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Le azioni di restituzione da contratto e la successione nel diritto controverso - Judicium

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Francesco P. Luiso

Le azioni di restituzione da contratto e la successione nel diritto controverso

SOMMARIO: 1. L’azione di restituzione e il rapporto fondamentale; 2. L’ambito di applicazione dell’art. 111 c.p.c.; 3. Le azioni negoziali e la successione nel diritto controverso; 4. L’azione di restituzione da contratto e la successione nel diritto controverso.

§ 1. Le azioni di restituzione da contratto hanno ad oggetto qualunque tipo di prestazione, che sia stata effettuata in adempimento di un obbligo contrattuale: esse possono fondamentalmente riguardare una quantità di cose fungibili oppure una cosa determinata.

L’azione di restituzione da contratto che abbia ad oggetto una cosa determinata, secondo l’opinione preferibile ed assolutamente pacifica in giurisprudenza1, si individua in contrapposizione alla rivendicazione. Attraverso quest’ultima il proprietario, o più in generale il titolare di un diritto reale di godimento, fa valere tale suo diritto nei confronti di chi abbia la materiale disponibilità del bene, per ottenerne la consegna o il rilascio: poiché il diritto, di cui si chiede la tutela, è opponibile erga omnes, il titolare dell’obbligo ad esso correlato viene individuato appunto in chiunque lo possegga e detenga (art. 948, comma primo, c.c.), il quale è l’unico soggetto che abbia la facultas restituendi.

Ubi rem meam invenio, ibi vindico: eventuali, ulteriori rapporti fra proprietario e possessore rilevano unicamente come elementi ostativi ad una temporanea dilazione del diritto del proprietario ad avere la materiale disponibilità del bene.

L’azione contrattuale di restituzione, viceversa, si fonda sull’avvenuta consegna del bene in attuazione di un obbligo contrattuale, e sul venir meno (in senso lato) del titolo che giustificava la disponibilità dello stesso da parte di colui, al quale era stato consegnato. Non è rilevante che tale venir meno sia fisiologico, come accade nei contratti c.d. restitutori allorché essi siano giunti al loro naturale epilogo (ad es., la locazione è terminata); o invece patologico, quando cioè il contratto non sia restitutorio (ad es., compravendita) o, essendo restitutorio, cessi prima della sua naturale scadenza (ad es., risoluzione per inadempimento di un contratto di locazione). Come non è rilevante che il titolo, che giustificava il godimento del bene da parte di colui cui è stato consegnato, sia caducato (ad es., annullamento o risoluzione del contratto) oppure sia inefficace fin dall’inizio (ad es., nullità del contratto o simulazione assoluta) o addirittura non sia mai venuto ad esistenza. Ciò che conta è che, accertato inesistente o inefficace ab origine o venuto meno il titolo in questione, colui che aveva ricevuto il bene deve restituirlo senza pretendere che la controparte dimostri di esserne proprietario: sta qui la differenza fondamentale con la rivendicazione.

Nelle controversie in cui si fa valere un’azione di restituzione, dunque, l’oggetto del processo è il diritto che nasce dalla fattispecie sopra individuata (avvenuta consegna del bene in attuazione di un obbligo contrattuale; inesistenza o inefficacia originarie, o, ancora, cessazione del rapporto

1 Cass. 23 dicembre 2010 n. 26003, di cui conviene riportare la massima, perché estremamente chiara e illuminante:

<<L'azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l'attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell'avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l'insussistenza ab origine di qualsiasi titolo>>.

Nello stesso senso v. Cass. 9 dicembre 2010 n. 24921; Cass. 26 febbraio 2007 n. 4416; Cass. 4 luglio 2005 n. 14135;

Cass. 1° dicembre 2004 n. 23086, in Riv. giur. ed. 2005, 1145; Cass. 19 febbraio 2002 n. 2392; Cass. 12 ottobre 2000 n.

13605; Cass. 24 febbraio 2000 n. 2092.

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contrattuale). Peraltro, potenziale oggetto del processo è anche in sé il rapporto contrattuale, cui il diritto in questione trova il proprio fondamento.

