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1. L'antonimia come relazione di opposizione binaria

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1. L'antonimia come relazione di opposizione binaria

Con il termine relazioni semantiche si intendono tutte quelle relazioni che si vengono ad instaurare tra due o più parole sulla base del loro significato, e che risultano in qualche modo rilevanti per la strutturazione lessicale o concettuale delle informazioni. Vengono comunemente considerate tali la sinonimia, l'antonimia e l'iperonima, insieme a molte altre, talvolta anche prive di una precisa denominazione linguistica. Tali relazioni, stando all'analisi strutturalista, possono essere di due tipi: paradigmatiche e sintagmatiche.

«A paradigmatic relation is one in which the related words constitute a set of potentially substitutable expressions, including antonymy, synonymy, and hyponymy. A paradigmatic approach [...] is therefore one that focuses on the semantic properties that define such sets.

Syntagmatic relations are relations of collocation and co-occurrence. A syntagmatic (or contextual/use) approach describes the meaning of a word as its uses across contexts […].» (Jones et al., 2012, pp, 7-8)

De Saussure (1916) è il primo a proporre questa distinzione parlando di rapporti

sintagmatici e rapporti associativi come una delle dicotomie centrali nel

funzionamento del linguaggio1. Secondo il padre dello strutturalismo, infatti, in uno “stato di lingua” tutto poggia sui rapporti, dove il valore di un elemento dipende, in maniera diretta o indiretta, dai rapporti che questo instaura con gli altri elementi ed il loro valore. In questa visione, le relazioni sintagmatiche si istituirebbero quindi in

presentia, tra due o più elementi presenti allo stesso modo in un enunciato,

mentre quelle paradigmatiche in absentia, grazie alle associazioni mnemoniche. De Saussure compara l'unità linguistica a un colonna; il rapporto che la lega all'architrave che la sorregge è di tipo sintagmatico, in quanto si instaura tra due elementi presenti allo stesso momento nello spazio, è invece di tipo associativo il

1 Le altre dicotomie individuate sono: sincronia – diacronia, langue – parole, significante –

significato. Queste sono coppie di nozioni antitetiche che forniscono importanti strumenti per

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rapporto tra il tipo d'ordine della colonna, ad esempio dorico, e gli altri possibili ordini (ionico, corinzio,...).

I due approcci, quello paradigmatico e quello sintagmatico, da questo punto di vista, sembrano porsi in netto contrasto tra loro o, comunque, procedono su due binari paralleli. In realtà, se consideriamo l'antonimia (o relazione di contrasto), ci accorgiamo dello statuto speciale che essa riveste all'interno delle relazioni semantiche e rispetto ai due differenti approcci. Questa infatti, se pur sempre classificata tra le relazioni paradigmatiche, come è reso evidente dalla citazione precedente, esibisce anche caratteristiche di una relazione sintagmatica, motivando così il suo studio anche sotto questo aspetto.

Prima di approfondire i diversi approcci con cui, nel corso degli anni, è stata studiata l'antonimia è però opportuno chiarire le caratteristiche più generali di questa relazione, che le garantiscono un ruolo di primo piano e particolarmente interessante da approfondire.

A differenza delle altre relazioni semantiche, l'antonimia richiede una relazione binaria; ovvero del tipo uno ad uno, e non uno a molti o molti a molti, come accade invece per la sinonimia o l'ipo/iperonimia, che non limitano il numero di elementi che entrano in relazione. L'antonimo di caldo comunemente riconosciuto è uno solo, freddo; per contro la stessa parola può avere numerosi sinonimi (bollente,

ardente, scottante...), anche se consideriamo la sola dimensione della

temperatura. Per quanto riguarda l'iperonimia (o relazione di inclusione), invece, ci troviamo in un caso di relazione gerarchica, per cui per ogni parola, ad esempio

cane, è possibile individuare il termine sovraordinato, animale, e di questo quello

ulteriormente sovraordinato, mammifero, denotante un campo semantico più esteso del precedente e che comprende entrambi i termini precedenti.

Gli antonimi, pertanto, si presentano come coppie di antonimi, dove le due parole risultano semanticamente collegate da una relazione di contrasto.

Da ciò deriva un'altra importante caratteristica dell'antonima:

«it is a fact of which the linguists must take cognizance, that binary opposition is one of the most important principles governing the structure of

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languages; and the most evident manifestation of this principle is antonymy”» (Lyons, 1977, p. 271)

Il contrasto e l'opposizione non sembrano governare soltanto la struttura della lingua, ma risultano essere principi di carattere generale anche nell'organizzazione del pensiero umano. Vi è una vera e propria tendenza a categorizzare l'esperienza in termini di relazioni binarie di contrasto, che rende ancora più interessante lo studio della sua manifestazione linguistica.

«[...] opposites are interconnected and dependent on one another in real life, and […] they thereby also give rise to one another, suggesting that opposites only exist in relation with one another.» (Paradis et al., 2012, p. 2) Comprendere l'antonimia non è quindi solo una questione che riguarda il sapere quale parola è il contrario di un'altra e come queste possono essere utilizzate sintatticamente, ma anche il perché ciò accade, considerando non solo il livello linguistico ma anche quello concettuale.

Tornando alla binarietà, da un punto di vista più strettamente linguistico, non è difficile rendersene conto. Se prendiamo infatti in considerazione due enunciati del tipo

1. Qual è il contrario di caldo? 2. Qual è un sinonimo di caldo?

ci rendiamo immediatamente conto che l'enunciato (1) non solo ha una sola risposta possibile, ovvero “freddo”, ma tale risposta sarà molto probabilmente condivisa dalla totalità del parlanti. L'enunciato (2), per contro, come già detto, ha molteplici risposte possibili, e ciò è reso ancora più evidente dall'utilizzo dell'articolo indeterminativo.

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of the relation are those that either belong to semantic sets that naturally have only two members or are the polar categories of something (a dimension, an object, an event) that can be described in terms of a scalar dimension.» (Jones et al., 2012, p. 1)

Nel primo caso, si tratta di coppie del tipo maschio – femmina, i due unici sessi per cui vi sono nomi di uso comune; nel secondo caso, invece, si tratta di aggettivi che descrivono una dimensione scalare (basso – alto) o che rappresentano i poli opposti di cose o eventi nel tempo o nello spazio (inizio – fine).

La linguistica teorica ha a lungo concentrato il suo interesse per l'antonimia su quest'ultima distinzione, differenziando tra antonimi scalari e antonimi non-scalari, sulla base delle loro proprietà semantiche. Approfondiremo i diversi tipi di antonimi, e la loro classificazione in tassonomie, successivamente, anche se questi non sembrano avere un ruolo nel modo in cui gli l'antonimia è rappresentata nel lessico mentale.

Bisogna notare, inoltre, che esistono anche dei contrast-set, che non sembrano rispettare tale binarietà, come ad esempio il gruppo delle emozioni {felice, triste,

arrabbiato...} o quello dei colori. Questi non sono considerati opposti prototipici

nelle classificazioni cui abbiamo appena accennato. Anche in questo caso, tuttavia, i parlanti scelgono una sola delle opposizioni possibili e la individuano come “migliore” e, quindi, rappresentativa. Si può pertanto supporre che sia la relazione stessa ad essere influenzata dalla binarietà, piuttosto che il contrario (Murphy, 2008, p. 182).

