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Studio dell'andamento di Torqueteno virus in pazienti sottoposti a trapianto di organo solido e validazione dell'uso della viremia come marcatore predittivo della disfunzione del sistema immunitario dell'ospite infettato

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia

Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia

Tesi di Specializzazione

“Studio della viremia di Torquetenovirus (TTV) come marcatore predittivo

di disfunzione del sistema immunitario in pazienti sottoposti a trapianto di

organo solido”

CANDIDATA RELATORI

Dr.ssa Serena Losacco Prof. Mauro Pistello Dott. Fabrizio Maggi

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“Hope for the best,

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INDICE

INTRODUZIONE……….……….5

ANELLOVIRUS………....6 CENNI STORICI………...7 CLASSIFICAZIONE………....10 VIRIONE………...13 GENOMA………..14 REPLICAZIONE……….………..18 PATOGENESI………...19 EPIDEMIOLOGIA ………...21

TTV E PATOLOGIE ASSOCIATE………..22 DIAGNOSI………...24 TTV E SISTEMA IMMUNITARIO………..25

MATERIALI E METODI……….30

SOGGETTI DELLO STUDIO………...…....31

CAMPIONI……….32

ESTRAZIONE VIRALE………32

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4 ANALISI STATISTICA……….………...36

RISULTATI……….………….38

DISCUSSIONE………....……...45

BIBLIOGRAFIA………..………...………….48

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SEZIONE I

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ANELLOVIRUS

Gli Anellovirus sono un vasto gruppo di virus di recente identificazione appartenenti alla famiglia Anelloviridae. Sono suddivisi in 12 generi in base alle specie che infettano e si caratterizzano per un genoma circolare a singolo filamento di DNA. Se ne conoscono tre tipi principali distinti per le diverse dimensioni del genoma: Torqueteno virus (TTV) di 3,8 kilobasi (kb), Torqueteno midi virus (TTMDV) di 3,2 kb e il più piccolo Torqueteno mini virus (TTMV) di 2,8 kb. Sono caratterizzati da un’estrema variabilità genetica che li rende divergenti tra loro nelle sequenze nucleotidiche e soprattutto amminoacidiche. Il loro nome deriva dal latino torques, collana e tenuis, sottile, a ricordare i caratteri dell’acido nucleico. Sono stati identificati sia negli animali che nell’uomo dove sostengono infezioni croniche senza causare apparente malattia. Il primo ad essere identificato nel 1997 nel sangue di un paziente giapponese con epatite post-trasfusionale di origine sconosciuta, è stato TTV, che ha destato subito grande interesse per le caratteristiche del suo genoma e per la sua estrema variabilità. La particolarità di questo virus è che nel 1998 è stato proposto come un virus commensale (perché non associato ad alcuna patologia e presente nell’80% della popolazione), e per questo è stata studiata con molta attenzione la sua interazione con l’organismo ospite. Questi studi hanno contribuito a dimostrare che gli Anellovirus, ed in particolare TTV, rappresentano il 70% dei virus che costituiscono il viroma dell’uomo. Particolare attenzione è stata posta nelle relazioni che intercorrono fra TTV e il sistema immunitario in pazienti sottoposti a trapiantato di midollo osseo. Il TTV è risultato essere immunomodulatorio e la sua viremia più elevata nei pazienti con grave disfunzione del sistema immunitario e in grado di variare moderatamente e transitoriamente a seconda del tipo e dell’intensità della terapia immunosoppressiva. Scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare l’andamento della

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viremia di TTV in pazienti sottoposti a trapianto di organo solido e di individuare un cut-off di viremia che possa essere utile al clinico per tarare al meglio la terapia immunosoppressiva per ogni singolo paziente, al fine di evitare l’insorgenza di complicanze post-trapianto come le infezioni opportunistiche e/o fenomeni di rigetto.

TORQUE TENO VIRUS

Cenni storici

TTV è stato identificato per la prima volta nel 1997 nel sangue di un paziente giapponese con epatite post-trasfusionale di origine sconosciuta, non riconducibile a nessun agente comunemente associato a questa patologia. Nel siero del paziente venne isolato l’acido nucleico del virus utilizzando la tecnica “representational difference analysis”, ideata da Lisitsyn nel 1993 (1). Comparando (con “ibridazione sottrattiva” e clonaggio in vettori) il DNA estratto durante la fase acuta (8-10 settimane dopo la trasfusione) caratterizzata da alti livelli di alanina amino transferasi (ALT), con quello estratto da campioni in cui le ALT risultavano normali (2 settimane dopo la trasfusione) vennero isolati 36 cloni di dimensioni tra 281 e 564 nucleotidi (nt) di cui 9 cloni di 500 nt risultarono simili tra loro e presenti solo in fase acuta. Il clone rappresentativo di 500 nt fu denominato N22 e fu dimostrato essere di origine virale poiché primers appositamente disegnati non amplificavano nessun gene umano e la sua sequenza consensus non aveva omologia con le sequenze depositate in banca dati fino a

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quel momento. Si ipotizzò anche che il virus avesse un genoma a DNA a singolo filamento lineare poiché sensibile alla nucleasi Mung-bean ma resistente alla RNasi A e ad altri enzimi di restrizione e che fosse privo di involucro esterno poiché resistente al trattamento con Tween 80. Questo nuovo virus fu soprannominato TTV dalle iniziali del paziente in cui fu ritrovato. Lo stesso acronimo nel tempo fu anche tradotto come “transfusion transmitted virus”. Successivamente, utilizzando una specifica PCR e analizzando campioni di siero di altri pazienti con epatite post-trasfusionale acuta e cronica di origine sconosciuta, il genoma di TTV venne rilevato nel 46% delle epatiti acute e nel 12% di quelle croniche, suggerendo quindi che questo virus poteva rappresentare l’agente eziologico di epatiti post-trasfusionali (2). L’anno successivo Okamoto et al. clonarono e sequenziarono il genoma di TTV che si scoprì avere dimensione di 3739 nt (isolato TA278), simili a quelle di un Parvovirus ma con la differenza che non conteneva strutture palindrome alle estremità (3). Solo grazie a Miyata et al. nel 1999 con l’utilizzo di una PCR inversa, venne rilevata una regione ricca in GC di circa 117 nt definendo la natura circolare del genoma di TTV e discostandolo tassonomicamente dai Parvovirus. Venne così determinata la dimensione definitiva di 3852 nt e successivamente la polarità negativa del DNA virale (4, 5). Successivamente utilizzando primers basati su una regione conservata non tradotta sono state scoperte molte varianti di TTV con un’ampia variabilità genetica (6, 8), che sono poi state classificate in 39 genotipi e 5 genogruppi con differenza nucleotidica rispettivamente superiore al 30% e al 50% (9, 10). Nel 2000 fu scoperto accidentalmente, utilizzando primers per TTV, un piccolo virus simile a TTV denominato TTMV. Il genoma di questo virus è sempre a DNA circolare a singolo filamento ma ha dimensioni inferiori (2800-2900 nt) rispetto a quello di TTV (11). Come TTV anche TTMV presenta un’alta divergenza tanto che le prime tre sequenze riportate da Takahashi et al. differivano per il 42% a livello nucleotidico e per il 67% a livello amminoacidico. TTMV è stato isolato da vari fluidi e tessuti corporei tra cui plasma, cellule mononucleate del sangue

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periferico (PBMC), feci, saliva, midollo osseo, milza e tamponi cervicali (12, 13, 14). Nel 2000 in sieri di pazienti con sindrome da infezione virale acuta sono stati isolati due nuovi virus simili a TTV chiamati SAV1 e SAV2 (15). SAV1 possiede un DNA genomico di 2249 nt con tre ORF, mentre SAV2 ha un genoma di 2635 nt con cinque ORF. Gli isolati SAVs hanno inoltre mostrato un'ampia variazione genomica fino al 41% e sono stati isolata da vari fluidi e tessuti corporei, tra cui saliva, PBMC (16) e aspirati nasofaringei (17). Successivamente questi virus sono stati caratterizzati meglio dal punto di vista molecolare dimostrando che in realtà il loro genoma è più grande di quello che si era ritenuto (3242-3253 nt) e che i SAVs erano in realtà isolati deleti di un più grande virus chiamato TTMDV (18), di dimensioni intermedie fra TTV e TTMV.

