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CAPITOLO I LA CAPACITA’ DI PARTECIPARE COSCIENTEMENTE AL PROCESSO: NOZIONE E RIFERIMENTI COSTITUZIONALI

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CAPITOLO I

LA CAPACITA’ DI PARTECIPARE COSCIENTEMENTE AL PROCESSO: NOZIONE E RIFERIMENTI COSTITUZIONALI

1- Incapacità di partecipare coscientemente al processo e difetto di

imputabilità: differenze e aspetti comuni.

Per inquadrare le ragioni dell’importanza, per l’imputato, di una partecipazione cosciente al processo che lo vede parte, è opportuno, preliminarmente, fare alcune precisazioni terminologiche che consentono di operare fondamentali distinzioni.

Innanzitutto, è necessario chiarire la differenza tra due concetti: da un lato il difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente, di cui all’art. 88 c.p.; dall’altro, l’incapacità, per l’imputato, di partecipare coscientemente al processo, una incapacità la quale rileva ai fini della sospensione del procedimento ex art. 71 c.p.p. Pur potendo postulare entrambe, come presupposto, quello di una infermità qualificabile come vizio totale di mente , tali concetti si riferiscono a due situazioni 1

che muovono su piani diversi.

L’art. 70 c.p.p. si riferisce, infatti, attualmente, ad una infermità mentale per cui

1

«l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo» e dunque non necessariamente coincidente con il vizio totale di mente.

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Avendo riguardo all’imputabilità, vengono in rilievo le disposizioni di cui agli artt. 85 ss. c.p. In particolare, per ciò che qui interessa, l’art. 88 c.p. prevede che non sia imputabile «chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere». Innanzitutto, si può osservare che il difetto di imputabilità si ricollega ad un vizio totale di mente sussistente al momento della commissione del fatto. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 85 c.p., tale soggetto, privo della capacità di intendere e di volere al tempus commissi delicti, non sarà punibile per un fatto previsto dalla legge come reato . 2

Per quanto riguarda, più nello specifico, il contenuto del concetto, nel qualificare il vizio di mente come causa di esclusione dell’imputabilità, l’art. 88 c.p. non ne individua il contenuto: il rinvio va quindi, inevitabilmente, alla scienza psichiatrica la cui complessità e continua evoluzione «rende pressoché chimerica la possibilità di ricostruirne in chiave unitaria la nozione» . Si può dire che il riferimento vada a 3

soggetti che, a causa dell’alterazione psichica che li affligge, non sono in grado di comprendere il senso elementare degli atti che compiono e di autodeterminarsi. Evidentemente viene in rilievo una condizione di

Nel caso in cui, invece, l’infermità sia tale da scemare grandemente, senza

2

escluderla, la capacità di intendere e di volere, l’autore del reato ne risponde ma la pena è diminuita (art. 89 c.p.).

M. SERRAINO, Appunti su azione di sostanza psicoattiva e imputabilità penale, in

3

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“anormalità” che potrà incidere sull’imputabilità laddove l’alterazione in cui essa consiste presenti una specifica connessione con il comportamento tenuto, in quella particolare circostanza, dal soggetto agente . 4

Diverse sono state le teorie formulate per spiegare la natura dell’imputabilità e per poter, di conseguenza, individuare i casi in cui questa debba essere esclusa. Dalla teoria del libero arbitro, che si basa sull'idea di una totale libertà del soggetto di scegliere la condotta da porre in essere senza alcun tipo di influenza o pressione esterna, a quella del determinismo assoluto che fa leva, invece, su una totale assenza di capacità di autodeterminazione in capo ad ogni individuo dal momento che, qualsiasi decisione, sarebbe frutto di una serie di fattori, esterni e cogenti rispetto all’agente, tali per cui non vi sarebbe alcuna distinzione tra soggetti capaci e incapaci.

Al di là di queste teorie, e cercando piuttosto di superare tali estremismi, vi è da dire che si dovrebbe semmai parlare di possibilità, per il soggetto agente, di percepire l’esistenza di condizionamenti e della capacità di elaborarli razionalmente . La distinzione tra 5

imputabili e non imputabili dovrebbe cioè essere valutata, non tanto alla stregua di criteri immodificabili, quanto alla luce dei continui

G. DE FRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti, seconda edizione, Torino, 2011,

4

p. 374.

G. DE FRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti., cit., p. 374.

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progressi conoscitivi circa i processi mentali della psiche umana e i loro rapporti con fattori esterni che possono incidere sulla personalità . 6

Con il riferimento alla capacità di intendere e di volere, infatti, il codice intende riferirsi alla condizione ordinaria di funzionamento di tutte le facoltà psichiche dell’uomo, le quali entrano a far parte del congegno psicologico della determinazione volontaria: la legge rimanda ad una sorta di capacità dell’uomo comune, una sorta di agente modello . 7

Fatte queste considerazioni, è possibile concludere che, con riferimento ai soggetti rispetto ai quali si possa ravvisare un difetto di imputabilità dovuto a vizio totale di mente, il legislatore ha ritenuto opportuno escluderne, in termini assoluti, la punibilità. Senza accertamento dell’imputabilità, infatti, non potrebbe darsi un giudizio di colpevolezza, né configurarsi il reato, né giustificarsi la reazione sanzionatoria. A causa del vizio di mente il soggetto non è in alcun modo motivabile dal precetto normativo e non può, conseguentemente, comprendere il significato di una punizione concepita in chiave rieducativa ex art. 27, comma 3 Cost., solo per quanti siano capaci di orientarsi sulla base di detta motivazione . 8

G. DE FRANCESCO Diritto penale. I fondamenti, seconda edizione, cit., pp.

6

369-378.

M. SERRAINO, Appunti su azione di sostanza psicoattiva e imputabilità penale, in

7

Rivista italiana di medicina legale, 2015, p. 447.

M. SERRAINO, Appunti su azione di sostanza psicoattiva e imputabilità penale, in

8

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Si muove su un piano affatto diverso il concetto di partecipazione cosciente al processo di cui all’art. 70 c.p.p.