Se si aderisce, come ritengo preferibile, alla opinione (maggioritaria in giurisprudenza e dottrina) che vede l’efficacia della decisione estendersi al rapporto fondamentale2 qualora l’esame di quest’ultimo costituisca l’antecedente logico necessario per la decisione della controversia avente ad oggetto il diritto restitutorio, è chiaro che la sentenza non si limiterà a statuire circa la esistenza o inesistenza del diritto a recuperare il bene, ma deciderà con efficacia di giudicato anche sulla inesistenza, nullità, simulazione, annullabilità, risoluzione, cessazione del contratto che dà origine al rapporto fondamentale: e ciò ancorché non sia stata proposta una specifica domanda volta appunto a far dichiarare l’inesistenza originaria o sopravvenuta del rapporto fondamentale. La sentenza, che decide della sola domanda attinente al diritto restitutorio, non estende i suoi effetti al rapporto fondamentale solo quando le vicende relative a quest’ultimo sono irrilevanti per la decisione del diritto alla restituzione: si pensi, ad es., all’ipotesi in cui qualificare il rapporto come locazione o comodato è irrilevante perché, comunque, esso è cessato; o, più facilmente, alle ipotesi di rigetto per una ragione che prescinde dal modo di essere del rapporto fondamentale (ad es., prescrizione).

Ciò posto, l’applicazione dell’art. 111 c.p.c. alle azioni di restituzione da contratto deve essere esaminata con riferimento sia alla domanda di restituzione in sé, sia al sicuro (se è proposta domanda di nullità, annullamento, etc.) oppure potenziale (se la domanda proposta è solo quella di restituzione) oggetto del processo costituito dal rapporto fondamentale, nel quale la domanda di restituzione trova il suo fondamento.

§ 2. Iniziando dall’esame dell’ipotesi in cui sia in discussione – in via immediata oppure in quanto potenziale antecedente logico necessario – il rapporto nel quale trova fondamento l’azione di restituzione, ci dobbiamo intanto chiedere quali fenomeni integrano, rispetto a tale oggetto del processo, una successione nel diritto controverso. Le vicende che possono coinvolgere terzi nel rapporto fondamentale sono infatti svariate: si va dalla successione nel contratto, che di solito3 postula il consenso dell’altra parte ex art. 1406 c.c.4; alla successione del terzo nel diritto, oggetto del contratto; alla costituzione, a favore del terzo, di un diritto minore rispetto a quello oggetto del contratto. Occorre poi distinguere fra la successione dal lato dell’attore (rectius, di colui che ha proposto la domanda) e la successione dal lato del convenuto (rectius, di colui nei cui confronti la domanda è stata proposta)5. Viceversa non fa differenza che la successione dipenda da un’attività volontaria delle parti interessate (normalmente un’attività negoziale), o invece sia prodotta da fatti non volontari6.

Per semplicità, prendiamo in considerazione la fattispecie forse più interessante, che è poi l’unica rispetto alla quale si può porre la questione della interferenza fra l’art. 111 c.p.c. e le norme sulla trascrizione della domanda giudiziale: essendo oggetto del contratto il trasferimento della proprietà di un bene immobile, ed avendo l’attore chiesto la dichiarazione di nullità, l’annullamento, la risoluzione etc. dello stesso (nonché, ovviamente, trascritto la relativa domanda), nel corso del

2 MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano 1987, 107 ss.

3 Ma non sempre: ad es., l’acquirente di un immobile locato succede automaticamente nel contratto di locazione (art.

1602 c.c.); se viene ceduta l’azienda, l’acquirente subentra nei contratti, anche restitutori, stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa (art. 2558 c.c.). Per un’ipotesi di applicazione dell’art. 111 c.p.c. all’acquisto di un bene locato in pendenza di controversia avente ad oggetto la risoluzione del contratto di locazione v. Cass. 9 aprile 2009, n. 8700.

4 E difatti correttamente Cass. 7 dicembre 1981 n. 6474 ha escluso la successione nel diritto controverso in una fattispecie, nella quale si era avuta la cessione di un contratto a prestazioni corrispettive, senza il consenso della controparte.

5 Da ora in poi utilizzeremo le dizioni <<attore>> e <<convenuto>> per indicare colui che ha proposto la domanda e colui nei cui confronti essa è stata proposta, a prescindere dunque dalle modalità con le quali la domanda stessa è stata proposta.

