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Academic year: 2021

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Israele e India

I rapporti tra Israele e India, che hanno visto dagli anni '90 ad oggi un notevole sviluppo, sono nati in realtà molto in sordina con il riconoscimento “tardivo” da parte indiana giunto a due anni di distanza dalla dichiarazione di indipendenza israeliana, ovvero nel settembre 1950, e sono poi rimasti sostanzialmente congelati per i quarant'anni successivi, per via di un generale atteggiamento di diffidenza con venature di ostilità da parte dei governi indiani succedutisi nel tempo.

Come apparirà chiaramente dalla trattazione a seguire, la storia dei rapporti tra Israele e India si basa sulla disponibilità indiana (o, meglio, la mancanza di disponibilità) ad accettare un avvicinamento con Israele, mentre da parte israeliana non mancò mai la volontà di cercare un terreno comune di discussione e stendere le basi per un'amicizia. Non appena la controparte indiana ebbe mostrato spiragli di apertura, Israele fece in modo di farsi trovare al posto giusto al momento giusto.

Per poter esporre l'andamento di questi rapporti è necessario partire dalla posizione che i padri nobili dell'India, in primo luogo Gandhi e poi Nehru, hanno assunto nei confronti dello Stato di Israele, quando esso era ancora in nuce e in seguito alla sua nascita avvenuta nel maggio 1948. Le loro posizioni segnarono infatti il futuro atteggiamento dell'India nei confronti di Israele fino agli anni '90.

L'idea di Gandhi simpatizzava con il desiderio, diffuso all'interno della comunità ebraica mondiale, di trovare una madre-patria, nonché comprensione per il fatto che questo focolare nazionale venisse cercato in Palestina, purché a condizione di avere il benestare della popolazione araba che da secoli risiedeva nella regione. Le aspirazioni ebraiche andavano realizzate, infatti, previo accordo con gli arabi palestinesi e senza ricercare l'aiuto inglese, che Gandhi connotava molto negativamente (non sarebbe potuto essere altrimenti, visto l'acceso antimperialismo antibritannico caratterizzante tutta la lotta di liberazione dell'India dal dominio di Londra); fatte salve la umana vicinanza e la comprensione del fatto che le ambizioni nazionali ebraiche si indirizzassero alla Palestina, il Mahatma era comunque chiaramente schierato dalla parte degli arabi palestinesi nel sostenere che «la Palestina appartiene agli arabi così come l'Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia ai francesi. È sbagliato ed inumano imporre la presenza ebraica agli arabi»1. Nel corso degli anni le posizioni e dichiarazioni del Mahatma non mutarono nella sostanza pur assumendo toni di maggiore vicinanza alla causa ebraica, probabilmente a causa delle notizie provenienti dall'Europa sull'assurdo genocidio degli ebrei da parte dei nazisti. Nel 1947, in un'intervista, Gandhi replicò la 1 Cfr. M.K. Gandhi, The collected works of Mahatma Gandhi, vol. 74, p. 242:

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sua posizione al riguardo, suggerendo agli israeliani di abbandonare il terrorismo che non faceva altro che macchiare una causa che, altrimenti, sarebbe stata giusta e augurandosi un chiarimento con gli arabi palestinesi e la rinuncia di entrambe le parti a ricercare l'aiuto inglese o americano per raggiungere il proprio obiettivo2.

D'altro canto, Nehru, che dagli anni '20 ricopriva nel partito del Congresso il ruolo di rappresentante per la politica estera, aveva anch'egli una visione altrettanto se non più simpatetica della condizione ebraica, di tutte le sofferenze, umiliazioni ed espulsioni che nel corso dei secoli gli ebrei della diaspora avevano dovuto affrontare; tale umana comprensione si accentuò in seguito alla presa di coscienza delle inaudite violenze subite dagli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Come Gandhi, però, egli condivideva la contrarietà alle aspirazioni ebraiche in Palestina, già patria degli arabi palestinesi3, in quanto – appunto – confliggenti con la volontà degli arabi palestinesi stessi. A dimostrazione dei vari tentativi di contatto e dialogo portati avanti da parte israeliana, si può citare l'incontro tenutosi nel giugno del 1938 a Londra tra Nehru e Chaim Weizmann4, importantissima figura che al tempo ricopriva la carica di presidente del movimento sionista e che, in seguito, avrebbe assunto quella di primo presidente dello Stato di Israele: ebbene, tale riunione non servì a modificare la tendenza filo-araba di Nehru che – conseguentemente – esprimeva quella della leadership indiana. Qualche mese più tardi, nell'ottobre del 1938, sempre Nehru – in perfetta aderenza con la posizione gandhiana qui precedentemente espressa – espose chiaramente quella che si sarebbe cristallizzata nei decenni seguenti come la posizione ufficiale indiana nei confronti della questione palestinese: «La palestina è essenzialmente un Paese arabo e tale deve rimanere, e gli arabi non devono essere schiacciati, oppressi nella loro madrepatria»5. Tale posizione di non riconoscimento delle ambizioni politiche degli ebrei in Palestina si può spiegare con il sentimento antibritannico che entrava in contrasto con la tendenza del sionismo, fin dalla dichiarazione di Balfour, a ricercare (anche) l'aiuto di Londra nel perseguimento dei propri fini politici e al netto del terrorismo ebraico che pure insanguinò gli ultimi anni del mandato britannico in Palestina.

