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per la storia del pensiero giuridico moderno

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(1)

QUADERNI FIORENTINI

per la storia del pensiero giuridico moderno

45

(2016)

(2)

UN PIONIERE DELLA GIUSTIZIA CONTRATTUALE:

LORENZO MOSSA E I CONTRATTI DI ADESIONE

1. Contratto e impresa nel primo Novecento: le sfide di Lorenzo Mossa. — 2. L’avvio di una strategia. — 3. Anni Venti: dalle prolusioni ai saggi critici. — 4. Contratti di adesione, contratti-tipo e diritto corporativo. — 5. Dopo il codice civile: un impegno per il futuro.

1. Contratto e impresa nel primo Novecento: le sfide di Lorenzo Mossa.

Lorenzo Mossa, nel panorama del primo Novecento italiano, occupa una posizione centrale, come grande teorico dell’impresa e del lavoro (

1

). Cultore del diritto commerciale per molti aspetti antesignano e innovatore, egli lo è anche per il fatto di aver costantemente e ripetutamente condotto una riflessione sul feno- meno dei contratti di adesione lungo tutto l’arco della sua carriera scientifica: quella « sua costante sensazione [...] dell’importanza degli atti in massa » già colta da un osservatore attento come Tullio Ascarelli (

2

). In questa attenzione continua per i problemi nuovi che,

(

1

) P. G

ROSSI

, Itinerarii dell’impresa, in « Quaderni fiorentini », 28 (1999), pp.

999-1038; I

D

., Scienza giuridica italiana. Un profilo storico. 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 191-208. Il contributo di Mossa giuslavorista è valorizzato da G. C

AZZETTA

, L’autonomia del diritto del lavoro nel dibattito giuridico tra fascismo e repubblica (1999), in I

D

., Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra Otto e Novecento, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 171-287. Il progetto corporativo di Mossa è diffusamente analizzato da I. S

TOLZI

, L’ordine corporativo. Poteri organizzati e organiz- zazione del potere nella riflessione giuridica dell’Italia fascista, Milano, Giuffrè, 2007, pp.

340-359, 393-406 e, per l’impresa, specialmente pp. 406-454.

(

2

) T. A

SCARELLI

, Lorenzo Mossa, in « Rivista trimestrale di diritto e procedura

civile », XI (1957), p. 738.

(3)

nella società capitalistica del primo Novecento, poneva la contrat- tazione collettiva e di massa, non c’è tuttavia solo un aspetto quantitativo da sottolineare, ma anche qualitativo. Lorenzo Mossa si presenta infatti come un vero pioniere della giustizia contrattuale.

Ciò ne fa, anche a questo riguardo, una figura eccentrica nel dibattito scientifico italiano del tempo, per ricchezza di idee e respiro europeo. La cronologia degli scritti nei quali si possono trovare cenni al tema va dal 1919 fino alla sua ultima stagione di studio. Il problema dei contratti di adesione, inoltre, oltre che presente, è sempre parte, nel pensiero mossiano, di una riflessione più ampia. È, in particolare, il segmento di un discorso che prende le mosse dall’impresa. Proprio per il fatto di essere un frammento all’interno di un discorso più vasto, il contributo di Mossa è interessante: esso travalica il semplice dato tecnico, contiene spunti ricostruttivi più generali, aperture su altri temi, visioni nuove del rapporto tra diritto civile e commerciale, sui criteri in base ai quali costruire un diritto commerciale più adatto alla civiltà moderna, sul ruolo del diritto corporativo, sulla sua concezione del diritto privato.

Per Mossa, i contratti di adesione costituiscono uno dei problemi fondamentali del diritto commerciale moderno, per usare il titolo della prolusione pisana del 1926, perché essi sono contratti d’im- presa, e l’impresa è il soggetto giuridico intorno al quale, nella sua idea, dovrebbe ruotare il nuovo diritto commerciale. Proprio in quanto tali, i contratti di adesione reclamano una disciplina diversa da quella dei contratti individuali. La questione ancora irrisolta, sollevata da questo nuovo modo di contrattare, cattura l’attenzione di Mossa. Lo dichiara lui stesso, nel testo appena citato: « l’abuso della posizione di superiorità economica della impresa è denunciato, per decenni, dagli scrittori, senza che la giurisprudenza o la legge abbiano saputo o potuto annullarlo o attenuarlo » (

3

). Abuso di potere economico e autonomia privata: Mossa colpisce nel segno, va

(

3

) L. M

OSSA

, I problemi fondamentali del diritto commerciale (1926), in I

D

.,

L’impresa nell’ordine corporativo, con prefazione di G. Bottai, Firenze, G. C. Sansoni,

1935, p. 26. I « problemi che fanno capo alla necessità di tutelare la massa dei

consumatori di fronte alle grandi imprese organizzate » costituiscono « i problemi

odierni del diritto commerciale » anche per T. A

SCARELLI

, Natura e posizione del diritto

commerciale (1947), in I

D

., Saggi giuridici, Milano, Giuffrè, 1949, p. 145.

(4)

direttamente al cuore della questione, non la ignora, non la rimuove.

Come conciliare il principio liberale e l’autonomia privata, di cui Mossa resta fautore, con le disuguaglianze materiali e le asimmetrie di potere? Il traguardo è la giustizia sociale e quindi un diritto privato sociale. Davanti a quello che sembra un ossimoro, un luogo di strategie antagoniste (

4

), il giurista sardo-pisano affronta una sfida.

Esamineremo gli scritti di Mossa da questa particolare angolatura, per scoprire quali erano le ragioni dell’impasse e quali scenari di tutela si potevano aprire per i consumatori.

2. L’avvio di una strategia.

Nel 1919, in un articolo di grande spessore teorico su problemi di forma e dichiarazione della volontà negoziale (

5

), Mossa, allora professore nell’università di Camerino (

6

), arriva a una conclusione dirompente: ritiene infatti che il giudice abbia il potere di annullare le clausole di un contratto d’adesione, formalmente accettate con la sottoscrizione di un documento, ma effettivamente non volute dal- l’aderente. L’impostazione di questo contributo giovanile è decisa- mente volontarista: Mossa costruisce infatti una tutela basata sulla ricerca della reale intenzione del dichiarante. Fuori dai casi di veri e propri accordi di cartello, « coalizioni di tutti i commercianti di un determinato ramo sulle condizioni di contratto esageratamente par- ticolaristiche », rispetto alle quali ritiene ammissibile parlare addi- rittura di vera e propria « violenza » nell’accettazione del contratto,

« è necessario — egli scrive — accordare al cliente una pronta tutela, la quale si può fondare puramente sulla manifestazione di volontà dello stesso nella sottoscrizione del formulario » (

7

). Per ottenere

(

4

) Nel senso spiegato da P. C

ARONI

, Saggi sulla storia della codificazione, Milano, Giuffrè, 1998, p. 88. Per i significati del lemma ‘sociale’: I

D

., Quando Saleilles dialogava con Eugen Huber (1895-1911), in « Quaderni fiorentini », 40 (2011), p. 277, e ora I

D

., Privatrecht im 19. Jahrhundert. Eine Spurensuche, Bern, Helbing Lichtenhahn Verlag, 2015, p. 9.

(

5

) L. M

OSSA

, La documentazione del contenuto contrattuale, in « Rivista del diritto commerciale », XVII (1919), I, pp. 414-460.

(

6

) A. M

ATTONE

, Mossa, Lorenzo, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 1392-1395.

(

7

) M

OSSA

, La documentazione, cit., p. 452.

(5)

questo obiettivo, è indispensabile che il diritto commerciale prenda atto della differenza tra « sottoscrizione di un comune documento, di scarsa portata e le cui condizioni sono punto per punto convenute tra le parti » e « sottoscrizione del formulario, nel quale la portata della convenzione non è facilmente misurabile ed i singoli punti non sono affatto preparati da una discussione delle parti per l’accetta- zione » (

8

).

La ricerca di strumenti di tutela si orienta dunque, in questa fase, nella direzione di garantire una interpretazione del contratto conforme alla volontà dell’aderente, superando le regole del diritto civile generale, abbandonando le rigidità tradizionali e uscendo dalla logica individualistica, per tenere conto della differente struttura dei contratti predisposti unilateralmente dai commercianti, le cui clau- sole non sono oggetto di trattativa individuale. La diversità dei contratti di massa rispetto ai contratti individuali non conduce alla negazione dello schema contrattuale. Come vedremo anche in altri contributi, per Mossa il contratto è ancora e sempre deve essere lo strumento imprescindibile a disposizione dei privati per disporre liberamente del proprio patrimonio. Il giurista sardo è un deciso contrattualista ad oltranza. Le tesi negazioniste di Léon Duguit non lo trovano concorde (

9

). Di fronte alla contrattazione di massa, che anche Mossa ritiene ineliminabile dalla moderna economia capitali- stica, invece che discettare sul declino del contratto, occorre preoc- cuparsi di come difendere la libertà del volere e la giustizia del contratto, per adeguarlo ai valori di buona fede, giustizia, socialità.