In questo caso, infatti, viene in rilievo, ai fini della valutazione su tale capacità di partecipazione, un presupposto che non coincide più totalmente (a differenza di quanto stabilito all’art. 88 del c.p.p. del 1930) con quello di cui all’art. 88 c.p. e cioè con il vizio totale di mente. Attualmente si fa riferimento piuttosto, e in senso più ampio, ad una incapacità che non consente all’imputato di partecipare coscientemente al processo, pur non dovendo tale difetto necessariamente coincidere con il vizio totale di mente.

Si tratta, evidentemente, di un aspetto che guarda all’esigenza di costruire un rapporto processuale in capo ad un imputato che sia in grado di comprendere ciò che accade nel processo a suo carico, nella prospettiva di un esercizio effettivo del diritto di difesa. È appunto questo ciò che il legislatore intende tutelare mediante l’istituto della sospensione del processo di cui agli artt. 70 ss. c.p.p.. Per tale motivo, ciò che rileva in questo caso è una incapacità sussistente nel momento stesso in cui il procedimento/processo si sta svolgendo, e ciò indipendentemente, come risulta oggi a seguito della sentenza della

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Corte Cost. del 1992 , dal fatto che questa sia sopravvenuta o meno 9

rispetto alla commissione del fatto. Oggi può dunque rilevare anche una infermità già sussistente al momento della commissione del fatto laddove questa, a quel tempo, non fosse però tale da determinare l’esclusione dell’imputabilità ex art. 88 c.p.

Concludendo, il presupposto fondamentale di questo istituto, che è atto a distinguerlo dal difetto di imputabilità, attiene alla sussistenza di una infermità, che non necessariamente coincide con il vizio totale di mente, e che affligge l’indagato/imputato nel momento in cui si sta procedendo nei suoi confronti, impedendogli di partecipare coscientemente alle attività che lo riguardano. Ciò suggerisce al legislatore di prevedere, laddove ricorrano anche gli altri requisiti di cui agli art. 70 ss. c.p.p , non ovviamente la esclusione della 10

punibilità come nel caso di difetto di imputabilità, ma la disposizione di perizia (se necessaria) volta ad accertare la sussistenza di tale incapacità e, in caso di esito affermativo, la conseguente sospensione del procedimento in attesa di un (non sempre possibile) recupero delle capacità.

Corte cost., 20 luglio 1992, n. 340, in Giurisprudenza Costituzionale, 1992, pp.

9

2737 ss., con osservazione di M.G. AIMONETTO, Sospensione del processo penale

per infermità di mente dell’imputato, in Giurisprudenza costituzionale, 1992, pp.

2744 ss. Con tale sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 70 c.p.p. nella parte in cui limitava l’operatività dell’istituto ai soli casi in cui l’infermità fosse sopravvenuta al fatto.

Oltre al dubbio sulla sussistenza di una infermità mentale, tale disposizione

10

richiede anche la mancata sussistenza di elementi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.

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Pur trattandosi dunque di due profili distinti, il difetto di imputabilità e il dubbio sulla partecipazione cosciente dell’imputato, possono comunque in qualche modo intersecarsi. Si è già detto che il presupposto può, anche se non più necessariamente deve, essere il medesimo, ossia quello di un vizio totale di mente.

Ovviamente si pongono poi, con riferimento ad entrambi, tutte quelle questioni che concernono i contenuti e i confini del vizio di mente rilevante (ferma restando la precisazione secondo cui l’infermità può derivare anche da cause fisiche, quali ad esempio particolari forme di intossicazione). Da sempre sono infatti attuali le problematiche attinenti a ciò che possa essere qualificato come alterazione psichica giuridicamente rilevante.

Un passo decisivo, con riferimento al difetto di imputabilità, è stato fatto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, nel 2005 che, con la celebre sentenza Raso , hanno dichiarato che il vizio di mente 11

rilevante al fine della valutazione sull’imputabilità non deve limitarsi a quelle malattie e patologie tradizionalmente classificate, ma estendersi, in una prospettiva più concreta, anche ai disturbi della personalità caratterizzati da particolare forza ed incisività, qualora il giudice ne accerti la gravità e l’intensità, tali da escludere o scemare grandemente

Cass. SS.UU., 8 marzo 2005, Raso, in Rivista italiana di diritto e procedura

11

penale, 2005, pp. 394 ss., con commento di M.T. COLLICA Anche «i disturbi delle personalità» sono infermità mentale in Rivista italiana di diritto e procedura penale,

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la capacità di intendere e di volere e il nesso eziologico con l’azione criminosa. Evidentemente poi, all’estremo opposto, si pone il rischio di dare rilevanza a qualunque tipo di anomalia e disturbo. Per evitare ciò è quindi necessario che, comunque, la forma di alterazione in questione possa essere apprezzata secondo un criterio rigorosamente scientifico . 12

Le problematiche in questione, affrontate dalle Sezioni Unite con 13

riferimento al difetto di imputabilità, si pongono, e sono state affrontate dalla Corte costituzionale nel corso del tempo, anche relativamente al vizio che costituisce il presupposto della sospensione del procedimento ex art. 71 c.p.p. Infatti, pur rilevando in questo caso una alterazione psichica che non necessariamente coincide con il vizio totale di mente, ovviamente non si può prescindere dai problemi relativi ai confini del vizio in questione, alla sua natura, fisica o mentale e alle sue caratteristiche . Tali difficoltà derivano, 14

prevalentemente, dal fatto che la psichiatria sia una scienza complessa la quale si occupa della mente umana che, in tutte le sue sfaccettature, è quanto di più difficile comprensione possa esservi.

G. DE FRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti, cit., p. 377.

12

Cass. SS.UU., 8 marzo 2005, Raso, cit.

13

Vedi Corte Cost., 22 ottobre 1996, n. 354, in Giurisprudenza costituzionale, 1996,

14

pp. 3076 ss., con osservazione di VALENTINI REUTER, Malattia irreversibile

dell’imputato e dibattimento sine die, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, pp.

3084 ss.; e ancora Corte Cost., 26 gennaio 2004, n. 39, in Giurisprudenza

costituzionale, 2004, pp. 570-576, con commento di PANSINI, La Consulta allarga le ipotesi di sospensione del processo, in Diritto e giustizia, 2004, 10,9.

