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“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.

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Academic year: 2021

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C APITOLO 2

F ORNO

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.

Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

La luna e i falò, Cesare Pavese

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2.1 I L P AESE DI F ORNO

“Siete mai stati a Forno? Si parte da Massa, si percorre la stretta valle del Frigido, che nasce puro dalla più grande sorgente d’acqua della Toscana e va a finire malsano a mare, e si arriva al paese che è tutto lì.

Case su poggi ripidi sotto il Monte Contrario sovrastante.

Due picchi rocciosi prismatici, su uno dei quali qualificò storicamente il paese una bandiera rossa permanente e dove la leggenda vuole che Cafiero avesse inciso uno dei primi inni alla rivolta di classe. Subito sotto una sorta di orrido teatrale scheletro di una fabbrica antica e paternalistica ridotta così dalla bianca, plumbea vena distruttrice nazifascista.

Più sotto, tira il fiato e scorre il fiume. Sopra, hanno bellamente ripristinato l’edificio della direzione industriale, che disponeva di rotaie esclusive fino a Massa e dava lavoro, dalla fine dell’Ottocento, soprattutto a donne, con tanto di primordiali e a prima vista carine case popolari. Appena sopra il Frigido si aggirano tra sassi e rocce marmoree, trote, anatre, anguille libere e felici dentro e fuori i mulinelli.

Se vai avanti la strada finisce, ma non per camion disgraziatamente in viavai, che vanno a fornirsi, inquinando Forno di gas di scarico e di blasfemi rumori, di dolomitico pietrisco dalla splendida Cava Romana in giù.

Forno, per un malinteso sbarco alleato, fu conquistata e occupata da partigiani, diretti da un giovane ufficiale credo comunista. Lo sbarco non ci fu.

I nazifascisti rioccuparono il paese combattendo contro pochi partigiani, e il loro comandante ci morì buscandosi il nulla, cioè una medaglia. Ne seguì un eccidio, una settantina di Fornesi furono uccisi sui ciottoli marmorei del fiume” 3 .

Forno si trova in una stretta vallata del fiume Frigido a 212 metri s.l.m., a 7 km da Massa, ai piedi delle Alpi Apuane, sotto il massiccio del monte Contrario.

Il paese conosciuto anticamente anche come Rocca Frigida, deve il suo nome attuale alla presenza di fabbriche per la lavorazione del ferro, attive già nel XIII secolo.

3 Presentazione di Luciano Della Mea a Di funghi, di sassi, di ciclismo, di uomini… di Forno.

Lettere a Luciano di Massimo Michelucci, Editoriale Jaca Book, Milano 2002

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Pizzo d’Uccello (1782)

M. Pisanino (1947)

M. Contrario (1790)

M. Cavallo (1888)

M. Rasori (1422) M. Tambura (1890) M. Grondilice (1805)

2. Panoranica dal monte Sagro delle Apuane sopra Forno

M. Sagro (1749) M. Rasori (1422)

M. Contrario (1790)

M. Cavallo (1888)

M. Grondilice (1805)

1. Le vette delle Apuane viste da sopra il cotonificio 25

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3. La Filanda: individuazione geografica

F IRENZE

A REZZO

S IENA

G ROSSETO P RATO P ISTOIA

P ISA L IVORNO

L UCCA

B OLOGNA

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Parco delle Alpi Apuane

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C ARRARA

6 4.5 3 1.5 K M 0

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Con una popolazione di circa mille è l’insediamento più grande dell’area montana massese; un numero consistente, ma pur sempre di gran lunga inferiore rispetto alle stime che interessano l’abitato all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.

In quegli anni si valuta infatti che il paese potesse raggiungere i 3.500 abitanti, ma al termine del conflitto, essendo venute a mancare le risorse per un’economia capace di soddisfare le minime esigenze vitali, iniziarono le prime grandi emigrazioni.

All’inizio del secolo, durante il periodo d’attività della Filanda, le dimensioni e l’importanza del paese, rispetto al comprensorio, risultano ancor più evidenti:

secondo il censimento del 1901 Forno contava 1.968 abitanti, un numero rilevante rispetto ai 1.031 del 1881, ma addirittura eccezionale se si considera che, negli stessi anni, Massa-città ne aveva poco più di 10.000, che le uniche frazioni più grandi erano Castagnola (2.000 ab.) e Turano (3.000 ab.), e tutta la Marina poco più di 900 abitanti.