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Classificazione

In natura famiglie di virus che presentano un genoma a DNA circolare a singolo filamento risultavano, fino a poco tempo fa, appartenenti al solo regno vegetale e animale mentre nessun virus con queste caratteristiche era stato identificato nell’uomo. Tra le famiglie più conosciute ci sono Geminiviridae (piante), Irinoviridae e Microviridae (batteri) e Circoviridae che comprende il Circovirus del maiale (PCV), il virus della malattia del becco e delle penne dei pappagalli (BFDV) e il virus dell’anemia dei polli (CAV). In particolare l’ultima regione scoperta di TTV, quella ricca in GC, include un tratto di 36 nt che presenta una forte similarità (maggiore dell’80%) con una regione di CAV (ora classificato nel genere Gyrovirus). Entrambi, oltre ad avere un genoma con dimensioni simili (3200 nt per CAV, 3800 per TTV), presentano 3 ORFs parzialmente sovrapposte e una regione non tradotta (UTR) ricca in GC. Questo ha fatto si che inizialmente TTV fosse inserito nella famiglia Circoviridae e considerato il primo Circovirus dell’uomo (4). Ben presto però si vide che TTV si differenziava notevolmente sia in sequenza nucleotidica che in dimensione dal genoma dai membri di questa famiglia e inoltre furono isolate e caratterizzate altre sequenze virali associabili a TTV che dimostrarono l’enorme variabilità di questo virus. Per questi motivi Mushahwar et al. nel 1999 (5) proposero la creazione di una nuova famiglia, Circinoviridae, con TTV unico rappresentante, classificazione che però fu presto abbandonata dopo la scoperta negli anni successivi di TTMV (19, 20). Successivi studi sull’intero genoma e sulla regione UTR ha permesso di identificare più di 40 genotipi con divergenza nucleotidica del 30% e 70% e sottotipi con divergenza nucleotidica tra il 15% e il 29% che Peng e collaboratori nel 2002 (10) proposero di raggruppare in 5 genogruppi principali.

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Nel 2007, il Comitato internazionale sulla tassonomia dei virus (ICTV) ha ufficialmente istituito la nuova famiglia Anelloviridae e ha assegnato a TTV il nome di Torqueteno virus dove “torques” collana e “tenuis” sottile, ricordano le caratteristiche del suo genoma. All’interno della famiglia Anelloviridae sono compresi 12 generi, ciascuno comprendente un diverso numero di specie. In particolare TTV dell’uomo fa parte del genere Alphatorquetenovirus e comprende 29 specie. L’ICTV sta attualmente studiando la possibilità di inserire all’interno della famiglia Anelloviridae altri tre generi (Mutorquevirus, Nutorquevirus e Xitorquevirus, al cui interno sono presenti isolati scoperti molto recentemente) e due nuove sottofamiglie (Tornovirinae e Gyrovirinae). I Gyrovirus sono attualmente inseriti all’interno della famiglia Circoviridae ed hanno come prototipo CAV che, come detto, mostra molte caratteristiche comuni a TTV.

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Fig. 3 Albero filogenetico UPGMA creato per i membri della famiglia Anelloviridae, utilizzando sequenze nucleotidiche della ORF1 (i ceppi di virus sono identificati nella figura dai loro numeri di accesso di GenBank).

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Virione

I primi studi effettuati per definire le caratteristiche morfologiche e chimico-fisiche della particella virale utilizzarono come prototipo l’isolato TA278 che ha caratteristiche comuni con le diverse specie di TTV (21). Non essendo possibile coltivare in vitro il virus, Mushahwar et. al nel 1999 hanno utilizzato dei filtri in policarbonato con pori di dimensioni decrescenti di 200-100-50-30 e 15 nm per filtrare sieri contenenti TTV. Il virus fu rilevato nei filtrati di 200- 100 e 50 nm ma non in quelli di 30 e 15 nm dimostrando, quindi, che la particella virale aveva dimensioni comprese tra 30 e 50 nm. Grazie all’ultracentrifugazione, la densità di TTV in gradiente di cloruro di cesio è risultata di 1,31-1,35 g/ml (più alta per la particella virale ottenuta dalle feci rispetto a quella purificata dal siero) e in gradiente di saccarosio di 1,26 g/ml (3, 5). Notizie più precise risalgono al 2000 quando Itoh e collaboratori dopo incubazione di sovranatante fecale con gamma-globuline purificate dal plasma umano contenente anticorpi specifici anti-TTV, sono riusciti a visualizzare la particella virale al microscopio elettronico. Questo è stato possibile utilizzando plasma di soggetti HIV positivi contenenti TTV poiché questi pazienti presentano viremie molto più alte, anche di 100-1000 volte, rispetto ai soggetti sani. Sono state quindi visualizzate particelle sferiche, di diametro di 30-32 nm (in accordo con le osservazioni di Mushahwar), con capside probabilmente icosaedrico, densità di 1,31-1,33 g / cm3 e prive di incolucro esterno. Quest’ultima caratteristica fa si che il virus risulti molto resistente a detergenti e solventi come già ipotizzato da Okamoto et al. nel 1998 e ulteriormente confermato da Ukita et al. nel 1999 (22) che hanno ritrovato il virus in campioni di bile. Grazie alla microscopia elettronica è stata documentata inoltre l’esistenza nel sangue di particelle virali complessate ad immunoglobuline tipo G, a differenza delle feci dove TTV può ritrovarsi solo come virione libero (Fig.4).

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Fig. 4 Visualizzazione al microscopio elettronico di particelle di TTV, in forma di aggregati in seguito ad incubazione con γ–globuline umane

Genoma

Lo studio del genoma è stato possibile solo con il sequenziamento dei vari isolati non essendo possibile coltivare il virus. Queste sequenze sono state poi confrontate con quelle di alcuni membri della famiglia Circoviridae per poterli meglio caratterizzare. Il genoma è a DNA

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circolare a singolo filamento a polarità negativa costituito per 2/3 da una regione codificante di 2,6 kb e per la restante parte da una regione UTR di 1,2 kb (23, 24). Nella regione codificante sono presenti due geni maggiori ORF1 e ORF2 localizzati nell’antigenoma, parzialmente sovrapposti e con cornici di lettura differenti la cui lunghezza e la localizzazione può variare fra i differenti isolati. Se si prende in considerazione il prototipo TA278, ORF1 si ritrova tra i nucleotidi 589 e 2898 e codifica per una proteina capsidica di 770 amminoacidi che sembra svolgere anche funzione di replicasi vista la presenza all’estremità N-terminale di un tratto, di natura idrofilica, di circa 100 aminoacidi molto ricco in arginina che si pensa interagisca con il DNA e che sia coinvolto nel trasporto nel nucleo. (25). All’estremità C-terminale invece sono stati individuati due motivi amminoacidici caratteristici delle proteine Rep (replicasi) utilizzate da virus a DNA che replicano attraverso un meccanismo a cerchio rotante. Nella porzione centrale di ORF1, infine, sono presenti tre regioni ipervariabili (HVR) e siti di glicosilazione che per la loro variabilità in localizzazione e numero nei vari isolati, potrebbero essere i responsabili delle diverse proprietà biologiche ed antigeniche delle proteine (7). ORF2 è invece compresa tra i nucleotidi 353 e 712 del prototipo TA278 e codifica per una proteina non strutturale di circa 120 amminoacidi implicata molto probabilmente nella replicazione virale vista l’omologia con la VP2 di CAV che interviene nei meccanismi intracellulari di trasmissione dei segnali durante la replicazione (26). Analizzando le sequenze di altri isolati la ORF2 è stata studiata più attentamente risultando cosi costituita da 2 ORF più piccole, dette 2a e 2b, con la ORF 2a molto conservata tra i diversi genotipi (27, 28). Grazie a studi di Okamoto e Kamahora su cellule di midollo osseo e modelli sperimentali, sono stati scoperti 3 RNA messaggeri di 2,8-3,0 kb, 1,2 kb e 1,0 kb. Analizzando i possibili siti di splicing utilizzati per produrre questi mRNA è stata ipotizzata l’esistenza di altre 2 ORF minori, la 3 e la 4. Questi 2 mRNA sono trascritti da un singolo promotore e sono poliadenilati in un unico sito e di conseguenza hanno le stesse sequenze terminali al 5’ e 3’. I prodotti dei geni delle ORF 3 e 4