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È possibile poi considerare anche il fatto che, sia nel caso in cui si ponga la questione sul difetto di imputabilità, che nel caso in cui si ponga la questione sulla capacità di partecipare coscientemente al processo, lo strumento preferenziale, per accertare la sussistenza del vizio, sia costituito dallo svolgimento di una perizia. Ebbene, il problema che può porsi a tal proposito è quello relativo alla possibilità di utilizzare, ai fini della valutazione sul difetto di imputabilità, i risultati ottenuti a seguito della perizia svolta al fine di accertare la cosciente partecipazione al processo.

La risposta non può che essere negativa come risulta dalla specificità dell’accertamento disposto ex art. 70 cp.p. . E’ opportuno inoltre 15

valutare come, tale conclusione, la si possa ricavare anche dalla disciplina prevista in tema di sentenza di non luogo a procedere ad esito dell’udienza preliminare. Una volta che abbia avuto luogo l’udienza preliminare, infatti, questa può concludersi, laddove il Gup non si convinca della bontà della scelta del Pm di esercitare l’azione penale e dunque escluda l’emissione di un decreto che dispone il giudizio, con una sentenza di non luogo a procedere. Quest’ultima può essere emessa in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 425 e, proprio dall’analisi di tale disposizione, così come risulta formulata a

S. CAMPANELLA Imputabilità e capacità di partecipare coscientemente al

15

processo: profili di sovrapponibilità delle relative perizie, in AA.VV., La prova dei fatti psichici, a cura di G. DE FRANCESCO, C. PIEMONTESE, E. VENAFRO,

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seguito della pronuncia della Corte costituzionale , emerge la ragione 16

per cui non si possano utilizzare, ai fini della valutazione sul difetto di imputabilità, i risultati ottenuti dalla perizia riguardante la capacità di partecipazione cosciente al processo. Non essendo più consentita, infatti, l’emissione della sentenza di non luogo a procedere in caso di difetto di imputabilità dell’imputato, proprio per evitare di pregiudicare il suo eventuale interesse ad una formula proscioglitiva più ampia, ne deriva che, in udienza preliminare, non possa essere disposta una perizia psichiatrica finalizzata alla valutazione circa la capacità di intendere e di volere. Dal momento che un tale divieto non è, per contro, previsto per l’accertamento della capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, ne deriva, allora, che il risultato di tale attività peritale non può far emergere elementi sintomatici ai fini dell’accertamento sul vizio totale di mente di cui all’art. 88 c.p. 17

È opportuno ancora precisare che i risultati della perizia condotta ex art. 70 c.p.p. non possano essere considerati utilizzabili, ai fini della

Corte cost., 10 febbraio 1993, n. 41, in Giurisprudenza costituzionale, 1993, pp.

16

297 ss., con osservazione di S. TESSA Sentenza di non luogo a procedere e difetto di

imputabilità, in Giurisprudenza costituzionale, 1993, pp. 306 ss. Con la sentenza in

questione la Corte ha dichiarato “illegittimo per violazione degli art. 3,24 e 76 Cost., l’art. 425 comma 1 c.p.p. nella parte in cui prevede che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che l’imputato è persona non imputabile, in quanto ciò comporta che la persona non imputata è per ciò solo privata del dibattimento, e della conseguente possibilità di esercitare con pienezza il diritto alla prova sul merito della regiudicanda”.

S. CAMPANELLA Imputabilità e capacità di partecipare coscientemente al

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valutazione sul difetto di imputabilità, nemmeno laddove vi sia stato accordo tra le parti ex art. 431 comma 2 o 493 comma 3 c.p.p., dal momento che tale accertamento peritale non riguarda la responsabilità penale ma coinvolge aspetti meramente processuali.

Laddove, poi, gli elementi in ordine ad un difetto di imputabilità e di autodeterminazione si profilino in sede di dibattimento, alla perizia per l’accertamento della capacità processuale non si potrà fare ricorso nel caso in cui già vi siano elementi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento. È ciò che si ricava dalla disciplina di cui all’art. 70 comma 1 c.p.p. che richiede, come presupposto per poter procedere all’accertamento peritale sulla capacità di partecipazione cosciente, la mancanza di elementi per la pronuncia di una sentenza proscioglitiva. In questo caso, dunque, sarà disposta immediatamente perizia ai fini dell’accertamento sul difetto di imputabilità dal quale può appunto scaturire una sentenza di proscioglimento . 18

2 - Imputato e diritto di difesa.

Evidentemente, la ratio dell’istituto della sospensione del processo per incapacità dell’imputato riposa nell’art. 24 Cost., ossia nel riconoscimento, in capo ad ognuno, del diritto di difesa come

S. CAMPANELLA Imputabilità e capacità di partecipare coscientemente al

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inviolabile in ogni stato e grado del procedimento: l’indagato/imputato ha il diritto di difendersi e deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare.

Il diritto di difesa si intende costituito, pur non essendo ciò esplicitato nel testo costituzionale, da due componenti distinte e non sostituibili fra loro: il diritto all’autodifesa e il diritto alla difesa tecnica.

Il primo si riferisce a tutte quelle attività che il legislatore, nel nostro processo, riconosce come direttamente esercitabili dallo stesso indagato/imputato ai fini di una sua concreta ed effettiva difesa.

Il secondo guarda invece al diritto dell’indagato/imputato di farsi assistere da un difensore tecnico, ossia da un soggetto che abbia adeguate competenze tecnico-giuridiche qualificate che gli consentano di muoversi in un processo penale assicurando, con la sua presenza, il rispetto del principio di parità tra le parti e, più in generale, del principio di legalità . 19

M. G. AIMONETTO L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, Milano,

19

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2.1 - I contenuti del diritto di difesa: l’autodifesa (segue).

La formulazione dell’art. 24 Cost. è sicuramente ampia e generica e può riempirsi di significati più specifici laddove la si legga in coordinamento con altri principi costituzionali . 20

In particolare, dal raccordo con l’art. 3 Cost., è possibile ricavare il principio di parità tra le parti, pur ricordando che ciò non debba necessariamente significare assoluta simmetria dal momento che sarà pur sempre opportuno considerare il ruolo rivestito dalla difesa, che è parte privata, e dall’accusa, che è invece parte pubblica (si pensi all’obbligo di veridicità e completezza delle indagini che ricade in capo al PM).

