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Smart working: il 37% ha perso i buoni pasto, il 35% ha compra

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Academic year: 2021

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LAVORO

di Rita Querzè|11 giu 2021

Nelle scorse settimane abbiamo proposto un sondaggio online, in 15 domande, sulla lunga esperienza di «smart working» che ha vissuto l’Italia, a causa della pandemia da Covid 19 e ai ripetuti lockdown che hanno limitato attivita economiche e spostamenti nel Paese. Qui, l’esito del sondaggio tra i lettori del Corriere.it (clicca per i risultati), al quale hanno risposto

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Smart working: il 37% ha perso i buoni pasto, il 35% ha compra

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quasi 10 mila persone. Le domande erano estratte da un sondaggio più ampio che la Fim, il sindacato dei meccanici Cisl, propone ai propri iscritti: l’indagine è ancora in corso ed è svolta con la collaborazione di Adapt e università Cattolica.

Diversi gli spunti di riflessione emersi. «Sul diritto alla disconnessione non ci siamo — rileva il segretario generale della Fim Cisl, Roberto Benaglia — Altro tema delicato: tre quarti dei rispondenti non ha avuto ristoro dall’azienda su spese vive sostenute per lavorare da casa. Queste risposte ci dicono che ci sono lacune molto forti che devono essere colmate. Serve l’intervento della contrattazione. E il continua prolungare lo smart working in emergenza non aiuta la negoziazione di un assetto stabile».

Mancanza di organizzazione e informazioni nel 49% dei casi

La maggior parte di chi ha risposto opera nei servizi. E questo è in linea con una modalità di lavoro che per sua natura è meno diffusa nel settore manifatturiero. La metà dei rispondenti (il 49%) non ha ricevuto informazioni sul lavoro agile. «Questo dato ci dice che è stato attivato per oltre la metà dei casi senza alcuna strategia, solo per gestire l’emergenza. Cosa ne sarà dopo, visto che non c’è stato un ragionamento organizzativo? È tutto da capire», dice Emmanuele Massagli, presidente Adapt.

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La quantità di lavoro aumenta nel 66% dei casi

Il 66% dice di aver lavorato più ore di quante previste dal contratto e più ore, comunque, di quanto lavorava prima. «E’ una risposta diffusa, coincide con altre evidenze in merito — dice Massagli —. Potrebbe essere una percezione personale ingigantita e non una certezza, ma dimostra che tendenzialmente quando si è a casa non si lavora meno. Magari si lavora peggio o meglio, quindi cambia la qualità del lavoro, ma la quantità di lavoro non diminuisce, semmai aumenta complice la maggiore disponibilità oraria».

Diritto alla disconnessione tutto da applicare

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