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di 286 e 289 amminoacidi rispettivamente, sono probabilmente implicati nella replicazione e regolazione della trascrizione di proteine cellulari. Nel caso di ORF 3 Kooistra e collaboratori nel 2004 (31) hanno indagato meglio una proteina di circa 105 amminoacidi codificata da questo gene. ORF 3 infatti ha molte somiglianze con il gene dell’apoptina di CAV che risulta apoptotica solo nelle linee cellulari tumorali. Questo studio ha dimostrato che anche la proteina codificata dal gene ORF 3 può indurre apoptosi nelle cellule di epatocarcinoma umano tra l’altro in modo indipendente da p53. Alcuni isolati di TTV presentano inoltre altre ORF il cui significato funzionale è sconosciuto. Per quanto riguarda invece la regione UTR, questa risulta altamente conservata poiché contiene importanti sequenze regolatorie ed è ritenuta fondamentale per la replicazione ed espressione di proteine virali e viene inoltre utilizzata come bersaglio di amplificazione per la diagnosi molecolare (23, 24). In tutta la regione UTR, ma soprattutto in quella composta per l’89% di guanosina e citosina, si può formare una struttura secondaria ad ansa che è stata proposta come origine della replicazione (32). A valle di questa struttura è presente la sequenza del promotore TATA box, dei siti con attività di enhancer e regioni di legame per specifici fattori di trascrizione in grado di stimolare la proliferazione cellulare (AP-2, Nf-Kb, SP-1, CREB) (23, 24)

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Replicazione

L’intero meccanismo di replicazione di TTV non è stato ancora compreso del tutto ma come la maggior parte dei virus a DNA dipende sostanzialmente dalle strutture replicative della cellula ospite. Il recettore usato per infettare le cellule è sconosciuto ma si ipotizza sia una molecola ampiamente diffusa considerando l’ampio tropismo di TTV. Il suo DNA è stato infatti riscontrato in un’ampia varietà di organi e tessuti come polmone, midollo osseo, milza, PBMC, linfonodi, tiroide, pancreas e reni (33, 34, 29, 35, 36). Le migliori candidate al momento come cellule replicanti TTV sono quelle epatiche, eritroidi e l'epitelio del tratto respiratorio. La maggior parte dei virus infettano cellule in attiva divisione o inducono la cellula ad entrare in fase S prevenendo così il processo apoptotico. I Circovirus, più conosciuti e studiati di TTV, vengono utilizzati per ipotizzare il meccanismo di replicazione di questo virus e sembra che non abbiano nel loro genoma delle sequenze in grado di alterare lo stato della cellula, replicando quindi solo in cellule già in attiva divisione (37, 38) quali epatociti, cellule del midollo osseo e cellule linfoidi stimolate. Sia Circovirus che TTV utilizzano inoltre polimerasi cellulari per poter replicare tanto che in presenza di afidicolina, antibiotico isolato dai funghi

Cephalosporium aphidicola e Nigrospora orza, che blocca le DNA polimerasi cellulari, non si

verifica replicazione di TTV (39). Data l’alta eterogeneità di TTV è probabile che questa polimerasi cellulare abbia una scarsa attività di correttore di bozze. Il virus replica con molta probabilità nel nucleo dove il DNA attraverso un meccanismo a cerchio rotante, viene trasformato in un intermedio circolare a doppio filamento (5). A sostegno di questo ci sono gli studi di Okamoto e collaboratori che nel 2000 (29) hanno ritrovato il doppio filamento di DNA di TTV nel fegato e in cellule di midollo osseo. Come già visto per i Circovirus, per iniziare la replicazione sono necessarie proteine virali che interagiscano con proteine cellulari. TTV

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codifica a questo proposito delle proteine associate alla replicazione (Rep) che legano il sito di inizio della replicazione presente sulla ORF 1 (40, 5, 41). I circovirus correlati a TTV sembrano avere delle sequenze conservate e delle strutture genomiche che risultano coinvolte nella replicazione e che in TTV sono localizzate a livello della UTR. Il meccanismo con cui replicano, però, rimane tutt’ora sconosciuto. Per quel che riguarda la liberazione del virus si ipotizza avvenire per lisi seguita da morte cellulare considerata anche l’assenza di envelope.

Patogenesi

Ad oggi TTV non risulta associato ad alcuna patologia. Le prime ipotesi riguardo il suo ruolo come responsabile di epatiti post trasfusionali fatte contemporaneamente alla sua scoperta furono ben presto screditate (42) e nessuno dei successivi studi ha chiarito totalmente le sue potenzialità patogenetiche. Quello che è emerso è l’alta prevalenza del virus nella popolazione generale (43, 44, 45, 46) che ha portato alla formulazione di varie ipotesi su TTV. Una di queste è che potrebbe rappresentare un agente commensale apatogeno dell’uomo, visto che è stato riscontrato senza nessuna distinzione sia in soggetti malati che sani (47, 48). Il virus penetra nell’ospite attraverso molteplici vie di ingresso come il tratto respiratorio, il sistema gastrointestinale, l’apparato genitale e la placenta e dopo poche settimane è rilevabile nel sangue (49). Inizialmente era stato ipotizzato, vista l’ampia diffusione del virus nella popolazione a partire dall'infanzia (50, 51, 52, 10, 53), che la trasmissione dovesse avvenire attraverso un mezzo molto efficace e l'osservazione della presenza di TTV nelle feci ha portato a pensare che la via oro-fecale fosse la più probabile (54). Maggi et al nel 2003 (55) hanno

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dimostrato che la via respiratoria contribuisce molto di più alla rapida diffusione del virus rispetto a quella oro fecale poiché il virus è stato riscontrato nel tratto respiratorio del 90% dei bambini esaminati, con viremie tra l’altro molto più elevate rispetto ai campioni di siero. L’infezione è caratterizzata da una viremia che persiste a lungo nel tempo, con livelli circolanti fino a 106 copie / ml nella popolazione generale e addirittura più alte in alcuni individui (56, 53). Per mantenere i livelli di viremia osservati, studiando la cleareance del virus è stato visto che TTV ha un emivita di circa 4 ore e un tasso di produzione giornaliera > 1010 virioni e questo dimostra la sua grande capacità replicativa in vivo (57). La storia naturale dell’infezione di TTV è poco conosciuta, ma sicuramente la persistenza, che si verifica nell’80% dei casi è l’esito più comune. Questa potrebbe essere causata dall’incapacità del sistema immunitario di controllare l’infezione, poiché gli anticorpi anti-TTV prodotti non sembrano in grado, almeno nella maggior parte dei casi, di eliminare totalmente il virus o di evitare le infezioni sostenute da più specie (58, 59, 60). Molto più rara invece è la risoluzione spontanea e tra l’altro non è certo se la scomparsa del virus circolante corrisponda effettivamente alla scomparsa del virus dai tessuti (49). L’andamento dell’infezione comunque sembra essere differente a seconda del tipo infettante. In uno studio condotto da Ohto e collaboratori nel 2002 (61) è stata osservata risoluzione spontanea dell’infezione in circa il 20% dei bambini infettati da TTV, ma con percentuali differenti a seconda del TTV infettante. Non è ancora chiaro se le diverse specie di TTV possiedano una differente capacità di persistenza. Il virus dissemina nell’organismo ed è possibile ritrovare infezioni simultanee sostenute da ceppi appartenenti a specie diverse (49). TTV replica nel fegato (35), tessuto polmonare, pancreas, milza (36), midollo osseo (62) e tessuti linfoidi (63). Inoltre il suo DNA è spesso rilevabile in PBMC dove mostra ampio tropismo poiché il suo DNA virale è stato rilevato nei linfociti B e T, monociti, cellule natural killer (NK), granulociti e altre cellule polimorfo nucleate (64).

