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PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE R.G.10401/2020

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PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

R.G.10401/2020

Sez. I penale – Camera di consiglio 16 luglio 2020 IL PROCURATORE GENERALE

Letto il ricorso proposto nell’interesse del Sig. Francesco Lambiase, avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Napoli del 21 novembre 2019, resa in sede di incidente di esecuzione, con la quale è stata rigettata l’istanza rivolta alla rideterminazione, a seguito della decisione della Corte costituzionale n. 40/2019, della pena inflitta al ricorrente con precedente pronuncia della stessa Corte d’appello in data 9 novembre 2017, passata in giudicato,

osserva:

1. Il ricorrente è stato condannato alla pena di anni 15, mesi 1 e giorni 10 di reclusione, perché dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 74 e 73, commi 1 e 4, del d.P.R. n.

309/1990 – T.U. in materia di stupefacenti.

In particolare, secondo quanto si trae dal contenuto dell’ordinanza, il giudice della cognizione, unificando i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cod. pen., ha considerato quale reato più grave quello associativo (art. 74) e, determinata la pena per detto reato in quella di anni dieci di reclusione, ha stabilito i singoli aumenti per i reati “satelliti” ex art. 73 nella misura di mesi sei di reclusione per ciascuno di essi, sia per quelli correlati a sostanze stupefacenti cd. leggere (art. 73, comma 4) (tutti meno uno), sia per l’unico reato avente a oggetto sostanza stupefacente cd. pesante (art. 73, comma 1; cocaina) (reato contestato nel capo IV dell’imputazione).

Né l’ordinanza né il ricorso danno conto della misura della pena pecuniaria.

2. Lo stesso ricorrente ha promosso incidente di esecuzione dopo la pronuncia della sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019, che, con decisione cd. sostitutiva, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 quanto alla misura della pena edittale minima, stabilendone l’entità in quella di anni sei di reclusione, anziché di anni otto (quale risultante, a sua volta, dalla reviviscenza del contesto normativo esistente in materia anteriormente al d.l. n. 272/2005 conv. dalla legge n. 49/2006, detto incostituzionale dalla pronuncia n. 32/2014, per violazione procedimentale ex art. 77 Cost.).

3. Rigettato l’incidente, il ricorrente impugna l’ordinanza proponendo un unico motivo, titolato a violazione di legge ex art. 606, lettera b), c.p.p., in relazione agli artt. 73 del d.P.R.

n. 309/1990, all’art. 2 cod. pen., all’art. 81 cpv. cod. pen., all’art. 671 c.p.p.

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4. La questione che è rimessa al giudizio di legittimità concerne in primo luogo il se e in secondo luogo il come della – dedotta dal ricorrente – necessità di riconsiderare la determinazione complessiva della pena stabilita dal giudice del merito, in quanto per uno dei reati unificati dal legame della continuazione di cui all’art. 81 cod. pen., e precisamente per l’unico reato satellite in concreto inerente sostanze stupefacenti cd. pesanti ex art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, la pena edittale risulterebbe oggi ridotta, anche se limitatamente al minimo, portato – come già ricordato sopra – da otto a sei anni con la pronuncia n. 40/2019 della Corte costituzionale, con riguardo agli artt. 3 e 27 Cost.; pronuncia che ha in tal modo colmato la “profonda frattura” determinatasi nella dorsale sanzionatoria del complessivo sistema, dopo la reviviscenza in peius del contesto sanzionatorio preesistente in materia di stupefacenti derivato da Corte cost. n. 32/2014 e dopo i decreti-legge n. 146/2013, conv. dalla legge n. 10/2014, e n. 36/2014, conv. dalla legge n. 79/2014, in particolare quanto al raffronto tra i fatti di lieve entità (comma 5 dell’art. 73) e i fatti che tali non sono (art. 73, comma 1), fino a quella pronuncia del 2019 regolati in maniera tale da comportare per il minimo edittale dei secondi una pena detentiva pari al doppio di quella massima prevista per i primi.