Dinamiche della popolazione di Forno 1584 - 2005 Periodo di attività del Cotonificio

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5. Le Alpi Apuane e la cava “Tassara” a monte del paese e della Filanda

4. Il paese di Forno dalla cima de “I tufi” 28

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2.2 L A SUA S TORIA

A causa della quasi completa assenza di una qualsiasi forma di documentazione (cimeli, rovine o altro) risulta ad oggi molto difficile ricostruire la nascita di Forno e la sua storia, tuttavia, sebbene non sia risultato possibile individuare con certezza forme di vita associate anteriori al Medioevo è facilmente intuibile l’esistenza di un collegamento tra i primi insediamenti e la grande quantità di acqua disponibile.

La più antica testimonianza a provare l’esistenza di una comunità permanente a Forno risulta essere un’epigrafe murata sulla parete destra della Chiesa di San Pietro in Forno, che reca la data 1322.

Alla fine del Trecento Forno è definito come un piccolo “centro cittadino” con

“chiesa, ospedale, osteria e rete di strade”, sebbene le strutture ambientali non permettessero lo sviluppo di un’agricoltura capace di sostenere né una popolazione umana, seppur ristretta, né altre attività economiche.

La stretta e ripida valle del fiume Frigido, infatti, ancora oggi non offre spazi favorevoli ad una consistente coltura dei cereali e di altri prodotti da cui trarre adeguato sostentamento. Solo a costo di grandi sforzi e sacrifici gli abitanti del paese riuscirono a strappare alla montagna porzioni di terreno coltivabile, realizzando, nei fianchi delle montagne più favorevolmente esposte al sole delle

“piane”: terrazze sostenute da muri a secco.

La pastorizia, invece, per via del suo carattere nomade e transitorio era certamente presente nella vallata già in tempi antichissimi; se ne ha testimonianza perfino in una lettera del Machiavelli, datata 5 Marzo 1512, che menziona alcune controversie tra gli abitanti di Forno e di Vinca sull’utilizzo dei pascoli.

La storia del paese è legata a quella di Massa; nel Medioevo dominio dei vescovi di Luni, parentesi pisana, poi degli Obertenghi e infine dei Malaspina.

Nel 1533 salì alla guida del di questo casato Alberigo Cybo Malaspina sotto il cui principato nel 1584, allo scopo di imporre nuove tasse, vennero censiti “anime et fochi dello Stato di Massa”, a quella data Forno contava 103 “fochi” e 509

“anime”. La principale fonte economica era costituita dall’estrazione del ferro; un disegno dell’epoca illustra edifici emergenti ormai perduti: una rocca nella parte più alta del paese (ancora oggi chiamata “Castello”), la chiesa, un mulino al centro del paese, un’importante edificio più a monte e, soprattutto, una “fabrica

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7. Le “piane” sopra la Filanda

6. Le “piane” sopra l’abitato di Forno 30

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del fero”.

A partire dal XVII secolo all’attività di estrazione e di fusione del ferro si affiancò quella della fabbricazione dei cappelli che venivano poi venduti nei mercati di Livorno, Parma, Genova, Corsica e Sardegna. Tale industria divenne col tempo sempre più solida sia per qualità che per quantità.

Nel 1741 a seguito del matrimonio tra Maria Teresa Cybo con Ercole d’Este, il territorio di Massa entrò nell’orbita del Granducato di Modena di cui fece ufficialmente parte nel 1771 e sotto il dominio del quale rimase fino all’Unità d’Italia, escluse la parentesi “repubblicano-cisalpine”, “lucchese” e del ritorno di Maria Beatrice d’Austria-Este (1815-1829).

All’inizio del XIX secolo, in seguito alla conquista di Massa da parte delle truppe francesi (1796), l’attività produttiva dei cappelli fornesi iniziò il suo declino a seguito della fuga di molti “cappellari” a cui erano imposti alti tributi.