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Epidemiologia

Per valutare la prevalenza dell’infezione da TTV sono stati utilizzati due tipi di PCR. La prima è la N22-PCR che utilizza primers derivati dalla regione N22 all'interno della ORF 1 e che può rilevare solo una parte delle varianti di TTV (32, 10, 9, 65). La seconda è la UTR-PCR, sulla regione non tradotta, che rileva invece tutti i ceppi di TTV noti (9, 10, 20). I primi studi, che hanno utilizzato la N22-PCR, mostrarono una elevata prevalenza di TTV ma con percentuali diverse in base alla zona considerata (66): molto bassa per esempio negli Stati Uniti e Nord Europa e molto elevata in Africa e Sud America (45). Solo successivamente fu utilizzata la UTR-PCR che ha mostrato invece differenze geografiche meno significative. TTV è risultato globalmente diffuso e può essere rilevato nel sangue di circa 2/3 della popolazione generale indipendentemente da origine etnica, età, condizioni socio-economiche o altre variabili (67, 68, 69, 70) anche se è risultato molto più diffuso in Asia con una prevalenza che arriva al 90% rispetto al Nord America e Oceania dove scende al 40-50% (Fig. 6). In Cina lo studio di Peng e collaboratori pubblicato nel 2015 ha riportato una prevalenza del 98% nella popolazione adulta e del 54% in quella infantile, dati che rispecchiano la caratteristica generale dell’infezione, ovvero l’aumento della prevalenza con l’età. Si stima comunque che il 50% della popolazione sia infettata da TTV già nei primi mesi di gestazione (71, 72). Questi dati possono però rappresentare una sottostima se consideriamo che la PCR permette di rilevare solo le forme attive dell’infezione (acuta e cronica), ma non è in grado di evidenziare i casi di infezione pregressa o comunque quei casi in cui la presenza di TTV è stata confermata in diversi tessuti anche in assenza di viremia (73, 74). La più alta prevalenza di TTV è stata riscontrata in pazienti talassemici politrasfusi, pazienti in emodialisi a lungo termine, emofiliaci e tossicodipendenti. Questi dati si riferiscono alla presenza del virus in campioni di

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sangue nonostante sia stato riscontrato in diversi organi, tessuti e campioni biologici quali saliva, urine, secrezioni nasali, sperma, capelli, unghie, muscoli, cordone ombelicale e tiroide. Inoltre considerata che tra le varie vie di trasmissione c’è anche quella oro-fecale, TTV viene anche utilizzato come indicatore di contaminazione fecale delle acque tanto che in uno studio condotto in Brasile è stato rilevato nel 92% dei 52 campioni di acque superficiali (75) e in Italia nel 25% di 12 campioni (76). Alcune specie di TTV sono state ritrovate con maggiore frequenza nella popolazione generale, mentre altre appaiono estremamente rare e presenti soprattutto in particolari gruppi di soggetti (77, 78).

TTV e patologie associate

Considerata l’elevata prevalenza di TTV risulta difficile studiare il ruolo patogeno del virus, anche se alcuni ipotizzano che potrebbe essere solo di alcune specie, come succede ad esempio per il Papillomavirus. Ad esempio l’espressione di ORF 1 del genotipo 1 in topi transgenici produce una proteina che causa cambiamenti patologici nel rene. Questa proteina sembra interferire con la differenziazione delle cellule epiteliali renali (79). Un altro studio recente ha dimostrato che alcuni isolati di TTV sono attivatori della produzione di una citochina pro-infiammatoria attraverso il recettore Toll-like 9 (TLR-9) aumentando la gravità di malattie infiammatorie (80). Anche se non è stata dimostrata nessuna chiara associazione con l’epatite post trasfusionale, studi sugli effetti citopatici di TTV su cellule epatiche hanno evidenziato rigonfiamento cellulare, degenerazione acidofila, formazione di corpi apoptotici, tessuto

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epatico scolorito e necrosi focalizzata. Interessanti sono gli studi riguardanti le confezioni TTV e virus epatitici quali HBV e HCV. Alte viremie di TTV sono associate ad esempio con lo sviluppo di carcinoma epatocellulare in pazienti HCV positivi e comunque in questi pazienti la confezione sembra associata ad un grado istologico più avanzato (81). Anche i pazienti con HBV sembrano avere una mortalità maggiore se confettati (82). Altri studi non hanno confermato questi risultati, tuttavia non si può ancora escludere del tutto un ruolo di TTV nelle epatiti (82, 34). Anche l’apparato respiratorio potrebbe rappresentare un bersaglio per TTV. E’ già noto che questo virus replica molto bene nel tessuto polmonare. In particolare sembra che TTV possa contribuire alla patogenesi dell’asma e che possa indirizzare la risposta immunitaria verso la via Th2. Nei pazienti con fibrosi polmonare idiopatica le infezioni da TTV sono invece associate alla gravità delle bronchiectasie e ad un basso tasso di sopravvivenza. Per quanto riguarda la correlazione con neoplasie è vero che il DNA di TTV è stato ritrovato in vari tipi di linfomi, in carcinomi mammari, in pazienti con Sarcoma di Kaposi ma un suo ruolo in queste patologie è del tutto ipotetico. E’ probabile che possa modulare linfociti T infetti e svolgere per esempio un ruolo nella patogenesi dei linfomi o che sia la rapida divisione delle cellule tumorali a supportare invece la replicazione di TTV. Più recentemente la presenza di TTV è stata messa in correlazione con lo sviluppo di patologie autoimmuni. I meccanismi alla base di questa correlazione sono in fase di studio ed ancora non c’è certezza sul ruolo che il virus possa svolgere nell’eziopatogenesi di malattie autoimmuni di carattere metabolico, dermatologico e/o neurologico.

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Diagnosi

Ad oggi la sola analisi possibile è la ricerca del genoma virale con metodi molecolari di amplificazione come la PCR o la real-time PCR, quest’ultima più utile poiché data l’alta prevalenza è possibile quantificare il virus presente. Questi saggi molecolari sono disegnati su un segmento altamente conservato, ritenuto universale, dell’UTR virale e consentono quindi l’amplificazione di tutti gli isolati conosciuti del virus (20). Inizialmente il bersaglio dell’amplificazione scelto era stato la porzione N22 del gene ORF 1 ma non essendo conservato tra tutti gli isolati era in grado di rilevare soltanto alcune specie di TTV. La successiva caratterizzazione avviene con PCR specie-specifiche (64) che utilizzano primer dedotti da varie porzioni del genoma di TTV, specifiche per le singole specie con successivo sequenziamento dell’amplificato ottenuto. Mancano invece saggi sierologici che consentano la determinazione di anticorpi specifici o sistemi che rilevino l’antigene di TTV così come mancano sistemi di coltivazione del virus. Sono stati effettuati alcuni studi su saggi di immunoblotting o immunoprecipitazione combinata alla PCR utilizzando come antigeni particelle virali intere o frammenti della proteina ORF 1 o ORF 2 espressi in batteri (83, 84, 85, 86, 87) che hanno permesso di rilevare in sieri umani IgG dirette contro il virus e di quantificare la percentuale di TTV immunocomplessato. Sono state rilevate anche IgM specifiche utilizzando come antigene l’intera particella virale estratta da campioni fecali ma nel complesso tutti questi saggi non hanno dato grossi risultati e soprattutto non hanno mostrato riproducibilità (86, 87).