Da tenere in seria considerazione era anche la rivalità interna alla politica del subcontinente indiano tra il partito del Congresso, che aspirava a rappresentare l'intera società indiana, ivi compresa la forte minoranza musulmana, e la Lega Musulmana guidata da Jinnah che aveva l'intenzione di conquistare e detenere l'esclusività della rappresentanza dei musulmani del subcontinente. Tale rivalità si rifletteva nelle reciproche posizioni dei due partiti in relazione alla questione palestinese: mentre l'atteggiamento del partito del Congresso restava di indifferenza e mancato appoggio alle ambizioni sioniste, la Lega musulmana assumeva posizioni volutamente più provocatorie e critiche, 2 Cfr. M.K. Gandhi, op.cit., vol. 95, pp. 27-28: http://www.gandhiserve.org/cwmg/VOL095.PDF

3 Cfr. J. Nehru, Glimpes of world history, New Delhi, Jawaharlal Nehru Memorial Fund, 1987, pp. 762-764. 4 Cfr. J. Hadass, Indo-Israeli relations, in India International Centre Quarterly, vol. 29, n. 2, 2002.

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impedendo in questo modo al Congresso qualsiasi possibilità di avvicinamento alle posizioni ebraiche, anche qualora ci fosse stata la volontà politica di farlo. Inoltre il Congresso contrastava la visione della Lega, la quale rappresentava la comunità musulmana come un'entità nazionale distinta, in quanto ciò avrebbe comportato la creazione di una linea di faglia su base religiosa all'interno di un subcontinente che si voleva unito e non diviso. Per tale motivo accettare una divisione della Palestina su simili basi religiose avrebbe comportato un suicidio politico per il maggior partito indiano6.

Comprensibilmente la posizione indiana all'interno dell'UNSCOP – il comitato delle Nazioni Unite creato per redigere un piano da sottoporre alla votazione dell'Assemblea Generale per la sistemazione della Palestina dopo la fine del mandato britannico sulla stessa – fu fin da subito quella di opposizione alla soluzione della divisione della regione, proposta e sostenuta da una maggioranza di sette Stati, e di favore, invece, nei confronti di una soluzione federale che avesse Gerusalemme come capitale7. Il piano indiano, sostenuto anche da Iran e Jugoslavia, naufragò soprattutto perché contrastato da entrambe le parti in causa, ovvero ebrei ed arabi, i quali rimproveravano vicendevolmente a tale piano eccessive concessioni alla controparte8.

In seguito all'approvazione della spartizione e alla nascita dello Stato ebraico, all'India occorsero oltre due anni (settembre 1950) prima di riconoscere Israele, un'attesa dovuta in parte alla volontà di non andare contro l'opinione pubblica musulmana, in parte per non scontentare gli arabi; il riconoscimento giunse, inoltre, nonostante l'India si fosse opposta nel 1949 alla concessione dello status di membro dell'Onu allo Israele9 e dopo che la maggior parte dei contendenti della prima guerra arabo-israeliana – in primis l'Egitto – avevano già siglato con Israele un armistizio, interpretabile come una tacita accettazione dell'esistenza dello Stato ebraico. Tuttavia al riconoscimento non seguì lo stabilimento di piene relazioni diplomatiche con lo scambio di ambasciatori, in quanto fu il solo Israele che riuscì ad aprire nel 1951 un proprio consolato a Bombay (adesso Mumbai), città che annoverava una consistente comunità ebraica. Eccezion fatta per questa testa di ponte in territorio indiano, i rapporti tra Israele e India si svolsero in seguito piuttosto indirettamente, limitandosi a contatti, il più delle volte anche cordiali, in altri Paesi e presso altre sedi diplomatiche (come nelle maggiori capitali occidentali – Washington, Londra – e non solo – si vedano gli esempi di capitali orientali come Ankara e Rangoon).

Nel corso dei decenni a venire si possono enumerare anche sporadiche visite di alcuni ministri degli esteri israeliani in India, ovviamente avvolte dalla massima segretezza e di cui non si hanno grandi dettagli. Questi rari contatti, tuttavia, non furono sufficienti per Israele a spingere Nuova Delhi nella 6 P.R. Kumaraswamy, India's Israel policy, New York, Columbia University Press, 2010, pp. 78-79.

7 http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/07175DE9FA2DE563852568D3006E10F3

8 Cfr. P.R. Kumaraswamy, op. cit., p. 101.

9 F. Naaz, Indo-Israel Relations: An Evolutionary Perspective, in Strategic Analysis, the bimontly journal of the Institute for Defence Studies and Analyses (IDSA), Routledge, vol. 23, n. 9, pp. 241-255.