Il mancato aggiornamento delle obsolete tecniche di produzione e l’arrivo di altre attività emergenti e di più immediato reddito legate all’estrazione del marmo contribuirono alla rapida scomparsa dell’industria del cappello.

L’estrazione del marmo, praticata già da tempo, ebbe infatti un notevole sviluppo solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo.

Nel 1871, ad Unità d’Italia avvenuta, nella vallata di Forno furono rilasciate 9 concessioni per segherie, e 82 erano le cave di marmo aperte nel Canale degli Alberghi. L’escavazione e la lavorazione del marmo divenne il fattore principale dell’attività economica del massese e l’amministrazione comunale avviò una riorganizzazione della viabilità cittadina allo scopo di facilitare il trasporto dei marmi verso la stazione ferroviaria, da poco costruita anche a Massa.

“Ne è l’esempio preciso la costruzione della strada nella vallata di Forno, che, iniziata nel 1864 e portata a termine nel 1887, venne più volte modificata nel percorso a seguito di esigenze dovute all’apertura di nuove cave. Ma l’inizio stesso della costruzione è connesso alle richieste avanzate da alcuni imprenditori locali e stranieri che avevano già iniziato privatamente la costruzione di via di accesso alle cave e alle strade di lizza” 4 .

Il continuo aumento della quantità di marmo scavata rese, infatti, necessari alcuni cambiamenti alla rete delle infrastrutture al fine di ottenere una riduzione dei costi di trasporto. Tale iniziativa era stata studiata a partire dagli anni ’60 e nel

4 La vita amministrativa a Massa dall’Unità alla Prima Guerra Mondiale di R.Polazzi, in “Città e Storia”, mostra storico-documentaria, Carrara 1978

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9. Veduta di Forno, Ernst Fries, prima metà sec. XIX

8. Veduta di Forno, Pietro Bontemps, prima metà sec. XIX 32

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12. Cronistoria della strada ferrata Marina - Massa - Forno

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1 2 3 4 5

K M 0

Scala 1 : 1.000.000

1864 - 1887 Costruzione strada comunale Massa - Forno, Via Bassa Tambura

1872 Ditta Furness Mendrson & C.: primo progetto per una tramvia

1889 Cav. Ercole Belloni di Milano: convenzione per la costruzione di una ferrovia a scartamento ridotto

22.6.1890 Attivazione servizio Massa - Marina

18.4.1891 Attivazione servizio stazione - Canevara (località Poggio Piastrone)

28.12.1892 Prolungamento della tranvia fino a Ponte di Forno (bivio tra Forno e Resceto). Una locomotiva stradale proseguiva fino al cotonificio

27.4.1895 Arrivo della tramvia a Forno. Una locomotiva stradale collegava Forno al cotonificio

28.6.1896 Avvio di corse per i passeggeri

1932 Smantellamento strada ferrata Marina - Massa - Forno

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11. Cartolina postale 1921. Carri trasportano blocchi di marmo tra Forno e la Filanda

10. Gente sulle strade di Forno. Primi del ‘900 34

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1872 la ditta Furness Mendrson & C. aveva richiesto l’autorizzazione a costruire una tramvia. Alla proposta si erano però opposti i commercianti del marmo per via delle condizioni che la società voleva imporre, tra cui il monopolio della viabilità. Il progetto fu ripreso più volte finché nel 1889 il comune stipulò la definitiva convenzione con il Cav. Ercole Belloni di Milano per la costruzione di una ferrovia a scartamento ridotto per unire il pontile caricatore, da poco realizzato a Marina di Massa, con le cave e le segherie della pianura e quindi creare un collegamento tra Massa e la Marina e tra la stazione e Forno.

I tempi di realizzazione della ferrovia furono brevissimi. Il 22.6.1890 fu ufficialmente inaugurato il servizio Massa-Marina, mentre il 18.4.1891 fu attivato quello tra la stazione e Canevara (paese a metà strada tra Massa e Forno). Il capolinea si trovava in località Poggio Piastrone che, posto tra Canevara e Forno, era punto di caricamento dei marmi del bacino di escavazione del paese di Casette.