Dal raccordo con l’art. 27 comma 2 Cost, che sancisce il c.d. principio di non colpevolezza dell’imputato, si può invece ricavare la regola secondo cui la difesa è tutelata dal rischio della mancata prova in quanto l’onere probatorio è posto in capo al Pm.

Dalla lettura dei commi 2-3 dell’art. 24 Cost. e dell’art. 3, comma 2, Cost. si deduce l’impegno dell’ordinamento a rimuovere gli ostacoli che impediscono il riconoscimento, in capo a tutti, del diritto di difesa

M. G. AIMONETTO L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, Milano,

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effettivo e concreto e a ciò si ricollega la disciplina del patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti . 21

Infine è sicuramente da rammentare, ai fini di un raccordo con l’art. 24 Cost., l’art. 111 Cost. che, oltre a sancire il principio del contraddittorio come regola generale per la formazione della prova (consentendo le sole eccezioni che rientrano nei casi indicati al comma 5), fa riferimento, al comma 3, al riconoscimento di una serie di garanzie evidentemente funzionali all’esercizio del diritto di difesa. In particolare, sancisce il diritto della persona accusata ad essere informata, nel più breve tempo possibile e riservatamente, in ordine alla natura e ai motivi dell’accusa mossa a suo carico; il diritto a garantire che, sempre la persona accusata, disponga del tempo necessario per preparare la propria difesa; il diritto di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico nonché ad ottenere l’interrogatorio delle persone che rendono dichiarazioni a suo discarico, alle stesse condizioni dell’accusa; infine riconosce il diritto all’interprete nel caso in cui non conosca la lingua impiegata nel processo.

In conclusione si può dire che l’ampiezza della formulazione dell’art. 24 Cost. consente di garantire, per il futuro, possibili adeguamenti laddove, sulla base dell’esperienza, si avverta l’esigenza di

M.G. AIMONETTO L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, cit., pp.

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ricomprendervi ulteriori poteri e facoltà in ragione di una più efficace tutela difensiva.

Passando alle componenti del diritto di difesa, è opportuno partire proprio dall’autodifesa.

Quest'ultima non è, come già osservato, esplicitamente definita dall’art. 24 Cost., tuttavia si può considerare dotata di riconoscimento costituzionale in virtù del raccordo di tale ultimo articolo con l’art 2 Cost., che, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo, pone l’individuo al centro del nostro ordinamento come termine di riferimento di diritti e garanzie. Ne deriva, quindi, il riconoscimento diretto, da parte della Costituzione, nel processo penale, di un diritto in capo all’imputato . 22

Fatte queste premesse, e prima di scendere nel dettaglio della disciplina codicistica per verificare quelli che sono alcuni degli istituti concretamente riconosciuti dal legislatore in capo all’imputato, è opportuno, per poterli adeguatamente classificare, fare qualche ulteriore precisazione in ordine al contenuto del diritto all’autodifesa. Tale diritto, che appunto comprende le scelte di strategia difensiva operate direttamente dal soggetto indagato/imputato, presenta, sia un contenuto di segno negativo, che un contenuto di segno positivo. Questo significa che il legislatore, oltre a riconoscere una serie di

M.G. AIMONETTO L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, cit., p. 59.

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attività che possono essere poste in essere attivamente dallo stesso imputato, in una logica difensiva, prevede anche che questi possa, sempre nella stessa logica, decidere di rimanere passivo, di tenere cioè un atteggiamento non collaborativo nei confronti dell’autorità procedente, senza che da ciò possano discendere conseguenze sfavorevoli in ordine all’accertamento sulla sua responsabilità penale. Per ciò che riguarda il diritto all’autodifesa in senso positivo, è possibile richiamare, senza pretese di esaustività ma piuttosto per comprendere l’importanza degli apporti direttamente fornibili dall’imputato nel corso del processo, una serie di istituti previsti dalla disciplina codicistica.

Sicuramente un ruolo centrale è rivestito da tutte quelle attività che consentono l’assunzione, nelle diverse fasi del procedimento/processo, di dichiarazioni rese dallo stesso indagato/imputato.

A tal proposito è necessario, innanzitutto, richiamare la disciplina dell’interrogatorio che, nel corso delle indagini preliminari, può essere svolto direttamente dal PM o, su delega di quest’ultimo, dalla polizia giudiziaria, seguendo le regole di cui agli art. 64 e 65 c.p.p. Si tratta di una previsione di primaria importanza in quanto l’interrogatorio è concepito quale strumento di difesa dell’indagato che, per mezzo di esso, può far sì che siano portati a conoscenza dell’autorità procedente elementi a suo favore. La logica difensiva che governa l’interrogatorio

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la ricaviamo, sia dagli avvertimenti che devono essere preliminarmente dati all’indagato al fine di metterlo a conoscenza di quelle che saranno le conseguenze delle sue dichiarazioni, e di quella che sarà la posizione che potrà assumere laddove decida di rilasciare dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri, sia con riferimento alla disciplina dell’interrogatorio nel merito di cui all’art. 65 c.p.p. In tale ultima disposizione si prevede infatti che, all’interrogato, debba essere contestato, in forma chiara e precisa, il fatto che è a lui attribuito: è evidente che potrà essere tanto più specifica, e dunque efficace, una difesa costruita su contestazioni formulate in forma chiara e precisa, piuttosto che una difesa la quale, muovendo da contestazioni vaghe e generiche, non potrà che essere essa stessa, di conseguenza, vaga e meno incisiva.

Per quanto riguarda, ancora, l’assunzione di dichiarazioni in sede di indagini preliminari, è possibile richiamare, oltre all’interrogatorio svolto in sede di convalida di pre cautele e misure cautelari, le sommarie informazioni a cui può ricorrere la polizia giudiziaria, al fine di garantire la prosecuzione delle indagini, nonché le dichiarazioni spontanee che può rendere l’imputato stesso sia alla polizia giudiziaria che al Pm.