6 Per un’ipotesi di applicazione dell’art. 111 c.p.c. ad una successione ex lege si v. Cass. 3 luglio 2008 n. 18220.

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processo il convenuto trasferisce ad un terzo la proprietà del bene immobile in questione (e l’atto traslativo in questione è trascritto dopo la trascrizione della domanda).

La dottrina immediatamente successiva all’entrata in vigore del vigente codice – nel codice unitario, infatti, la successione nel diritto controverso non era espressamente disciplinata7 – non ha mai avuto dubbi nel qualificare la fattispecie appena descritta come una successione nel diritto controverso.

Ma negli anni ’50 iniziò a farsi strada la c.d. teoria delle distinctiones: recuperando l’esperienza tedesca relativa al § 265 ZPO (da cui deriva, ma con differenze di non poco rilievo, come vedremo, il nostro art. 111 c.p.c.), e coordinando la successione nel diritto controverso con la trascrizione delle domande giudiziali, si è detto che una successione nel diritto controverso si ha solo quando l’evento produce la <<perdita della legittimazione>> della parte originaria, in quanto vi è coincidenza fra la situazione legittimante e la situazione oggetto della successione8. Gli esempi paradigmatici sono la cessione del credito fatto valere in giudizio o la vendita del bene rivendicato.

Una prima precisazione si rende necessaria: la legittimazione, di cui la successione determina il venir meno, non è certo la legittimazione processuale9, che si stima dalla domanda e che quindi è insensibile alle vicende sostanziali, essendo queste per essa irrilevanti. La riprova è che, se l’evento successorio avviene prima della proposizione della domanda, questa va incontro ad un rigetto nel merito, e non certo ad un’inammissibilità in rito: se chi agisce in giudizio, pur affermandosi tale, non è (più) creditore o non è (più) proprietario, la sua domanda è infondata nel merito, e non certo inammissibile in rito per carenza di legittimazione ad agire.

Chiarito, dunque, che per perdita della legittimazione si deve intendere la c.d. legittimazione sostanziale (Sachlegitimation) e non quella processuale (Prozessführungsbefügnis), la funzione dell’art. 111 c.p.c., quindi, sarebbe quella di evitare un rigetto (nel merito) della domanda per la sopravvenuta estinzione del diritto dedotto in giudizio10. Ove non si verifichi questa situazione, non si avrebbe una successione nel diritto controverso e l’art. 111 c.p.c. non troverebbe applicazione.

Se trasferiamo la teoria sopra sinteticamente esposta al problema che qui interessa, risulta con evidenza che la vendita del bene da parte del convenuto, quando la domanda proposta abbia ad oggetto la dichiarazione di nullità, l’annullamento, la risoluzione etc. di un contratto traslativo della proprietà non determina l’applicazione dell’art. 111 c.p.c. Il convenuto non perde certo la legittimazione (sostanziale) a causa della vendita del bene; né, correlativamente, a causa di tale vendita, la domanda diviene infondata.

Ora, è incontestabile che non sempre la nascita di un diritto o di un obbligo dipendenti da quelli oggetto del processo produce l’estinzione del diritto o dell’obbligo del dante causa, determinando quindi la sopravvenuta infondatezza della domanda originaria. Non è invece corretto inferire da ciò che l’art. 111 c.p.c. si applica solo ove si verifichi il fenomeno appena descritto: e, cioè, ove in virtù della successione, si abbia la sopravvenuta carenza di legittimazione (sostanziale) del dante causa.

Quando ciò accada, senza dubbio la successione nel diritto controverso assume peculiari contenuti:

perché, al fine di conseguire la funzione che è propria dell’istituto – che è pacificamente quella di consentire la circolazione dei diritti controversi, senza che ciò pregiudichi la controparte del dante causa – occorre sterilizzare l’effetto estintivo del diritto o dell’obbligo controversi, prodotto dalla successione. Entrano così in gioco le due teorie della irrilevanza e della rilevanza, sulle quali non è qui il caso di soffermarsi.

7 Ma non per questo era ignota: v. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli 1934, 474 ss.

8 Per le opportune indicazioni di giurisprudenza e dottrina v. LUISO, Successione nel processo, in Enc. Giur., Roma 1993, 9 ss. Nel prosieguo ci limiteremo quindi alla citazione della giurisprudenza e della dottrina successive alla data della pubblicazione sopra indicata.

9 Così invece PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2010, 393.

10 In Germania si parlerebbe di rigetto (nel merito) della domanda per la sopravvenuta estinzione del diritto che giustifica la pretesa dedotta in giudizio.