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direzione di fare dei progressi sul fronte della normalizzazione dei rapporti reciproci10. I motivi che concorsero al raggiungimento di tale esito negativo sono i seguenti:

• l'equazione Israele=colonialismo, un' associazione che si fece sempre più forte dalla crisi di Suez in poi, ovvero da quando Israele attaccò l'Egitto, in accordo con le ex potenze imperialiste Gran Bretagna e Francia, per la difesa dei loro interessi legati alla privatizzazione del canale di Suez;

• la solidarietà anticolonialista dei Paesi afro-asiatici riunitisi a Bandung e la successiva appartenenza indiana al movimento dei Paesi non allineati;

• la personale amicizia tra Nehru e Nasser, acerrimo nemico di Israele;

• la rivalità con il Pakistan che influenzò forse più di ogni altro aspetto la politica dell'India verso Israele. Di fronte alle forti credenziali islamiche e pro-arabe di Islamabad, Nuova Delhi ha dovuto gestire con attenzione la propria politica mediorientale cercando sempre di evitare la perdita del sostegno arabo (soprattutto nei confronti dell'irrisolto conflitto sulla regione del Kashmir);

• i solidi rapporti commerciali con i Paesi arabi e, dagli anni '70 in poi, gli imperativi legati alla sicurezza energetica nazionale, per via del sempre maggior peso assunto dal blocco arabo sull'India in virtù della ricchezza in risorse petrolifere;

• l'importante influenza elettorale della minoranza musulmana presente in India e la volontà del partito del Congresso di continuare ad assicurarsene i voti, decisivi per l'ottenimento della maggioranza parlamentare11.

L'episodio della crisi di Suez del 1956 non fece che confermare a Nehru la bontà della sua decisione di non avviare relazioni diplomatiche con Israele: l'India, che della nazionalizzazione del canale non contestava il merito ma esprimeva semplicemente qualche disaccordo di metodo, ovvero legato alla modalità in cui era stato messo in pratica l'esproprio, fu categorica nella condanna dell'attacco israeliano, a maggior ragione in seguito all'intervento di Francia e Gran Bretagna12.

Tuttavia la premura di Nehru di incassare la gratitudine e l'alleanza di Nasser manifestatasi in questa come in altre situazioni, così come la cura dedicata al mantenimento di rapporti cordiali con i Paesi arabi in generale si rivelarono ben presto non biunivoche e ben poco fruttifere per Nuova Delhi. La prima occasione in cui questa mancanza di reciprocità risultò dolorosamente evidente fu il breve conflitto con la Cina del 1962: di fronte a una umiliante sconfitta Nehru fu deluso dalla posizione di neutralità tra i due contendenti che il presidente egiziano Nasser aveva scelto di assumere; di fronte 10 Cfr. P.R. Kumaraswamy, op. cit., pp. 126-136.

11 ivi, pp. 164-174. 12 ivi, pp. 196-198.

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all'abbandono subito da parte dell'alleato egiziano, Nehru si spinse, pur nel segreto, ad accettare l'aiuto offertogli spontaneamente da Israele e concretizzatosi nell'invio di non ingenti quantitativi di armi leggere13. Nel 1965, in occasione del conflitto indo-pakistano sul Kashmir, l'Egitto scelse ancora una volta di non assumere le difese di nessuna delle due parti in causa14.

Nel maggio del 1967 l'India appoggiò la mossa egiziana di allontanare la forza di interposizione dell'ONU dal territorio del Sinai (un chiaro preludio alla guerra), così come la chiusura dello stretto di Aqaba alle imbarcazioni portanti bandiera israeliana; in seguito allo scoppio delle ostilità, poi, la posizione indiana nei confronti di Israele si irrigidì in una aperta condanna dell'attacco preventivo e in una negazione della possibilità di qualsiasi acquisizione territoriale grazie all'azione bellica. Le prime schermaglie della guerra dei sei giorni e il fuoco incrociato degli eserciti egiziano e israeliano provocarono addirittura delle vittime tra il contingente indiano dell'UNEF, suscitando le ire del primo ministro Indira Gandhi che attribuì alle truppe israeliane la colpa delle morti dei

peacekeepers indiani; l'India fece poi parte del Consiglio di Sicurezza che, il 22 novembre 1967,

varò la Risoluzione 242 che intimava ad Israele la riconsegna delle conquiste territoriali all'Egitto15. Una tale adesione alla causa egiziana e araba fu nuovamente ignorata e “ripagata”, due anni dopo, con il grave smacco rappresentato dal diniego alla richiesta indiana di partecipare al summit islamico di Rabat16: tale vertice, infatti, venne organizzato nella capitale marocchina sull'onda del rancore provocato nella comunità musulmana mondiale dall'incendio appiccato da uno squilibrato (un cittadino australiano di fede cristiana) all'interno della moschea di al-Aqsa a Gerusalemme (terzo luogo sacro dell'Islam), che aveva seriamente danneggiato la struttura oltre a profanarne gravemente la sacralità. Durante il summit si sarebbero gettate le basi per la creazione della Organizzazione della Conferenza Islamica (dal 2011 mutato in Organizzazione della cooperazione islamica)17, di cui l'India tuttora non fa parte.

Nel 1971, in occasione della lotta di liberazione del Pakistan orientale, che sarebbe divenuto l'odierno Bangladesh, e dell'ennesimo breve e aperto conflitto scoppiato nel dicembre dello stesso anno tra Pakistan Occidentale e India (che però aiutava i bengalesi da mesi), si ebbe nuovamente una conferma dell'apertura e dello zelo con cui Israele si poneva nei confronti dell'India, viste le spontanee offerte di aiuto a Nuova Delhi18. Allo stesso tempo risultò palese il contrasto con la freddezza dei Paesi arabi, che emergeva proprio quando il loro intervento si rivelava decisivo. Nonostante i ripetuti sforzi israeliani tesi a un avvicinamento e all'instaurazione di normali relazioni 13 ivi, p. 199.

14 Cfr. P.R. Mudiam, India and the middle East, London, British Academic Press, 1994, pp. 53-54. 15 Cfr. P.R. Kumaraswamy, op.cit., pp. 204-208.