Vi sono poi altre proprietà che segnano un netto confine tra la relazione di sinonimia e quella di antonimia; quest'ultima è stata infatti definita come “irriflessiva, simmetrica e intransitiva”, contrariamente alla sinonimia, che sarebbe una relazione “riflessiva, simmetrica e transitiva”. Tali caratteristiche sono strettamente connesse con la binarietà, infatti affermando che gli antonimi sono “irriflessivi” si intende dire che un'unità lessicale non può essere antonimo di se stessa, richiedendo necessariamente un'altra parola che svolga tale ruolo. L'antonimia, inoltre, a differenza della sinonimia, non è una relazione “transitiva”:

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«For example, tall is the opposite of short and short is the opposite of long, but this does not make tall the opposite of long.» (Murphy, 2008, p. 181) La questione della “simmetria” è invece leggermente più complessa, in quanto se pure gli antonimi sono logicamente simmetrici2 e la relazione vigente è caratterizzata dalla reciprocità, ciò non implica che i due termini della coppia abbiano una distribuzione altrettanto simmetrica

«This can be seen in word-association tasks, where word A might elicit its antonym B, but B might not elicit A to the same degree. For example, table's most common response, chair, was given by 83.3% of subjects in the Minnesota norms (Jenkins 1970), but chair elicited table in only 49% of the subjects.» (Murphy, 2008, p. 184)

Ciò può essere dovuto sia all'asimmetria che si riscontra tra i denotata delle parole, sia al fatto che uno dei due termini può essere semanticamente marcato rispetto all'altro. Sono stati proposti diversi criteri per determinare quale sia il membro della coppia marcato e quale no, ma comunemente viene individuato come termine non marcato quello che può essere utilizzato in maniera neutra. Secondo Lehrer, il membro non-marcato è utilizzato nelle domande (Quanto è

alto? e non Quanto è basso?), può essere nominalizzato (caldo > calore), è privo

di affisso, è giudicato come “positivo” da un punto di vista connotativo, non dà luogo a letture inferenziali (ovvero non esprime già un giudizio del parlante su quello che si sta dicendo, è quindi interpretativamente neutro) e, nel caso di aggettivi che descrivono quantità, è quello che ne denota un possesso maggiore. In realtà, ciò che è importante è che le parole non sono marcate o non-marcate in sé, ma in relazione l'una con l'altra, in dipendenza dai parametri che adottiamo per tale definizione e dal contesto d'uso.

La marcatezza, pertanto, non può essere rappresentata nel lessico, ma è “context-dependent”. Se consideriamo, ad esempio, gli aggettivi di misurazione, solitamente il membro non-marcato è quello che denota una quantità maggiore

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(alto), il marcato quello che ne denota una minore (basso). Entrambi gli aggettivi descrivono una direzione rispetto ad un punto neutrale, e sono pertanto simmetrici, ma mentre alto descrive la direzione che si allontana da un punto 0,

basso individua quella che va verso tale punto 0.

«Thus, their meanings are symmetrical to the extent that both describe directions in relation to a neutral point (for sentences like I am tall), but they are asymmetrical in contexts that require measurement from the zero point rather than the neutral point [...]» (Murphy, 2008, p. 186)

I diversi pattern di distribuzione, quindi, piuttosto che essere causati dalla marcatezza, specificata nel lessico, possono essere spiegati sulla base della nostra conoscenza concettuale su come funzionano le misurazioni, e quindi in base a principi di salienza cognitiva di carattere generale e a fattori di tipo pragmatico.

La relazione di opposizione è quindi simmetrica nella misura in cui gli antonimi sono simmetrici rispetto alle proprietà che esprimono, in quanto «word pairs occupy the opposite sides of the midpoint» (Jones et al., 2012, p. 142).

Inoltre, vi sono alcuni studiosi (Justeson e Katz, 1991) che spiegano l'intera relazione di antonimia sulla base della simmetria, in quanto è possibile rintracciare una serie di strutture sintattiche simmetriche in cui i due termini della coppia co-occorrono. L'ipotesi, chiamata co-occurrence hypothesis, sostiene che la forte associazione tra i membri di una coppia di antonimi sia dovuta all'alta frequenza con cui questi co-occorrono in specifici pattern sintattici, del tipo X e/o Y e tra X e

Y. Inoltre tali strutture sono costruite in maniera parallela, il contesto lessicale in

cui occorre uno dei membri è infatti quasi identico a quello in cui occorre il secondo, per cui i due membri sono intercambiabili e possono quindi essere sostituiti l'un l'altro.

Il fatto che molte coppie di antonimi mostrino una distribuzione di associazione asimmetrica, però, mette in dubbio una delle tradizionali teorie sull'antonimia, quella di tipo paradigmatico, la substitutability hypothesis, secondo la quale l'antonimia sarebbe una relazione paradigmatica, e quindi due parole si

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troverebbero in tale relazione se sostituibili in ogni contesto.

Possiamo, a questo punto, riformulare le caratteristiche principali dell'antonimia come segue:

«[…] there are two foundational components of oppositeness: binarity and a salient mutual orientation. Opposite meanings are binary in the sense that they mutually exhaust a domain. A salient mutual orientation is created if they are aligned along a dimension» (Jones et al., 2012, p. 142)

Stando così le cose possiamo, a ragione, domandarci: cosa significa che due parole sono in una relazione di opposizione? Che sono contrari o antonimi?

A partire dagli studi di filosofia del linguaggio, spesso la relazione di opposizione è stata definita in termini di incompatibilità logica; ciò significa che se un referente può essere descritto da uno dei membri di una coppia di antonimi, è impossibile che si possa ugualmente utilizzare l'altro membro per descriverlo. Se una persona è un uomo, non può quindi essere anche una donna.

Gli antonimi descriverebbero referenti incompatibili e la relazione di antonimia sarebbe quindi paragonabile alla negazione, inerentemente binaria. Il problema è però piuttosto complesso, e lo approfondiremo successivamente.

L'incompatibilità logica, tuttavia, non risulta essere un criterio sufficiente per descrivere tale relazione, in quanto ci sono numerose coppie di lessemi incompatibili dal punto di vista semantico e/o logico che non vengono però utilizzati come antonimi. Un esempio può essere la coppia di parole libreria e

bicchiere: anche se un qualsiasi oggetto non può essere sia libreria che bicchiere

allo stesso tempo, ciò non implica che questi siano opposti. Inoltre

«Defining antonymy as referential incompatibility would mean that hot,

boiling, steamy, warm, scorching, and many other words would be equally

appropriate as antonyms for cold in any context, since all these words describe states that are incompatible with coldness.» (Murphy, 2008, p. 11)

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Ma, come è stato precedentemente notato, gli antonimi sembrano essere inerentemente binari, e la coppia caldo – freddo è quella preferita rispetto a tutte le altre possibili combinazioni.

Il punto è che un'opposizione di tipo semantico non può essere spiegata soltanto in termini di differenza di significato, ma è necessario prendere in considerazione anche la similarità. Citando Lyons, infatti, bisogna tenere presente che «oppositions are drawn along some dimension of similarity» (Lyons, 1977, p. 286). Le parole prese prima in esempio, libreria – bicchiere, non sono sufficientemente simili. In una coppia come caldo – freddo (o bianco – nero), invece, si rispetta il principio di “minimal difference”

«[...] black and white are readily construed as antonyms because (a) they are incompatible, in that they cannot refer to the same colour, and (b) white shares with black more properties that are relevant to linguistic-semantic opposition than other possible antonyms for black, and vice versa, in that

black and white are the only two basic colour terms that refer to unmixed,

achromatic colours.» (Jones et al., 2012, p. 3)

Pertanto, una coppia di antonimi è da ritenersi tale se le due parole coinvolte nella relazione sono tra loro “massimamente simili” e “minimamente differenti” rispetto ad una delle proprietà rilevanti per l'opposizione. Cruse (1986), in questo caso parla di un vero e proprio paradosso, in quanto due membri di una coppia sembrano essere allo stesso tempo “vicini” e “lontani”. Semanticamente, infatti, sono massimamente distinti in quanto esprimono significati opposti; ma vi è una sorta di “forza magica” capace di riconciliare e unire i due antonimi, che si manifesta nella distribuzione quasi identica di questi.

«The paradox of simultaneous difference and similarity is partly resolved by the fact that opposites typically differ along one dimension of meaning: in respect of all other features they are identical, hence their semantic closeness; along the dimension of difference, thay occupy opposing poles, hence the feeling of difference.» (Cruse, 1986, p. 197)

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Bisogna notare però, che, secondo la prospettiva contestualista proposta dalla Murphy (2003), le proprietà rilevanti per il contrasto variano a seconda del contesto di uso. In un caso, la proprietà saliente potrebbe essere quella morfologica, mentre in un altro quella sintattica o connessa al ritmo, la connotazione o il registro. Una parola può quindi avere antonimi diversi a seconda del contesto e, di conseguenza, «any opposition can be licensed within an appropriate context» (Jones et al., 2012, p. 4). Ad esempio nell'enunciato

Preferisco l'erba alta a quella tagliata, alta – tagliata formano una coppia di

antonimi grazie all'esplicitazione del contesto (l'erba) e al parallelismo della struttura sintattica. In un enunciato del tipo Il partito da ineleggibile è diventato

inarrestabile, invece, oltre al pattern da X a Y in cui spesso co-occorrono gli

antonimi, vi è una componente morfologica (il prefisso in-) che rende la coppia

ineleggibile – inarrestabile minimamente differente.