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Quando, invece, la successione non determina le conseguenze sopra descritte, il problema della sopravvenuta infondatezza della domanda non si pone: ma ciò non toglie che la successione nel diritto controverso debba trovare ugualmente applicazione11, in particolare (ma non soltanto) per quanto riguarda il quarto comma dell’art. 111 c.p.c.

La dottrina restrittiva trascura, infatti, di considerare che nell’ordinamento tedesco l’efficacia della sentenza nei confronti del successore litependente non trova la sua disciplina nel § 265 ZPO, sibbene nel § 325 ZPO, il quale accomuna in un'unica sorte tutti i successori con titolo posteriore alla litispendenza, siano o meno essi da qualificarsi successori nel diritto controverso ai sensi del § 265 ZPO. Sicché, mentre là l’ambito di applicazione del § 265 ZPO non incide sull’ambito soggettivo di efficacia della sentenza, da noi escludere l’applicazione dell’art. 111 c.p.c. significa escludere anche quella parte della norma che vincola gli aventi causa litependente all’efficacia della sentenza emessa nei confronti del dante causa12.

E difatti, chi segue la teoria delle distinctiones poi deve cercare altrove la disciplina dell’efficacia della sentenza nei confronti dell’avente causa il quale non sia anche, secondo quella teoria, successore nel diritto controverso, utilizzando impostazioni non condivisibili, e giungendo a risultati francamente insoddisfacenti.

Le impostazioni cui si fa ricorso non sono condivisibili in quanto – una volta ristretto l’ambito di applicazione dell’art. 111 c.p.c. alle sole ipotesi in cui la successione determina la perdita della legittimazione – esse sono costrette ad affermare che l’avente causa litependente, che non sia da qualificare successore nel diritto controverso, risente degli effetti riflessi della sentenza13. Ma se si fa appello agli effetti riflessi, tali effetti si produrrebbero nei confronti dell’avente causa anche se il suo titolo fosse anteriore alla litispendenza: il che è inaccettabile, perché viola clamorosamente il diritto di difesa del terzo il cui titolo è antecedente alla proposizione della domanda giudiziale. Se è giustificata la prevalenza del diritto di azione (inteso come diritto ad una tutela effettiva) della controparte nel caso in cui la successione avvenga nel corso del giudizio, nessuna giustificazione sussiste per vincolare l’avente causa, con titolo antecedente alla litispendenza, ad una sentenza pronunciata inter alios. Occorre dunque necessariamente trovare un’altra fonte che vincoli l’avente causa alla sentenza: e questa non può essere che l’art. 111, ultimo comma, c.p.c.

I risultati cui i sostenitori della teoria delle distinctiones giungono non sono poi soddisfacenti perché, esclusa l’applicazione dell’art. 111 c.p.c., essi debbono ritenere operative le norme di diritto comune anche per le successioni litependente. Sicché, <<ove si versi in tema di universalità di beni mobili e le disposizioni del codice civile, cosiddette di diritto comune, non prevedano il pregiudizio dei terzi aventi causa durante la pendenza del processo (si considerino gli artt. 1452 e 1458 in contrapposizione all’art. 808) la sentenza non potrà esplicare alcuna efficacia nei confronti del terzo avente causa, il quale non è successore a titolo particolare nel diritto controverso>>14. Con il seguente risultato: proposta domanda di risoluzione di un contratto di vendita di un azienda, se il

11 In questo senso PICARDI, Manuale del processo civile, Milano 2010, 271 ss.; VACCARELLA, Lezioni sul processo civile di cognizione, Bologna 2006, 197 ss.; SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, Milano 2010, 343 ss.;

VERDE, Diritto processuale civile, I, Bologna 2010, 206 ss.; BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Bari 2009, 231. Contra CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino 2010, 437 ss.; COMOGLIO – FERRI – TARUFFO, Lezioni sul processo civile, I, Bologna 2011, 338; CAPONI, Il sequestro giudiziario di beni nel processo civile, Milano 2000, 202 ss. Da ultimo, per un riepilogo della questione con riferimento alla risoluzione, v.

CARNEVALI, La risoluzione, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Torino 2011, 218 ss.