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TTV E SISTEMA IMMUNITARIO

Sappiamo bene che TTV è un virus che non provoca manifestazioni cliniche evidenti ma ha la capacità di produrre infezioni croniche e persistenti, con livelli di viremia anche elevati come dimostrato per esempio in un paziente portatore del virus per 22 anni. Inoltre in campioni di sangue sequenziali ottenuti in un periodo di tempo prolungato, sono state rilevate sequenze virali attribuibili al ceppo TTV presente al primo campionamento come prova evidente che la viremia TTV a lungo termine di solito deriva da una persistenza del virus e non da una ripetuta ri-esposizione al virus. E’ pur vero che in letteratura sono riportate infezioni autolimitanti, ma non è chiaro se ciò sia dovuto ad un abbassamento della viremia, aumento della cleareance virale, modificazioni nella sequenza che non ne permettono il rilevamento o latenza (88). Nonostante non esista un nesso diretto con nessuna patologia risulta, invece, evidente che TTV può peggiorare l’impatto di infezioni concomitanti alterando ad esempio il modo in cui l’organismo reagisce o indebolendo le difese dell’ospite. Nel primo caso può modulare il livello basale di infiammazione o interferire con molecole coinvolte nel meccanismo di segnalazione intracellulare o addirittura indurre autoimmunità attraverso il fenomeno del mimetismo molecolare. In altri casi può indebolire le difese dell’ospite danneggiando le cellule ciliari o replicando in linfociti proliferanti o ancora attraverso la deplezione di cellule T o l’espansione di cellule T anergiche. In particolare TTV è stato abbondantemente ritrovato nel tratto respiratorio superiore che rappresenta una porta di entrata e un sito di replicazione e sembrerebbe perturbare il meccanismo di difesa innato, quello dell’ascensore muco ciliare così come fanno altri virus respiratori (55, 89). Zheng et al. nel 2007 (90) hanno dimostrato che l’ORF 2 del genogruppo 3, il cui isolato prototipo è il SANBAN, ha il potenziale di interferire con Nf-Kb, un complesso proteico con il ruolo di fattore di trascrizione presente in tutti i tipi di

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cellule con un ruolo chiave nella regolazione della risposta immune oltre che nei processi di plasticità motoria e sinapsi. Una sua disfunzione infatti è stata collegata a processi infiammatori, autoimmuni, cancro e infezioni virali. TTV può influenzare, tramite la ORF 2, molti fattori che concorrono nel determinare o regolare la risposta infiammatoria. Per quel che riguarda il ruolo della risposta immune adattativa sembra quasi scontato, vista l’ampia diffusione di TTV, trovare anticorpi nella popolazione generale. In realtà il virus non risulta immunogeno, induce tolleranza immunitaria (infatti anche le infezioni intrauterine sono frequenti ma non hanno conseguenze) e causano riposte immunitarie che diminuiscono molto velocemente rispetto a tutti gli altri virus conosciuti. La proteina più interessante dal punto di vista immunologico è la presunta proteina nucleocapsidica, prodotto di ORF 1, di 628-783 amminoacidi con potenziali proprietà antigeniche grazie alla presenza di regioni idrofiliche (32, 91). Nella sua porzione centrale contiene potenziali siti di glicosilazione e regioni altamente ipervariabili, che risultano simili a quelle di altri virus, note per essere plasmate dalla risposta immune e per eludere la sua attività antivirale (83, 58, 92, 93). In superficie sono invece presenti epitopi coinvolti con molta probabilità nella neutralizzazione virale e nel controllo dell’infezione (83, 88). Per valutare la presenza di anticorpi sono quindi stati utilizzati come antigeni delle preparazioni purificate di virioni interi o ricombinanti che riproducono parti della proteina ORF1. Studiando la cinetica della produzione di anticorpi in scimpanzé infettati sperimentalmente (54) o in umani infettati accidentalmente con sangue contaminato (84, 87) si è visto che le IgM specifiche per TTV sono rilevabili nel siero 10-21 settimane dopo l’inoculo virale, e questo avviene generalmente almeno 2-7 settimane dopo che il DNA di TTV è diventato rilevabile nel sangue. Successivamente le IgM iniziano a diminuire di titolo fino a scomparire in 5-11 settimane, anche se sono stati riportati casi di persistenza più lunga (85, 28). Gli anticorpi IgG invece compaiono con un ritardo di parecchie settimane. Nello studio di Tsuda del 2001, l'IgG anti-TTV sono state rilevate nel siero di un paziente

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infetto da trasfusione dopo oltre 4 anni dall’infezione, ma è probabile che gli anticorpi durino più a lungo o addirittura indefinitamente. Le risposte IgA specifiche nel siero o nelle mucose invece non sono mai state studiate (94) (Fig.7).

Fig. 7 Durata della risposta anticorpale nelle infezioni primarie causate da TTV come dedotto da studi

sperimentali negli scimpanzé e negli individui infettati accidentalmente.

E’ ben documentato il fatto che una volta che TTV ha instaurato l’infezione questa è molto difficile da eradicare (94) e che, vista l’alta prevalenza di infezioni croniche produttive senza distinzione in una data popolazione, le infezioni autolimitanti sono molto rare (anche se si dovrebbe tener conto che le possibilità di contagio sono altissime vista la presenza di TTV in

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feci e fluidi corporei e la sua alta resistenza nell’ambiente esterno). Alcuni studi hanno tuttavia riportato la scomparsa di TTV dal sangue dopo un certo periodo di tempo dall’infezione sia negli esseri umani che negli scimpanzé (95, 54, 88). Quello che non è chiaro però è se la viremia fosse sotto il limite rilevabile o se il virus fosse comunque presente in “santuari di latenza” (96, 20). A sostegno di questa ultima ipotesi ci sono una serie di studi longitudinali che monitorano la viremia di TTV con PCR e che segnalano pazienti TTV negativi che diventano positivi dopo immunosoppressione (97), suggerendo che può esserci persistenza nei cosiddetti santuari e non necessariamente nel sangue periferico. Per quanto riguarda la viremia, Maggi e collaboratori nel 2005 hanno visto che nelle infezioni croniche la viremia nel plasma rimane stabile per periodi di tempo prolungati. Questa viremia comunque varia da soggetto a soggetto con un range che va dalle 102 copie alle 108 copie di DNA per millilitro di plasma (53). Da cosa dipende questa differenza tra i vari soggetti? Alcuni dei motivi sono legati sicuramente a fattori virali come il numero dei virioni prodotti giornalmente e quelli rilasciati nel torrente circolatorio, la clearence dei virioni o ad esempio il numero di TTV che infetta il soggetto e la loro sinergia o interferenza. Altri motivi riguardano invece fattori dell’ospite in particolare l’immunodepressione e la conta linfocitaria. La sua alta prevalenza e il fatto che riesce a persistere a lungo tempo possono diventare requisiti importanti per rendere TTV marcatore dello stato immunitario. Fino ad oggi non è ancora chiaro come il sistema immunitario controlli l’infezione da TTV e protegga l’organismo da superinfezioni con specie eterologhe. Kincaid et al. hanno dimostrato che TTV codifica un microRNA (miRNA) in vivo che ha come target N-myc (e STAT) interactor (NMI), perturbando così la risposta all’interferone e aumentando la proliferazione cellulare in presenza di quest’ultimo. Questo miRNA sembra quindi mediare l'evasione immunitaria antagonizzando la risposta antivirale dell'ospite e contribuisce direttamente alla vasta ubiquità di questi virus (98). Sono stati osservati picchi nella replicazione di TTV durante la sepsi (99), l'infezione da HIV (100, 101),

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il tumore solido non trattato (102), il trapianto di cellule staminali emopoietiche (103) e il trapianto di organi solidi (97, 103, 104). La viremia di TTV è risultata inversamente correlata con la percentuale di un sottogruppo di linfociti T CD8, i CD8+57+ T, considerati un marker di disfunzione immunitaria in pazienti ematologici con linfoma e mieloma trattati con chemioterapia ad alte dosi (103, 105, 106). Poiché i pazienti ematologici presentano una serie di perturbazioni dovute alla malattia sottostante e alla chemioterapia, risulta particolarmente importante lo studio di TTV in pazienti sottoposti a trapianto di organo solido.

Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato dunque quello di valutare l’andamento della viremia di TTV in un gruppo di pazienti sottoposti a trapianto di fegato o rene, di valutare se i livelli di TTV fossero associati e/o predittivi dello sviluppo di infezioni opportunistiche e se fossero utilizzabili per regolare la terapia immunosoppressiva di mantenimento che questi pazienti assumono. Infatti i metodi utilizzati oggi per valutare i farmaci immunosoppressivi sovrastimano le quantità poiché mirano a prevedere potenziali effetti tossici più che gli effetti terapeutici.

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SEZIONE II

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Soggetti dello studio

Per questo studio sono stati reclutati 280 pazienti sottoposti a trapianto di organo solido tra il 2011 e il 2016. In particolare il gruppo di soggetti includeva:

a) 146 pazienti sottoposti a trapianto di rene di cui:

 68 da donatore vivo

 52 da donatore deceduto

 19 con trapianto simultaneo di pancreas

 7 con trapianto di pancreas dopo trapianto di rene b) 134 pazienti sottoposti a trapianto di fegato

c) 30 donatori di sangue come gruppo di controllo

Sono state prese in considerazione tutte le informazioni sul tipo di terapia immunosoppressiva di mantenimento per 171 pazienti. Tra questi:

 118 pazienti sono stati trattati con tacrolimus il cui livello plasmatico è stato calcolato per ciascun paziente durante il primo mese dopo il trapianto

 53 pazienti sono stati trattati con ciclosporina (CsA)

Nella maggior parte dei soggetti arruolati è stato possibile monitorare l’eventuale riattivazione, nel follow-up post-trapianto, di infezioni virali opportunistiche, in particolare quella da Citomegalovirus (CMV).

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Campioni

I campioni di plasma da sangue periferico sono stati ottenuti dai pazienti subito prima del trapianto, ogni 10 giorni nei primi 3 mesi post trapianto e poi a 4, 5, 6 e 12 mesi dopo il trapianto. Una volta arrivati in laboratorio, i campioni, in provette contenenti EDTA, sono stati centrifugati a 1600 rpm per 20 minuti ed è stata prelevata la frazione superiore della provetta centrifugata. Aliquote di plasma così ottenute sono state congelate fino al momento dell’uso.

Estrazione del DNA virale

Il DNA virale è stato estratto dai campioni di plasma usando il kit commerciale QIAamp DNA mini kit (Qiagen, Chatsworth, CA) che permette di purificare il DNA totale (genomico, mitocondriale e virale) da sangue intero, plasma, siero, fluidi corporei, linfociti, colture cellulari e tessuti. L’estrazione è stata eseguita come da protocollo indicato dal produttore a partire da un volume di campione di 200 μl che è stato sottoposto a lisi alcalina aggiungendo al campione 20 μl di proteinasi K e 200 μl di Buffer. La miscela è stata vortexata e incubata 10 minuti a 56°C. Successivamente, per permettere la precipitazione degli acidi nucleici, sono stati aggiunti 200 μl di etanolo (96-100%) e dopo mescolamento la miscela è stata trasferita in colonnine da 2 ml e centrifugata a 8000 rpm per 1 minuto. Le colonnine contengono al loro interno una membrana e filtri di gel di silice con elevata affinità per gli acidi nucleici (QIAmp spin columns; QIAgen) e le condizioni saline e del pH nel lisato assicurano che proteine e altri contaminanti che potrebbero inibire la PCR o le altre reazioni enzimatiche non siano assorbite dal filtro e fluiscano nella provetta di scarico dopo centrifugazione. A seguire sono stati

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effettuati due lavaggi con due differenti tamponi per incrementare la purezza del DNA estratto e assicurare la concreta rimozione di eventuali contaminati. Nel primo lavaggio sono stati aggiunti 500 µl di buffer AW1 (20 mM di NaCl, 2 mM di Tris-HCl, pH 7.5 e etanolo al 57%) e la miscela è stata centrifugata a 8000 rpm per 1 minuto con rimozione della provetta di scarico, mentre nel secondo è stato utilizzato il buffer AW2 (20 mM di NaCl, 2 mM di Tris-HCl, pH 7.5 e etanolo al 70%) seguito da centrifugata a 14000 rpm per 3 minuti con rimozione del filtrato. Dopo centrifugata a vuoto per essere sicuri di avere eliminato tutti i residui, il DNA trattenuto è stato eluito con 55 µl di tampone AE (10 mM Tris-HCl, 0,5 mM EDTA, pH 9) che, oltre a consentire il rilascio del DNA dalla membrana, ne previene anche la degradazione. Infine è stata effettuata un’ultima centrifugata a 8000 rpm per 1 minuto in modo da permettere la filtrazione dell’eluato.

Rivelazione e quantificazione di TTV

La presenza e la viremia di TTV sono state determinate in un solo passaggio mediante real-time PCR. In particolare, per la determinazione della carica virale di TTV è stata utilizzata la tecnologia TaqMan. Questa tecnica consente la rilevazione dell’amplificato contemporaneamente alla sua amplificazione, in real time per l’appunto, producendo un segnale fluorescente con intensità direttamente proporzionale al target di reazione. Questo consente di quantificare in modo accurato le copie di genoma di TTV. Per TTV la reazione è stata disegnata su un segmento altamente conservato della regione non tradotta UTR e ha il potenziale per la rilevazione sensibile e specifica di tutte le specie in cui TTV è attualmente

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classificato. Inoltre, il metodo non rileva gli altri Anellovirus, quali TTMV e TTMDV. Il limite inferiore di sensibilità è di 10 genomi virali per ml di plasma o siero.

Questa tecnica si avvale dell’uso di uno sonda complementare alla sequenza target posta tra i siti di legame dei primers senso e antisenso e marcata alle due estremità con due differenti fluorocromi, al 5′ il reporter fluoresceina, FAM) ed al 3′ il quencer (6-carbossi-tetrametil-rodamina, TAMRA). Il reporter è un fluoroforo ad alta energia che emette fluorescenza mentre il quencer a bassa energia, ha la capacità di inibire la fluorescenza del

reporter se si trovano tutti e due sulla sonda integra. Inizialmente la sonda assume una

struttura secondaria a forcina in cui il quencer si ritrova vicino al reporter assorbendo l’energia emessa e bloccando la fluorescenza. Durante l’amplificazione, quando la sonda si appaia al DNA complementare, l’attività nucleasica 5′-3′ della polimerasi AmpliTaqGoldTM degrada la sonda e questo determina l’allontanamento del quencer dal reporter e quindi il conseguente rilascio di fluorescenza. La quantità di fluorescenza emessa è direttamente proporzionale alla quantità di DNA target presente nel campione in esame. L’andamento della reazione può essere monitorato attraverso diagrammi di fluorescenza. Normalmente il diagramma assume un andamento di tipo sigmoide, con raggiungimento di un plateau finale tipico delle reazioni di PCR, provocato dal progressivo esaurimento dei substrati. L’incremento dell’intensità del segnale emesso è misurato ed interpretato dal sistema iCycler iQ5 (BioRad Laboratories). Tale apparecchiatura è costituita da un termociclizzatore, lampada laser per indurre la fluorescenza e di un software che rileva la sua emissione, previa normalizzazione sulla base di un background ottenuto dall’analisi dei primi 3-15 cicli di amplificazione. Questa normalizzazione è necessaria per correggere le inevitabili fluttuazioni della fluorescenza dovute alle variazioni di concentrazione o volume dei campioni in esame. Inoltre viene utilizzato, in aggiunta, un controllo ottico passivo costituito da un terzo colorante non coniugato (rodamina, ROX) presente in concentrazione costante nel tampone di reazione e che