5. Quanto al se della richiesta di rideterminazione, non sembrano tanto direttamente pertinenti, se non sullo sfondo della questione, i precedenti richiamati nell’ordinanza (Cass., S.U., n. 42858/2014, Gatto, e n. 37107/2015, Marcon), ai quali può qui aggiungersi Cass., S.U., n. 33040/2015, Jazouli, che ha avuto riguardo agli effetti di Corte cost. n. 32/2014 sulla pena inflitta per il reato; quanto invece occorre fare riferimento a Cass., S.U., n. 22471/2015, Sebbar.

5.1. Le prime tre pronunce sopra citate affrontano, da diverse angolature e con riguardo a istituti diversi che non è necessario qui puntualizzare, l’incidenza che una pronuncia di incostituzionalità deve svolgere, nella fase del rapporto esecutivo, quando l’oggetto del giudizio di merito sia direttamente interessato da una dichiarazione di incostituzionalità che cada sulla componente della sanzione prevista per quel determinato reato; in quei casi, la necessità di rivisitazione e riconsiderazione della determinazione della pena in concreto discende pianamente dal diverso “compasso” (per usare le parole della sentenza Jazouli) della previsione sanzionatoria, che muta necessariamente la prospettiva nella quale il giudice, della cognizione e poi dell’esecuzione, si colloca nello stabilire il cd. dosaggio della pena adeguata al caso, secondo i criteri discrezionali degli artt. 132 e 133 cod. pen.

E del resto l’indicazione tracciata dai menzionati precedenti ha trovato generalizzato svolgimento e seguito, nella giurisprudenza di legittimità come in quella di merito.

Viene in rilievo, in tali casi, il principio cd. di flessibilità del giudicato (Cass., S.U., n.

18821/2013, Ercolano), che impegna il giudice dell’esecuzione a rideterminare la pena, anche quando la concreta misura di essa rientri nella cd. cornice edittale modificata in astratto a seguito della dichiarazione di incostituzionalità; con la precisazione che rideterminazione non equivale automaticamente a riduzione di tipo matematico (Cass., nn. 29431/2018, 11974/2016, 36357/2015; appare isolata Cass., n. 51844/2014, che ha invece applicato un

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criterio aritmetico/proporzionale), né è quindi “a contenuto predeterminato” (Cass., S.U., Gatto, cit.), ma impone semplicemente di riconsiderare la pena, tanto più quando essa sia stata stabilita, in precedenza, in prossimità della “zona grigia” tra lievità e gravità, rinnovando il giudizio sulla commisurazione della pena giusta, il quale può anche concludersi con una determinazione corrispondente alla precedente, in ragione dell’incidenza delle circostanze del fatto (tra le più recenti, variamente, Cass., n. 4085/2019, n. 49106/2019, n. 50693/2019, n.

51305/2019, n. 4084/2020, n. 8601/2020, n. 16240/2020).

5.2. Ma la situazione dedotta in giudizio è diversa. Non si tratta, per il giudice dell’esecuzione, di ripercorrere il giudizio di disvalore del fatto concreto secondo il parametro che è rappresentato dalla escursione minimo/massimo della pena edittale, la quale esprime – o dovrebbe esprimere – la traduzione legislativa del significato negativo della condotta. Si tratta invece di stabilire se la sanzione o la quota di sanzione determinata in aumento rispetto alla pena-base di un altro e più grave reato, non interessato dalla pronuncia di incostituzionalità (qui l’art. 74 del T.U. stupefacenti), secondo la disciplina della continuazione ex art. 81 cod. pen., debba essere rideterminata, e come, quando la pena edittale prevista per il reato satellite in discorso sia stata interessata da una pronuncia di incostituzionalità.

Il problema è diverso perché, nello schema della continuazione, l’unificazione del reato- base con quelli definiti satelliti, che ne costituisce l’essenza, porta a rendere assai più sfumato e indiretto il rapporto di interferenza tra cornice edittale di uno dei reati meno gravi e determinazione dell’aumento complessivo della pena. Come tale, infatti, il problema è stato avvertito dalla giurisprudenza di legittimità, che ne ha dato una soluzione con la più sopra citata decisione di cui a Cass., S.U., n. 22471/2015, Sebbar.