12 Insomma, la critica che COLESANTI, Trascrizione della domanda e sequestro del bene alienato pendente lite, in Riv.

dir. proc. 1963, 245 nt 31, fa alla dottrina contraria alle distinctiones, e cioè di vedere tutte le prescrizioni dell’articolo solo in funzione dell’ultimo comma, può in realtà essere rovesciata: non si possono vedere tutte le prescrizioni dell’art.

111 c.p.c. solo in funzione di una specifica subipotesi (quella in cui la successione determina l’estinzione del diritto o dell’obbligo dedotti in giudizio). L’importazione acritica della dottrina tedesca sul § 265 ZPO non è corretta, proprio per la diversità di struttura normativa.

13 Così infatti PROTO PISANI, Lezioni, cit., 395.

14 PROTO PISANI, Lezioni, cit., 399.

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convenuto in corso di causa cede l’azienda ad un terzo, non solo questi non è vincolato dalla sentenza che accolga la domanda, ma addirittura il terzo riesce ad acquistare, sul piano sostanziale, un titolo prevalente su quello dell’attore! E dove finisce il principio15 in virtù del quale la necessità di servirsi del processo non deve essere fonte di pregiudizio per la parte che ha ragione?

La verità è che non è possibile restringere l’applicazione dell’art. 111 c.p.c. alle sole ipotesi in cui la successione determina la perdita della <<legittimazione>> del dante causa. Queste costituiscono solo una species di un più ampio genus, del quale fanno parte le disposizioni sull’intervento e la chiamata, nonché l’intero ultimo comma.

§ 3. Ritornando, ora, al nostro problema, e riprendendo l’ipotesi paradigmatica che avevamo fatto, possiamo dunque concludere che, sebbene la vendita del bene da parte del convenuto quando sia chiesta la dichiarazione di nullità, l’annullamento, la risoluzione etc. di un contratto traslativo della proprietà non incida sulla <<legittimazione>> del convenuto stesso, ciò non impedisce l’applicazione dell’art. 111 c.p.c.16, ad esclusione di quelle disposizioni che sono incompatibili con questa sottoipotesi.

In particolare, sono possibili l’intervento e la chiamata in causa del successore: qui si manifesta, fra l’art. 111 c.p.c. ed il § 265 ZPO, un’ulteriore diversità che impone cautela nel trasferire da noi le conclusioni della dottrina tedesca. Il § 265 ZPO, infatti, assegna al successore nel diritto controverso una posizione processuale di basso profilo, consentendogli di partecipare al processo, se non vi è il consenso della controparte, solo come interventore adesivo dipendente. È espressamente escluso che il successore, intervenendo senza il consenso della controparte, acquisisca la qualità di litisconsorte.

Da noi, invece, com’è noto, l’intervento del successore realizza un’ipotesi di litisconsorzio unitario, che pone il successore intervenuto o chiamato sullo stesso piano processuale della parte originaria, consentendogli di compiere tutti gli atti del processo ed impedendo che atti processuali dispositivi della parte originaria lo possano pregiudicare. Sicché non è indifferente qualificare l’intervento dell’avente causa litependente come intervento ai sensi dell’art. 111 c.p.c., oppure come intervento adesivo dipendente.

Non è invece possibile l’estromissione del dante causa, perché ciò esige che il diritto o l’obbligo originari si siano estinti in virtù della successione, il che nel nostro caso non accade.

E soprattutto valgono anche nel nostro caso le disposizioni dell’ultimo comma dell’art. 111 c.p.c.: il successore può impugnare la sentenza con i mezzi propri della parte; la sentenza ha effetti nei suoi confronti, tranne i casi di acquisto a titolo originario; per determinare la litispendenza nei confronti del successore, è necessario far riferimento alla data della trascrizione, e non della proposizione, della domanda.

Se, invece, si aderisce alla tesi restrittiva, l’intervento dell’avente causa litependente che non sia anche successore nel diritto controverso può assumere solo la veste dell’intervento adesivo dipendente, che lo lascia sottomesso dell’attività processuale, anche dispositiva, del dante causa, e gli nega il potere di impugnare la sentenza.