Questo approccio mette in evidenza la componente semantica della relazione di antonimia, contrariamente a quello di scuola strutturalista, secondo il quale, se pur prendendo in considerazione la “minima differenza”, le relazioni sono proprietà stabili tra le parole, e quindi si vengono ad instaurare principalmente tra lessemi, e non tra significati.

Tali differenti prospettive verranno affrontate e valutate nelle prossime sezioni, facendo notare come un approccio contestualista ci permetta non solo di chiarire alcune delle problematiche sollevate dall'antonimia, ma anche di sviluppare un modello plausibile dal punto di vista psicolinguistico e pragmatico.

Per il momento consideriamo, ad esempio, i colori. Ci troviamo, in questo caso, con un numero più alto di candidati alla relazione, che abbiamo detto essere binaria. Nel contesto dei semafori, verde e rosso si comporteranno come antonimi, in quanto hanno due “significati” opposti. In un altro contesto, una partita di calcio o un gioco a squadre, rosso potrebbe invece contrastare con blu, o giallo. Negli scacchi, invece, si ha la coppia bianco – nero, la cui relazione di opposizione sembra meglio stabilita in quanto estendibile anche ad altri contesti (magia, colore della pelle...).

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possibile individuare variazioni a seconda del contesto

«In particular contexts, sweet can have any number of antonyms, including

salty (in discussing snack foods), bitter (chocolate), hot (peppers), dry

(wine) and so forth.» (Murphy, 2008, p. 173)

Se, però, in un contesto neutro domandiamo ad un parlante anglofono quale sia l'antonimo di sweet, è molto probabile che la risposta sia sour, e sia inoltre condivisa da tutti o quasi tutti i parlanti. Non accadrebbe la stessa cosa con l'esempio precedente, se, cioè, domandassimo qual è l'antonimo di rosso o verde; in questo caso difficilmente riceveremmo una risposta o, in ogni caso, una risposta condivisa da un numero significativo di parlanti.

Ciò accade poiché coppie come sour – sweet (o bianco – nero, caldo – freddo) sono esempi migliori di antonimi, in quanto rispettano in toto il principio di minima differenza – massima similarità. In questo caso spesso le coppie antonimiche restano tali anche al variare del contesto o in un'ampio gruppo di contesti possibili. L'antonimo di caldo sarà freddo non solo quando si parla di acqua o cibo, ma anche se ci riferiamo al carattere di una persona o al tempo atmosferico.

Queste coppie prendono il nome di coppie canoniche, o di antonimi diretti nel modello associazionista di WordNet. Chiariremo successivamente la differenza tra le due diverse etichette, che presuppongono due diversi approcci all'antonimia e alla più generale organizzazione del lessico mentale.

Il punto, adesso, è che, diversamente dagli altri tipi di relazioni, i parlanti hanno forti intuizioni rispetto al fatto che i vari tipi di relazione di opposizione possibili sono considerabili come un'unica categoria di PAROLE OPPOSTE o ANTONIMI. Come abbiamo appena notato, inoltre, ci sono alcune coppie di antonimi, le coppie canoniche, che vengono giudicate esempi migliori di antonimia rispetto ad altre, e i parlanti sono perfettamente in grado di valutarlo. La cosa ancora più interessante è che vi sia un consenso (quasi) unanime nell'identificazione di tali coppie.

In una serie di test associativi, infatti, Deese (1964) nota che un ristretto gruppo di aggettivi, quelli più comuni, non solo riceve come risposta l'antonimo per ognuno di essi, ma tale relazione è reciproca: A è la risposta più frequente a B, e

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viceversa. Ad esempio, nel caso delle coppie caldo – freddo e dentro – fuori, nella quasi totalità dei casi il primo membro ha elicitato il secondo tanto spesso quanto il secondo ha elicitato il primo.

A questo punto sorgono spontanee alcune domande: come si raggiunge tale consenso? Ovvero, perché queste coppie sono associate in modo così forte? Che tipo di relazione si viene allora ad instaurare tra i due membri di una coppia di antonimi? Si tratta di una relazione lessicale o semantica?

Nelle sezioni seguenti cercheremo di fornire delle risposte a queste domande, così da chiarire alcuni aspetti di questa relazione, che sembra essere così rilevante per l'organizzazione del lessico mentale e del linguaggio. Ciò che è importante, però, è che lo studio dell'antonimia deve affidarsi a dati empirici, alle intuizioni stesse dei parlanti, per poter avere una solida base su cui poggiare.

Nel corso degli anni, sono stati utilizzati due principali metodi per raccogliere e valutare tali dati: gli esperimenti psicolinguistici e le ricerche corpus-based. Per quanto riguarda il primo, sono stati condotti numerosi esperimenti di valutazione (dare un punteggio alla bontà di opposizione di una coppia di aggettivi), elicitazione (fornire il migliore opposto per un aggettivo dato) e priming3. I risultati hanno messo in evidenza l'esistenza di coppie di antonimi canoniche (caldo –

freddo, alto – basso, bianco – nero) e di altre non-canoniche (caldo – fresco, alto – piccolo, bianco – scuro) poste lungo un continuum; che le coppie canoniche

sono individuate come tali più velocemente e che i due membri tendono a richiamare l'uno l'altro in alcuni test associativi, mentre quelle non-canoniche hanno una più alta dipendenza dal contesto. Le ricerche corpus-based hanno invece mostrato che gli antonimi co-occorrono in una frase notevolmente più spesso di quanto ci si aspetterebbe sulla base dei test di significatività statistica (tra le 3 e le 5 volte), spostando l'attenzione sull'aspetto sintagmatico dell'antonimia e permettendo di rintracciare i frame sintattici in cui i membri di una coppia co-occorrono. Analizzeremo poi tali risultati nel dettaglio.

3 Il priming è un fenomeno del sistema cognitivo umano, e consiste nell'effetto di facilitazione che si verifica quando il processare uno stimolo (prime) facilita il riconoscimento di uno stimolo successivo (target). Ciò significa che i due stimoli hanno qualche tratto comune rilevante e sono quindi cognitivamente associati. Nel caso della linguistica, l'effetto di priming si ha se il riconoscimento di una parola è facilitato dalla precedente presentazione di un'altra; le due parole sono quindi in un qualche tipo di relazione (semantica, sintattica,...).

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Infine, vi sono due ulteriori questioni da approfondire brevemente: la preferenza ad investigare coppie antonimiche di aggettivi e l'importanza, o meno, della veste morfologica degli antonimi.

Nella letteratura, come si può in parte notare dagli esempi precedenti, è stata dedicata molta più attenzione alle coppie antonimiche di aggettivi, rispetto ad altre classi, come i nomi ed i verbi. Ciò non significa che non vi siano antonimi tra queste (ad esempio la coppia giorno – notte è comunemente considerata tale), ma che gli aggettivi si presentano come gli esempi migliori e più frequenti, poiché

«they often describe a single property that can be had to greater or lesser degree – as opposed to the complex conglomerations of properties that many nouns typically represent and the temporal and argument-structure complexity of verbs.» (Jones et al., 2012, p. 4)

Il fatto che gli aggettivi descrivano una singola proprietà permette, quindi, di garantire il principio di minima differenza-massima similarità più facilmente.