Si spiega dunque il fatto che egli non provi alcuna remora a giustificare quella parte di giurisprudenza che considera non accet- tate le clausole stampate a caratteri minuscoli o scritte in modo ambiguo, assumendo che, nei contratti di adesione, la sottoscrizione del formulario non significa accettazione in blocco di tutte le clausole scritte nel documento. Una conclusione, questa, con la quale Mossa entrava in rotta di collisione con l’opinione comune della dottrina italiana. Ne emerge il ritratto di un giurista che, pur muovendosi all’interno di una prospettiva non solo contrattualistica ma anche consensualistica, non esita a superare regole tradizionali e

(

8

) Ivi, p. 453.

(

9

) Infra, § 5.

(6)

basilari, di cui avverte la relatività: una di queste è quella secondo cui la sottoscrizione del documento implica sempre accettazione inte- grale del suo contenuto. Una regola fondamentale del diritto privato, posta a presidio della certezza dei traffici commerciali. Una regola che, nella dottrina commercialistica, era stata ribadita da Cesare Vivante (

10

).

Venendo ai rimedi concreti, Mossa, per la precisione, propone di distinguere tra clausole essenziali e clausole accessorie del con- tratto: le prime riguardanti punti negoziati come il prezzo, le se- conde concernenti altri aspetti del rapporto, regolati spesso in modo vessatorio per l’aderente. Queste ultime erano le clausole sulle quali il cliente solitamente sorvolava, firmando il testo senza leggerle o senza capire il loro senso (

11

). Partendo da questo dato di fatto, Mossa sviluppa una proposta di tutela a quel tempo anomala, almeno nel panorama nazionale, affermando che al giudice si deve consentire di annullare clausole formalmente sottoscritte, ma che effettivamente non siano state lette. Se viceversa le clausole sono state lette, il giudice dovrà ricostruirne il senso secondo l’intenzione del cliente e non del commerciante. C’è un limite, tuttavia, alle operazioni interpretative, perché quando la clausola è formulata in

(

10

) C. V

IVANTE

, Il contratto di assicurazione, I, Milano-Napoli-Pisa, Ulrico Hoepli Editore-Libraio, 1885, n. 23, p. 51; I

D

., Trattato di diritto commerciale, III, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1899, n. 1340, p. 346. Compatta la civilistica: v. ad es. L.

B

ARASSI

, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, II, Milano, Società Editrice Libraria, 1917

2

, p. 304, e, nello stesso anno del progetto ministeriale del libro quarto delle obbligazioni, F. F

ERRARA

, Teoria dei contratti, Napoli, Casa Editr. Dott. Eugenio Jovene, 1940, p. 359. Sulla stessa linea V. S

ALANDRA

, I contratti di adesione, in « Rivista del diritto commerciale », XXVI (1928), I, p. 523; F. C

ARNELUTTI

, Studi sulla sottoscri- zione, ivi, XXVII (1929), I, pp. 524-525.

(

11

) Il pensiero di Mossa presenta delle affinità con quello di G. D

EREUX

, De l’interprétation des actes juridiques privés, Paris, Arthur Rousseau Éditeur, 1905, in part.

pp. 201-217, che presta il fianco ad obiezioni serie, come quelle sollevate da Maurice

Hauriou, alle quali l’autore replicherà nell’articolo De la nature juridique des « contrats

d’adhésion », in « Revue trimestrielle de droit civil », 9 (1910), pp. 503-541. Dereux,

autore ben conosciuto in Italia — un suo saggio importante viene anche tradotto sul

periodico di Sraffa e Vivante (Sulle concezioni tedesca e francese del contratto, in « Rivista

del diritto commerciale », VII (1909), I, pp. 249-267) — viene non a caso accomunato

a Mossa nella confutazione di S

ALANDRA

, I contratti di adesione, cit., p. 522. La distinzione

tra clausole essenziali e accessorie è presente anche nella dottrina germanica, ancor più

cara a Mossa (nt. 13).

(7)

modo chiaro oppure è stata preceduta da una trattativa specifica, il giudice non può che intenderla così come è scritta. Vi sono però altre aperture. Mossa, infatti, ritiene che il formulario debba essere sempre interpretato secondo gli accordi orali precedenti alla sotto- scrizione del documento, « anche contro la sua lettera, perché se le parti espressamente non hanno dichiarato di modificare i precedenti patti, non si può ritenere che esse lo abbiano fatto con la sottoscri- zione o la sommaria lettura del documento »: i patti orali prevalgono su quelli scritti. Inoltre, per determinare la volontà di chi sottoscrive il formulario, è ammissibile tenere conto dell’uso, con la precisa- zione, tuttavia, che per uso deve intendersi quello effettivamente corrente tra i commercianti e i loro clienti (

12

).

Mossa dimostra, in questo contributo, centrato sull’interpre- tazione, di conoscere altre prospettive. Giuristi tedeschi avevano proposto soluzioni più oggettive, ritenendo che il giudice, più che accertare la ‘vera’ volontà del sottoscrittore di un formulario, do- vesse esercitare un più penetrante potere di controllo sul contenuto delle clausole, che poteva arrivare fino al punto di invalidare clausole inique, riprovando « tutto ciò che tutela esageratamente, senza un corrispettivo per l’altra parte, i particolaristici interessi di una parte, ovvero ciò che è oggettivamente iniquo » (

13

). La proposta non lascia indifferente Mossa, che l’approva, con immediata condivisione. Egli ritiene però che si tratti di una prospettiva da sola non sufficiente « a regolare giustamente il rapporto », e quindi non tale da eliminare la tutela secondo la volontà dell’aderente. È quindi la giustizia del rapporto che a Mossa interessa salvaguardare, sfruttando tutte le tecniche a disposizione dell’interprete. Al punto da chiudere il suo intervento con un’altra affermazione controcorrente: si dovrà rite- nere che, di fronte a un formulario, ogni eventuale errore del cliente

(

12

) Per tutte queste argomentazioni: M

OSSA

, La documentazione, cit., pp.

453-454.

(

13

) Il riferimento è al denso scritto di un avvocato di Monaco, Julius S

IEGEL

,

Die privatrechtlichen Funktionen der Urkunde, in « Archiv für die civilistische Praxis »,

111 (1914), pp. 1-134, in part. pp. 80-99, e a A. D

ÜRINGER

, M. H

ACHENBURG

, Das

Handelsgesetzbuch vom 10. Mai 1897 (mit Ausschluss des Seerechts) auf der Grundlage des

Bürgerlichen Gesetzbuchs, Zweiter Bd., Mannheim und Leipzig, J. Bensheimer, 1910

2

,

pp. 40-44.

(8)

sia sempre scusabile (

14

). Nel 1919, dunque, Mossa si presenta come un giurista che non si accontenta di denunciare il fenomeno dei contratti di adesione, sulla scia di illustri precedenti, quali, per rimanere a quelli da lui spesso rievocati, la prolusione di Sraffa o il saggio di Thaller (

15

). Qui siamo oltre la mera presa d’atto di un difetto di funzionamento del mercato concorrenziale, delle promesse mancate dell’uguaglianza formale, dei pericoli per la libertà contrat- tuale. Il discorso prende una piega ben più concreta e propositiva, che va alla ricerca di strumenti di intervento a favore dei sottoscrit- tori dei formulari nei princìpi generali del contratto, senza timore di dissacranti e innovative ricostruzioni (

16

). Allo stesso tempo, il diritto commerciale, nel regolare i rapporti di massa e non i micro-scambi individuali, è chiamato a superare l’astrattezza del diritto civile e l’indifferenza alle disparità che regnano nei rapporti sociali (

17

).

Lo sguardo di Mossa è attentissimo alle vicende germaniche e

(

14

) M

OSSA

, La documentazione, cit., p. 455.