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non risente dell’attività nucleasica della polimerasi. Il primo ciclo di amplificazione in cui si ha un incremento statisticamente significativo della fluorescenza costituisce il ciclo soglia o Ct. Quest’ultimo parametro viene determinato anche per una serie di standard. Ne deriva una curva di taratura dalla quale viene dedotta la concentrazione dei diversi campioni in esame.

La miscela di reazione ha un volume finale di 25 μl ed è così composta:

 Universal Master Mix, concentrazione finale 1X, costituita da polimerasi AmpliTaq Gold™, enzima AmpErase uracil-N-glycosilase (UNG) e nucleotidi, in cui dTTP è sostituito da dUTP, incorporato nella sintesi TaqMan al posto di dTTP.

 Primer senso AMT_S, concentrazione finale 0,9 μM. (5’-GTGCCGIAGGTGAGTTTA-3’)

 Primer antisenso AMT_AS, concentrazione finale 0,9 μM. (5’-AGCCCGGCCAGTCC-3’)

 Sonda AMT_P, concentrazione finale 0,1 μM

(5’-FAM- TCAAGGGGCAATTCGGGCT -TAMRA-3’)

 5 μl del DNA estratto.

 X μl di acqua sterile, per raggiungere il volume finale di 25 μl

L’enzima AmpErase (UNG), contenuto nella Universal Master Mix, agisce sul DNA a doppio filamento andando a tagliare l’uracile, impedendo così alla polimerasi di continuare la sintesi di DNA e rendendo sensibile l’acido nucleico all’idrolisi acido-basica. Per rendere possibile l’impiego dell’enzima UNG, la reazione Taqman sostituisce dUTP al dTTP, cosicché eventuali contaminanti che si trovano nel tubo di reazione vengono riconosciuti ed eliminati prima che la seduta di PCR abbia inizio. L’enzima UNG è attivo grazie all’utilizzo di una

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temperatura di 50°C alla miscela di reazione e viene in seguito inibito dall’elevata temperatura di denaturazione prima che si svolga la reazione di PCR. Inoltre, per verificare che la miscela preparata non abbia subito contaminazioni, si inseriscono nella reazione dei controlli negativi che contengono, oltre alla mix, 5 μl di acqua sterile al posto del DNA . Il protocollo di amplificazione prevede:

 1 ciclo a 50°C per 2 minuti, per permettere all’enzima UNG di attivarsi e che sarà poi inattivato dalle alte temperature nella fase successiva;

 1 ciclo a 95°C per 10 minuti, dove viene attivata l’AmpliTaq Gold™ polimerasi;

 45 cicli a 95°C per 15 secondi e a 50°C per 30 secondi, grazie ai quali si favoriscono rispettivamente denaturazione e fase di ibridazione dei primers, e successiva estensione.

ANALISI STATISTICA

Per valutare l'eterogeneità delle tabelle di contingenza è stato utilizzato il test esatto di Fisher. Le differenze tra i mezzi e le distribuzioni sono state calcolate utilizzando rispettivamente il t-test di Student a due cifre e il Wilcoxon rank sum t-test. Le associazioni tra variabili sono state valutate con il coefficiente di correlazione rho di Spearman.

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SEZIONE III

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RISULTATI

I 280 pazienti arruolati nello studio sono stati monitorati per i livelli di TTV nel plasma a determinati tempi durante i primi 12 mesi post-trapianto. 258 pazienti (92%) erano già positivi per TTV prima del trapianto e, come mostrato nella tabella 1, i livelli del virus erano in media di 4,2 e 3,9 log10 copie di DNA per ml di plasma in pazienti che avevano ricevuto rispettivamente il trapianto di fegato o di rene confermando così che la viremia di TTV è relativamente modesta nel periodo pre-trapianto. Fino al giorno 20, i livelli di TTV nel plasma hanno mostrato valori invariati o solo leggermente modificati rispetto al valore di partenza. Il primo significativo aumento della viremia di TTV (di almeno 1 log10) si è verificato al giorno 30 nei pazienti trapiantati di rene e al giorno 40 in quelli trapiantati di fegato. Da questo momento in poi la viremia di TTV aumentava progressivamente fino a raggiungere il valore massimo di 6,9 log10 al giorno 90 nei pazienti con trapianto di rene e di 6,5 log10 al giorno 80 nei pazienti trapiantati di fegato. Successivamente, i livelli del virus rimanevano stabili, circa 2-3 log10 più alti rispetto a quelli di base per i restanti 9 mesi di osservazione. In accordo con i risultati di un precedente studio (57), in 30 donatori sani, la misurazione mensile della viremia di TTV mostrava valori stabili che rimanevano essenzialmente tali, con fluttuazione che non superavano più di 0,5 log10 copie per ml (Fig. 9).

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Tab. 1 Viremie TTV nel plasma dei 280 pazienti in tempi selezionati dopo il trapianto. SE=errore standard

Fig. 9 Andamento della viremia di TTV in pazienti trapiantati rispetto a soggetti sani (a sinistra) e nei trapiantati

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Utilizzando gli stessi dati aggregati, la Figura 10 sintetizza le modificazioni sequenziali dei livelli di TTV nel plasma in 171 pazienti, raggruppati per tipo di terapia immunosoppressiva di mantenimento ricevuta. Come mostrato, la viremia post-trapianto di TTV in pazienti che assumevano un regime a base di tacrolimus era maggiore, nel periodo da 30 a 90 giorni post-trapianto, rispetto alla viremia di TTV nei pazienti che avevano ricevuto un regime di mantenimento basato su ciclosporina, con una differenza statisticamente significativa al giorno 90. Il livello medio plasmatico di tacrolimus (calcolato da un minimo di almeno 4 determinazioni) è stato poi misurato durante i primi 30 giorni dopo il trapianto (media ± deviazione standard: 9,2 ± 1,7 μg / L; range: 5,0 - 14,7 μg / L) e correlato con la viremia di TTV al giorno 90 post-trapianto (media ± deviazione standard: 6.5 ± 1.8 log10 copie / ml; range: 3.0 - 10.5 log10 copie / ml).

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Come mostrato nella figura 11, è stata trovata una significativa correlazione positiva con il test di rho Spearman (r = 0.286, p = 0.022).

Fig. 11 Correlazione fra viremia TTV e livelli medi plasmatici di Tacrolimus

Tra i 280 pazienti arruolati nello studio, l'infezione da CMV è stata costantemente monitorata mediante real-time PCR in un sottogruppo di 205 (73%) soggetti (139 e 66 pazienti trattati con rene o trapianto di fegato rispettivamente). Al momento dell'ammissione, la viremia media di TTV nei 205 pazienti era di 3,8 log10 copie/ml (intervallo di confidenza del 95% [CI], 3,7-4,0 log10 copie / ml). Complessivamente 69 soggetti (34%) hanno sviluppato la riattivazione del CMV (rispettivamente 30 [22%] e 39 [59%] pazienti che hanno ricevuto il trapianto di rene o

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fegato). Il primo episodio della riattivazione di CMV c’è stato in media entro 48 giorni dal trapianto (95% CI, 40-56 giorni), ma in pazienti che hanno ricevuto il trapianto di rene si è verificato statisticamente più tardi rispetto ai pazienti che hanno ricevuto il trapianto di fegato (media 79 e 36 giorni rispettivamente; p <0,001). La figura 12 sintetizza la cinetica del TTV nei campioni di plasma di pazienti che hanno presentato un'infezione da CMV rispetto a quella di pazienti che non hanno riattivato il CMV entro 4 mesi dal trapianto. Come mostrato, le viremie di TTV erano significativamente più basse durante tutto il periodo di osservazione nei pazienti negativi per CMV rispetto a quelli positivi.