Il 28.12.1892 una delibera comunale sancì l’ulteriore prolungamento della tranvia fino a Ponte di Forno (bivio tra Forno e Resceto).

Il Cotonificio Italiano 5 la cui costruzione era iniziata nel 1880 rappresenta una svolta per la storia della tranvia. Per permettere alle merci il transito la direzione era infatti costretta a ricorrere ad una locomotiva stradale, ma i danni che questa produceva sulla carreggiata, provocarono le proteste degli abitanti.

Anche per questo motivo nel 1893 successive delibere del Consiglio Comunale, autorizzate dal Ministero nel 1894, concessero l’ampliamento della tramvia fino a Forno.

A causa della forte pendenza della strada appena oltre le ultime case del paese le locomotive in uso non avevano però la forza di arrivare al Cotonificio; al centro del paese esisteva dunque un doppio binario per lo scambio tra la tramvia e la locomotiva stradale (soprannominata dai fornesi la “Ciabattona”) che trainando i vagoni su rotaia superava gli ultimi 500 metri che mancavano per raggiungere lo stabilimento.

Il 27.4.1895 il Prefetto autorizzò tramite decreto “il trasporto dei passeggeri sulla tramvia da Canevara al Ponte di Forno e l’apertura dell’esercizio dal Ponte di Forno all’abitato di Forno” 6 .

5 Sulla tramvia cfr. Note storiche sulla Filanda di Forno, Massimo Michelucci, Ceccotti editore, Massa 1992

6 Copia del Decreto in A.S.C.M

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13. La “via nuova” in una foto degli anni ‘30

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15. Il Viale della Stazione con i binari della Tramvia. Foto anni ‘30

14. Cartolina postale 1908. La “Ciabattona” nel piazzale antistante la Filanda 37

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Successivamente, a partire dal 28.6.1896, si ebbe l’attivazione di corse anche per i passeggeri e che inizialmente venivano effettuate nei soli giorni festivi 7 .

Prima della realizzazione della locomotiva non vi erano altri mezzi di locomozione come carri; nel 1896 erano registrati solo due cavali, ed entrambi erano di proprietà del Cotonificio, perciò gli operai che “settimanalmente ritornavano ai loro paesi per ricondursi poi, passata la festa, al Forno” erano costretti ad affrontare gli 8 km di strada a piedi, in grossi gruppi, magari anche di notte come quando si avviavano al turno di lavoro della mezzanotte.

La capacità di assorbimento di manodopera della fabbrica fu tale da esaurire in fretta le risorse di forza lavoro, artigianale e di manovalanza, che il paese fin dalla costruzione dello stabilimento aveva offerto.

Fulcro delle maestranze erano le donne e le bambine, e come era successo alle donne fornesi fino al 1872 che si erano aggiunte a quelle di località vicine nella manifattura dei tabacchi istituita da Francesco V di Modena, così vennero assunte donne provenienti dalla città e dalle zone limitrofe (Querceta, Vallecchia, Pietrasanta e altre località), per questo motivo, in quegli stessi anni, fu costruito a ridosso dello stabilimento un apposito edificio adibito a convitto per le operaie.

La Filanda trasformò così il paese che conobbe per alcuni decenni un periodo di relativo benessere grazie agli alti livelli occupazionali che la fabbrica richiedeva; nel 1893 erano impegnate 798 unità e qualche decennio dopo, quasi un migliaio. Le dimensioni dell’ “immigrazione” risultano evidenti se si considerano la rapida crescita demografica e la presenza di cognomi “non tradizionali” .

Lo stabilimento con tutte le strutture ad esso connesse ( terreni, mulini, asili, convitto, case operaie, spaccio ecc) fu tuttavia una realtà a sé, autonoma e totalmente indipendente. Chiaramente il Cotonificio aveva sconvolto la realtà economica locale, ma Forno non riuscì nel tempo a beneficiare in maniera conseguente della ricchezza che lo stabilimento rappresentava.

Fu proprio questo atteggiamento “autarchico” che impedì allo stabilimento di creare un sistema produttivo più ampio e capace di auto-svilupparsi e di orientare lo sviluppo economico della zona. Da questo punto di vista è paradigmatico di una realtà economica ed imprenditoriale che stenta a costruire un proprio meccanismo di sviluppo.

