FASE ASINTOMATICA
Nella AOCP asintomatica sono indicate la modificazione dello stile di vita, l’attività fisica, la cessazione del fumo; a ciò si aggiungono i trattamenti dietetici e farmacologici per il diabete mellito, la dislipidemia , l’ipertensione arteriosa , oltre a quello antiaggregante piastrinico per la riduzione di eventi ischemici avversi di natura cardiovascolare.
AOCP IN FASE DI CLAUDICATIO INTERMITTENS
Il management della AOPC in fase di claudicatio intermittens (CI) è mirato a ridurre la progressione dell’aterosclerosi ed a prevenire lo sviluppo di complicanze aterotrombotiche attraverso modificazioni dello stile di vita: i pazienti in sovrappeso (BMI: 25-30) o obesi (BMI>30) devono intraprendere un programma di riduzione del peso corporeo, comprensivo di una dieta a ridotto introito calorico e lipidico e di un programma di attività fisica aerobica.
L’abitudine al fumo aumenta di 2-6 volte il rischio di AOCP e di 3-10 volte quello di claudicatio intermittens ed è associata ad un rischio, aumentato di tre volte, di aggravamento dell’arteriopatia. Nei fumatori la AOCP sintomatica si presenta all’incirca una decade prima di quella dei non fumatori e il rischio di amputazione è raddoppiato. Ancora, nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione, la persistenza dell’abitudine al fumo di sigaretta triplica il rischio di ostruzione post-operatoria e raddoppia il numero di riocclusioni dei bypass distali. La cessazione del fumo deve essere considerata pertanto una scelta obbligata nel management del paziente con CI, poiché rallenta la progressione della malattia, riduce il rischio di infarto del miocardio e di morte per cause cardiovascolari; tuttavia una meta-analisi sottolinea come la sola sospensione del fumo non sembrerebbe in grado di consentire un incremento significativo del percorso di marcia 46.
Il diabete mellito (DM) aumenta il rischio di AOCP approssimativamente di 3-4 volte ed il rischio di claudicatio di 2 volte. Inoltre, il diabete è associato con la neuropatia periferica e con una maggiore suscettibilità alle infezioni con un conseguente maggior rischio ulcerativo agli arti inferiori.
Nei pazienti con diabete mellito, occorre attuare strategie di prevenzione delle ulcerazioni conseguenti amputazioni, mediante l’educazione del paziente all’uso di calzature adeguate, all’ispezione giornaliera e ad un’accurata pulizia ed idratazione, nonché al currettage eseguito da personale esperto: un
frequente monitoraggio da parte dei medici e degli stessi pazienti consente una precoce identificazione delle lesioni trofiche e facilita il pronto indirizzo del trattamento 42-43-50.
L’associazione tra ipertensione arteriosa (IA) e AOCP è sicuramente consolidata, anche se appare meno forte di quella esistente tra IA e malattie croniche cerebrovascolari e coronariche.
I pazienti con AOCP presentano, rispetto ai controlli, livelli mediamente più elevati di colesterolemia totale e LDL, valori più bassi di HDL-colesterolo, mentre valori di ipertrigliceridemia sono stati riscontrati solo in alcuni studi e non in altri [93]; il rischio di sviluppare AOCP aumenta approssimativamente da 5 a 10% per ogni incremento di colesterolemia totale.
TERAPIA ANTIAGGREGANTE/ANTICOAGULANTE
Gli antiaggreganti prevengono il danno endoteliale secondario all’aggregazione piastrinica determinando una efficace protezione cardiovascolare delle complicanze aterosclerotiche negli stadi più precoci di arteriopatia. I dati favorevoli derivati dall’uso della terapia antiaggregante sono stati estrapolati da studi su pazienti con malattie cardiache (infarto miocardico acuto o pregresso) o cerebrovascolari (ictus o transient ischemic attack – TIA) e da osservazioni controllate in arteriopatici con AOCP. I farmaci antiaggreganti piastrinici più comunemente utilizzati nella prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari maggiori sono aspirina, ticlopidina e clopidogrel.
Per quanto riguarda l’uso dei farmaci anticoagulanti nei pazienti con AOCP, non vi sono invece sufficienti evidenze a supporto dell’utilità dell’impiego dei cumarinici, da soli o in associazione con aspirina, nella riduzione di eventi cardiovascolari avversi, ed inoltre, non vanno sottovalutati i notevoli rischi associati di emorragia. Tuttavia, nei pazienti con AOCP in cui esiste
un’indicazione aggiuntiva all’uso degli anticoagulanti orali (ad es. fibrillazione atriale, protesi valvolari meccaniche), deve essere valutato caso per caso il rapporto rischi/benefici di un’unica terapia antiaggregante o anticoagulante o di una terapia combinata.
ESERCIZIO FISICO RIABILITATIVO
Un programma di esercizio fisico riabilitativo deve essere considerato come l'iniziale e più importante modalità di trattamento per alleviare la sintomatologia nei pazienti claudicanti. le Linee Guida consigliano un programma riabilitativo supervisionato attraverso un training con sessioni di allenamento della durata di 30-45 minuti (Treadmill e Track Walking), da effettuare almeno tre volte alla settimana e per un minimo di dodici settimane. I benefici del trattamento riabilitativo sono graduali, si evidenziano dopo 4-8 settimane e mostrano un ulteriore progressivo miglioramento della distanza di marcia dopo 12 o più settimane. I meccanismi biologici sottostanti gli effetti benefici della terapia riabilitativa sono complessi: è probabile che l’esercizio fisico realizzi contestualmente un miglioramento del metabolismo intermedio dei muscoli scheletrici (evidenziato dall’aumento del metabolismo muscolare della carnitina), una ipertrofia muscolare, un incremento della funzione endoteliale, una maggior estrazione dell’ossigeno tissutale.