(

15

) A. S

RAFFA

, La lotta commerciale, Prolusione letta il dì 11 gennaio 1894 nell’Università di Macerata, Pisa, Enrico Spoerri Editore-Librario, 1894; E. T

HALLER

, De l’attraction exercée par le Code civil et par ses Méthodes sur le Droit commercial, in Le Code civil. 1804-1904. Livre du Centenaire, Paris, Dalloz, Arthur Rousseau Éditeur, 1904 (rist. Paris, Dalloz, 2004), pp. 223-243, in part. pp. 238-239. Sulla prima: A. M

ONTI

, Angelo Sraffa. Un ‘antiteorico’ del diritto, Milano, Egea, 2011, pp. 61-71. Nello stesso periodo v. anche le denunce di C. V

IVANTE

, Le nuove influenze sociali nello studio del diritto commerciale, in « Monitore dei tribunali », XXXV (1894), pp. 729-731 (« norme diffidenti e repressive che gli imprenditori impongono ai loro clienti per forza di codici, di consuetudini o di contratti »: p. 730); I

D

., I difetti sociali del codice di commercio, in

« Monitore dei tribunali », XL, s. II-v. II (1899), p. 343, e soprattutto I

D

., Le nuove influenze sociali nel diritto privato, Discorso inaugurale letto nel giorno 8 novembre 1902, Roma, Tipografia Fratelli Pallotta, pp. 9-10. Vivante vede tre possibili interventi riequilibrativi: norme imperative (pp. 9-10), contratti stipulati dalle pubbliche ammini- strazioni (pp. 11-12), contrattazione attraverso i sindacati (pp. 13-18) o le cooperative (pp. 18-19). Sui rimedi prospettati in questo intervento v. R. T

ETI

, Codice civile e regime fascista. Sull’unificazione del diritto privato, Milano, Giuffrè, 1990, pp. 53-56.

(

16

) La doppia dimensione di Mossa, osservatore e costruttore al tempo stesso, è messa in risalto molto bene da I. S

TOLZI

, Gli equilibri e i ‘punti di vista’: ‘interno’ ed

‘esterno’ nella rappresentazione della dinamica corporativa. Un’ipotesi di dialogo tra Lorenzo Mossa e Widar Cesarini Sforza, in M. S

BRICCOLI

, P. C

OSTA ET AL

., Ordo iuris. Storia e forme dell’esperienza giuridica, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 227-228.

(

17

) Per adoperare un’espressione di P. C

ARONI

, Quelle continuité dans l’histoire

du droit commercial?, in Le droit commercial dans la société suisse du XIX

e

siècle,

Fribourg Suisse, Éditions universitaires, 1997, p. 5.

(9)

alla discussione sui contratti di adesione, ben più vivace che in Italia.

Ne traiamo una significativa conferma da uno scritto successivo, che contiene un ulteriore cenno ai contratti di adesione e ai mezzi per difendere i singoli contro gli squilibri del mercato. Si tratta del saggio Studi su gli usi commerciali del 1922, nel quale Mossa, dopo aver constatato il sempre maggiore proliferare di usi sbilanciati a favore degli interessi dei commercianti (

18

), sostiene che il giudice ha il potere di non applicare usi commerciali non corrispondenti a giustizia: « quando l’uso è ingiusto perché offende il senso di giustizia, con una mancata conciliazione di interessi, o col prevalere di egoismi di classe o categorie, non può applicarsi, senza una precisa volontà della parte », con l’ancor più spiazzante precisazione che il suo riferimento non è « ai principî di giustizia contenuti nell’ordinamento positivo, anche dispositivo », ma « ai principî di giustizia viventi entro la sfera, generale o particolare, degli interessati all’esistenza dell’uso » (

19

).

Un’affermazione di anti-positivismo che non poteva non col- pire, anche nell’universo giuscommercialistico. Una formula che, non a caso, risulterà poco gradita ad Alberto Asquini (

20

). Completa il quadro un ulteriore affondo contro gli abusi contrattuali delle imprese, che Mossa inserisce anche in questo contributo (

21

).

(

18

) Cfr. già V

IVANTE

, I difetti sociali, cit., p. 342; A. S

RAFFA

, La riforma della legislazione commerciale e la funzione dei giuristi, in « Rivista del diritto commerciale », XI (1913), I, p. 1018. Sul fenomeno: T

ETI

, Codice civile e regime fascista, cit., pp. 71-72.

(

19

) L. M

OSSA

, Studi sugli usi commerciali, in « Rivista del diritto commerciale », XX (1922), I, p. 576; I

D

., I problemi fondamentali, cit., p. 22 (dove parla di « elimina- zione » da parte del giudice degli usi contrari alla buona fede).

(

20

) Cfr. nt. 54.

(

21

) « La libertà contrattuale è minacciata dalle coalizioni e dai cartelli che

mirano, con manovre e con mezzi adatti quali i formulari e gli usi, ad imporre la loro

volontà assoluta. La reazione dell’ordinamento giuridico contro queste imposizioni, che

per noi sono una violenza di nuova natura, è fortunatamente in corso. O per la iniquità

dei patti, o per il carattere monopolizzatore dei commercianti che impongono la loro

volontà, si guarda a difendere il singolo che ha contrattato dalla oppressione economica

e dallo sfruttamento giuridicamente mascherato » (M

OSSA

, Studi sugli usi, cit., p. 563). In

nota, l’autore cita lo studio fresco di stampa di Hans Carl N

IPPERDEY

, Kontrahierungsz-

wang und diktierter Vertrag, Jena, Verlag von Gustav Fischer, 1920.

(10)

3. Anni Venti: dalle prolusioni ai saggi critici.

La seconda tappa di questo viaggio è costituita dalle riflessioni degli anni Venti, ricche di interventi significativi alla ricerca di mezzi di tutela contro la disparità di potere contrattuale nei rapporti con le imprese. Il nucleo fondante di tutti è la richiesta a gran voce di un aumento dei poteri del giudice. Il giudice è veramente, per Mossa, l’organo del nuovo diritto privato ‘sociale’. Questo filo conduttore emerge con evidenza nella prolusione sassarese, dedicata al diritto del lavoro, ma con considerazioni che hanno una portata più generale (

22

). Il dato che colpisce maggiormente anche chi si pro- pone di ricavarne indicazioni per l’interpretazione di contratti di- versi da quello di lavoro è infatti l’esaltazione che Mossa fa dell’at- tività del giudice, preferita (in questo momento) a quella del legi- slatore: i numerosi poteri che gli assegna, che travalicano ampia- mente i confini dettati dalle regole del diritto comune, e lo autorizzano non solo a dichiarare nulli patti ingiusti, ma anche a operare la revisione del contratto (

23

). Nel testo è contenuta anche una requisitoria (la prima di tante) contro il diritto romano di cui è imbevuto il diritto civile dei contratti e contro quella che, in un libro conclusivo più tardo, Mossa chiamerà, la « leggenda del diritto

(

22

) L. M

OSSA

, Il diritto del lavoro. Discorso inaugurale della R. Università di Sassari per l’anno accadem. 1922-23, Sassari, Stamperia della Libreria Italiana e Stra- niera, 1923. Condivido la lettura intelligente che di questo scritto e di altri interventi di Mossa dà C

AZZETTA

, L’autonomia del diritto del lavoro, cit., pp. 550-562, alle cui pagine rimando.

(

23

) M

OSSA

, Il diritto del lavoro, cit., pp. 12-13 (corsivi miei): « La garanzia della

generalità, del più debole contro lo schiacciamento contrattuale delle imprese, è doman-

data dagli scrittori, ma non può consistere nello intervento legislativo, che può eludersi

e potrebbe ostacolare lo sviluppo dei contratti, nuocendo agli interessi generali del

commercio e della società. Si rende indispensabile l’intervento del giudice, che non può

essere eliminato dalle clausole di arbitrati, perché esse non sono che un anello della

catena che si salda sulla libertà del contraente. Al giudice deve attribuirsi la facoltà di

modificare il contratto secondo le esigenze della giustizia, e di rifiutare validità a tutti i

patti ingiusti, dettati dall’interesse unilaterale e sfruttatorio di una parte, senza alcun

riguardo per l’interesse dell’altra. Il risultato al quale si deve giungere è l’applicazione di

regole giuste per un contratto ingiusto, e non la semplice e primordiale invalidità assoluta

del contratto, da riservarsi a casi estremi ».

(11)

privato che col crescere dello stato diventa diritto pubblico » (

24

).

Temi che diverranno correnti nelle successive meditazioni.

Vista in tale contesto, la prolusione pisana del 1926 può essere intesa come l’apice di un discorso del tutto in linea con le precedenti riflessioni di Mossa (

25

). È ancora il giudice ordinario, secondo Mossa, il soggetto più idoneo a proteggere gli aderenti contro le insidie dei commercianti. La soluzione migliore per colpire effica- cemente « l’abuso della posizione di superiorità economica della impresa », ripetutamente denunciato, ma mai risolto dalla giurispru- denza o dalla legge, è infatti da ricercarsi nell’interpretazione del contratto attuata dal giudice, più che in speciali norme imperative di legge. Mossa, stavolta, guarda alle soluzioni della prassi giudiziale in prospettiva rovesciata rispetto al saggio del 1919. La sua attenzione, cioè, è polarizzata da quella parte di giurisprudenza che, fedele al principio liberale della forza obbligatoria del contratto, rifiuta di concedere al giudice il potere di annullare singole clausole vessato- rie: « la giurisprudenza è affascinata dall’idea del contratto e della libertà contrattuale, sino al punto di non vedere che bene spesso la libertà di questi contratti è nominale e retorica » (

26

).