Questa pronuncia ha dato conto degli opposti indirizzi emersi in precedenza presso la Corte di legittimità:

(a) l’uno imperniato sulla irrilevanza a monte del trattamento sanzionatorio del reato satellite, ritenuto del tutto ininfluente una volta che esso abbia perduto la propria individualità e autonomia, confluendo tutti gli illeciti satelliti nell’aumento unitario di pena ex art. 81; linea che si riporta a Cass., S.U:, n. 4901/1992, Cardarilli; Cass., S.U., n. 25939/2013, Ciabotti, e che valorizza gli elementi di sistema ricavabili in tal senso: a iniziare da quello che ammette la continuazione tra reati di specie diversa e con pene eterogenee, alla posticipazione dell’esordio prescrizionale, allo spostamento della competenza, al decorso del termine di estinzione ex art. 445 c.p.p.; sicché, in questa linea, non potrebbe in alcun caso parlarsi di pena (divenuta) “illegale”, perché una volta amalgamati gli illeciti e le relative sanzioni nel vincolo del disegno unitario, non avrebbe senso spezzare l’amalgama della pena unica (ovviamente, se rispettosa dei limiti suoi propri, del triplo e di quelli ex art. 82 cod. pen.);

(b) l’altro, invece, che predica(va) anche per i reati minori, nonostante l’unificazione nell’unico reato continuato, la possibilità di svolgere per ciascuno di essi una preliminare valutazione di gravità, ponderata sulla scorta della cornice edittale.

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Le S.U. del 2015 hanno optato per questa seconda soluzione. Lo hanno fatto valorizzando essenzialmente, quale chiave risolutiva del contrasto, una disposizione processuale, dalla quale hanno fatto derivare conseguenze sostanziali, e precisamente l’art. 533, comma 2, cod.

proc. pen., che stabilisce che “Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e pene o sulla continuazione”.

Da questa proposizione, associata alla esigenza – pure affermata dalla giurisprudenza – della doverosa indicazione dei singoli aumenti di pena per ciascun reato, in vista della possibile futura scomposizione del reato continuato ai fini di specifici istituti (indulto, prescrizione, sostituzione delle pene detentive brevi, estinzione delle misure cautelari), la Corte ha enucleato una duplice operazione logica nel procedimento decisionale del giudice:

un prima, rappresentato dallo “stabilire” la pena per ciascun reato; e un dopo, rappresentato dal “determinare” la pena per il reato unitariamente considerato sotto il vincolo ex art. 81. È nella prima fase che cade l’apprezzamento della gravità di ciascun fatto-reato ed è in quella stessa fase che quindi opera la considerazione della sanzione in astratto, la cornice edittale.

L’incremento della pena sul reato-base per ciascun reato satellite costituirà poi la concreta determinazione della pena finale.

In breve, l’indicazione fornita dalla legge, o da una sentenza costituzionale, sulla escursione della pena in astratto incide “mediatamente” – così ancora la sentenza del 2015 – sulla pena complessivamente applicabile all’esito della unificazione ex art. 81 cod. pen.

5.3. Ciò posto, si deve muovere dal citato precedente specifico ai fini della presente impugnazione, in quanto costituente diritto vivente dotato di resistenza processuale (art. 618, comma 1-bis, c.p.p.); anche se deve darsi atto che l’indirizzo tracciato da quella pronuncia appare a volte non persuasivo e non condiviso: ad es. da Cass., Sez. I, n. 16236/2020, non massimata, resa proprio in tema di incidenza di Corte cost. n. 40/2019 su reato-satellite di cui all’art. 73, comma 1, T.U. stupefacenti, rispetto a un reato-base di associazione ex art. 74 stesso T.U., ossia su una fattispecie sovrapponibile alla presente. La decisione, negando la rideterminazione in executivis, osserva come “la ragione del rigetto della rideterminazione e della mancata applicazione delle sentenze della Corte costituzionale … si leghi anche alla pena base, individuata con riguardo all’art. 74 del d.P.R. n. 309/1990, sanzione che condiziona l’intero trattamento penale dei fatti unificati e la stessa quantificazione degli aumenti per la continuazione, che prescindono integralmente dalla cornice edittale astrattamente prevista dal legislatore e dalle successive statuizioni della Corte costituzionale con le sentenze evocate in ricorso. Del resto, la determinazione delle sanzioni, per effetto della continuazione con i relativi aumenti, non permette di ritenere che la pena fissata in aumento fosse “illegale”, avendo essa sanzione perso, in concreto, la sua specifica individualità, per l’accorpamento alla pena del reato continuato, da ritenere unitario a questi fini …” (corsivo di chi scrive).