La presenza del cotonificio fece avvicinare i fornesi all’evolversi delle dottrine

7 Abitanti della montagna, Petizioni al Sindaco del 22.8.1895 e del 13.10.1895, in A.S.C.M

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e della vita politica, molti aderirono al partito socialista e per avere un luogo di incontro costruirono in pochi anni, grazie al lavoro volontario e all’autotassazione degli aderenti, la Casa del Popolo, poi Casa Socialista. Terminata prima del 1915, e frequentata da tutti, attraverso una crisi solo nel periodo fascista al quale il paese fu sempre e quasi totalmente ostile.

Nel 1929 e nel 1932 le crisi economico-industriali si fecero sentire anche a Forno con una pesante riduzione dei livelli occupazionali sia nel cotonificio che nell’attività di estrazione e di lavorazione del marmo.

Tale crisi venne aggravata dalle sanzioni che la Società delle Nazioni inflisse all’Italia in seguito all’inizio della Guerre d’Etiopia, l’esportazione del marmo verso la Gran Bretagna e i paesi ad essa legati, che ne erano i principali acquirenti, cessò di colpo e molte cave dovettero chiudere o ridurre il numero degli addetti.

In seguito a tale difficoltà si ebbe anche la caduta in disuso della strada ferrata Forno-Massa-Marina, che, faticamene costruita, venne definitivamente smantellata nel 1932; l’opera aveva contribuito ad avvicinare Forno alla città, alla Marina e alle zone limitrofe, con ovvie ripercussioni sul piano psico-sociologico e culturale.

Venendo a mancare le possibilità occupazionali “locali”, Forno, a poco più di 50 anni dalla sua comparsa nella geografia industriale, esportò manodopera e soldati in Abissinia e in Spagna. Da quel periodo l’attività marmifera non si risollevò; nel periodo fra le due guerre, infatti, solo tre, forse quattro cave riuscirono a funzionare con regolarità e produttività.

All’inizio della seconda guerra mondiale il cotonificio cessò la propria attività e venne trasformato in magazzino dalla marina militare; successivamente venne depredato (1943) e distrutto dalle truppe tedesche perché ritenuto possibile rifugio di partigiani (1944).

Il 13 Giugno 1944 in seguito ad una “spedizione punitiva” S.S. tedesche e soldati dell’esercito “repubblichino” prelevarono molte decine di giovani del paese e, dopo averli condotti nei pressi della vicina chiesetta di Sant’Anna, li fucilarono per debellare l’organizzazione partigiana che si era sviluppata.

Con la fine del conflitto la Filanda non fu però ricostruita poiché giudicata antieconomica dalla logica del profitto, l’attività del marmo non crebbe, e il paese subì una lunga, massiccia emigrazione da parte dei giovani rimasti.

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17. Piazza della Dogana e il pontile caricatore. Anni ‘30

16. Forno 1906-1907. A destra pietre per la costruzione della Casa Socialista 40

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18. La Filanda e il Pizzo Acuto

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2.3 F ORNO : 13 G IUGNO 1944

Agli inizi di giugno del 1944 i partigiani apuani e versiliesi si riunirono in località “Alberghi” sul monte Contrario, per costituire un’unica formazione al comando di Marcello Garosi “Tito”, che guidava il gruppo della “Mulargia”.

Il giorno 9 giugno quegli stessi partigiani occuparono la frazione di Forno, nella speranza di una sbarco alleato sul litorale apuo-versiliese che doveva essere annunciato da un messaggio radio.

Grande euforia si diffuse per le vie del paese in quei giorni. La popolazione accolse i partigiani, gli stessi carabinieri della stazione locale collaborarono. In città alcuni soldati disertarono, 50 di loro si portarono a Forno e si unirono ai partigiani. A causa di una ferita al piede Garosi non scese quel giorno, ma nei giorni seguenti governò il paese come piccolo stato libero, e trattando con i fascisti locali impedì inutili maltrattamenti.