Come si vede, la situazione che si realizza applicando alla nostra fattispecie l’art. 111 c.p.c.

risponde assai più dell’altra al buon senso: pur dando il necessario rilievo ai profili dogmatici

15 Invocato dallo stesso PROTO PISANI, op. cit., 393.

16 Cass. 22 gennaio 2002 n. 1155, in Giust. civ. 2002, I, 1575. In argomento, una decisione non condivisibile è costituita invece da Cass. 17 novembre 2005 n. 23255, che ha escluso la qualità di successore nel diritto controverso (e quindi ha negato il potere di impugnare) nella seguente fattispecie: A vende a B e B vende a C. A fallisce e la curatela propone azione revocatoria contro B e C. Nel corso di causa C vende a D. D propone ricorso per Cassazione, che è dichiarato inammissibile. Afferma la Corte che l’art. 111 c.p.c. si applica all’acquirente ma non all’ulteriore subacquirente. Ma anche se così fosse – e ne dubitiamo – nel caso di specie vi era un unico successore nel diritto controverso, posto che il primo subacquirente, il cui titolo era antecedente alla proposizione della domanda, era stato (correttamente) convenuto in giudizio.

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relativi all’oggetto del processo, alle azioni costitutive17 e così via, sembra evidente che, una volta alienato il bene oggetto del rapporto contrattuale controverso, il vero interessato alla controversia è il successore, e non la parte originaria. Quest’ultima resta sì “legittimata” nonostante l’alienazione, ma ormai difende un guscio vuoto18.

§ 4. È ora il momento di passare all’esame della domanda di restituzione. Siamo giunti alla conclusione che la successione nel diritto controverso si applica tutte le volte in cui, nel corso del processo, sorge una situazione di diritto o di obbligo dipendente da quella oggetto del processo stesso, ancorché l’evento successione non determini l’estinzione del diritto o dell’obbligo originario.

Se ci poniamo dal punto di vista della successione ex latere actoris, la soluzione non è pertanto difficile. Se l’attore cede ad un terzo un diritto sul bene, oggetto della domanda di restituzione, si applica l’art. 111 c.p.c. ancorché non vi sia coincidenza fra diritto vantato (il diritto alla restituzione) e diritto ceduto (la proprietà del bene): come accade appunto nelle azioni di restituzione.

Molto più complessa è la successione dal lato del convenuto. Perché possa applicarsi l’art. 111 c.p.c.

occorre, infatti, che la situazione (qui: l’obbligo di consegna e rilascio) del terzo sia dipendente da quella del suo dante causa: più specificamente, che – sul piano sostanziale – l’obbligo del terzo nasca da una fattispecie composta dall’obbligo del suo dante causa e dal fatto che integra la successione.

Senonché, è comune l’affermazione che non è ipotizzabile una successione a titolo particolare nell’obbligo di restituzione, in quanto <<la disciplina dettata dagli art. 2037 e 2038 esclude, proprio con riferimento all’alienazione della cosa ricevuta indebitamente, la successione dell’avente causa nell’obbligo di restituzione sorto ex art. 203719>>. E se non c’è successione nell’obbligo sul piano sostanziale, vano sarebbe applicare l’art. 111 c.p.c., perché – come nei casi di acquisto a titolo originario – non serve a niente estendere al terzo gli effetti di una sentenza che è per lui irrilevante.

Per cercare di dipanare la matassa, occorre intanto chiedersi quale evento può in astratto essere rilevante per una successione nell’obbligo di restituzione. Ed escludiamo subito che tale evento possa comunque consistere in un atto di disposizione che riguardi un diritto sul bene stesso. Se il convenuto vende il bene ad un terzo ma ne trattiene la disponibilità materiale, questo evento non incide in alcun modo sull’obbligo di restituzione.

Facciamo un esempio: Tizio, dopo aver stipulato un contratto di compravendita con Caio, ed avergli consegnato il bene, propone nei confronti di Caio domanda di risoluzione del contratto e di restituzione del bene. Caio nel corso del processo vende il bene a Sempronio, ma non gliene trasferisce la materiale disponibilità (magari, ma non necessariamente, perché il bene è stato sottoposto a sequestro giudiziario). Sempronio è sicuramente avente causa da Caio rispetto alla proprietà del bene stesso, ma nessuna alterazione sul piano sostanziale si produce relativamente

17 V. da ultimo PAGNI, Contratto e processo, in Trattato del contratto diretto da Roppo, VI, Interferenze, Milano 2006, 847-848.