16 Cfr. R.E. Ward, India's pro-arab policy: a study in continuity, New York, Praeger, 1992, pp. 87-88. 17 http://www.oic-oci.org/oicv2/page/?p_id=52&p_ref=26&lan=en

18 Il 23 giugno 1971 la Knesset, il parlamento israeliano, adottò una risoluzione in cui si esprimeva solidalietà verso l'India e la lotta di liberazione del Bangladesh, offrendo al contempo anche sostegno materiale tramite l'invio di personale medico in aiuto dei milioni di rifugiati in fuga dal Pakistan orientale verso la stessa India: Cfr. P.R. Kumaraswamy, op.cit., p. 215.

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diplomatiche e nonostante la manifesta tendenza diffusa nel mondo arabo di privilegiare i rapporti con il Pakistan quando si trattava di scegliere tra quest'ultimo e l'India, i rapporti tra Tel Aviv e Nuova Delhi non fecero che peggiorare durante gli anni '70. L'India di Indira Gandhi continuò a seguire una politica nettamente filo-araba, manifestatasi nel supporto dell'attacco arabo a Israele durante la guerra dello Yom Kippur del 1973, nel riconoscimento indiano dell'OLP avvenuto nel gennaio del 1975 seguito dall'apertura di un ufficio a Nuova Delhi dell'organizzazione palestinese, fino a toccare forse il punto più basso nel novembre del 1975 in occasione del voto nell'Assemblea Generale dell'Onu della Risoluzione 3379 con cui si qualificava il sionismo quale una forma di razzismo e discriminazione razziale (la Risoluzione in questione fu poi revocata nel 1991)19.

Dal 1977 al 1980, durante il breve interregno che vide al governo dell'India il Janata Party (“partito del popolo”), sembrò che ci fosse lo spazio per una prima apertura indiana verso Israele, dato che il nuovo ministro degli Esteri, Vajpayee, era un chiaro sostenitore dello Stato ebraico. Durante quel triennio, tuttavia, si dovette registrare nuovamente uno stallo nelle relazioni tra i due Paesi. Innanzitutto, dopo la storica firma tra Israele ed Egitto degli accordi di Camp David nel 1978, l'India si accodò agli Stati arabi nella condanna dell'intesa (anche se, dietro l'intercessione di Nuova Delhi, l'Egitto poté restare membro e quindi continuare a partecipare ai summit del movimento dei Paesi non allineati). Nemmeno le visite segrete del ministro degli esteri israeliano dell'epoca, l'ex generale Moshe Dayan, riuscirono a cambiare lo status delle relazioni reciproche. Durante tali viaggi il ministro degli esteri israeliano tentò nuovamente di risollevare le sorti dei rapporti del suo Paese con l'India e, nello specifico, di avanzare lo status della rappresentanza israeliana a Bombay al livello di consolato generale nonché di trasferirne la sede nella capitale Nuova Delhi; ancora una volta, però, Israele non ottenne nessun miglioramento in quanto la condizione posta dall'India (il ritiro dai territori occupati in seguito alla Guerra dei Sei Giorni) fu considerata troppo elevata e inaccettabile20.

Nel 1980 il ritorno al potere di Indira Gandhi (gennaio) portò cattive notizie per Israele, ovvero il riconoscimento alla missione dell'OLP a Nuova Delhi dello status di ambasciata, annunciato in Parlamento dal ministro degli esteri Rao il 26 marzo 1980, seguito dalla tre giorni di visita ufficiale di Arafat in India con tanto di comunicato finale congiunto21; a peggiorare le cose, nel giugno del 1982, il console israeliano a Bombay fu dichiarato persona non grata e forzato ad andarsene entro 48 ore: ad Israele ci sarebbero voluto sei anni per nominare il successore22. L'avvento al governo di 19 P. Lewis, U.N. repeals its '75 resolution equating zionism with racism, in “The New York Times”, 17 dicembre

1991:

http://www.nytimes.com/1991/12/17/world/un-repeals-its-75-resolution-equating-zionism-with-racism.html

20 Cfr. F. Naaz, op. cit.

21 Cfr. P.R. Mudiam, op. cit., p. 192.

22 Israeli consulate closes after 50 years, in “The Times of India”, 18 agosto 2003:

http://timesofindia.indiatimes.com/india/Israeli-consulate-closes-after-50-years/articleshow/135385.cms? referral=PM

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Rajiv Gandhi, figlio di Indira, portò alcuni primi segnali di disgelo, che però si manifestarono curiosamente in ambito sportivo (la decisione indiana di ospitare a Nuova Delhi i quarti di finale di Coppa Davis disputati contro la nazionale tennistica israeliana)23, commerciale (i primi timidi segnali di ripresa del commercio bilaterale) e turistico (ammorbidimento delle regole sui visti) e quindi solo indirettamente in ambito politico.

Niente di concreto fu portato avanti sul fronte delle relazioni diplomatiche, in quanto una serie di ostacoli faceva ancora sì che il terreno non fosse pronto per la riconciliazione tra i due Paesi: tra i fattori destabilizzanti vi fu innanzitutto lo scoppio della prima Intifada nel dicembre del 1987, seguito dalla proclamazione della nascita dello Stato di Palestina svoltasi ad Algeri il 15 novembre 1988 e seguita dal pronto riconoscimento indiano24; in secondo luogo la già ricordata influenza della forte minoranza musulmana in India; in terzo luogo gli scandali della corruzione che toccarono Rajiv Gandhi, obbligandolo a concentrarsi maggiormente sulla politica interna nel tentativo di arginare la perdita di voti e popolarità all'interno del suo elettorato.