Le forze fasciste e amministrative di Massa si rivolsero allarmate ai comandi militari di La Spezia. I membri del CLN Apuano invitarono i partigiani a ritirarsi.

Il 12 giugno i vari capi delle formazioni si riunirono in paese per decidere il da farsi, e forse in base alla decisione del ripiegamento furono rimosse le vedette.

La mattina del 13 giugno, festa di S. Antonio, patrono del paese, già dalle prime luci dell’alba Forno si trovò assalito dalle truppe nazi-fasciste, mentre quelle partigiane risultarono quasi del tutto impreparate. Un battaglione tedesco (forte forse di alcune centinaia di uomini) e un reparto della X MAS (composto probabilmente dalle 50 alle 100 unità), provenienti da La Spezia, si portarono a Forno su due direttrici, operando un’azione di accerchiamento. La colonna più grande su autocarri raggiunse il paese da Massa percorrendo la strada provinciale, mentre la seconda da Colonnata e dal Vergheto, attraverso sentieri di montagna.

Lungo la via provinciale, in località S. Antonio, i partigiani della formazione

“Righetto” di Casette fecero esplodere delle mine, che, pur non causando gravi danni per i tedeschi, ne ritardarono l’azione.

Presso la chiesa di S. Anna, appena prima del paese, una squadra di partigiani sparò sui tedeschi e poi anche dalle prime case del paese si sparò con una mitragliatrice sulla colonna avanzante. Non esistono notizie sulle probabili vittime di questi scontri.

Al momento in cui i partigiani si ritirarono dalle prime case le forze provenienti

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19. La lapide del partigiano “Tito”, alle pendici del Pizzo Acuto

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da Colonnata erano già entrate in paese dalla parte alta, dove nel frattempo, nei pressi della Filanda, in località Pizzo Acuto, era morto Tito, che si era affannato in quelle ore a tentare di organizzare gli uomini e una risposta militare, azione per la quale fu insignito della medaglia d’oro al Valore Militare. La storia, ma forse meglio dire la leggenda, vuole che “Tito” si suicidò con l’ultimo colpo di pistola.

Alle 7/8 del mattino i tedeschi, dopo altri limitati scontri a fuoco, iniziarono un rastrellamento casa per casa. L’intera popolazione fu radunata dapprima davanti alla Caserma dei Carabinieri in vista di un generale massacro, poi, anche grazie all’intervento del maresciallo dei Carabinieri Ciro Siciliano, donne e bambini furono sistemati lungo la strada del cimitero in attesa di giudizio, strettamente vigilata dai soldati tedeschi armati, mentre gli uomini giovani venivano invece selezionati nella Caserma di Carabinieri.

La giornata fu drammatica. Nel rastrellamento fu uccisa una donna, un bambino ferito gravemente, un partigiano fu freddamente finito davanti a tutti, un altro morto e crivellato di colpi fu esposto sulla strada.

Quel giorno emerse positiva la figura del Parroco Don Vittorio Tonarelli che si prodigò per tutti, tanto da meritare la medaglia d’argento al Valore Civile, ed invece tragicamente quella del Tenente Umberto Bertozzi, della X MAS, che purtroppo non si limitò a seguire i tedeschi, ma fu attore partecipe, consapevole e coinvolto, dell’azione di rappresaglia.

Verso le 20, sessanta giovani furono condotti a gruppi di 8 - 10 unità, in località S. Anna, e lì fucilati da un plotone tedesco sul ciglio della strada da dove caddero nel gretto del fiume. Tra i fucilati vi fu anche il Maresciallo Siciliano, accusato di aver collaborato coi partigiani.

A discriminare i giovani da fucilare o deportare come prigionieri, all’interno della caserma, fu unitariamente agli ufficiali tedeschi anche il Tenente Bertozzi.

Verso le ore 22/23, dopo aver sparato alcuni colpi di artiglieria da un semovente in direzione degli Alberghi, i tedeschi abbandonarono il paese con 52 giovani che furono deportati in Germania. La popolazione, rimasta inerte sulla strada, scoprì cosa era successo solo l’indomani mattina. Quattro dei fucilati sopravvissero e raccontarono che sul mucchio dei caduti furono sparate raffiche di mitra e lanciate delle bombe.