Per quanto riguarda invece la questione morfologica è facile notare come in molte lingue vi sia frequentemente la compresenza di antonimi morfologicamente derivati (attraverso l'uso di specifici prefissi, di solito con valore privativo), ad esempio la coppia logico – illogico, e di altri opachi, ovvero non ottenuti tramite un processo di derivazione morfologica. Un esempio di questi ultimi può essere la coppia felice – triste, i cui due membri non hanno alcuna relazione da un punto di vista morfologico; esiste però l'aggettivo infelice, opposto a felice in ugual misura ed ottenuto da questo tramite l'aggiunta del prefisso -in. Dal momento che esiste tale capacità produttività è opportuno domandarsi perché i parlanti spesso la ignorano, preferendo gli antonimi opachi.

Gross, Fischer e Miller ritengono che i “veri” antonimi siano proprio quelli derivati morfologicamente, in quanto renderebbero immediatamente evidente come la relazione di opposizione sia una relazione puramente lessicale, tra coppie di parole e non tra coppie di concetti.

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relazione semantica, e non lessicale, per cui la loro non sembra una spiegazione sufficiente. Il motivo della presenza di antonimi opachi è innanzitutto dovuto alla loro alta frequenza ed alla semplicità semantica vista poc'anzi. Inoltre, questi non implicano che il concetto sia prima asserito e poi negato (tramite il prefisso), ma il diretto accesso al concetto opposto, agevolando il processing semantico.

«By Zipf's Principle of Least Effort (1949), we expect the most frequently used concepts to be encoded by shorter and simpler words, and so it is valuable to have a simple antonym to married (single), even though a morphologically complex antonym (unmarried) is available.» (Murphy, 2008, p. 202)

Per concludere, va fatta una breve precisazione in merito alla terminologia usata. Nel lavoro che segue adotterò i termini opposizione e antonimia nell'accezione impiegata da Jones et al.. (2012) nel loro lavoro di ricerca.

«We use antonymy to refer to the pair-wise relation of lexical items in contexts that are understood to be semantically opposite […]. We use the term opposite to refer to the semantic relation between antonym pairs – that is, antonyms are understood to have meanings that are opposed to one another in a given context.» (Jones et al., 2012, p. 2-3)

Tale uso di antonimia è piuttosto ampio e vi possono rientrare tutte le classi di parole (aggettivi, nomi, verbi etc), contrariamente all'uso che ne viene fatto da altri teorici, primo fra tutti Lyons, che restringono il termine ai soli aggettivi e, nello specifico, ad un sottogruppo di questi: quelli scalari e contrari. Questi sono tutti quegli aggettivi che descrivono una proprietà che può essere posseduta ad un grado minore o maggiore e che si trovano in una opposizione “contraria”, ovvero dove l'asserzione di uno dei membri della coppia implica la negazione dell'altro (long – short).

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1.1

I tipi di antonimi

Nel corso degli anni gran parte della ricerca svolta sull'antonimia si è focalizzata sull'individuare e definire diversi tipi di opposizioni, che possono a loro volta essere ulteriormente suddivisi in altri sottotipi, creando una vera e propria tassonomia. Tali distinzioni sono state fatte sulla base di una definizione dell'antonimia come relazione logica, dove il rapporto vigente tra i membri di una coppia antonimica non si basa sempre sullo stesso tipo di inferenza.

«So, for example, the opposition of parent/child contributes to the entailment relation between Nancy is John's parent and John is Nancy's

child, whereas the opposition between brother/sister does not force an

entailment between David is Bill's brother and Bill is David's sister.» (Murphy, 2002, p. 188)

In realtà, ciò non risulta essere particolarmente rilevante nel giudizio dei parlanti, le cui intuizioni sull'antonimia e il contrasto rendono necessaria una categoria prototipica di OPPOSIZIONE, indipendente dalle definizioni logiche. Vale la pena, però, soffermarsi sulla tassonomia comunemente definita “standard”, proposta da Lyons (1977) e successivamente perfezionata da Cruse (1986), in quanto permette di approfondire alcune ulteriori questioni.

La prima distinzione va fatta tra antonimi scalari o unbounded ed antonimi

non-scalari o bounded.

Un aggettivo è definito scalare se descrive una proprietà (o uno stato, o un'azione) che può essere posseduta ad un grado maggiore o minore. Gli antonimi scalari sono chiamati contrari, in quanto, da un punto di vista logico, l'asserzione di uno dei membri della coppia implica la negazione dell'altro, ma non viceversa. Inoltre

«Unbounded antonyms such as wide and narrow occupy opposite poles of a scale, and hence they are in the possession of more or less of the conceptual content of the given domain. They are counter-directional which

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means that when intensified they move away from one another in opposite directions of the scale. Extreme values of wide and narrow only tend towards the extreme but actually never reach an end-point.» (Paradis e Willners, 2006, p. 1052)

Tra i due poli in opposizione vi è una pivotal area, una sorta di zona “di mezzo”, che rende perfettamente accettabili enunciati del tipo «this road is neither wide nor narrow». Infatti gli aggettivi unbounded si combinano solo con modificatori scalari, del tipo very o fairly.

Questi, in ambito strutturalista, sono gli unici aggettivi ad essere etichettati con il termine antonimi.

Si possono poi individuare una serie di sotto-tipi degli antonimi scalari sulla base del tipo di scala in cui sono coinvolti o della loro distribuzione linguistica. Affidandosi a questo secondo parametro, in particolare osservando il comportamento nelle “how questions” e la possibilità di nominalizzazione, Cruse distingue antonimi polari (es. alto – basso), antonimi sovrapposti (es. buono –

cattivo) e antonimi equipollenti (es. caldo – freddo). Queste coppie di aggettivi

mostrano una distribuzione asimmetrica in relazione alla marcatezza: sono formate da un termine marcato ed uno non marcato. Tendenzialmente l'aggettivo non marcato è quello che denota il possesso maggiore di una proprietà, che può essere nominalizzato (si ha altezza da alto, ma non *bassezza da basso) e che viene utilizzato nelle domande del tipo “Quanto è lunga questa corda?” rendendo l'enunciato non solo linguisticamente accettabile ma anche neutro per quanto riguarda l'interpretazione; una domanda del tipo “Quanto brutto è quel libro?”, invece, presuppone già un giudizio in merito al libro in questione (che sia un “brutto libro”). In realtà, come già detto in precedenza, identificare quale sia il membro marcato e quale sia quello non marcato è una questione più complessa di così.

«[...] markedness is context dependent, as is evident in the semantic realm of natural (as opposed to grammatical) gender. For example, while the masculine gender is commonly claimed to be unmarked and the feminine

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marked in English, it is the feminine that is unmarked and the masculine marked when referring to occupations that are tipically held by women.» (Murphy, 2008, p. 185)

Ciò è evidente anche nel caso degli aggettivi scalari, in primo luogo poiché la scala su cui operano dipende dalle proprietà del referente, ad esempio un “piccolo orso” è di per sé più grande di un “piccolo gatto”. Inoltre, se prendiamo ad esempio il caso degli aggettivi di misura, possiamo stabilire che qualcosa è lungo oppure corto solo in base a dove tale entità si colloca sulla scala in relazione al punto neutrale 0, che è determinato dal contesto.

FIGURA 1.1 – Concettualizzazione degli antonimi scalari

Passando ora agli antonimi non-scalari, questi sono coppie che nella loro interpretazione di default dividono in maniera esaustiva un dominio in due sotto-domini. Solitamente si combinano con modificatori assoluti, del tipo totally o

almost, anche se vi sono delle eccezioni, come ad esempio la coppia pari – dispari che non sembra possibile combinare né con questo tipo di modificatori né

tantomeno con quelli di tipo scalare. Gli antonimi non-scalari sono definiti

complementari, in quanto, da un punto di vista logico, l'asserzione di uno dei

membri della coppia implica la negazione dell'altro e viceversa.

«'She is dead', entails that 'she is not alive' and 'she is alive' entails that 'she is not dead'. Because of this absolute divide, the expression 'she is neither dead nor alive' comes across as paradoxical.» (Paradis e Willners, 2006, p. 1052)

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FIGURA 1.2 – Concettualizzazione degli antonimi non scalari

Tuttavia, la maggior parte degli aggettivi bounded permette anche una lettura di tipo scalare. L'esempio precedente può infatti essere interpretato come «almost dead» o «half alive», presupponendo sia un boundary che una scala di riferimento.