Fu il governo di Rao dei primi anni Novanta, seguito a quello di Rajiv Gandhi dopo la tragica fine di quest'ultimo, a dare il “la” allo stabilimento di piene relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele: tale decisione si concretizzò il 29 gennaio 1992, poco prima della partenza del primo ministro indiano per New York dove avrebbe partecipato a un summit del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In seguito, nel febbraio 1992 Israele aprì la sua ambasciata a Nuova Delhi, mossa ricambiata il 15 maggio dello stesso anno dalle autorità indiane25.

Le ragioni di un tale esito sono in buona parte le stesse che portarono a un risveglio dei rapporti anche tra Gerusalemme ed Ankara all'inizio degli anni '90, dopo decenni di frizioni e gelo. Ovviamente una posizione di rilievo la occupa la fine del mondo bipolare con la caduta dell’Unione sovietica. La diretta conseguenza fu la scomparsa patita dagli Stati arabi quali Siria e Iraq dello storico protettore sovietico, con il corollario della loro perdita di peso e influenza in ambito internazionale e l’altrettanto ovvio guadagno dell’India in libertà d’azione. Quest'ultimo aspetto, tuttavia, fu compensato da un inevitabile indebolimento del movimento dei non allineati e la necessità diffusamente sentita dai suoi Paesi membri (tra cui l’India) di avvicinarsi all’unica potenza egemone rimasta, ovvero gli Stati Uniti d’America. Nonostante la sbandierata volontà di posizionarsi ben lontani dai due blocchi e in posizione di equidistanza, l'India governata dalla dinastia Nehru-Gandhi si ritrovò, col tempo, a dover contare proprio sull'Unione sovietica: nel 1962 l'amara sconfitta subita dalla Cina (i cui rapporti con l'Urss erano a quel tempo già irrimediabilmente incrinati), nel 1965 e 1971 le due guerre con il Pakistan armato dagli Stati Uniti 23 The Associated Press, DAVIS CUP; India and Australia Advance, in “The New York Times”, 26 luglio 1987:

http://www.nytimes.com/1987/07/26/sports/davis-cup-india-and-australia-advance.html

24 India to back Palestinian bid for U.N. membership, in “The Hindu”, 17 settembre 2011:

http://www.thehindu.com/news/national/india-to-back-palestinian-bid-for-un-membership/article2462323.ece

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spinsero Nuova Delhi a forgiare un'alleanza militare con l'URSS, appena pochi mesi prima del conflitto che avrebbe portato alla nascita del Bangladesh. Con la caduta del blocco comunista all'India non restava che scegliere di restare senza un grande protettore o di accodarsi, come molti Stati stavano facendo, alla superpotenza statunitense egemone. A tale proposito una ragione addizionale per l’India di tale riavvicinamento fu la preoccupante situazione finanziaria di inizio anni '90, che costrinse il governo di Rao a rivolgersi ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale per non sprofondare nei debiti. Con la chiamata in causa di tali istituzioni internazionali si rendeva vieppiù necessario il sostegno di Washington: per ottenerlo, però, si rendeva indispensabile per l’India mutare la propria posizione vis-à-vis lo Stato ebraico, in virtù dello stretto legame tra Stati Uniti e Israele. A suggello della fine di un'epoca giungeva per Israele il riconoscimento quasi fuori tempo massimo seguito dallo stabilimento di normali relazioni diplomatiche da parte dell’Unione Sovietica a pochi mesi dal suo dissolvimento (ottobre 1991) e della Cina comunista (gennaio 1992).

Un altro fattore importante per spiegare il cambiamento nella politica israeliana verso l'India è ovviamente l’avvio del processo di pace in Palestina, sancito dalla conferenza di Madrid dell’ottobre 1991. Vi si aggiungano il discredito di cui godeva l’OLP in seguito all’avventata e malaugurata scelta di appoggiare l’invasione irachena del Kuwait e la creazione di un clima politico interno all'India più favorevole allo stabilimento di relazioni con Israele (favorito dall’ascesa del BJP)26.

A queste motivazioni si aggiunsero inoltre le preoccupazioni indiane legate alla sicurezza del Paese, concernenti quindi la difesa e l’antiterrorismo. Con la caduta dell’URSS, primo partner militare di Nuova Delhi, le forniture di armamenti e sistemi di difesa si facevano incerte. L’India inoltre era alla ricerca di un partner stabile per potenziare e modernizzare le proprie forze armate e Israele era, per parte propria, ben contento di trovare un canale di esportazione e finanziamento della sua avanzata e costosa industria militare27.

Sul terreno della lotta al terrorismo Israele ancora una volta si dimostrava un partner decisamente esperto e capace di fronteggiare tali minacce e quindi molto utile per l’India, che in pochi anni aveva per giunta visto morire per attentato prima Indira Gandhi, poi suo figlio Rajiv. L’avvicinamento a Israele non andava letto come un abbandono e/o un tradimento delle posizioni assunte nei decenni precedenti in riferimento ai diritti di autodeterminazione dei palestinesi, bensì come determinato dalla consapevolezza che, viste le mutate condizioni internazionali e l’avvio del processo di pace in Medio Oriente, la questione palestinese non era più un gioco a somma zero28. 26 Cfr. P.R. Kumaraswamy, op.cit., pp. 238-240.