Fig. 12 Comparazione delle cinetiche di TTV in pazienti con riattivazione di CMV (CMV positivi) e senza

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Ancor più interessante, quando misurati tra 0 e 10 giorni dopo il trapianto, i livelli di TTV erano significativamente più elevati nei pazienti CMV positivi (media, 4,2 log10 copie / ml, 95% CI, 4,0 - 4,5 log10 copie / ml) rispetto ai pazienti CMV negativi (media 3,7 log10 copie / ml, 95% CI, 3,5 - 3,9 log10 copie / ml). Questa differenza era confermata anche quando i soggetti venivano stratificati per tipo di trapianto ricevuto (Figura 13). Nessuna correlazione è stata riscontrata tra i livelli di TTV misurati a 0-10 giorni e il tempo in giorni necessario alla riattivazione di CMV.

La soglia di TTV, misurata tra 0-10 giorni post-trapianto, che discrimini con assoluta certezza chi reattiva da chi non reattiva CMV è difficile da determinare.

Fig. 13 Viremia media di TTV, misurata fra 0 e 10 giorni nel post-trapianto di fegato e di rene, nei pazienti CMV

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Tuttavia come mostrato nella Tabella 2, la percentuale di pazienti con una viremia di TTV “basale” pari o superiore a 4,0 log10 ml/plasma era significativamente più elevata nel gruppo di soggetti che riattivavano CMV piuttosto che nel gruppo di pazienti in cui nessuna riattivazione del virus era osservata. Così il valore di TTV di 4.0 log10 copie / ml risultava un ottimo valore discriminante.

Tab. 2 Viremia di TTV misurata a 0-10 giorni post-trapianto e infezione da CMV nella popolazione in studio*

*Il numero di pazienti utilizzati in questa tabella che riattivavano il CMV è superiore a quella dei pazienti usati per le altre correlazioni, poiché 30 ulteriori soggetti dei quali fu disponibile il prelievo basale di TTV furono solo successivamente arruolati.

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DISCUSSIONE

Lo studio della cinetica di TTV nei pazienti di organo solido svolto in questo lavoro di tesi contribuisce ad ampliare le conoscenze sul ruolo che questo virus può svolgere nella pratica clinica come marcatore di disfunzione del sistema immunitario. Un primo interessante dato che emerge è quello relativo all’andamento della viremia del virus nel post-trapianto. Sebbene con qualche differenza, tale andamento risulta molto simile a quello descritto nei pazienti trapiantati di midollo osseo, suggerendo quindi che le dinamiche generali post-trapianto di TTV possano essere comuni e non dipendenti dal tipo di trapianto effettuato. A conferma di ciò anche il fatto che uno stesso andamento si osserva in questo lavoro quando soggetti trapiantati di fegato sono comparati a soggetti trapiantati di rene. In generale sulla base dei lavori fin qui pubblicati, è dimostrabile una cinetica post-trapianto di TTV in 4 fasi: una prima fase di calo della viremia nei primi 10-15 giorni dopo il trapianto, seguita da una più lunga fase di incremento dei livelli di TTV che raggiungono un picco entro i 3-4 mesi. Segue la terza fase, caratterizzata da titoli del virus che rimangono stabili a lungo e comunque superiori di molti log rispetto a quelli basali. L’ultima fase, più tardiva, è quella in cui la viremia di TTV tende a decrescere e, col tempo, a tornare ai valori osservati nel pre-trapianto. Ciascuna di queste fasi dipende da fattori virali e/o dell’ospite che sono state soltanto in parte dimostrate (es. capacità di replicazione del virus, calo e successivo aumento delle cellule che replicano TTV, status del sistema immune dell’ospite). Si stanno infatti progressivamente accumulando evidenze che TTV ha interessanti interazioni con cellule e fattori solubili noti per contribuire all’omeostasi dell’immunità (94). Un secondo interessante dato che emerge dal lavoro è la correlazione fra viremia di TTV e tipo/intensità della terapia immunosoppressiva effettuata. Nel nostro caso, pazienti in terapia con tacrolimus mostrano livelli significativamente più alti

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di TTV rispetto a pazienti trattati con ciclosporina e una forte correlazione si evidenzia fra livelli del virus a 90 giorni e concentrazione di tacrolimus che i pazienti dimostrano nel primo mese post-trapianto. Quest’ultima correlazione evidenzia come l’effetto del farmaco immunosoppressivo sulla viremia di TTV sia presente ma abbia bisogno di un certo periodo di tempo prima di manifestarsi appieno. L’effetto dell’immunosoppressione iatrogena su TTV e il fatto che la replica del virus possa essere utilizzata per comprendere al meglio l’efficacia della terapia apre importanti prospettive per l’uso della viremia di TTV nella diagnostica trapiantologica (107, 108). Già nel 2013, in una coorte di 199 adulti destinatari di trapianti di polmone, De Vlaminck et al. hanno riferito che la viremia di TTV poteva discriminare tra rigetto (il sistema immunitario funziona bene e tiene sotto controllo la viremia che rimane bassa) e non rigetto (viremia alta) (109). Gorzer et al. (110) invece hanno seguito per 2 anni una coorte di 31 adulti destinatari di trapianto di polmone, suggerendo, che un livello soglia di 9.3 log10 copie di TTV/ml era predittivo per lo sviluppo di varie infezioni opportunistiche mentre sotto 7 log10 copie/ml il rischio era quello di rigetto. Gli immunosoppressori sono probabilmente importanti nei mutamenti della replicazione di TTV che, come noto, avviene principalmente nei linfociti T (111). Il grado della deplezione precoce dei linfociti dopo la terapia immunosoppressiva di induzione (ad esempio con anticorpi anti-linfocitari o Basiliximab) ha effettivamente un effetto sulla cinetica di TTV a breve termine (112). Al contrario, la terapia immunosoppressiva di mantenimento è un determinante importante della viremia di TTV a lungo termine (113). Un ultimo dato che emerge dalla tesi (e forse il più importante) è il potenziale uso della viremia di TTV come marcatore predittivo della riattivazione di CMV nel post-trapianto. Il livello di TTV misurato entro i primi 10 giorni risulta infatti in grado di discriminare i pazienti che, entro 4 mesi dal trapianto, subiranno una riattivazione di CMV da quelli che questa riattivazione invece non avranno e un titolo di TTV di 4.0 log10 sembra quello con la maggiore capacità discriminante. Questo dato è estremamente

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interessante perché non solo dimostra l’utilità di TTV come marcatore predittivo di riattivazioni virali nel post-trapianto ma soprattutto perché certifica che la capacità predittiva del virus si esercita in una fase assai precoce, quella che in precedenza abbiamo descritto come la prima fase della viremia di TTV a seguito del trapianto. E’ intuitivo che una predizione esercitata il più precocemente possibile consenta una migliore gestione del paziente trapiantato e un maggior controllo della terapia immunosoppressiva a cui lo stesso soggetto è sottoposto. In conclusione, possiamo affermare che TTV sta rapidamente evolvendo dal ruolo oscuro di virus orfano a quello ben più importante di potenziale marcatore di terapia immunosoppressiva personalizzata.

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