Il 13 giugno a Forno morirono 68 persone: 56 nella fucilazione, 10 nell’azione di rastrellamento e negli scontri, 2 bruciate all’interno della caserma che fu incendiata insieme ad altre tre case.

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21. Monumento commemorativo della Strage di Sant’Anna di Forno

20. Il luogo dell’eccidio 45

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2.4 U N I TINERARIO A TTRAVERSO LA SUA S TORIA

La particolare conformazione geografica ed urbanistica di Forno, con il fiume, la via “vecchia” e quella “nuova” e il reticolo di stradine che passando tra le case si inerpicano sulle pendici del monte, permette di effettuare un vero e proprio viaggio a ritroso nella sua storia .

L’itinerario deve partire necessariamente dalla chiesa di Sant’Anna, all’inizio del paese, luogo simbolo del più drammatico avvenimento della storia fornese.

Un monumento commemorativo e la recente sistemazione del tratto di fiume dove è stato perpetrato l’eccidio testimoniano il triste evento.

Risalendo la via provinciale ci si avvicina al paese, si oltrepassa la chiesetta e si scorgono le case del paese, che dal fiume si inerpica sul versante del monte in ricerca di luce, il Ponte dell’Indugio e sullo sfondo le Alpi Apuane.

Costruito nel ‘500 il ponte in pietra con arco a tutto sesto è stato per secoli l’unico del paese a permettere agli abitanti di raggiungere le piane sull’altro versante della valle.

Entrando in paese la via “vecchia” stretta tra il monte e le case sale all’interno, mentre la “nuova”, costruita solo nell’800, fiancheggia il fiume che scorre qualche metro più sotto; un ponte, realizzato nei primi anni del ‘900, collega le due sponde, portando al cimitero, “ai campi” e a pochi edifici, tutti “recenti“; tra di essi la Casa Socialista (1912) e le scuole, costruite nel dopoguerra.

Dove adesso si trova la strada provinciale prima si trovava la “gora”, una derivazione del fiume che serviva ad alimentare i mulini del paese; l’alveo del fiume era molto più ampio e gli abitanti di Forno vi accedevano direttamente e con frequenza.

A confermare come il fiume rappresentasse per il paese l’unica fonte di acqua corrente in quegli anni ci sono le proteste degli abitanti nei confronti del cotonificio la cui costruzione inquinava l’acqua del fiume; per questo nel 1896 si realizzò una fontana pubblica che prelevava l’acqua direttamente dalla sorgente del Frigido.

Nonostante il numero di abitanti, la conformazione della valle il paese si sviluppa quasi interamente sul versante più esposto al sole; così lungo la strada provinciale le case a 3-4 piani, dai colori pastello, costituiscono una lunga fila senza quasi soluzione di continuità, incastrandosi e sovrapponendosi quasi l’una sull’altra; solo ogni tanto una ripida scala o un angusto passaggio sembra

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condurre all’interno del paese.

Il forte sviluppo in verticale e il riempimento dei vuoti tipico dell’“urbanizzazione” fornese è dovuto al rapido incremento demografico che si è avuto con l’insediamento del cotonificio. Nonostante la costruzione del “palazzo operaio” e di altri tipi di edilizia “sociale”, il paese fu infatti costretto ad una massiccia opera di innalzamento e di parcellizzazione delle abitazioni per accogliere l’aumento della popolazione, raddoppiata in pochi anni.

Nel fiume una galleria ampia circa 2 metri, chiusa da un’arrugginita grata e da un arco in mattoni con chiave di volta in marmo su cui è incisa la data 1890, è lo sbocco del canale di scarico della turbina del cotonificio che con un tunnel scavato nella roccia della montagna e lungo oltre 500 metri restituisce al fiume le acque prelevate alla sorgente per produrre energia elettrica.

Poco sopra emerge la mole del Palazzo Operaio che per anni ha ospitato le famiglie dei lavoratori del cotonificio; la sua forma e le sue dimensioni nulla hanno a che fare con il resto dell’abitato ma oggi ne rappresentano forse l’immagine più famosa e ricorrente.