18 Un’ulteriore fattispecie, in relazione alla quale si pone un problema analogo a quello discusso, ma che non riguarda un’azione di restituzione, è data dall’art. 2932 c.c.: se, nel corso del processo in cui è stata chiesta l’esecuzione in forma specifica di un preliminare, il promissario alienante vende il bene ad un terzo, questi è o no successore nel diritto controverso? Il conflitto giurisprudenziale (in senso affermativo v. Cass. 26 maggio 2003 n. 8316 e Cass. 24 ottobre 1989 n. 4321, in Foro it. 1990, I, 94; in senso negativo Cass. 23 gennaio 2001 n. 13000, in Giust. civ. 2002, I, 2230;

Cass. 29 gennaio 1993 n. 1128; Cass. 20 dicembre 1980 n. 6574, in Foro it. 1981, I, 359) è stato rimesso da Cass. 4 maggio 2010 n. 10747 alle sezioni unite che, peraltro, con la sentenza 9 novembre 2011 n. 23299, non hanno affrontato la questione nel merito.

Per le ragioni sopra esposte, mi pare da preferire la soluzione affermativa: è vero che la vendita del bene da parte del promissario alienante non gli fa perdere la <<legittimazione passiva>>: tuttavia la sentenza, per le ragioni già viste, fa stato nei confronti del terzo acquirente in virtù dell’art. 111 c.p.c. e dunque non vi è ragione per non applicare le altre disposizioni della stessa norma, che siano compatibili con una successione che non produce l’estinzione del diritto o dell’obbligo del dante causa.

19 PROTO PISANI, Lezioni, cit., 394.

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all’obbligo di restituzione. Non vi è neppure bisogno di estendere a Sempronio gli effetti della condanna alla consegna o rilascio che sarà pronunciata contro Caio: Tizio potrà procedere ad esecuzione forzata contro Caio, senza coinvolgere in alcun modo Sempronio nel processo esecutivo20.

È evidente che una successione nell’obbligo di restituzione si può avere solo con riferimento alla facultas restituendi: e questa è strettamente correlata al possesso o alla detenzione del bene, perché solo chi ha la materiale disponibilità del bene è in grado di restituire lo stesso21. Dunque, l’evento astrattamente in grado di determinare una successione nell’obbligo di restituzione è l’acquisizione, da parte del terzo, della materiale disponibilità del bene, e non già di un diritto (che in ipotesi è poi inesistente, perché derivato dalla parte – che sarà – soccombente) sullo stesso.

Senonché qui nasce il problema: perché, in linea generale, il mero trasferimento del possesso (tranne che si tratti di successione a titolo universale) non comporta, sul piano sostanziale, anche il trasferimento degli obblighi restitutori che fanno capo al trasferente. Né si potrebbe in qualche modo valorizzare l’inefficacia del titolo che ha giustificato il trasferimento del possesso, perché il terzo possessore può sempre opporre possideo quia possideo, e costringere dunque la controparte ad agire in rivendicazione. Altrimenti si rischierebbe di trattare meglio il ladro del possessore in base ad un titolo inefficace.

Ma se le considerazioni appena esposte sono valide in linea di massima, non si può tuttavia trascurare che l’ordinamento presenta anche significative deviazioni. La prima è data dall’art. 1595 c.c., che consente al locatore di recuperare il bene dal subconduttore con un’azione personale restitutoria. La seconda è data dall’art. 1169 c.c., che consente allo spogliato di proporre l’azione di reintegrazione anche contro chi ha il possesso del bene in virtù di un acquisto a titolo particolare fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio.

In ogni caso, ed a prescindere da una più precisa ed approfondita disamina dei profili sostanziali, occorre considerare che il processo ha proprie esigenze, che possono portare ad una deviazione dalle regole di diritto sostanziale, ogni qual volta l’applicazione di queste a fatti che si verificano nel corso del processo impedirebbe la realizzazione del principio in virtù del quale la necessità di servirsi del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione: ciò che accade costantemente, appunto, per i c.d. effetti sostanziali della domanda, i quali sempre introducono, in relazione ad eventi che accadono nel corso del processo, regole diverse da quelle che si applicano quando gli stessi eventi hanno luogo al di fuori del processo22.