Mossa dunque continua a sostenere la necessità di un inter-

(

24

) L. M

OSSA

, Trattato del nuovo diritto commerciale secondo il codice civile del 1942, I, Il libro del lavoro. L’impresa corporativa, Milano, Società Editrice Libraria, 1942.

Per gli altri passi: M

OSSA

, Il diritto del lavoro, cit., pp. 9-10.

(

25

) M

OSSA

, I problemi fondamentali, cit. Il messaggio innovatore di questo scritto è evidenziato da G

ROSSI

, Itinerarii dell’impresa, cit., pp. 1008-1015; S

TOLZI

, L’ordine corporativo, cit., p. 420; A. M

AZZONI

, L’impresa tra diritto ed economia, in

« Rivista delle società », 53 (2008), p. 650.

(

26

) M

OSSA

, I problemi fondamentali, cit., p. 27. Per una ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali del periodo sulla validità delle clausole vessatorie nei contratti di adesione mi permetto di rinviare a G. C

HIODI

, La giustizia contrattuale.

Itinerari della giurisprudenza italiana tra Otto e Novecento, Milano, Giuffrè, 2009, pp.

XXVII-XXXIII, 125-139. Anche ad altro proposito, Mossa accusa la giurisprudenza

« liberale » di « infecondo spirito di neutralità » (espressione notata da S

TOLZI

, Gli

equilibri, cit., p. 236), perché « non ha considerato i valori economici e la realtà sociale »,

perché « non ha suggellato i principî fondamentali di giustizia ben viventi in quel

tempo ». Ciò costituisce una « colpa », molto più che se i giudici non avessero applicato

la legge. Questi passi — tratti da Il diritto del lavoro, il diritto commerciale ed il codice

sociale [1943], in « Rivista del diritto commerciale », XLIII (1945), I, p. 63 — restitui-

scono l’idea che Mossa aveva della responsabilità e della missione produttiva della

giurisprudenza.

(12)

vento giudiziale di controllo del contenuto contrattuale, criticando quella parte di giurisprudenza che chiude ancora gli occhi di fronte agli abusi delle imprese, in nome della libertà contrattuale.

Anche nel 1926, inoltre, Mossa ritiene opportuno sfatare l’opinione comune, favorevole più all’aumento di norme imperative nella disciplina dei singoli tipi contrattuali che al ricorso all’opera discrezionale del giudice (

27

).

L’idea è sempre quella di un giudice che corregga gli squilibri contrattuali attraverso l’interpretazione. Mossa non precisa ulterior- mente il suo pensiero, nel quale sembra ora di scorgere una tensione più oggettiva che in passato: è l’iniquità del formulario, infatti, ad attirare la sua attenzione, più che la reale intenzione dell’aderente. Il confronto con la prolusione sassarese conforta questa lettura del suo pensiero.

Egli richiama ancora in modo netto la necessità di distinguere tra contratti di impresa rivolti ad una generalità di utenti e conclusi attraverso formulari predisposti dai commercianti, e contratti ordi- nari: i primi reclamano una disciplina diversa e differenziata rispetto ai secondi, proprio per il fatto di essere destinati a una pluralità disorganica di singoli. Voler regolare indistintamente i due fenomeni è un errore, pretendere di risolvere il problema con il « lasciar fare della giurisprudenza liberale » è un porsi fuori dalla strada della storia, è chiudere gli occhi di fronte alla nuova realtà economica (

28

).

(

27

) « È vano, forse, domandare aiuto alla legge, la quale non può disciplinare l’immensità delle insidie dei formulari, e dovrebbe limitarsi a suggerire rimedi analoghi a quelli che già la giurisprudenza ha a sua disposizione. Si è detto che la giurisprudenza deve intervenire a favore del debole contro il forte e si è fatta della romantica senza contenuto giuridico. Invece, nella via dell’interpretazione, può forse ripararsi alle iniquità del formulario. E soprattutto si può distruggere un accordo, nel quale una violenza di nuovo genere è esercitata dalla impresa » (M

OSSA

, I problemi fondamentali, cit., p. 27). I limiti delle norme inderogabili, già avvertiti da D

EREUX

(De la nature juridique, cit., pp. 534-535) e in Italia rilevati da Messina, Galizia, Carnelutti (v. i testi cit.

a nt. 101), sono ribaditi da T. A

SCARELLI

, Problemi preliminari nella riforma del diritto commerciale, in « Foro italiano », 62 (1937), IV, c. 34.

(

28

) « Il parallelismo tra contratti di impresa e contratti ordinari è nocivo e

inespressivo. L’impresa è in particolari condizioni di contratto e la sua controparte,

infine, non è il singolo, ma una pluralità, per quanto disunita, di singoli. Col considerare

l’organizzazione del traffico di una determinata impresa, si potrà più facilmente perve-

nire a risolvere una questione sinora insolubile. La conciliazione degli interessi dell’im-

(13)

Non manca un riferimento esplicito al progetto di codice di commercio del 1925, nel quale il legislatore era intervenuto con un primo tessuto di norme inderogabili, previste in relazione a deter- minati tipi contrattuali, allo scopo di privare di efficacia singole clausole abusive. Si tratta, però, per Mossa, di un rimedio frammen- tario, incompleto e in quanto tale non esauriente.

Nel 1927, l’idea di tutela di Mossa appare finalmente chiara e precisa. L’occasione del nuovo intervento è importante: il professore pisano prende direttamente di mira il citato progetto di codice di commercio, formato dalla commissione presieduta da Mariano D’A- melio, che viene passato al setaccio di una lettura complessivamente negativa (

29

). Mossa, innanzitutto, constata nuovamente la separa- zione tra diritto civile e diritto commerciale: « il moderno diritto si separa, non meno di quello che lo ha preceduto, dal diritto privato generale ». L’autonomia del diritto commerciale è un segno distin- tivo dei tempi moderni, che « con l’accentuarne i caratteri uniformi e mondiali accrescono i caratteri distintivi del diritto commerciale », al punto che « il diritto civile, anche se influenzato, a un dato momento, dagli istituti e dai contratti commerciali, viene distanziato dalle nuove ondate che trascinano innanzi il diritto commer- ciale » (

30

). Se tale è la « tendenza moderna » del diritto commer- ciale, il progetto, sotto questo punto di vista, la rispecchia e guada- gna quindi l’approvazione di Mossa che, invece, è decisamente critico riguardo alla struttura del codice. La scena avrebbe dovuto essere occupata dall’impresa, « la forza moderna più operosa del diritto commerciale » (

31

). Il progetto, invece, non ruotava ancora del tutto intorno al concetto di impresa (

32

). Se così fosse stato, esso

presa e della comunità deve finalmente compiersi, e non è certamente compiuta col lasciar fare della giurisprudenza liberale » (M

OSSA

, I problemi fondamentali, cit., pp.

27-28).

(

29

) L. M

OSSA

, Sàggio Critico sul Progetto del nuovo Codice di Commercio, in

« Annuario di diritto comparato e di studi legislativi », I (1927), pp. 170-263.

(

30

) Ivi, p. 179.

(

31

) Ivi, p. 181.

(

32

) Tagliente e ruvido, ma come al solito trasparente e coerente, Mossa ribadirà

il giudizio negativo in un saggio del 1941 che, per le critiche portate al libro quinto del

codice civile, aveva ricevuto da Asquini il veto di pubblicazione sulla « Rivista del diritto

commerciale », dove comparve solo nel 1946: « L’aurora di questo diritto dell’impresa

(14)

non avrebbe trascurato di regolare i contratti di adesione, che erano i più importanti contratti di impresa. I compilatori vengono pertanto accusati, per questa lacuna grave, di aver confessato tacitamente la loro impotenza ovvero la loro incapacità di risolvere un problema che incombeva da decenni.