Interrogatorio e dichiarazioni spontanee possono trovar luogo anche in sede di udienza preliminare così come, in sede dibattimentale, si potrà

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assistere, non solo a dichiarazioni spontanee rese dall’imputato come gli consente l’art. 494 c.p.p., ma anche al suo esame.

Altro riferimento che viene in rilievo, trattando di attività riconosciute direttamente in capo all’imputato, è la facoltà, garantita alle parti dall’art. 121 c.p.p., di presentare, in ogni stato o grado del procedimento, memorie o richieste al giudice.

Infine, in questa enunciazione a titolo esemplificativo, è possibile richiamare sicuramente il diritto a difendersi provando che trova la sua prima enunciazione all’art. 190 c.p.p. e le sue specificazioni nella disciplina che riguarda direttamente il dibattimento. Evidentemente, sulla base delle informazioni fornite dall’imputato in sede di dichiarazioni spontanee ed esame, possono emergere elementi utili che suggeriscono al Presidente di rivolgere domande a testi, periti, consulenti tecnici, ai sensi dell’art. 506 comma 2 c.p.p., oppure addirittura a disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova come eccezionalmente gli consente la previsione di cui all’art. 507 c.p.p. . 23

Per ciò che concerne l’autodifesa di segno negativo, invece, vengono in rilievo tutte quelle possibilità, riconosciute dal legislatore all’imputato, di tenere un comportamento non collaborativo nei confronti dell’autorità giudiziaria. Si tratta di una scelta, di una

M.G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, cit., pp.

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strategia difensiva che l’indagato/imputato è libero di adottare senza il timore che da ciò possa essere dedotta o presunta la sua responsabilità penale.

Si pensi innanzitutto al fatto che il nostro ordinamento prevede un diritto, non un obbligo, dell’imputato di presenziare al processo: ciò è garantito fin dall’udienza preliminare nella quale è infatti richiesta la presenza necessaria del solo difensore, e del PM, ma non dello stesso imputato.

Inoltre un ruolo fondamentale è rivestito, anche in questo caso, dall’interrogatorio e in particolare dall’avvertimento che, ai sensi dell’art. 64 comma 3 lett. c c.p.p., deve essere preliminarmente dato all’imputato, relativamente facoltà di non rispondere alle domande che saranno a lui sottoposte.

Nelle stesse logiche è da considerare il fatto che, sia l’art. 64 c.p.p. che, in tema di prove, l’art. 188 c.p.p. prevedono il divieto di utilizzo di tecniche o metodi idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o valutare fatti. Ne deriva una evidente volontà del legislatore di rafforzare la libertà morale del soggetto e, di conseguenza, la possibilità di scegliere liberamente senza alcun tipo di pressione e di avvalersi, eventualmente, della facoltà di non rispondere.

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Fatte queste precisazioni sui contenuti del diritto all’autodifesa, sia di segno negativo che di segno positivo, è chiaramente comprensibile come questa non possa prescindere dalla capacità dell’imputato di partecipare con coscienza e consapevolezza al processo. Le sue scelte, relative alle attività che possono essere e non essere svolte, per poter avere un significato e un peso, devono necessariamente presupporre un comportamento volontario.

2.1.1- (segue) la difesa tecnica.

Se, da un lato, è possibile affermare che il diritto all’autodifesa necessita, inevitabilmente, della presenza di un imputato cosciente e consapevole, dall’altro lato non è possibile sostenere che tale diritto possa essere validamente sostituito da quella che può essere considerata l’altra componente del diritto di difesa, e cioè il diritto dell’imputato di farsi assistere da un difensore tecnico.

Si tratta di una garanzia riconosciuta come inderogabile, come si ricava dalla disciplina codicistica di cui agli artt. 96 ss. c.p.p., nonché da importanti decisioni della Corte costituzionale risalenti alla fine degli

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anni ’70 (dal momento che già il codice del ’30 prevedeva 24

l’inderogabile assistenza di un difensore).

Le disposizioni del codice prevedono infatti come, nel caso in cui l’imputato non si sia munito di un difensore di fiducia, debba essergliene assicurato uno d’ufficio.

Per quanto riguarda invece le decisioni della Corte costituzionale queste, relativamente a situazioni di imputati che rifiutavano il difensore a loro assegnato, hanno evidenziato come la presenza di questa figura sia, innanzitutto, necessaria ad assicurare il principio di “parità delle armi” tra le parti garantendo, dinnanzi ad un Pm evidentemente preparato tecnicamente, la presenza di un interlocutore e contraddittore dotato di altrettante conoscenze specifiche. Inoltre hanno sottolineato come «l’obbligatorietà della nomina di un difensore non significa un vincolo a svolgere determinate attività processuali ma predisposizione di uno strumento idoneo a consentire in qualsiasi momento l’esercizio del diritto inviolabile di difesa, senza pregiudizio dell’elasticità dei rapporti tra imputato e difensore e soprattutto senza pregiudizio della piena autonomia delle scelte difensive, positive o

Si veda in particolare Corte Cost., 10 ottobre 1979, n. 125 in Giurisprudenza

24

costituzionale, 1979, pp. 852 ss., con commento di G. ZAGREBELSKY, L’autodifesa di fronte alla Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale,

1979, pp. 855 ss.; ancora sul tema Corte Cost., 22 dicembre 1980, n. 188 in

(22)

negative» . Si conferma, dunque, anche con queste affermazioni, 25

come difesa tecnica e autodifesa non siano tra di loro equivalenti. L’indagato/imputato, perfino laddove sia egli stesso dotato della qualifica di avvocato abilitato ad esercitare la professione presso quella giurisdizione, non può rinunciare all’assistenza di un difensore. Il difensore costituisce, infatti, una garanzia del rispetto della legalità e del contraddittorio all’interno del processo e a lui sono attribuiti un gran numero di poteri e diritti, non solo in sede di udienza preliminare e dibattimento ma anche, in particolare a seguito della novella intervenuta con la legge 397 del 2000 , in sede di indagini preliminari 26

e addirittura anche, laddove venga a lui conferito un mandato specifico, in via preventiva per l’eventualità che venga ad essere instaurato un procedimento nei confronti del proprio assistito (art. 391

nonies).