27 Cfr. I. Gerberg, India–Israel relations strategic interests, politics and diplomatic pragmatism, Israeli National Defense College, 2010.

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Ciononostante, durante i primi anni '90 e segnatamente il mandato da primo ministro di Narasimha Rao (1991-1996), l’India conservò nei confronti di Israele un approccio e dei rapporti di basso profilo, cercando di bilanciare qualsiasi contatto con Gerusalemme con identici segnali di apertura e rassicurazione verso l’OLP, come quando Rao ospitò Arafat solo pochi giorni prima di annunciare la normalizzazione dei rapporti con Israele. La maggior parte dei miglioramenti registratisi durante i primi anni Novanta fu dovuta non tanto, quindi, al livello indiano federale, quanto a quello statale: infatti, mentre il governo centrale si dimostrava restio a sviluppare apertamente una fruttuosa cooperazione con Israele, i governi statali non mancarono di stipulare numerosi accordi di cooperazione economica soprattutto nel campo dell’agricoltura29.

Per registrare un significativo miglioramento dei rapporti bilaterali, si dovette attendere l’arrivo al potere del partito BJP nel 1998 e il governo Vaipayee30, come si è detto apertamente favorevoli al pieno svolgimento delle relazioni bilaterali con Israele e per niente timorosi di mostrare simpatia verso quest'ultimo. L'11 settembre e l'occasione della storica visita di Sharon a Nuova Delhi nel 2003 hanno portato il BJP a promuovere l'idea di un triangolo di alleanze tra India, Israele e Stati Uniti basato sulla comune visione di tre democrazie liberali unite nella lotta al fondamentalismo islamico31. Con il ritorno al potere nel 2004 del Partito del Congresso e nonostante le critiche che erano piovute su Israele dai ranghi di quel partito circa la gestione dei rapporti con i palestinesi e con il vicino Libano, l'India ha mantenuto e ulteriormente sviluppato le relazioni amichevoli nate con Israele negli anni precedenti32.

A livello di rapporti politici bilaterali, dopo lo stabilimento di piene relazioni diplomatiche è seguita una serie di visite ufficiali, in primis di delegazioni o membri dei rispettivi parlamenti e avviate nel maggio del 1993 da una delegazione della Knesset giunta in visita al parlamento di Nuova Delhi e ricambiata nel novembre del 1994 da quella del presidente della camera bassa indiana, la Lok Sabha. Si annoverano inoltre numerose visite effettuate dai governatori di diversi Stati indiani in Israele, a testimonianza della maggiore facilità e immediatezza nei rapporti instauratisi con il livello statale indiano rispetto a quello federale. Nel 1996 e nel 2003 si sono poi registrate due visite di alto rango, la prima del presidente israeliano Ezer Weizmann, la seconda del tanto contestato Primo ministro Ariel Sharon (ed entrambe in anni in cui il Partito del Congresso non era al potere). Come si è detto, nonostante il ritorno al potere in India di quest'ultima forza politica nel 2004, le relazioni politiche sono proseguite con importanti visite reciproche a livello ministeriale a partire dal 200533. 29 ivi, pp. 250-251.

30 P.R. Kumaraswamy, Indo-Israel ties: the post Arafat shift, in “Asia Times Online”, 11 marzo 2005:

h ttp://atimes.com/atimes/Middle_East/GC11Ak02.htm l

31 L. Tillin, US-Israel-India: Strategic axis?, in “BBC News”, 9 settembre 2003:

http://news.bbc.co.uk/2/hi/south_asia/3092726.stm

32 Cfr. E. Inbar, Israel's strategic relations with Turkey and India, in R.O.Freedman (a cura di), Contemporary Israel:

domestic politics, foreign policy and security challenges, Boulder, Westview Press, 2008.

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Nel corso degli anni, è stato il tema della sicurezza nazionale a svilupparsi come dominante, e il terreno di massima cooperazione e beneficio nei rapporti tra India e Israele, sulla base della convergenza dei reciproci interessi strategici legati alla sicurezza [...] La guerra in Afghanistan, l’intervento americano in Iraq, la guerra di Kargil nel 1999 con il Pakistan, gli eventi dell’11 settembre 2001 a New York, l’attacco terroristico al parlamento indiano a Nuova Delhi nel dicembre del 2001, l’attacco terroristico a Mumbai del novembre 2008 si sono dimostrati tutti punti chiave nella decisione indiana di puntare alla collaborazione in ambito militare con Israele […] La domanda dell’esercito indiano di equipaggiamento made in Israele è continuamente cresciuta, fino a fare di Israele il secondo fornitore di armi dopo la Russia34.