Mossa innanzitutto rivendica energicamente la disciplina al codice di commercio e non al codice civile, poiché si tratta « di un fatto essenzialmente commerciale » (

33

). Lamenta poi la carenza nel progetto di norme sull’interpretazione dei contratti posti in essere dalle imprese attraverso formulari (

34

). Non tutti i contratti com- merciali, quindi, né tutti i contratti delle imprese, ma solo i « con- tratti delle imprese col pubblico, conchiusi a mezzo dei formulari »:

è questo il problema al quale il codice doveva dare una risposta precisa. A questo riguardo, Mossa compie un’altra osservazione importante. Si tratta, a suo avviso, di distaccarsi da una visuale prettamente individualista. L’interpretazione dei contratti di ade- sione, infatti, « va compiuta al lume degli interessi della impresa, unica contraente da un lato, e della generalità considerata nell’in- sieme dei contraenti dall’altro lato » (

35

). Il giudice, quindi, deve considerare non gli interessi dei singoli contraenti, ma quelli della generalità di essi: « è solamente nei confronti della generalità che può dirsi se il contratto è equo od iniquo » (

36

). Mi sembra, quindi,

noi l’avevamo vista splendere quando i riformatori del codice di commercio, nel progetto del 1925, lo cullavano ancora nella decrepita culla dell’atto di commercio » (Contributo al diritto dell’impresa ed al diritto del lavoro, in « Archivio di studi corporativi », XII (1941), p. 77, e con qualche variante in « Rivista del diritto commerciale », XLIV (1946), I, p. 114). Sulla vicenda: T

ETI

, Codice civile e regime fascista, cit., pp. 242-243 nt. 126.

(

33

) M

OSSA

, Sàggio Critico, cit., p. 187.

(

34

) « Il problema è, a parer nostro, un problema di validità del negozio, in quanto è un problema di interpretazione » (ibidem).

(

35

) Sulla differenza tra interessi della collettività e interessi di categoria cfr. S.

R

ODOTÀ

, Condizioni generali di contratto, buona fede e poteri del giudice, in Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, Atti della Tavola rotonda tenuta presso l’Istituto di diritto privato dell’Università di Catania, 17-18 maggio 1969, Milano, Giuffrè, 1970, pp. 88-89.

(

36

) M

OSSA

, Sàggio Critico, cit., p. 188. Coerente a se stesso, quando Mossa, nel

1940, partecipa al convegno pisano sui princìpi generali del diritto, presenta una regola

di interpretazione dei contratti predisposti dalle imprese, così formulata: « Nell’inter-

pretazione degli accordi o contratti precostituiti dalle imprese l’interesse comune dei

(15)

del tutto opportuno presentare Mossa come un convinto assertore dell’uso della buona fede come « strumento di controllo di una operazione economica » (

37

) e farne risaltare la posizione originale, e perciò singolare, nel dibattito del suo tempo (

38

).

Il rimedio proposto da Mossa consiste nel potere giudiziale di dichiarare nulle le clausole inique o, per usare il lessico specifico, contrarie a buona fede (

39

). La logica dalla quale si pone ora Mossa non è più volontaristica, ma oggettiva. Il grimaldello è il principio di buona fede, clausola generale comune al diritto civile e commerciale, ma presente anche nelle riflessioni dei teorici del giusliberismo (

40

).

Tecnicamente audace, per l’uso correttivo dell’equità e della buona fede, la proposta, come precisa Mossa, non si estende fino al punto di dotare il giudice anche del potere di revisione del contratto:

« non si ammette il potere di rivedere o modificare il contratto per parte del giudice » (

41

). In altri termini, una volta dichiarata la nullità

soggetti e quello della generalità sono considerati insieme a quello proprio della vitalità e della fortuna dell’impresa » (L. M

OSSA

, Regole fondamentali della vita del diritto, in Studi sui principî generali dell’ordinamento giuridico fascista, a cura della Facoltà di giurisprudenza e della Scuola di perfezionamento nelle discipline corporative della R.

Università di Pisa, Pisa, Arti grafiche Pacini Mariotti, 1943, p. 371, Contratto. III).

(

37

) Per usare il lessico di R

ODOTÀ

, Condizioni, cit., p. 90, cioè « strumento di difesa dei consumatori contro le imposizioni delle grandi imprese » (I

D

., Ipotesi sul diritto privato, in Il diritto privato nella società moderna, Bologna, il Mulino, 1971, p. 20).

(

38

) La riflessione di Mossa segna, a mio avviso, una discontinuità nell’uso della clausola di buona fede nel dibattito post-unitario, poiché essa non serve a ribadire l’intangibilità della volontà delle parti o a difendere i confini del diritto civile individuale e, pur essendo impiegata come strumento di controllo della giustizia del contratto, non esclude l’intervento di norme imperative, nell’ambito di una articolata serie di tutele a favore dei consumatori. Su questi temi è fondamentale G. C

AZZETTA

, Codificazione ottocentesca e paradigmi contrattuali: il problema del lavoro (2009), in I

D

., Codice civile e identità giuridica nazionale. Percorsi e appunti per una storia delle codificazioni moderne, Torino, Giappichelli, 2011, pp. 163-188, specialmente pp. 180-188.

(

39

) « Il sistema che noi proponiamo consiste nel dichiarare nulle le clausole dei contratti-formulari delle imprese, che ledono in modo inusitato e contro la buona fede, gli interessi della generalità dei contraenti » (M

OSSA

, Sàggio Critico, cit., p. 188).

(

40

) È rivelatore M

OSSA

, Trattato, cit., p. 89: « Come fonte di diritto sono concepiti i bisogni del traffico, e tutto il diritto si vuole dominato dalla regola generale della buona fede. L’adeguazione degli interessi in collisione nei diversi rapporti costi- tuisce un pernio del diritto libero ».

(

41

) M

OSSA

, Sàggio Critico, cit., p. 188.

(16)

della clausola iniqua, il giudice potrà eventualmente colmare la lacuna ricorrendo alle comuni fonti di integrazione del contratto: il contratto stesso, il diritto legale, l’uso commerciale. Mossa, quindi, fa marcia indietro rispetto alle sue precedenti posizioni, avvertendo forse l’audacia estrema della sua strategia. In ogni caso, ancora una volta, egli si dimostra favorevole ad ampliare i poteri del giudice. La tutela dell’aderente è compito del giudice ordinario (

42

), nell’ambito dell’interpretazione del contratto: attività ermeneutica che, sul piano delle categorie civilistiche, a dire il vero, è intesa in senso lato, comprendendo poteri di interpretazione in senso stretto, di invali- dazione e di correzione dell’accordo.

La proposta, oltre che poco ortodossa rispetto alle tecniche elaborate dalla dottrina di quel periodo — basterebbe ricordare, a tal proposito, l’affermazione lapidaria di Alfredo Ascoli, secondo il quale « la buona fede non può far sì che il contratto non sia stato stipulato con tutte le sue clausole » (

43

) — lo era anche sotto altri punti di vista. Mossa non era un legalista. Le sue simpatie (o, per meglio dire, le sue aperture) nei confronti del diritto libero erano note. La soluzione da lui proposta, tuttavia, non cadeva in un ambiente favorevole a svilupparla. Le critiche, infatti, arrivarono puntuali, e da un commercialista non solo autorevole ma anche politicamente integrato nel regime, come Alberto Asquini (

44

), che scrisse una risentita replica alle pungenti osservazioni del professore pisano: « Non occorrono commenti per intendere che questa è una formula buona solo per un codice di diritto libero. Ma noi non crediamo neppure possibile trovare un’altra formula generale da sostituire a quella proposta da Mossa. Il problema prospettato da

(

42

) « Basta una semplice norma di interpretazione, come quella proposta, a portare l’equilibrio nelle contrattazioni delle imprese, formando poi per sé stessa come il centro di un sistema di interpretazione che dottrina e giurisprudenza possono ben costruire lentamente, con la continua esperienza » (ibidem).

(

43

) A. A

SCOLI

, Contratto fatto su modulo a stampa. Uso e consuetudine deroga- toria, in « Rivista di diritto civile », III (1911), p. 111. La buona fede, quindi, in questa accezione, conduceva a un risultato diametralmente opposto a quello immaginato da Mossa e serviva a rafforzare il principio della forza obbligatoria dei contratti (secondo la volontà delle parti), invece che a limitarlo.

(

44

) V. ora C. M

ONTAGNANI

, Il fascismo “visibile”. Rileggendo Alberto Asquini,

Prefazione di G. Cottino, Napoli, Editoriale Scientifica, 2014.

(17)

Mossa ammette, a nostro avviso, solo soluzioni legislative limitate ai diversi tipi di contratto: assicurazione, trasporto, pegno, vendita, ecc., come ne dànno esempio le legislazioni straniere e il nostro progetto per il nuovo codice di commercio » (

45

).

Il pangiudizialismo di Mossa si infrangeva contro lo statalismo rocchiano di Asquini, difensore del potenziamento del diritto com- merciale attraverso l’aumento di norme inderogabili, e ostile all’uso di clausole generali gestite dalla giurisprudenza, vissuto come un radicalismo pericoloso e arbitrario (

46

).