Proprio in tema di successione negli obblighi restitutori, la giurisprudenza concorde introduce una significativa modifica all’art. 1169 c.c., ogni qual volta il trasferimento del potere di fatto sul bene, oggetto dello spoglio, avvenga in corso di causa. Mentre nel caso di trasferimento ante causam è richiesta la conoscenza dell’avvenuto spoglio, se il trasferimento avviene dopo che è stata proposta la domanda di reintegrazione tale conoscenza non è più necessaria23.

20 Analogamente, ed a parti invertite, se nel corso del processo in cui è stata chiesto il rilascio del bene concesso a titolo di comodato, l’attore cede la nuda proprietà dello stesso ad un terzo, questi non è successore nel diritto controverso, perché la pronuncia non incide in alcun modo sul suo diritto: Cass. 18 luglio 2002 n. 10442.

21 Cass. 16 giugno 2006 n. 13973; Cass. 14 aprile 2005 n. 7777; Cass. 29 novembre 1995 n. 12347; Cass. 14 febbraio 1987 n. 1613; Cass. 20 maggio 1980 n. 3312.

22 Un esempio particolarmente interessante, perché vicino alle nostre problematiche, è dato dall’art. 948 c.c. laddove si prevede che l’azione di rivendicazione può essere proseguita nei confronti del convenuto, che era possessore al momento della proposizione della domanda, anche se costui nel corso del processo cessa, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. Eppure sul piano sostanziale, con la perdita del possesso o della detenzione, l’obbligo del possessore si estingue.

23 Cass. 31 maggio 2005 n. 11583 (la quale precisa che il provvedimento di reintegra è titolo esecutivo contro l’avente causa); Cass. 14 giugno 2001 n. 8056, in Giust. civ. 2002, I, 95 (per un’ipotesi di acquisizione del possesso dopo la pronuncia della sentenza); Cass. 29 novembre 1995 n. 12347, in Giur. it. 1996, I, 1, 893; Cass. 11 maggio 1983 n. 3254, in Giust. civ. 1984, I, 1262.

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Si può dunque fondatamente sostenere che – quand’anche il trasferimento del possesso del bene non produca sul piano sostanziale una successione del nuovo possessore negli obblighi restitutori del precedente possessore – se la stessa vicenda accade nel corso del processo, in deroga alle norme sostanziali, l’obbligo restitutorio del nuovo possessore diviene dipendente da quello della parte originaria, con la conseguenza che, applicandosi l’art. 111 c.p.c., la sentenza che condanna alla restituzione la parte originaria è efficace anche nei confronti del nuovo possessore, e costituisce titolo esecutivo contro di lui24.

Si deve pertanto concludere che, ove sia proposta azione di restituzione, e nel corso del processo il convenuto trasferisca ad un terzo il possesso del bene oggetto della domanda, si ha una successione nel diritto controverso anche qualora, sul piano sostanziale, l’obbligo del nuovo possessore non sia dipendente da quello della parte originaria25. Conseguentemente, la condanna della parte originaria è efficace nei confronti del nuovo possessore, e costituisce titolo esecutivo contro di lui.

24 Così puntualmente Cass. 17 gennaio 2003 n. 601, della quale è opportuno riportare la massima: <<Nel caso di successione a titolo particolare tra vivi nel diritto controverso, la sentenza pronunciata contro l'alienante è efficace nei confronti dell'avente causa anche quale titolo esecutivo, nei limiti dell'accertamento in essa contenuto. Peraltro, ove la stessa sentenza contenga anche un comando di adeguare lo stato di fatto alla situazione giuridica accertata, attraverso la imposizione di obblighi di fare, il possesso, o la detenzione, da parte del terzo, della cosa sulla quale l'obbligo deve eseguirsi comporta la trasmissione di detto obbligo in capo a questo>>. Nel caso di specie, a seguito di una sentenza, relativa ad azione di regolamento di confini, con la quale era stata pronunciata la condanna di uno dei proprietari a ripristinare il canale di scolo posto sul confine tra le due proprietà, ed a rilasciare la parte di terreno abusivamente occupata, l'altro proprietario aveva promosso il processo di esecuzione nei confronti del successivo acquirente del fondo confinante.

25 È questa, com’è noto, la opinione di GRUSNKY, Die Veräußerung der streitbefangenen Sache, Tubinga 1968, 211 ss.

secondo il quale, con riferimento alla successione dal lato del convenuto nell’ipotesi di domanda di condanna, non è necessaria una successione nell’obbligo sul piano del diritto sostanziale.

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