La stessa cosa accade con la coppia antonimica vuoto – pieno

«[...] either 'empty' or 'full', they are both bounded in the sense that they are associated with a definite limit, but when they are combined, a scale is construed between the two boundaries.» (Paradis e Willners, 2006, p. 1053)

I due aggettivi si combinano infatti con modificatori assoluti dando luogo a enunciati perfettamente accettabili ma, allo stesso tempo, tra i due poli vi è un'area di mezzo che ci permette di individuare un momento in cui, ad esempio, un bicchiere non è totalmente pieno ma neanche totalmente vuoto.

FIGURA 1.3 – Concettualizzazione degli antonimi vuoto - pieno

Vi sono inoltre alcuni aggettivi scalari che possono però combinarsi con modificatori assoluti generando enunciati corretti, come in «(absolutely) terrific,

(18)

conclusive della scala di riferimento. Paradis nota che, in questo caso, l'interpretazione valutativa dell'enunciato è soggettiva.

La distinzione tra i due tipi di antonimi vista fino a questo momento è senza dubbio la più rilevante. Lyons e Cruse, però, ne individuano anche altri tipi minori, tra cui vale la pena citare:

– Conversi: denotano due prospettive differenti e speculari di una relazione o di un'azione. Es. genitore – figlio, comprare – vendere

– Reversivi: denotano il cambiamento, verso direzioni opposte, di azioni o stati. Es. vestire – svestire, cadere – alzarsi

Vi sono poi alcune coppie di antonimi che non appartengono a nessuna delle categorie citate in precedenza.

Quest'evidenza, unita ai due casi problematici esposti in precedenza, mette in luce come le definizioni dei vari tipi di antonimi in termini logici non siano adatte a spiegarne il reale comportamento. Rispetto alla negazione, ad esempio, i pattern di inferenza possibili sono molto più numerosi di quelli individuati da Cruse e Lyons, e sono fortemente dipendenti dal contesto.

Tutti questi tipi di antonimi possono quindi essere trattati come un unico gruppo, basato sul principio di minima differenza – massima similarità.

«Alternative readings of lexical items are formed in context through construals that operate on their content and configuration structures. More specifically for gradable4 adjectives, this means that on the occurrence of use, meaning may be construed on the basis of scales and/or boundaries due to the contextual requirements that form the current readings. The suitable reading is construed on the basis of a relevant portion of the meaning potential of the lexical items motivated by context and

4 In questo caso con “gradable” si intendono sia gli aggettivi scalari che quelli non-scalari, in quanto si possono combinare con i modificatori (che questi ultimi siano assoluti o scalari è quindi irrilevante).

(19)

communicational demands.» (Paradis e Willners, 2006, p. 1054)

Ciò che diviene interessante approfondire è, quindi, come gli antonimi si comportano nei differenti contesti d'uso.

1.2

Antonimia e negazione

Come si è visto fino a questo momento, l'antonimia è spesso stata paragonata alla negazione, in quanto si tratta in entrambi i casi di fenomeni di opposizione binaria. Un'enunciato negato è infatti in relazione binaria con la sua controparte affermativa, così come un aggettivo lo è con il suo antonimo.

L'accostamento dei due fenomeni è reso legittimo, inoltre, se consideriamo l'esistenza degli antonimi morfologicamente derivati. I prefissi utilizzati nella derivazione hanno infatti un valore privativo; in- in infelice, allo stesso modo di

'non felice', indica l'assenza di FELICITÀ, ovvero della proprietà espressa

dall'aggettivo, e si oppone pertanto a felice. Sia l'antonimia che la negazione esprimono pertanto stati tra loro incompatibili, in quanto denotano un'entità che ha o meno una certa proprietà o si trova o meno in un certo stato.

In realtà, però, l'uso di un antonimo fornisce molte più informazioni del solo aggettivo negato e vedremo, infatti, che non sempre coppie del tipo largo – non

stretto/stretto – non largo e morto – non vivo/vivo – non morto sono interpretate

come sinonimi negli stessi contesti.

Nella semantica tradizionale la negazione è un operatore logico secondo il quale, data la verità di p, ¬p (non p) risulta falso. Se la interpretiamo in questo modo, possiamo sostenere che il suo ruolo è quello di stabilire un confine preciso al significato di un aggettivo.

Nel caso in cui l'aggettivo in questione negato abbia un antonimo, allora, è possibile predire che la sua interpretazione sarà in un rapporto di sinonimia con il suo antonimo lessicalizzato.

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ad una definizione dei vari tipi di antonimi sulla base della loro interazione con la negazione. In termini logici due antonimi p e q sono in opposizione contraria (sono quindi contrari) “sse se X è p, allora non è q”; mentre per i complementari vale la relazione “se X è p, allora X non è q e se X non è q, allora X è p”. Seguendo tali definizioni, pertanto, non largo sarà sinonimo di stretto e non stretto sarà sinonimo di largo, e allo stesso modo vivo sarà uguale a non morto e morto a non vivo. Tale interpretazione sembra quindi valere sia per le strutture bounded che per quelle unbounded.

Il punto è che, come abbiamo visto precedentemente, a seconda del contesto d'uso aggettivi bounded possono ricevere una lettura scalare, e la negazione sembra essere uno di tali possibili contesti:

«Like quite, not seems to be capable of invoking boundedness as well as unboundedness in the adjectives it modifies, and like quite, not is both possibile and natural with either unbounded or bounded readings of adjectives.» (Paradis e Willners, 2006, p. 1056)

Proprio per questo motivo, con gli aggettivi unbounded il ruolo della negazione non è univoco. Non largo, infatti, può ricevere due letture differenti, una chiaramente bounded in cui risulta sinonimo di stretto, ed un'altra a metà tra largo e stretto, dove l'interpretazione non raggiunge nessuna delle due estremità della scala di riferimento ma piuttosto sembra sinonima della costruzione con un modificatore scalare, eguagliando abbastanza largo o abbastanza stretto.

Ciò che è interessante, quindi, non è il ruolo della negazione come operatore logico ma il modo in cui i parlanti interpretano gli antonimi con o senza negazione, e se, in tale interpretazione, vi è un'incidenza del parametro della boundedness. Nel corso degli anni, in abito psicolinguistico, si sono confrontate due ipotesi riguardo gli effetti della negazione nella produzione e comprensione linguistica: la

suppression hypothesis e la retention hypothesis. Per la prima di queste, il ruolo

della negazione è quello di segnalare al destinatario del messaggio di sopprimere ciò che si trova nella portata della negazione. Si tratterebbe, pertanto, di un

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meccanismo automatico dove la negazione è sempre interpretata come operatore logico di opposizione. Nel caso di un qualsiasi aggettivo antonimico, quindi, la sua negazione sarebbe sinonimo del suo antonimo lessicalizzato. Tale visione non è però condivisa da Giora, che propone invece la retention hypothesis, la quale prevede che il concetto nella portata della negazione potrebbe essere conservato ma non c'è soppressione automatica. In questo caso non si tratterebbe quindi di un meccanismo automatico, ma la negazione può funzionare sia da operatore logico che da attenuante a seconda dei vincoli funzionali e contestuali di una data situazione comunicativa; il suo ruolo sarebbe quindi motivato pragmaticamente. Entrambe le rappresentazioni, quella asserita e quella negata, sarebbero pertanto necessarie per una corretta interpretazione di un enunciato, ma in differenti stadi del processo di comprensione.

Più recentemente è stata proposta una nuova ipotesi da Paradis e Willners (2006), la boundedness hypothesis. Pur supportando la retention hypothesis, questa fornirebbe una motivazione semantica alle diverse interpretazioni dei parlanti. La negazione sarebbe infatti sensibile al tipo di aggettivo che modifica in relazione al suo essere bounded o unbounded, ed opererebbe quindi in modo diverso sulle due strutture.