E infatti, nel progetto di codice di commercio del 1925, non mancavano norme inderogabili a tutela degli aderenti dettate per singoli tipi contrattuali. Nel contratto di trasporto di cose, ad esempio, troviamo sancita l’inderogabilità delle norme sulla respon- sabilità del vettore, « salvo per i trasporti eseguiti a tariffe speciali adeguatamente inferiori alle tariffe ordinarie » (art. 448). Nel con- tratto di assicurazione, il mancato pagamento del premio assicura- tivo alla scadenza non determinava la risoluzione immediata del contratto (art. 466), e la clausola di rinnovazione tacita del contratto non poteva avere effetto che di anno in anno, salva comunque la

(

45

) A. A

SQUINI

, Codice di commercio, codice dei commercianti o codice unico di diritto privato?, in « Rivista del diritto commerciale », XXV (1927), I, p. 515, anche in I

D

., Scritti giuridici, v. I, Padova, Cedam, 1936, pp. 25-48. Negli Scritti, cit., p. 37 nt. 2, è da notare una sfumatura semantica: « formula buona solo per creare, non per risolvere le questioni ». Lo scritto, come ricorda P. C

APPELLINI

, Il fascismo invisibile. Una ipotesi di esperimento storiografico sui rapporti tra codificazione civile e regime, in « Quaderni fiorentini », 28 (1999), p. 244 nt. 85, nella versione pubblicata in Bollettino dell’Istituto di diritto comparato annesso alla R. Università Commerciale di Trieste, II, Padova, Cedam, 1928, conteneva una postilla (p. 92) in cui il tono di Mossa era definito

« messianico ». La replica di Mossa si trova nel suo Trattato, cit., p. 60: « Invano si vollero ridurre al silenzio i suoi fautori, bellamente chiamati: messia del diritto dell’im- presa. Il progetto era stato colpito nel cuore e non era più che un ricordo storico ».

(

46

) Si possono ricordare, allora, anche i dubbi e le rigidità di S

ALANDRA

, I

contratti di adesione, cit., p. 525 (« male peggiore di quello che si vuole evitare, perché

la funzione del giudice ne verrebbe eccessivamente ampliata ») e p. 530 (significativa-

mente anche contro Staub e Düringer-Achenburg). Ma altresì, in piena temperie

corporativa, le riserve di A. G

RECHI

, Proprietà e Contratto nella evoluzione sociale del

diritto del lavoro, Firenze, Casa Editrice Poligrafica Universitaria del Dott. Carlo Cya,

1935, p. 145. Ancora F. F

ERRARA JR

., Lorenzo Mossa, in « Rivista di diritto civile », III

(1957), p. 380, osserva: « Certo l’impostazione è pericolosa. La giustizia sociale che si

invoca appare un concetto vago e suscettibile di diversi apprezzamenti ».

(18)

facoltà di disdetta fino a trenta giorni prima della scadenza, nono- stante qualsiasi patto contrario (art. 471).

Nel replicare ad Asquini nel 1928, tuttavia, Mossa difenderà fermamente la soluzione giudiziale, precisando ancora di non aver inteso conferire al giudice anche un potere di revisione, ma solo di interpretazione del contratto: « solo per questa via può ritrovarsi il valore del contratto; può rinvenirsene il contenuto essenziale. La libertà contrattuale deve finalmente salvaguardarsi dal prepotere delle imprese. Ed è nella strada maestra della interpretazione, di questa squisita opera del giudice, che il valore del formulario va ricercato. La conciliazione degli interessi è sempre presente in quest’opera, che avvicina il giudice al legislatore, pur senza confe- rirgli un potere di revisione del contratto » (

47

).

I due giuristi rimanevano distanti: Mossa favorevole a un intervento generale che facesse perno sul giudice e sulle sue valuta- zioni; Asquini contrario a controlli giudiziali e decisamente schierato per soluzioni legislative, caso per caso, tipo per tipo, tramite norme specifiche di natura imperativa e di diritto commerciale. In realtà, vi era un più ampio contrasto di fondo tra Mossa e Asquini, nel concepire il diritto e le sue fonti. Per Asquini era imprescindibile il ricorso a norme imperative di diritto commerciale che, come tali, costituivano un limite e un argine insuperabile anche per la norma- zione corporativa: « la infrangibile subordinazione del nuovo diritto contrattuale corporativo al diritto codificato dallo stato » come fattore di ordine e certezza (

48

). Asquini avversava le tendenze

(

47

) L. M

OSSA

, Per il nuovo codice di commercio, in « Rivista del diritto com- merciale », XXVI (1928), I, p. 32.

(

48

) A

SQUINI

, L’unità del diritto commerciale, cit., p. 52. Questo limite posto da Asquini alla normazione corporativa è ricordato da G. F

ERRI

, Alberto Asquini giurista, in

« Rivista del diritto commerciale », LXIII (1965), I, p. 419, e sottolineato da T

ETI

, Codice

civile e regime fascista, cit., p. 107; S

TOLZI

, L’ordine corporativo, cit., pp. 417 e 418-419

per la differente posizione di Mossa; G. C

OTTINO

, L’impresa nel pensiero dei Maestri degli

anni Quaranta, in « Giurisprudenza commerciale », XXXII (2005), I, pp. 10-11. Lo

stesso Giuseppe Ferri, brillante allievo di Asquini, nel 1940, approverà l’uso di questa

tecnica di protezione del contraente debole nel progetto di codice di commercio

approntato sotto la direzione dello stesso Asquini. Cfr. G. F

ERRI

, L’impresa nel sistema

del progetto del codice di commercio, in « Diritto e pratica commerciale », XIX (1940), I,

p. 201: « occorreva pertanto non solo richiedere una maggiore evidenza delle clausole

(19)

centrifughe sia dei contratti-tipo sia del diritto corporativo, accen- tuando la supremazia del diritto commerciale statuale. Mossa, invece, riteneva che il giudice potesse assolvere una funzione impor- tante di garanzia, nel sindacato sull’equilibrio contrattuale (

49

), anche perché aveva una visione più complessa dell’ordinamento giuridico (

50

).

La preferenza di Asquini per interventi legislativi, più che giudiziali, tesi a incidere sul contenuto dei contratti di adesione e, a monte, dei contratti-tipo, traspare anche dal saggio sull’unità del diritto commerciale (

51

), pubblicato nel 1931 anche nella raccolta di studi in onore di Cesare Vivante che, nella fase ultima della sua carriera si era intensamente occupato di contratti di adesione, contratti-tipo e di diritto corporativo (

52

).

I c.d. contratti-tipo (contratti normativi contenenti le condi- zioni generali di contratto che le imprese intendono osservare nei loro contratti individuali) ponevano seri problemi, che erano sotto

più importanti contenute nel formulario, ma sopratutto fissare nel codice una serie di norme inderogabili da parte dell’imprenditore. Questo sistema è stato appunto seguito per il contratto di assicurazione, per i contratti di trasporto, per il contratto di somministrazione ».

(

49

) Sul contrasto tra Mossa e Asquini circa la struttura del codice di commercio v. T

ETI

, Codice civile e regime fascista, cit., pp. 91-99; C

APPELLINI

, Il fascismo invisibile, cit., pp. 242-244; C

OTTINO

, L’impresa, cit., pp. 7-12.

(

50

) A conferma delle due diverse visioni del diritto, si consideri quanto ha occasione di scrivere Mossa, in un passo lucidamente rivelatore: « generalità di regole dominanti e senza casuistica, sono invece i contrassegni del codice sociale. Un codice è, tanto più sociale e rivoluzionario, quanto meno è perfetto, quanto più è generale, e quanto meno è tecnico » (M

OSSA

, Il diritto del lavoro, il diritto commerciale, cit., p. 72).

V. invece A. A

SQUINI

, Diritto commerciale, a. a. 1936-1937, Roma, Gruppo dei Fasci Universitari dell’Urbe Editrice - S.A. Vibo, [1937], p. 37: « la giustizia che garantisce l’ordine sociale è la giustizia che ha una base certa nel diritto positivo, non la giustizia ‘di gomma elastica’, che l’interprete può soggettivamente preferire secondo le sue ten- denze ». Il brano conferma la distanza tra Mossa e Asquini, che depura e nella sostanza

« sterilizza » le aperture al sociale di Mossa, come rileva in modo convincente C

AZZETTA

, L’autonomia del diritto del lavoro, cit., pp. 564-569, 566.

(

51

) A. A

SQUINI

, L’unità del diritto commerciale e i moderni orientamenti corpo- rativi, in Studi di diritto commerciale in onore di Cesare Vivante, II, Roma, Società Editrice del « Foro italiano », 1931, pp. 521-545 e in « Il diritto del lavoro », V (1931), I, pp. 9-20, anche in I

D

., Scritti giuridici, I, Padova, Cedam, 1936, pp. 49-70.

(

52

) V. gli scritti cit. a nt. 116.