La strada a questo punto raggiunge una piazza che riunisce la via “vecchia” e quella “nuova”. Le recente sistemazione ha restituito alla piazza l’aspetto che aveva alla fine dell’800 quando venne realizzata la prima fontana pubblica del paese; la fontana ha la stessa collocazione e la stessa forma, una targa ricorda inoltre il sacrificio del paese durante la guerra.

Sul fiume la strada provinciale prosegue conducendo al cotonificio e alle cave.

Parallela una stretta scalinata si insinua tra le case e risale il fianco della montagna e, prima della costruzione della strada provinciale, era l’unico percorso che potevano percorrere i blocchi di marmo che scendevano dalle cave.

La zona attorno alla piazza viene conosciuta come “Palazzo” per via dell’edificio che ne occupa il lato corto a monte. L’edificio ha assunto l’attuale forma nel ‘600 quando divenne dimora di una ricca famiglia di cappellai; alcuni studiosi ipotizzano che il suo nucleo più antico sia costituito dal casino di pesca che la famiglia Medici possedeva a Forno.

Sopra i tetti delle case sul lato lungo si scorge invece la parte alta del paese, l’aggregato di case de “Il Castello” il cui nome deriverebbe dalla rocca che anticamente lì si trovava, come risulta dalle tavolette medicee del ’500.

Dalla piazza si procede a ritroso verso valle lungo la via “vecchia”. Compiuti pochi metri attraverso la stretta strada questa si riapre in una piazzetta

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22. Forno: un itinerario nella sua storia attraverso le sue strade

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Uno dei cui lati è occupato dall’abside della chiesa, sopra la quale si innalza il campanile. L’ingresso risulta infatti dal lato opposto rispetto a quello che si affaccia sulla piazza, e una volta entrati si ha la strana sensazione che la chiesa risulti come rovesciata, il transetto risulta infatti più prossimo all’ingresso che non all’altare; l’ingresso è inoltre inquadrato da colonne e affiancato da una cappella laterale; l’anomala disposizione della chiesa deriva da una serie di eventi storici, testimonianze di passate alluvioni della piazza fanno infatti presumere che per tutelare la chiesa sia stato scelto nel corso della sua costruzione di ribaltarne la disposizione.

Sulla parete della chiesa che si affaccia lungo la via “vecchia” una targa in marmo recante la data 1322 è la più antica testimonianza della storia del paese.

Recenti lavori di restauro del campanile sembrano convalidare l’ipotesi per la quale l’attuale transetto sia ciò che rimane di una più piccola e antica chiesa sopra la quale si è poi elevata la chiesa attuale allorché l’aumento della popolazione del paese ne ha reso necessario un ampliamento; il transetto segue in fatti l’ideale direttrice est-ovest dell’edilizia ecclesiastica.

Oltrepassata la chiesa la strada si stringe ulteriormente riducendosi in certi tratti ad un passaggio di poco più di un metro su cui si affacciano le alte abitazioni a 2, 3 e anche 4 piani, le montagne spariscono e l’unica traccia dell’ambiente esterno è la striscia di cielo sopra di noi e il borbottio di sottofondo del fiume. Mentre si procede verso valle la strada si allarga e riappaiono i monti che sovrastano il paese mentre le abitazioni si fanno meno anguste e più soleggiate.

Scalette e vicoli bui portano o al fiume o ancora più su, verso la parte alta del paese, e oltre ancora verso le piane che sono state faticosamente ricavate lungo le più soleggiate pendici del monte.

Proseguendo lungo la strada si apre una piazza che ospita la seconda fontana pubblica del paese e si affaccia sulla via “nuova”, facendo scorgere il fiume e le scuole. La piazza “si creò” quando un torrente proveniente dal monte esondando ed insinuandosi in un vicolo abbatté la grande abitazione di fronte alla quale sfociava. Sulla piazza si affacciano numerosi “palazzi” tra cui emerge un seicentesco edificio, riccamente decorato; una maestà con in mano un cappello rivela essere una volta dimora di una ricca famiglia di cappellai fornesi.

Scendendo dalla “via Vecchia” si chiude l’anello ritornando sulla via Bassa Tambura.

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