Ad oggi l'India rappresenta quindi per lo Stato ebraico il primo mercato di esportazione nel campo degli armamenti. Nel corso degli ultimi venti anni Nuova Delhi ha acquistato da Gerusalemme35 i missili terra-aria di difesa antibalisticai Arrow (finalizzati, appunto a intercettare e distruggere i missili balistici) sviluppati dalle Israel Aerospace Industries36, i missili antinave Gabriel37, i sistemi di controllo Phalcon38 (sistemi di controllo AWACS - Airborne Warning & Controlling Systems), sistemi di comunicazione e munizioni tutti made in Israel. Il solo contratto dei Phalcon, a sua volta parte di un accordo tripartito tra India, Russia e Israele del valore totale di 1,5 miliardi di dollari, ha fruttato ad Israele la cifra di 1,1 miliardi di dollari per la fornitura di tre sistemi radar aviotrasportati su aerei Ilyushin Il-76 di fabbricazione russa39. A tale contratto se ne è aggiunto nel 2009 uno del medesimo valore (1,1 miliardi di dollari) per la fornitura entro il 2017 all'India dei sistemi missilistici SAM (surface-to-air) Barak 840; l'India, inoltre, ha ultimamente mostrato interesse perfino per il costoso e sofisticato sistema di difesa israeliano denominato Iron Dome, utile per contrastare eventuali attacchi da Pakistan e Cina41.

Il connubio tra India e Israele in ambito militare è stato reso possibile e in seguito cementato dalla convergenza di interessi di entrambi i Paesi, ovvero il bisogno indiano di ammodernare il suo obsoleto sistema di armamenti ancora di fabbricazione sovietica e la difficoltà incontrata nel trovare un partner affidabile e in possesso di una tecnologia militare sviluppata e moderna; Israele, dal canto suo, necessitava (allora come, a maggior ragione, ancora adesso) di aprirsi dei mercati sufficientemente grandi e remunerativi abbastanza da finanziare la sua costosa industria militare e 34 ivi, pp. 54-55.

35 A. Harel, Sisters in arms: The burgeoning defense trade between Israel and India, in “Haaretz”, 22 febbraio 2014:

http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/.premium-1.575486 36 http://www.iai.co.il/2013/17658-29820-en/IAI.aspx

37 http://www.iai.co.il/2013/14465-14641-en/IAI.aspx

38 W. Boese, Israel, India sign major arms deal, in “Arms Control Association”,

http://www.armscontrol.org/act/2004_04/ArmsDeal

39 Surya’s Chariots: India’s AWACS Programs, in Defense Industry Daily, 21 gennaio 2014:

http://www.defenseindustrydaily.com/indian-awacs-moving-forward-on-2-fronts-04855/

40 India buys upgraded Israeli air defences for $1.1bn, in Reuters, 9 novembre 2009:

http://in.reuters.com/article/2009/11/09/idINIndia-43809220091109

41 H.R.Gur, After initial balk, India reconsidering buying Iron Dome, in “The Times of Israel”, 11 luglio 2013:

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soprattutto le elevate spese destinate in ricerca e sviluppo. Certamente il fatto che l'industria militare israeliana si sia specializzata, tra le altre cose, nell'aggiornamento dei sistemi di armamento russi, ha reso lo Stato ebraico una fonte alternativa alla Russia decisamente affidabile per i rifornimenti militari indiani42: questa capacità ha permesso, per esempio, l'aggiudicazione negli anni '90 alla compagnia israeliana Elta Systems dell'aggiornamento dell'avionica dei MiG-21 di provenienza sovietica43.

Le relazioni commerciali tra India e Israele sono altrettanto floride e in continua crescita. Dalla liberalizzazione dell'economia e degli scambi commerciali avviata dal governo di Narasimha Rao nei primi anni '90, quando l'interscambio commerciale tra Israele e India si attestava su cifre decisamente modeste (200 milioni di dollari)44, si è arrivati a superare, nel 2012, i 4,4 miliardi di dollari45 tra import ed export. Quello tra India e Israele è stato per anni ed è ancora un commercio basato largamente su un'unica risorsa (single-commodity trade), ovvero sui diamanti, che vengono storicamente importati grezzi dall'India e poi riesportati in Israele una volta avvenuta la lavorazione. La quota dell'industria dei diamanti sull'interscambio totale arrivava inizialmente al 70%. Negli ultimi anni comunque, benché gli scambi legati diamanti e ai preziosi in generale mantengano una quota vicina al 50%, i rapporti commerciali si sono un poco riequilibrati e diversificati. Per fare un esempio, Israele, in virtù delle competenze possedute in tema di agricoltura e coltivazione e recupero di suoli aridi, è emerso come il partner ideale dell'India, Paese ancora fortemente dipendente dal settore agricolo e affetto da periodici problemi di siccità e scarsità d'acqua46; i settori in sviluppo (in una lista non esaustiva) sono anche il turismo, la cosiddetta water technology (comprendente per esempio la desalinizzazione dell'acqua) e il settore delle telecomunicazioni. Nel 2007 i due Paesi hanno avviato le negoziazioni per il varo di un'area di libero scambio che, secondo le previsioni israeliane, potrebbero portare in pochi anni al raggiungimento di un volume di affari pari a 10 miliardi di dollari: i negoziati, organizzati in molteplici e periodici incontri tra le parti, sono ancora in corso di svolgimento47.

A livello strategico e tenuto conto del contesto mediorientale presente, i floridi rapporti commerciali e militari con l'India, accompagnati dalla esistente cordialità a livello politico, possono essere fatti valere da Israele per smussare la minaccia iraniana. L'India, essendo il secondo compratore di greggio iraniano dopo la Cina, ha indubbiamente un forte potere contrattuale nei confronti dell'Iran e il suo aiuto per implementare le sanzioni internazionali è essenziale. India e Israele, in 42 Cfr. R. Abhyankar, The evolution and future of India-Israel relations, in The S. Daniel Abraham Center for

International and Regional Studies, Research paper no. 6, marzo 2012.