(20)

l’occhio di molti altri cultori della materia. Asquini, in questo intervento, manifesta infatti la preoccupazione che i contratti-tipo, soprattutto quelli unilaterali, conclusi cioè da associazioni di cate- goria rappresentanti i medesimi interessi, destinati a valere anche nei confronti di categorie contrapposte non sindacalmente organizzate (come i consumatori (

53

)), vengano considerati, in maniera troppo disinvolta, come veri e propri usi commerciali, cioè fonti del diritto opponibili a tutti gli interessati indipendentemente dalla conoscenza e dal loro consenso, e pone alcune precise condizioni per arginare il fenomeno. Sottolinea inoltre che i contratti-tipo non possono dero- gare alle norme imperative di diritto commerciale e ai principi di ordine pubblico, questi ultimi, tuttavia, da non intendersi « come un sentimento di giustizia sociale, ben difficilmente afferrabile », come egli precisa con il dichiarato intento di contrapporsi a Mossa, troppo sensibile alle « vedute di certe correnti scientifiche di sfondo giu- snaturalistico largamente sviluppate nella letteratura germa- nica » (

54

). A questo proposito, è lo stesso Asquini a manifestare la sua preferenza per una maggiore torsione imperativa del diritto commerciale (

55

): una legge commerciale, come sottolinea, « tradi- zionalmente anche troppo dispositiva » (

56

). Mentre Mossa, in altri termini, guardava anche al giudice come garante dell’equilibrio contrattuale, Asquini rimaneva convinto che il problema fosse me-

(

53

) Sulla distinzione tra contratti-tipo unilaterali e bilaterali (derivata da Hueck e Lotmar, e adottata in Italia da Carnelutti e Messina), e sui relativi problemi giuridici, si può fare riferimento al coevo studio di S

ALANDRA

, I contratti di adesione, cit., che contiene una utile messa a punto alle pp. 507-515 (§§ 11-13). Cfr. anche I

D

., Manuale di diritto commerciale, v. II, Bologna, Dott. Cesare Zuffi Editore, 1950

2

, pp. 19-20. Il diritto corporativo ne avrebbe, di lì a poco, sviluppato la disciplina inaugurata dalla legge Rocco del 1926.

(

54

) A

SQUINI

, L’unità del diritto commerciale, cit., p. 56.

(

55

) « Ma sono pienamente d’accordo con quanti reclamano de jure condendo dalla legge commerciale un maggiore contenuto imperativo, perché la preoccupazione legislativa del dogma della libertà, giustificabile in una economia individualistica, diviene una colpevole abdicazione in un’economia retta da potenti forze organizzate, come è l’economia moderna. Il miglior modo di valorizzare i contratti-tipo, sia sul terreno strettamente contrattuale, sia su quello degli usi commerciali è quello di impedirne gli abusi col dare un più energico contenuto volitivo e imperativo alla legge commerciale » (ibidem).

(

56

) Ivi, p. 59.

(21)

glio risolubile con interventi legislativi, eventualmente anche più incisivi, come nel caso dell’esistenza di veri e propri monopoli, per i quali si poteva dunque optare per un regolamento legale impera- tivo, come nei trasporti ferroviari, o per un controllo amministrativo sulle condizioni generali di contratto, come nel campo assicurativo, confidando sulle sanzioni amministrative nel caso di inosservanza nei singoli contratti individuali delle condizioni preventivamente appro- vate (

57

). Negli anni Trenta, come vedremo, a questo quadro ven- nero apportate significative aggiunte dal diritto corporativo.

Si può ritenere che l’opzione per il giudice sia stata ispirata a Mossa anche dalle sue predilette letture degli autori tedeschi: rife- rimenti non mancano, nel corso delle sue opere, al dibattito in corso nell’ambiente scientifico germanico caratterizzato, come è noto, dal protagonismo dei tribunali e dall’impiego delle clausole generali dei

§§ 138 e 242 BGB (

58

). A lettore così onnivoro e attento non poteva sfuggire l’orizzonte che queste prospettive schiudevano anche all’in- terprete italiano.

Ne traiamo ulteriore conferma dal programma del corso di diritto commerciale pisano del 1929-30, che è uno schema illumi- nante, perché dimostra lo spazio anche didattico che Mossa inten- deva offrire al tema dei formulari e dell’interpretazione dei contratti

(

57

) Ibidem. Il § 14 del citato saggio di S

ALANDRA

, I contratti di adesione, pp.

515-522, riassume utilmente i vari tipi di intervento legislativo e amministrativo previsti dalla legislazione speciale. Cfr. in seguito anche la disamina accurata di Ascarelli, negli scritti cit. infra, nt. 77.

(

58

) Tra gli autori presenti nella sua biblioteca non manca uno dei padri del diritto dell’economia, J.W. Hedemann, con opere quali Deutsches Wirtschaftsrecht. Ein Grundriss, Berlin, Junker und Dünnhaupt Verlag, 1939 (di cui v. in particolare le importanti riflessioni sulle condizioni generali di contratto, pp. 296-305), ma anche Das Bürgerliche Recht und die neue Zeit, Jena, Gustav Fischer, 1919. Sul personaggio, da ultimo, v. F. M

AZZARELLA

, Percorsi storico-giuridici dell’impresa. Dall’« enterprise » all’« Unternehmen », Palermo, Carlo Saladino Editore, 2012, pp. 93-99. Tra le letture di Mossa compaiono anche la monografia di L. R

AISER

, Das Recht der allgemeinen Geschäfts- Bedingungen, Hamburg, Hanseatische Verlagsanstalt, 1935, e il saggio di A. K

ÖTTGEN

, Zur Lehre von den Rechtsquellen des Wirtschaftsrechts, in Festschrift Justus Wilhelm Hedemann zum sechzigsten Geburtstag am 24. April 1938, Hrsg. R. Freister, G.A.

Löning, H. C. Nipperdey, Jena, Frommannsche Buchhandlung Walter Biedermann,

1938, pp. 353-367.

(22)

di impresa (

59

). Poiché inoltre questa parte è solo sfiorata e non sviluppata nel suo Diritto commerciale, pubblicato in due parti nel 1937, lo schema redatto nel 1929-30 è essenziale per comprendere appieno il significato dell’insegnamento pisano. Si avverte ancora una volta la carica riformista di Mossa, che non si accontenta di segnalare il problema della tutela del contraente debole di fronte alle imprese, ma afferma che la ricerca di mezzi concreti di protezione, stanti le lacune del diritto positivo, è « necessità del diritto commer- ciale » e dovere inderogabile della dottrina e della giurispru- denza (

60

). Ammette, tuttavia, che non vi è accordo sulle strade da percorrere. È da escludere senz’altro che il giudice possa rifiutarsi di intervenire, asserendo che il contratto è formalmente perfetto e validamente concluso con l’accettazione: chi opta per questa solu- zione, osserva causticamente Mossa, dimostra di essere suggestio- nato dalla logica individualistica, che non può funzionare per i contratti in serie. I rimedi devono essere trovati su altri piani.

Innanzitutto, su quello dell’interpretazione. Ecco dunque Mossa riproporre il criterio dell’interpretazione delle clausole secondo la volontà dell’aderente: interpretazione soggettiva, dunque.

Ma non è tutto. Mossa infatti ammette chiaramente anche il potere del giudice di annullare le clausole contrarie alla buona fede,

« nel senso che opprimono l’interesse del singolo, senza una ragione di protezione per l’interesse dell’impresa » (

61

). In questa materia, peraltro, egli afferma che il problema più delicato non riguarda tanto il potere di annullamento, che gli appare scontato, quanto quello di revisione del contratto. Che anche questo secondo potere, ben più invasivo nei confronti dell’autonomia privata e contrario alla conce- zione classica e civilistica del contratto, si debba viceversa ammettere è conclusione del tutto logica per Mossa (

62

), che non ragiona sulla

(

59

) L. M

OSSA

, Programma del corso di Diritto Commerciale per l’anno 1929-30 nella R. Università di Pisa, Pisa, Nistri-Lischi, 1933, pp. 42-44.

(

60

) Ivi, p. 42.

(

61

) Ivi, p. 43.

(

62

) V. anche L. M

OSSA

, Diritto commerciale, Parte prima, Milano, Società

Editrice Libraria, 1937, p. 276: « nell’interpretazione la opera del giudice è preziosa,

perché non solamente fissa il contenuto reale, e gli effetti giuridici del negozio, ma può

spingersi sino a integrarlo [...] se non addirittura a modificarlo ». A p. 410, un’altra

significativa ammissione: « L’impugnativa del contratto per il divario tra dichiarazione e

(23)

base della concezione civilistica (individualistica) del contratto, come scrive lui stesso, ma del contratto tra impresa e consumatori, esclusi i contratti tra imprenditori, che a suo avviso si pongono su un piano di presunta parità di potere. Anche per questi contratti, tuttavia, alla fine gli appare configurabile un potere di revisione del giudice, qualora sia accertato lo « schiacciamento » (termine squisi- tamente mossiano) di un’impresa ai danni di un’altra, soprattutto se piccola (

63

).