«Our hypothesis is that when not combines with bounded antonymic meanings, the function of not is that of expressing the absolute opposite meaning, i.e. not dead equals alive. When not combines with unbounded antonymic meanings such as wide and narrow, on the other hand, its function is to attenuate the meaning of the modified adjectives.» (Paradis e Willners, 2006, p. 1057)

Paradis e Willners (2006) hanno condotto una serie di esperimenti psicolinguistici per verificare tale ipotesi e determinare quindi se coppie come (non) largo – (non)

stretto e (non) morto – (non) vivo sono interpretate come sinonimi o meno negli

stessi contesti.

Gli esperimenti sono stati svolti in Svedese, ma non c'è motivo per non credere che i risultati siano legittimi anche per l'Inglese (e nelle altre lingue) vista la validità

(22)

interlinguistica di molte delle proprietà dell'antonimia.

Sono stati selezionati 20 antonimi unbounded e 30 bounded, scelti tra quelli canonici e non morfologicamente derivati, e sono stati divisi nei due gruppi in base al tipo di modificatori con cui si possono combinare.

Ai partecipanti sono state mostrate una serie di frasi, ciascuna contenente un elemento di una coppia di antonimi in contesto. Ogni frase è stata presentata con l'aggettivo da solo, con la negazione e con un modificatore (fairly per gli unbounded, almost per i bounded). Per ogni coppia di antonimi il contesto era identico. È poi stato chiesto ai partecipanti di giudicare il significato di ognuna di queste espressioni collocando l'entità descritta dall'enunciato su una scala di undici punti. Un esempio è mostrato nella Figura 1.4.

FIGURA 1.4 – Esempio di task dell'esperimento

Secondo la boundedness hypothesis, le aspettative sui pattern erano le seguenti: 1. UNBOUNDED

stretto ≠ non largo largo ≠ non stretto 2. BOUNDED

morto = non vivo vivo = non morto

(23)

sinonimo del suo antonimo, mentre ciò si verificherebbe per gli aggettivi bounded. I risultati dell'esperimento hanno però mostrato dei pattern di inferenza lievemente differenti da quelli appena presentati.

L'interpretazione degli aggettivi unbounded ha ricevuto un alto grado di consenso da parte dei parlanti che hanno partecipato all'esperimento, mostrando che, come predetto, 'X' non è sinonimo di 'non Y' e viceversa.

«What happened was that the negator in combination with an unbounded adjective had the effect of moving the interpretation to the opposite side of the scale as compared to where the non-negated adjective would be positioned.» (Paradis e Willners, 2006, p. 1062)

A questo proposito, i giudizi dei parlati hanno rivelato un rapporto simmetrico, in quanto sia 'non X' che 'non Y' sono collocati più o meno al centro del lato opposto della scala.

Per quanto riguarda gli aggettivi bounded, invece, il quadro emerso è più complesso. Solo due aggettivi, dead e empty, hanno mostrato un comportamento strettamente bounded, se pur in maniera opposta; per la coppia dead – alive si ha 'X = non Y' e viceversa, mentre per la coppia empty – full, 'X ≠ non Y' e viceversa. Tutti gli altri aggettivi presenti nel set permettono letture scalari, non rispettando pertanto il pattern predetto. Come si è già visto, infatti, gli aggettivi non-scalari possono quasi sempre ricevere anche una lettura di tipo scalare.

È quindi possibile rintracciare tre tipi di coppie di antonimi, in relazione alla loro interpretazione con e senza negazione:

1. X ≠ non Y : Y ≠ non X

narrow ≠ not wide : wide ≠ not narrow, empty ≠ not full : full ≠ not empty 2. X = non Y : Y = non X

dead = not alive : alive = not dead

3. X = non Y : Y ≠ non X o X ≠ non Y : Y = non X

(24)

L'esperimento ha poi confermato che, per quanto riguarda gli aggettivi unbounded, non vi sono differenze particolari nell'interpretazione di un antonimo negato ed uno con modificatore.

«This means that the function of negation in combination with UNBOUNDED antonymous meanings is to attenuate the grading force of the adjectival meaning with the same force as 'fairly'. For istance, 'not short, has the same force as 'fairly tall' The pragmatic function of both constructions is often one of mitigation rather than strict contrast.» (Jones et al., 2012, p. 95)

Anche in questo caso, invece, i risultati per gli aggettivi bounded con modificatore non sono stati altrettanto consistenti; vi è differenza nell'interpretazione di 'almost X' e 'not Y', ma non in quella di 'not X' e 'almost Y'.

Alla luce di questi risultati, quindi, è chiaro che la negazione non ha due significati o due funzioni, una letterale ed un'altra non letterale, ma a seconda della struttura con cui si combina, bounded o unbounded, causa una differente interpretazione dell'enunciato. Con gli aggettivi unbounded la negazione ha il ruolo di attenuare la forza, mentre con gli aggettivi bounded permette l'espressione dell'opposizione assoluta.

Inoltre, da tale esperimento emerge chiaramente che i tempi di risposta per gli antonimi negati, 'non X e 'non Y', sono più lunghi di quelli per gli aggettivi da soli, 'X' e 'Y'. Altri esperimenti hanno poi mostrato che tale differenza nei tempi di risposta è valida anche nel caso in cui gli antonimi in questione siano morfologicamente derivati; i parlanti impiegano più tempo a giudicare aggettivi come non logico e non possibile rispetto a illogico e impossibile. Ciò, come nota Verhagen, è dovuto al fatto che una proposizione negata evoca due spazi concettuali in opposizione, uno spazio fattuale ed uno controfattuale, il che ne rende l'interpretazione molto più complessa; bisogna infatti prima accedere al concetto asserito, e solo successivamente negarlo.

La principale differenza tra un antonimo negato e la sua controparte morfologicamente derivata è quindi dovuta al fatto che questi ultimi non evocano

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uno spazio controfattuale, ma vengono rappresentati come singoli concetti.

In conclusione, tali ricerche avvalorano il fatto che l'antonimia sia un fenomeno altamente dipendente dal contesto, funzionale e comunicativo, e che quindi, più in generale, «meanings are evoked and constantly negotiated by speakers and addressees at the time of use» (Paradis et al., 2009, p. 382).

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2. Il fenomeno della canonicità

Fino a questo momento abbiamo visto quali sono le principali proprietà dell'antonimia ed accennato ad alcuni dei problemi che solleva, mostrando perché è interessante studiare tale relazione. Cercheremo quindi adesso di trovare una risposta alle domande che abbiamo posto nel capitolo precedente, approfondendo il fenomeno della canonicità. Come già accennato, infatti, è possibile individuare un gruppo di coppie canoniche di antonimi, ovvero coppie di aggettivi che la totalità dei parlanti riconosce essere in opposizione e che si richiamano l'un l'altro nei test associativi. I due membri della coppia sembrano pertanto fortemente associati da un punto di vista cognitivo. In questo capitolo verranno illustrati i due differenti modelli proposti per spiegare tale consenso e la conseguente associazione.

Deese (1964) è il primo a mettere in evidenza l'esistenza delle coppie canoniche, ed a proporre un metodo di misura della similarità semantica non basato sui giudizi soggettivi dei lessicografi. A partire dall'idea che «two words that evoke many of the same associative responses can be said to have similar meanings» (Charles e Miller, 1989, p. 357), conduce una serie di test associativi al fine di individuare la struttura della classe degli aggettivi inglesi. Tali test dimostrano che l'antonimia svolge un ruolo fondamentale nell'organizzazione della classe degli aggettivi.

«[...] uncommon adjectives are likely to elicit words that make ordinary sequences in the language (administrative decision), while common adjectives elicit mostly other adjectives (hot – cold). Furthermore, the paradigmatic associates to the most common of adjectives are overwhelmingly contrastive or antonymic to the stimulus.» (Deese, 1964, p. 347)

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l'antonimo di questi, ma tale associazione è risultata essere reciproca. La risposta più frequente per caldo è freddo, e allo stesso tempo quella per freddo è caldo; i due aggettivi formerebbero pertanto una coppia canonica.

Ciò porta Deese a supporre che gli aggettivi vengano appresi insieme come opposti e che il loro essere fortemente associati sia dovuto al fatto che condividono contesti identici.