43 W. Minnick, Israeli exhibit among largest at show, in Defense News, 12 febbraio 2009. 44 http://itrade.gov.il/india/israel-india/

45 Dati del Central Bureau of Statistics www.cbs.gov.il

46 Cfr. P.R. Kumaraswamy, op.cit., pp.254-256.

47 Free trade agreement may double India-Israel trade to $10 bn in 5 years, in “The Economic Times”, 7 ottobre 2013, http://articles.economictimes.indiatimes.com/2013-10-07/news/42794527_1_india-alon-ushpiz-free-trade-agreement-israel-minister

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contrapposizione alla Repubblica islamica iraniana, sono accomunate dal fatto di essere tra le poche democrazie nel vicino e lontano Oriente, entrambe vittime del terrorismo di matrice islamica; Israele, inoltre, può godere facilmente della simpatia indiana a detrimento di una repubblica teocratica islamica che sbandiera dalla propria fondazione la volontà di spazzare via dalla geografia del Medio Oriente lo stesso Stato ebraico. Un altro motivo di vicinanza tra Gerusalemme e Nuova Delhi è la contrarietà indiana al fatto che anche l'Iran arrivi a costruire un'arma nucleare: infatti in una regione che già vede gli acerrimi nemici pakistani possedere un notevole arsenale atomico, l'ultima cosa che l'India vuole è una frenetica corsa alla bomba che, dopo l'Iran, coinvolgerebbe sicuramente anche l'Arabia Saudita, in una spirale potenzialmente incontrollabile e molto pericolosa per la sicurezza nazionale indiana e per la stabilità regionale.

Ciò che Israele deve tenere a mente, però, è il fatto che l'India ben difficilmente sarà mai disposta ad accettare un attacco preventivo sferrato da squadriglie di caccia israeliani su siti nucleari iraniani (come ormai si vocifera da anni) così come qualsiasi altra soluzione brutale della questione nucleare iraniana48. Lo impediscono infatti innanzitutto i legami millenari a livello geografico, linguistico, culturale, religioso intrattenuti dalle civiltà iranica e indiana49, nonché le scelte in politica estera che hanno accomunato India e Iran, per esempio sull'Afghanistan, su cui si riscontra da tempo una visione comune, sancita negli anni '90 con il sostegno dato all'Alleanza del Nord durante il regime dei Talebani e proseguita nei confronti dell'attuale governo Karzai50; lo impedisce la cordiale, decennale collaborazione che lega l'India e la repubblica islamica iraniana sin dal 1983, anno della formazione della Commissione congiunta Indo-Iraniana, una cornice di periodici incontri bilaterali a livello ministeriale finalizzati a promuovere il dialogo e la cooperazione politico-economica tra i due Paesi51; lo impedisce, in generale, la volontà indiana di mantenere le tradizionali buone relazioni con l'Iran, nonostante la parallela, notevole crescita dei rapporti con Israele. L'India, insomma, punta ad un equilibrismo basato su una complicata compartimentalizzazione dei rapporti con Israele e Iran, resa sempre più difficile dalle continue tensioni tra Gerusalemme e Teheran, nonché dalle forti pressioni statunitensi affinché Nuova Delhi diminuisca il volume del suo interscambio con l'Iran e abbandoni cooperazione e dialogo, in modo da implementare le sanzioni internazionali.

48 K. Komireddi, Israel, use India to pressure Iran, in Haaretz, 20 giugno 2012:

http://www.haaretz.com/opinion/israel-use-india-to-pressure-iran-1.439834

49 Si ritiene che gli antichi abitanti di Iran e India siano originari del medesimo ceppo ariano, tesi peraltro attestata nei libri sacri di entrambe le civiltà, ovvero Veda e Avesta, che quindi presentano notevoli analogie; a livello linguistico, farsi e hindi – derivato dal sanscrito – sono entrambe lingue indoeuropee: http://www.indianembassy-tehran.ir/india-iran_historica_links.php

50 A. Ahmed, India in diplomatic bind over choosing US, Iran and Israel for its national interests, in “Interdisciplinary Journal of Asian and Middle Eastern studies”, 30 settembre 2013:

http://idjames.org/2013/09/india-in-diplomatic-bind-over-choosing-us-iran-and-israel-for-its-national-interests/

51 Ministry of External Affairs, Government of India, Joint Press Statement on 17th India-Iran Joint Commission

Meeting, 4 maggio 2013: http://www.mea.gov.in/press-releases.htm? dtl/21652/Joint+Press+Statement+on+17th+IndiaIran+Joint+Commission+Meeting

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In conclusione l'India rappresenta una risorsa crescente per Israele, tanto più in virtù delle forti penalizzazioni sulle esportazioni (e quindi le rendite) petrolifere iraniane e che vedono l'India al secondo posto dopo la Cina come compratore di greggio. Essa è quindi una potenziale leva capace di aumentare indirettamente la deterrenza di Israele e indirizzare il governo iraniano verso scelte condivise e concordate con la comunità internazionale sullo spinoso tema del nucleare. Resta tutto da vedere e dimostrare se Israele saprà cogliere tale opportunità che infatti, preliminarmente, necessiterà di un deciso cambio di rotta della sua politica nei confronti dell'Iran.

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