6. Ma in ogni caso muovere dal precedente del 2015 non equivale ad accogliere meccanicamente l’impugnazione, come invece sembra sostenere il ricorso.

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Proprio recuperando il distinguo tra momento valutativo e momento definitorio – tra stabilire e determinare, per usare lo schema adottato delle S.U. – si deve infatti considerare che un “dovere” della giurisdizione può essere costituzionalmente sostenibile solo sul primo versante, cioè sulla fase valutativa, non anche sul secondo, cioè sulla fase determinativa, che – lo si è ricordato – non è e non potrebbe essere a contenuto vincolato. Ragionando diversamente, si ricadrebbe in quell’automatismo e in quella applicazione “aritmetica” del diritto che Corte costituzionale e Corte di cassazione hanno sempre rifiutato; automatismo del resto tanto meno giustificabile allorché si tratta di rendere concreta la sanzione e di rapportarla a proporzione, nell’esercizio della ampia discrezionalità giudiziale delineata dal codice, artt.

132 e 133.

7. Tutto ciò premesso, si osserva che il ricorso pone esclusivamente una questione di violazione di legge.

A parte il riferimento a norme non pertinenti o della cui violazione non è dato vedere gli estremi (art. 2 cod. pen., qui impropriamente invocato quando proprio le sentenze costituzionali e le decisioni delle Sezioni Unite citate hanno ripetutamente sottolineato la differenza tra dichiarazione di incostituzionalità cd. sostitutiva e regolazione della successione di norme), la disposizione dell’art. 671 c.p.p. in relazione all’applicazione dell’art. 81 cod.

pen. non potrebbe a priori ritenersi violata, giacché la Corte d’appello non ha negato la possibilità di svolgere la rinnovata ponderazione sul punto bensì, semplicemente, l’ha svolta – come doveva – pervenendo tuttavia al medesimo risultato – come certamente poteva, cfr. i principi della S.C. più sopra sintetizzati.

Nell’affermare che non è necessario “adeguare” la pena irrogata [scil. per il solo reato interessato dalla pronuncia costituzionale] e che “l’aumento per la continuazione per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 … [è] del tutto congruo attesa la gravità dei fatti”, ulteriormente aggiungendo che la pena per ciascuno degli ulteriori reati-satellite, concernenti sostanze cd. leggere e non attinti dalla pronuncia di incostituzionalità, non potrebbe di per sé subire variazioni, la Corte d’appello mostra di avere non già negato la possibilità di rideterminare il singolo aumento ma di averne considerato la giustezza e proporzione, singolarmente e complessivamente.

Si tratta quindi di una argomentazione, che, già difficilmente censurabile in generale, trattandosi di valutazione di puro merito, potrebbe essere soggetta a controllo in sede di legittimità deducendo non il vizio di violazione di legge ma l’illogicità o inidoneità della motivazione. Deduzione questa che il ricorso non fa, neppure offrendo alcun elemento concreto – sul fatto materiale, sulle circostanze, sulla entità dello stupefacente etc. – che possa indirettamente fornire elementi di critica alla riconfermata gravità di quello specifico fatto- reato, ma limitandosi a sostenere, lo si ripete, un meccanicistico diritto alla riduzione tout court che non ha fondamento.

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8. Infine, l’assenza di qualsiasi riferimento alla sanzione pecuniaria, la cui entità è ignota ma che non forma oggetto di censura nel ricorso, impedisce di allargare il controllo a quella componente sanzionatoria, stante il limite della devoluzione.

P.Q.M.

chiede che la Corte di cassazione, in camera di consiglio, rigetti il ricorso, adottando i provvedimenti di cui all’art. 616 c.p.p.

Roma, 9 giugno 2020

Il sostituto procuratore generale

(Carmelo Sgroi)

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