Le attività compiute dal difensore non sono comunque sovrapponibili e sostituibili a quelle che l’imputato può svolgere in autodifesa, anzi si può dire che, con esse, si completino.

Non potendo qui analizzare tutte le attività esperibili dal difensore, è possibile comunque fare qualche riferimento significativo.

Corte Cost., 22 dicembre 1980, n. 188, cit.

25

Legge 7 dicembre del 2000, n. 397, Disposizioni in materia di indagini difensive

26

(23)

Al di là degli atti al cui compimento il difensore ha diritto di assistere essendo stato preventivamente avvisato, quali, fra tutti, l’interrogatorio, ve ne sono alcuni la cui presenza è addirittura obbligatoria. Si pensi alle sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, all’udienza di convalida delle pre-cautele o ancora allo svolgimento dell’incidente probatorio e dell’udienza preliminare. Vi sono poi una serie di atti, in particolare perquisizioni e sequestri, ai quali il difensore tecnico ha diritto di assistere pur non potendo, in tali casi, aver luogo un preavviso trattandosi di atti che, per poter assolvere alle funzioni cui sono preposti, devono necessariamente svolgersi “a sorpresa”.

L’imputato resta comunque pur sempre libero di suggerire al difensore quale sia la linea che preferisce adottare potendo chiedere addirittura di tenere un atteggiamento non collaborativo e potendo togliere, ai sensi della previsione di cui all’art. 99 c.p.p., effetto all’atto posto in essere dal difensore laddove su di esso non si sia ancora pronunciata l’autorità giurisdizionale. Previsione che si trova confermata anche in tema di impugnazioni laddove, l’art. 571 comma 4, stabilisce che l’imputato possa, mediante rinuncia, togliere effetto all’impugnazione proposta dal suo difensore.

(24)

2.2 - La sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato: la ratio dell’istituto.

Fatte queste precisazioni sui contenuti del diritto all’autodifesa, sia di segno negativo che positivo, nonché sulle differenze di questa rispetto alla difesa tecnica, è chiaramente comprensibile come questa non possa prescindere dalla capacità dell’imputato di partecipare con coscienza e consapevolezza al processo. Per poter dare rilievo alle scelte da lui compiute, è evidente che l’ordinamento abbia interesse ad avere la certezza che queste siano state effettivamente volute dall’imputato stesso a seguito di un bilanciamento consapevole degli interessi in gioco.

Si comprende, allora, come il legislatore non potesse che optare, dinanzi ad ipotesi di imputato incapace, per una sospensione del procedimento/processo, al fine di non pregiudicare in alcun modo il diritto di difesa, in attesa di un futuro (se possibile) riacquisto della stessa.

Ovviamente si tratta di una scelta che ha generato, e continua a generare, non pochi profili di problematicità in quanto, se da un lato si vuole salvaguardare, e si salvaguarda, il diritto all’autodifesa, dall’altro si pregiudicano ulteriori garanzie processuali, prima fra tutte quella alla ragionevole durata del processo; nonché vi è da considerare che,

(25)

laddove l’imputato sia affetto da una malattia per la quale è stata resa una prognosi di irreversibilità, non solo viene pregiudicato il diritto ad essere giudicati entro un termine ragionevole ma, addirittura, il diritto ad essere giudicati tout court. Sono proprio queste le problematiche, derivanti in particolare anche dagli effetti che (prima della sentenza del 2015 ), si dispiegavano, a seguito della sospensione del processo, sul 27

termine di prescrizione del reato. Tali effetti hanno da sempre reso debole la ragionevolezza di questo istituto e fatto sì che fossero spesso sollevate questioni di legittimità alla Corte costituzionale la quale, nel corso degli anni, non sempre ha risposto in maniera soddisfacente fino a giungere, poi, al monito del 2013 e, infine, all’intervento sulla 28

disciplina della prescrizione del reato nel 2015. Malgrado tale ultima pronuncia, sicuramente decisiva, non può comunque dirsi che ad oggi tutte le problematiche sul tema siano state risolte. Residuano sicuramente aspetti sui quali è opportuno che il legislatore intervenga al più presto.

Corte cost. 25 marzo 2015, n. 45, in www.cortecostituzionale.it., con commento di

27

DANIELE M., Il proscioglimento per estinzione dei non più eterni giudicabili. La

sorte degli imputati affetti da incapacità processuale irreversibile dopo la sentenza 45/2015 della Corte costituzionale, su www.penalecontemporaneo.it, 20 aprile 2015.

Cfr ampiamente cap. IV.

C. cost., 14 febbraio 2013, n. 23, in Giurisprudenza costituzionale, Giuffrè,

28

Milano, 2013, con osservazione di PINARDI R., L’inammissibilità di una questione

fondata tra moniti al legislatore e mancata tutela del principio di costituzionalità, e

di MAZZA O., L’irragionevole limbo processuale degli imputati “eterni

(26)

CAPITOLO II

L’ISTITUTO DELLA SOSPENSIONE DEL PROCESSO PER INCAPACITA’ DELL’IMPUTATO: EVOLUZIONI STORICHE

E DISCIPLINA ATTUALE

1- La disciplina nei codici del 1865 e del 1913 (cenni).

Date le premesse esposte nel capitolo precedente, è possibile affermare che l’obiettivo perseguito con tale istituto è sempre stato, anche sotto la vigenza dei codici di procedura penale antecedenti rispetto all’attuale, quello di garantire l’esercizio effettivo del diritto di autodifesa.

Dinanzi ad imputati incapaci, è proprio a tale fondamento, infatti, che facevano riferimento dottrina e giurisprudenza, sotto la vigenza del codice unitario del 1865 quando, in assenza di una disposizione che riguardasse esplicitamente tali ipotesi, l’orientamento prevalente si era assestato nel riconoscere che l’infermità mentale dell’imputato determinasse una palese impossibilità di integrare il contraddittorio e quindi di compiere attività processuale. Di conseguenza, il giudizio penale non poteva che arrestarsi e riprendere il suo corso solo allorché fosse stabilito che l’infermità fosse cessata.