«”the extent to which words share associative distributions is determined by the extent to which they share contexts in ordinary discourse” (Deese, 1965)» (Charles e Miller, 1989, p. 358)

Poiché gli aggettivi condividono contesti identici, possono essere sostituiti l'un l'altro in una frase. Tale visione è strettamente connessa con l'approccio paradigmatico dello Strutturalismo alle relazioni semantiche, ed è conosciuta come substitutability hypothesis

«[...] two words are antonyms if they can subsitute for one another in the same slot in a chunk of text, say a sentence.» (Paradis et al., 2015, p. 154) Inoltre, dal momento che solo parole che appartengono alla stessa categoria sintattica si possono sostituire nello stesso contesto, l'antonimia sembrerebbe essere un fenomeno limitato alla sola classe degli aggettivi.

A partire da quest'evidenza sperimentale, e dalle successive conclusioni, si sviluppano i due modelli di approccio al fenomeno della canonicità. In realtà, infatti, i contesti condivisi di cui parla Deese possono essere di due tipi. Da un lato questi contesi possono essere di tipo sintattico, specifici pattern in cui i due membri di una coppia co-occorrono; dall'altro i contesti possono essere di tipo nominale, due antonimi sono quindi intercambiabili nel modificare gli stessi sostantivi. Chiameremo questi due approcci “modello lessicale”, o

lexical-categorical approach, e “modello cognitivista”, o cognitive prototype approach.

(28)

e, quindi, alla più ampia questione sollevata dalle ricerche sul lessico mentale sul ruolo che le informazioni memorizzate e il processing rivestono nella costruzione del significato e delle relazioni.

Il modello lessicale si sviluppa in ambito strutturalista, secondo il quale le relazioni sono primitivi semantici ed il significato di una parola viene derivato dalle relazioni che questa crea con le altre parole. Le relazioni sono quindi proprietà stabili, che dipendono dalle “stored lexical associations”, e sono pertanto rappresentate nelle entrate lessicali dei singoli lessemi. Secondo il modello cognitivista, situato nel più ampio framework della Linguistica Cognitiva, invece, le relazioni hanno una base concettuale e «meanings are mental entities and arise through context-driven conceptual combinations» (Paradis et al., 2009, p. 381). Le relazioni sono, in questo caso, costruite grazie a processi cognitivi di carattere generale.

È quindi possibile affrontare anche la relazione di antonimia dai due diversi punti di vista di questi approcci. Da una parte, infatti, le coppie di antonimi potrebbero formare un insieme di “stored lexical associations”, come proposto dagli strutturalisti e dal modello Princeton WordNet; la canonicità sarebbe così dovuta a motivazioni puramente lessicali. Dall'altro lato, la categoria degli antonimi può essere context-sensitive, all'interno della quale i membri si strutturano prototipicamente in base al grado di bontà dell'opposizione; in questo caso la relazione sarebbe prima di tutto di tipo semantico.

2.1 Il modello lessicale

Il modello lessicale prevede che i contesti condivisi individuati da Deese come spiegazione al fenomeno della canonicità siano di tipo sintattico, ovvero strutture dove i membri di una coppia di antonimi co-occorrono più frequentemente di quanto ci si aspetterebbe che accada per caso. L'approccio è quindi di tipo sintagmatico ed una coppia è canonica in quanto i due membri co-occorrono con una frequenza molto elevata.

Charles e Miller (1989) verificano la substitutability hypothesis attraverso tre esperimenti. Dopo aver selezionato dal Brown Corpus of English una serie di frasi

(29)

in cui compare uno dei membri delle coppie di antonimi weak – strong e pubblic –

private, hanno cancellato l'aggettivo e chiesto agli informanti di riempire lo spazio

vuoto. Se la substitutability hypothesis fosse stata corretta e, quindi, i due membri di una coppia di antonimi fossero intercambiabili, i partecipanti non avrebbero saputo scegliere l'aggettivo corretto per ogni contesto. I risultati, invece, hanno chiaramente mostrato la capacità di discriminare i contesti adatti per ogni aggettivo, sia in frasi più lunghe che a livello nominale. Secondo Miller e Charles (1991), inoltre, la semplice ipotesi di sostitutibilità non permetterebbe di distinguere gli antonimi dai sinonimi. Dall'esperimento condotto, infatti, è emerso che i contesti di occorrenza di una coppia di sinonimi sono più simili, ovvero meno discriminabili, di quelli di una coppia di antonimi. Charles e Miller propongono, pertanto, una differente ipotesi sul perché i membri di una coppia di antonimi siano così fortemente associati, la co-occurrence hypothesis

«Two adjectives are learned as […] antonyms because they occur together […] in the same sentences more frequently than chance would allow.» (Charles e Miller, 1989, p. 360)

Ciò sembrerebbe ulteriormente confermato dal particolare comportamento di quattro aggettivi, big – little – large – small. Nonostante big e large siano semanticamente simili, così come small e little, questi aggettivi non sono interscambiabili, in quanto solo le coppie big – little e large – small vengono considerate buoni esempi di antonimia. Nonostante, quindi, l'opposizione concettuale sia la stessa, l'associazione non sembra esserlo, come confermato dalle frequenze di occorrenza e co-occorrenza di questi aggettivi nel Brown Corpus. Pertanto è ragionevole supporre che la forte associazione vigente tra i membri di una coppia di antonimi sia dovuta dall'alta frequenza con cui vengono utilizzati insieme, nelle stesse strutture sintattiche.

La co-occurrence hypothesis, e quindi più in generale un approccio di tipo sintagmatico e distribuzionale all'antonimia, viene testata da Justeson e Katz (1991). Grazie ad una ricerca corpus-based, confermano che un sottogruppo di

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aggettivi (le coppie canoniche) co-occorre significativamente più spesso di quanto ci si aspetterebbe che accada usando test di significatività statistica. Inoltre notano che tali coppie di antonimi co-occorrono in specifici pattern, del tipo between X

and Y o X or Y, e che in questi pattern i due membri possono essere sostituiti l'un

l'altro.

«This is the essence of the theory we propose: co-occurrence takes place via substitution, substitution yelds antonym alignment, and alignment leads to association. It is crucially a co-occurrence theory – the improbably high rates of co-occurrence of antonyms result in the formation of associations between them; furthermore, co-occurrence takes place mainly by substitution in repeated phrases, and phrasal repetition with a substitution of antonyms evidently occurs mainly when these phrases occur very near one another, particulary in the same sentence. Perhaps less crucially, it is also a substitution (not substitutability) theory: phrasal substitution provides a mechanis, antonym alignment, that yelds an explicit pairing of the antonyms and enhances the efficacy of training on the association between them.» (Justeson e Katz, 1991, p. 13)

Secondo Justeson e Katz, quindi, è proprio la co-occorrenza in specifici pattern, identificabili con gli “shared contexts” proposti da Deese, che permette il forte grado di associazione tra i membri di una coppia di antonimi. Ed è solo in questi pattern che i due membri sono intercambiabili, e possono quindi essere sostituiti l'uno con l'altro solo se entrambi presenti nella struttura sintattica.

Fellbaum (1995) dimostra, inoltre, che l'appartenenza alla stessa categoria sintattica non è un pre-requisito per la co-occorrenza degli antonimi. Le due ipotesi precedentemente esposte erano infatti state utilizzate solo per lo studio degli aggettivi. Nella sua ricerca corpus-based, Fellbaum include anche nomi e verbi che esprimono concetti opposti, del tipo inizio – fine, mostrando che anche questi co-occorrono nelle stesse frasi più frequentemente di quanto ci si aspetterebbe. Le frequenze di co-occorrenza risultano molto elevate anche nel caso in cui i due

(31)

membri della coppia appartengono a due categorie sintattiche differenti, come ad esempio to begin (V) – endless (Agg). Tali risultati dimostrano che due parole possono trovarsi in opposizione indipendentemente dalla categoria grammaticale di appartenenza. Tuttavia, i nomi ed i verbi non sembrano co-occorrere in alcun pattern prestabilito; anche se nel caso in cui è possibile rintracciare dei pattern, questi corrispondono a quelli individuati da Justeson e Katz per gli aggettivi.