Possiamo concludere questa fase densa di risposte concrete con un accenno al progetto del 1931 sul contratto di assicurazioni, che si collega bene con quanto constatato finora. Un prodotto notevolissimo di tecnica legislativa che, per quanto concerne il nostro tema, offre preziose conferme della sensibilità e della com- petenza con la quale il professore pisano trattava il tema dei contratti di adesione (

64

). Soffermiamoci essenzialmente sulle tecniche di tutela dell’assicurato. Notiamo che Mossa conserva l’attitudine ti- pica di articolare una pluralità di piani di tutele, che comprende norme che impongono vincoli di forma e di trasparenza (una novità), norme inderogabili (già presenti nel progetto di codice di commercio del 1925), norme interpretative, e si estende fino ad ampliare i poteri del giudice, come rimedio ulteriore rispetto a

realtà, non ha contropartita, in diritto attuale, a favore dell’assicurato. Le polizze sono dichiarate inimpugnabili, per quanto siano possibili equivoci o inganni, l’impossibilità di leggere spesso non è considerata ragione di impugnabilità. Ora è noto il sistema di stampare, in modo ultraminuto e inavvertibile, le clausole d’assicurazione. A mettere sull’avviso i contraenti, si dispone da parte di altre leggi, la necessità di enunciare in maniera inequivocabile, a caratteri manifesti, le clausole più importanti per l’assicurato.

Il rimedio alle clausole eccessive, non sta tanto in codeste modalità, quanto nella affermata rivedibilità delle clausole ». V. già I

D

., Compendio del diritto di assicurazione, Milano, Giuffrè, 1936, p. 18 e p. 50.

(

63

) M

OSSA

, Programma, cit., p. 44. Di « schiacciamento giuridico » Mossa parla anche in Diritto del lavoro, cit., p. 12; I

D

., Principii del diritto economico, I. Nozione e presupposti e scopi del diritto dell’economia (1934), in I

D

., L’impresa nell’ordine corpora- tivo, cit., p. 89. Di « schiacciamenti tragici » scrive in I

D

., Il diritto del lavoro, il diritto commerciale, cit., p. 74 (come già osservato da S

TOLZI

, Gli equilibri, cit., p. 237).

(

64

) L. M

OSSA

, Saggio legislativo sul contratto di Assicurazione, in « Archivio di

studi corporativi », II (1931), pp. 203-275. L’annesso progetto di legge fu utilizzato in

Messico: A. A

SQUINI

, Lorenzo Mossa (1957), in I

D

., Scritti giuridici, III, Padova, Cedam,

1961, p. 43.

(24)

quello approntato dalle norme imperative, secondo la tipica attitu- dine mossiana di ampliare lo spettro delle fonti del diritto, inclu- dendovi anche la giurisprudenza.

Questa stratificazione di interventi è particolarmente palese nell’articolo VI del progetto, specificamente dedicato alla condizioni generali del contratto di assicurazione (

65

).

Nel commento al progetto, Mossa compie osservazioni molto interessanti per capire il suo metodo di lavoro. Dichiara innanzitutto che le leggi speciali sul contratto di assicurazione, a partire da quella tedesca del 1908, hanno inaugurato delle tecniche di tutela del contraente debole che sono poi state applicate ad altri contratti di massa (

66

). Il primo sistema è quello delle regole cogenti, che Mossa chiama « sistema coattivo compatto » (

67

). Si può dunque imporre alle parti un determinato contenuto contrattuale. Le sanzioni, in caso di violazione, possono essere diverse. La sanzione della nullità assoluta è la più frequente: le clausole contrarie sono colpite da nullità, in quanto illecite. Contro questa forma di « dirigismo con- trattuale » — per usare la nota formula di Louis Josserand (

68

) —

(

65

) « Nessuna clausola di nullità o di decadenza può considerarsi valida se non è in caratteri evidenti sulla polizza sottoscritta dal contraente. Nessuna clausola che impone obblighi per il contraente o assicurato, oltre quelli di legge, può considerarsi valida, quando pure non sia di per sé nulla, se non è giustificata dalle necessità dell’impresa, ed a condizione che non sia iniqua. Le clausole ingiustificate o inique sono nulle o possono adeguarsi all’esercizio dell’impresa e all’equità. Nel caso di divergenza tra condizioni generali d’impresa e polizza si applicano le clausole più favorevoli al contraente » (M

OSSA

, Saggio legislativo, cit., p. 254).

(

66

) Per una visione d’insieme: L. R

AISER

, La libertà contrattuale oggi (1959), in I

D

., Il compito del diritto privato. Saggi di diritto privato e di diritto dell’economia di tre decenni, a cura di C.M. Mazzoni, trad. it. di Die Ausgabe des Privatrechts. Aufsätze zum Privat- und Wirtschaftsrecht aus drei Jahrzehnten, Kronberg im Taunus, Athenäum Verlag, 1977, a cura di M. Graziadei, Milano, Giuffrè, 1990, pp. 49-69, specialmente pp. 64-65.

(

67

) M

OSSA

, Saggio legislativo, cit., p. 208.

(

68

) L. J

OSSERAND

, Le contrat dirigé, in Dalloz, Recueil hebdomadaire de jurispru- dence, 1933, Chronique, pp. 89-92, trad. it. Considerazioni sul contratto “regolato”, in

« Archivio giuridico “Filippo Serafini” », IV s., XXVIII (1934), pp. 3-21, da contestua-

lizzare e coordinare con gli altri numerosi contributi sul tema del civilista lionese,

secondo le linee interpretative fornite da J.-P. C

HAZAL

, L. Josserand et le nouvel ordre

contractuel, in « Revue des contrats », 2003, p. 325 e ss.; I

D

., La protection de la partie

faible chez Josserand, ou la tentative de maintenir le compromis républicain, Colloque sur

la pensée de Josserand, Lyon, 21-22 mars 2013 (on line: SciencesPo, École de droit).

(25)

che limita fortemente la libertà contrattuale delle parti (e in parti- colare delle grandi imprese), Mossa non ha nulla da obiettare, a differenza degli interlocutori d’oltralpe. Ritiene però che il legisla- tore non debba escludere altre forme di tutela. La più dirompente è quella della clausola generale di salvaguardia, usata dalla legge svedese e proposta anche da Hans Adler nel suo progetto di legge sulle assicurazioni (

69

). Essa consiste nel potere concesso al giudice di valutare se gli obblighi ulteriori previsti dalle parti nell’esercizio della loro libertà contrattuale siano giustificati alla luce degli inte- ressi dell’impresa e degli assicurati, con la possibilità di dichiarare nulle le clausole inique e di procedere alla revisione del contratto (come nella legge svedese). Siamo dunque sul piano del controllo giudiziario del contenuto del contratto. Mossa, naturalmente, accede a questa idea più di avanguardia e coerente con il suo progetto di diritto privato sociale.

4. Contratti di adesione, contratti-tipo e diritto corporativo.

Negli anni Trenta prende forma una differente soluzione del problema della tutela dei consumatori affidata ai contratti-tipo conclusi dalle categorie organizzate sindacalmente, agli accordi eco- nomici collettivi e alle norme corporative, visti come fonte di un nuovo diritto equo, in sostituzione oppure in alternativa agli usi (

70

).

La nuova via interseca inevitabilmente anche il diritto commerciale e i suoi cultori (

71

), dando vita ad un ventaglio di posizioni articolate e non del tutto coincidenti. Il dibattito corporativo coinvolge, come è ben noto, anche Lorenzo Mossa, che vi partecipa con il rango di protagonista (

72

). È del 1930 il manifesto a favore del modernismo

(

69

) M

OSSA

, Saggio legislativo, cit., p. 209.

(

70

) Il fenomeno, dominante negli anni Trenta, è opportunamente registrato da G

ROSSI

, Scienza giuridica italiana, cit., pp. 213-214; 235-238, 251-252.

(

71

) S

TOLZI

, L’ordine corporativo, cit., pp. 4-7, 303, 393. Della stessa studiosa, v.

anche l’ottima sintesi Lo Stato corporativo, in Il contributo italiano alla storia del pensiero.

Diritto, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2012, pp. 497-503.

(

72

) M

OSSA

, Contributo, cit., p. 111: « Nelle affermazioni corporative l’impresa

formava come un fiume per il passaggio di idee e di istituti che i giuristi tradizionali

stentavano ad accogliere ».

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