(27)

L’unico dubbio sorto sul tema riguardava piuttosto l’individuazione del soggetto legittimato ad accertare, e quindi concludere, che l’imputato si trovasse effettivamente in tale stato di infermità: il magistrato oppure la giuria popolare. La giurisprudenza, su tale punto controverso, si assestò infine su quella tendenza che attribuiva la competenza in questione esclusivamente al giudice togato dal momento che, solo quest’ultimo, doveva provvedere a garantire la perfetta regolarità e integrità del giudizio. Al contrario, la giuria popolare avrebbe dovuto occuparsi dell’infermità mentale che avesse colpito l’accusato al momento della commissione del fatto per poter accertare l’imputabilità . 29

La situazione vide poi qualche cambiamento con l’emanazione del codice del 1913 anche se, ancora, non si assistette all’introduzione di un disposizione ad hoc che si occupasse di delineare una disciplina esclusivamente dedicata all’imputato incapace e alla soluzione dei problemi da ciò causati sullo svolgimento del processo.

L’art. 471 del codice del 1913 si limitava, infatti, a configurare l’infermità di mente, che avesse impedito all’imputato di esercitare il diritto di difesa, come una delle cause per cui non si poteva procedere in contumacia: si parlava quindi solo di sospensione del dibattimento e da ciò ne derivava, ovviamente, che la sanità mentale dell’imputato

G. BORSANI-L.CASORATI, Codice di procedura penale commentato, vol.

29

(28)

acquistasse rilievo meritevole di considerazione solo in sede dibattimentale . 30

Il codice in questione paragonava la posizione dell’imputato, affetto da infermità mentale tale da rendere impossibile l’esercizio del proprio diritto di difesa, a quella dell’imputato che non si fosse presentato in udienza per grave e legittimo impedimento: in entrambi i casi la soluzione prospettata era quella della sospensione e rinvio del dibattimento.

La scelta nel senso di una disciplina di questo tipo si mostrava, in realtà, riduttiva rispetto a quanto richiesto da dottrina e giurisprudenza che vedevano la condizione dei cc.dd. “eterni giudicabili” come un problema ormai evidente al quale era necessario trovare una adeguata soluzione. Questo portò allo sviluppo di teorie contrapposte relative al come intervenire sulla questione: da un lato chi prospettava l’opportunità della nomina di un rappresentante in via suppletiva e necessaria e dall’altro chi, favorevole alla scelta del codice, evidenziava l’importanza del diritto all’autodifesa e l’impossibilità di sostituirlo con l’apporto dato dalla difesa tecnica . 31

E’ in tale contesto che si giunse alla emanazione, nel 1930, del codice Rocco.

V. CAVALLARI, La capacità dell’imputato, Milano, 1968, pp. 197-198.

30

M.G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, cit., pp.

31

(29)

2- Le novità nel codice Rocco.

Nel codice di procedura penale del 1930 comparve, per la prima volta, una disciplina specifica che prendeva finalmente in considerazione la condizione di incapacità dell’imputato.

Si trattava della previsione contenuta nell’art. 88 c.p.p. abr. secondo cui, se l’imputato veniva a trovarsi in tale stato di infermità di mente da escludere la capacità di intendere e di volere, il giudice, qualora non avesse dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento, doveva ordinare la sospensione del procedimento di merito . 32

E’ opportuno allora considerare brevemente i caratteri fondanti dell’istituto per comprendere le differenze rispetto alla situazione previgente e, soprattutto, per poter, poi, meglio mettere a fuoco le caratteristiche della disciplina attuale.

Prendendo le mosse, innanzitutto, dal confronto con il codice post-unitario, oltre alla differenza immediatamente evidente relativa alla previsione, finalmente, di una disciplina autonoma rispetto alla contumacia, è da considerare il fatto che, in entrambi gli articolati normativi, fosse esclusa la rilevanza della capacità di intendere e di

Art. 88, comma 1, c.p.p. abr. «Quando l’imputato viene a trovarsi in tale stato di

32

infermità di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento, e salvo quanto è stabilito negli artt. 245 e 258, dispone con ordinanza in ogni stato e grado del procedimento di merito la sospensione del procedimento. In tal caso ordina ove occorra il ricovero dell’imputato in un manicomio pubblico, preferibilmente giudiziario. Per gli accertamenti necessari il giudice può anche ordinare una perizia.»

(30)

volere nel giudizio di Cassazione in quanto ci si riferiva, anche nella previsione del 1930, al solo “procedimento di merito”. Per comprendere le ragioni di questa scelta, si deve tenere presente che, nel giudizio in Cassazione, l’imputato non è ammesso a partecipare personalmente, bensì solo a mezzo del suo difensore; tuttavia, la previsione lasciava qualche perplessità con riferimento al fatto che pure i rapporti tra difensore e imputato potevano essere ovviamente inficiati dalla malattia mentale di quest’ultimo . Difatti non si poteva 33

escludere che l’infermità potesse compromettere un “normale” e adeguato relazionarsi del difensore con un assistito capace di fare valutazioni consapevoli e di dare apporti, significativi per il professionista, solo se effettivamente voluti e ponderati.

Guardando, più nel dettaglio, ai contenuti della previsione, devono considerarsi innanzitutto i presupposti di applicazione.

A tal proposito si rileva come, per l’emissione dell’ordinanza di sospensione, l’art. 88 c.p.p. abr. richiedesse sia l’infermità di mente dell’imputato, che la mancata sussistenza di elementi per una pronuncia di proscioglimento, salvo quanto previsto dagli artt. 245 e 258.

Quanto al presupposto naturalistico dell’infermità è sicuramente da evidenziare il fatto che, in questo caso, e a differenza della scelta fatta

CAVALLARI, La capacità dell’imputato, cit., pp. 199-200.