A partire da questi studi, è stata quindi dedicata molta attenzione all'aspetto sintagmatico dell'antonimia, e la frequenza di co-occorrenza è stata utilizzata come principale indicatore per la selezione degli elementi sperimentali da utilizzare negli esperimenti psicolinguistici. Consideriamo, ad esempio, la coppia

long – short, i quali sono entrambi tra gli aggettivi più frequenti nel British National

Corpus. Se assumiamo che le parole sono distribuite in maniera casuale all'interno del corpus, ci aspetteremmo di trovare circa 200 frasi che le contengono entrambe. In realtà, invece, long e short co-occorrono nella stessa frase 1.138 volte, un valore 5,7 volte più alto di quello atteso. Ciò è valido anche per altre coppie di antonimi, canoniche e non-canoniche. Gli antonimi canonici, però, hanno una frequenza di co-occorrenza notevolmente più alta di quelli non-canonici; i primi infatti co-occorrono tra le 3 e le 5 volte più spesso di quanto ci sia aspetterebbe, mentre gli altri co-occorrono solo 1,5 volte più frequentemente. Come precedentemente detto, inoltre, non solo gli antonimi si trovano spesso all'interno della stessa frase, ma ciò accade in particolari strutture sintattiche. Ci si può quindi domandare in che modo ciò accade, ovvero come due antonimi co-occorrono. Justeson e Katz (1991) avevano già individuato alcuni pattern sintattici (del tipo between X and Y o X or Y), ma non ne avevano fornito alcuna classificazione. A partire dalle loro osservazioni, Mettinger raggruppa i vari pattern lessico-grammaticali in cui gli antonimi tendono a co-occorrere, individuando nove frame, ciascuno con uno specifico valore funzionale.

Jones (2002) propone un nuovo sistema classificatorio basato su un corpus di 280 milioni di parole di Inglese scritto, successivamente arricchito grazie a corpora di Inglese parlato, Inglese infantile, Svedese e Giapponese. In ognuno di questi corpus sono state rintracciate le coppie di antonimi che co-occorrono e sono poi

(32)

state suddivise in base alla loro funzione testuale. Ciò ha permesso di individuare sette funzioni del discorso, due principali e cinque minori, veicolate dalla co-occorrenza dei membri di una coppia di antonimi in specifici pattern.

Le due principali funzioni del discorso identificate da Jones (2002), che rispondono all'incirca ai due terzi di tutti gli usi che vengono fatti dell'antonimia, sono definite

Ancillary Antonymy e Coordinated Antonymy.

La Ancillary Antonymy ha la funzione di far risaltare il contrasto. Da un punto di vista linguistico, ciò accade quando ad una coppia di antonimi in co-occorrenza viene affiancata una seconda coppia di parole in opposizione, connessa alla prima grazie all'utilizzo di una struttura sintattica parallela, come nell'enunciato (1)

(1) Kennedy dead is more interesting than Clinton alive (APW-E)

La coppia dead – alive funziona qui come segnale di opposizione, che ci induce ad interpretare anche la coppia Kennedy – Clinton in chiave contrastiva. Al di là del contenuto e della struttura della frase, quindi, una coppia di antonimi canonica, o comunque con forte potere contrastivo, viene usata per generare o confermare un'altra opposizione, tra una seconda coppia di parole. Quest'ultima può essere formata da antonimi già relativamente convenzionalizzati o da parole prive di relazione, il cui contrasto si costruisce grazie al contesto ed al parallelismo con la prima coppia.

La seconda funzione principale è, invece, opposta a questa. Il ruolo della Coordinated Antonymy è infatti quello di neutralizzare o minimizzare l'opposizione, al fine di creare un senso di inclusività e ricoprire l'intero dominio descritto dagli antonimi in questione, come in (2), o di rendere il contrasto irrilevante, come in (3).

(2) They're winter shoes that you can wear outside or inside. (CDS-E) (3) We may succeed, we may fail – but we will at least give it a whirl. (APW-E)

Tale funzione viene solitamente veicolata grazie a specifiche costruzioni coordinative, del tipo X and/or Y, both X and Y, neither X nor/or Y, X and Y alike.

(33)

L'utilizzo di tali frame non è però vincolante, infatti non in tutti i casi di Coordinated Antonymy vi è l'uso di una congiunzione (esempio (3)). Allo stesso modo, l'uso di uno di questi pattern può veicolare anche altre funzioni del discorso.

Le cinque funzioni minori individuate hanno frequenze d'uso decisamente meno elevate della Ancillary e della Coordinated Antonymy, ma è possibile rintracciarle in tutti i corpora, per cui le tratteremo brevemente.

Transitional Antonymy : Esprime il passaggio da uno stato ad un'altro

stato. Il punto di inizio viene indicato con un membro della coppia antonimica, quello di arrivo con l'altro.

Il frame prototipico è from X to Y.

Negated Antonymy : Una parola viene affermata negando il suo

antonimo, così da enfatizzare il contrasto e la proprietà espressa dallo stesso antonimo.

Il frame prototipico è X, not Y.

Interrogative Antonymy : Nonostante l'utilizzo di una struttura

coordinativa, la funzione è quella di enfatizzare l'incompatibilità dei membri della coppia. La scelta di una delle opzioni implica quindi necessariamente il rifiuto dell'altra.

Il frame prototipico è X or Y?.

Comparative Antonymy : Gli stati o proprietà espressi dai due

antonimi vengono comparati tra loro, esprimendo o meno un giudizio connotativo.

I frame prototipici sono more X than Y, X is more [adj or adv phrase] than Y.Distinguished Antonymy : Viene esplicitamente segnalata la

differenza semantica tra due concetti opposti.

Il frame prototipico è Z between X and Y, dove Z è un nome come

difference

Vi sono poi alcuni contesti che non è possibile classificare secondo le funzioni appena viste, in quanto non sono abbastanza frequenti o gli antonimi vengono utilizzati in modo creativo e non convenzionale. Tra questi vale la pena

(34)

menzionare: Idiomaticity, una coppia di antonimi è utilizzata in espressioni idiomatiche (Non mi fai né caldo né freddo); Extremity, vengono connesse le due estremità del dominio senza però comprendere i valori nel mezzo (Non è tutto

bianco o nero); Simultaneity, un referente viene qualificato in quanto possiede

simultaneamente entrambe le proprietà espresse dai due antonimi (La sua

debolezza è la sua forza).

Nonostante non vi sia sempre una corrispondenza biunivoca tra la struttura del pattern in cui due antonimi co-occorrono e la funzione del discorso che questi veicolano, l'alta frequenza di co-occorrenza in questi frame sintattici sembra essere un buon indicatore della canoncità di una coppia di antonimi. Secondo il modello lessicale, quindi, l'antonimia è una relazione di tipo lessicale. Una coppia è canonica se i suoi membri sono fortemente associati, e ciò accadrebbe a causa dell'elevata frequenza di co-occorrenza.

Tale visione è però stata rifiutata dal modello cognitivista e più in generale dagli studi contemporanei di linguistica teorica, ma viene mantenuta nel modello WordNet Princetown. Questo modello, così come la co-occurrence hypothesis, rientra nel paradigma dello Strutturalismo, secondo il quale le relazioni sono primarie nella costruzione del significato e sono proprietà stabili delle parole. L'antonimo canonico di un aggettivo sarebbe quindi già specificato nella sua entrata lessicale.

Secondo il modello Princeton WordNet (Gross et al., 1989) la canonicità o meno di una coppia di antonimi dipende non solo dalla frequenza di co-occorrenza, ma anche dal modo in cui gli aggettivi sono organizzati nella memoria semantica. Vi sarebbe pertanto una differenza strutturale tra antonimi canonici e non-canonici, chiamati in questo caso antonimi diretti e indiretti. Questo modello prevede che l'intera classe degli aggettivi, come già proposto da Deese (1964), sia organizzata sulla base dell'antonimia, diversamente da quanto accade per i nomi, che avrebbero una struttura gerarchica e basata quindi sulla relazione di ipo/iperonimia. Gli aggettivi si raggrupperebbero infatti in gruppi di sinonimi, ciascuno dei quali rappresentativo di un solo concetto lessicale; coppie di questi set sarebbero poi connesse concettualmente grazie alla relazione di antonimia,

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