(31)

successivamente dal legislatore del 1988, venisse in rilievo uno stato di infermità di mente tale da escludere la capacità di intendere e di volere. Il vizio era quindi uniforme e sovrapponibile a quello di cui all’art. 88 c.p. relativo al difetto di imputabilità per vizio totale di mente. La definizione così rigorosa del vizio escludeva che potesse essere dato rilievo ad anomalie o deficienze psichiche che, pur non integrando la nozione di vizio totale di mente, andassero ad incidere, eventualmente anche in modo significativo, sul diritto di difesa. Un aspetto di differenziazione tra i due concetti poteva essere rinvenuto nel fatto che, all’art. 88 c.p.p. abr., si facesse riferimento alla sola infermità mentale con la conseguenza che avrebbero dovuto restarne invece esclusi tutti quei disturbi fisici dai quali potesse derivare, anche temporaneamente, un vizio mentale (aspetti invece ricompresi nella nozione, più generale, di cui all’art. 88 c.p. riferita semplicemente alla «infermità»). Le 34

interpretazioni sulla questione non erano tuttavia uniformi e, accanto a chi sosteneva una interpretazione così rigorosa, vi era anche una parte della giurisprudenza che, al contrario, propugnava la necessità di una 35

interpretazione più lata che affermasse la sussistenza di una differenza solo formale, ma non sostanziale, tra le due disposizioni dal momento

V. CAVALLARI, La capacità dell’imputato, cit., pp. 208-210.

34

V. Pret. Omegna, 15 maggio 1979, in Giurisprudenza costituzionale, 1979, p. 1614

35

in relazione all’ «assoluta impossibilità di esprimere comprensibilmente (nè parlare né scrivere) il proprio pensiero»; Pret. Rovereto, 19 ottobre 1996, in Giurisprudenza

costituzionale, 1977, pp. 201 ss., relativa a «indebolimento mentale in esito a

meningioma paramediano in ragione fronte peritale sinistra (operato), segni di involuzione senile arteriosclerotica, diminuzione della memoria e stato depressivo».

(32)

che sarebbe stata indifferente l’origine dell’anomalia, purché questa fosse tale da annullare la capacità di intendere e di volere dell’imputato . 36

Altro aspetto rilevante, sempre con riferimento al presupposto naturalistico dell’infermità, è quello relativo al fatto che l’art. 88 c.p.p. abr. avesse riguardo alla sola infermità sopravvenuta escludendo dunque eventuali forme di infermità risalenti al momento della commissione del fatto e perduranti o ricomparse al momento del processo. Benché da parte di alcuni fosse stata sostenuta la rilevanza anche di una infermità risalente al tempus commissi delicti, l’opinione prevalente faceva riferimento all’esclusiva operatività dell’istituto nelle ipotesi di sopravvenienza e, tale tesi, venne avallata anche dalla Corte costituzionale . Investita della questione, sostenne infatti la 37

differenza tra l’incapacità sopravvenuta e l’incapacità sussistente al momento del fatto poiché, stando alle parole pronunciate al tempo dalla Consulta, «la sospensione del processo, nell’ipotesi prevista dall’art. 88 c.p.p., si rivela strumento indispensabile al fine di evitare che una persona, sana di mente al tempus commissi delicti, venga sottoposta, malgrado il suo attuale stato di incapacità di intendere e di volere, ad un giudizio che potrebbe chiudersi con una sentenza di

M.G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, cit., pp.

36

20-21.

Corte Cost., 24 maggio 1979, n 23 in Giurisprudenza costituzionale, 1979, pp.

37

(33)

condanna; appare invece costitutiva di una ingiustificata stasi processuale nel caso di infermità di mente sussistente al momento del fatto e perdurante nel corso del procedimento perché a una tale condizione psichica del prevenuto dovrà necessariamente conseguire, salvo che non ricorra l’applicazione di una formula più favorevole, una decisione di proscioglimento per difetto di imputabilità» . Secondo la 38

Corte, quindi, non era violato l’art. 3, come invece prospettato dal giudice remittente, in quanto le situazioni prese in considerazione erano tra di loro diverse ed esigevano, di conseguenza, una disciplina differente. Allo stesso modo neppure poteva dirsi violato l’art. 24 Cost. dal momento che non avrebbe avuto ragione di sussistere il timore di atti di autolesionismo processuale, come la confessione, da parte dell’imputato incapace tunc et nunc, determinati proprio dalla stato di mente poiché, a far fronte a tale pericolo, avrebbe fatto ricorso sia la presenza del difensore tecnico, che del giudice tenuto a vagliare l’attendibilità.

Quanto all’accertamento sull’incapacità in questione, l’art. 88 c.p.p. abr. lasciava libero il giudice di avvalersi o meno di un perito. Una volta riconosciuta l’esistenza dell’infermità, poi, era ancora una volta il giudice ad essere tenuto a dichiarare la sospensione del processo ed a disporre, ove occorresse, il ricovero in un manicomio pubblico

Corte Cost., 24 maggio 1979, n 23 cit.

(34)

preferibilmente giudiziario. L’occorrenza di un tale ricovero, sostanzialmente, poteva aversi con riferimento all’imputato in stato di custodia preventiva o, se in libertà, che risultasse pericoloso.

Sussistente il presupposto dell’infermità, ai sensi dell’art. 88 c.p.p. abr., il giudice disponeva la sospensione del procedimento se non doveva pronunciare sentenza di proscioglimento e salvo quanto stabilito dagli articoli 245 e 258 c.p.p. abr. Il richiamo a tali due articoli, il primo relativo all’interrogatorio dell’arrestato e il secondo ai provvedimenti riguardanti gli infermi di mente, è sempre stato considerato, però, privo di rilievo in quanto tali disposizioni, a loro volta, confermavano l’operatività dell’art. 88 c.p.p. abr. In altre parole, sia l’art. 245 che l’art. 258 c.p.p. abr., dettavano la disciplina circa gli istituti a cui essi rispettivamente erano dedicati facendo però salva, entrambi, la disciplina di cui all’art. 88 c.p.p. abr. . 39

Più problematica era invece la questione relativa alla sentenza di proscioglimento e in particolare al fatto che questa potesse essere pronunciata o meno in tutte le fasi processuali e ancora se fosse illimitata oppure condizionata all’adozione di certe formule.

L’art. 245 c.p.p. abr. si riferiva all’interrogatorio condotto dal procuratore del Re o

39

dal pretore nei confronti dell’infermo arrestato: nel caso in cui questi non potesse essere liberato, ne veniva disposta la custodia nel luogo in cui si trovava o in un pubblico ospedale; tale disposizione faceva salvi però i casi preceduti dall’art. 88 c.p.p. abr., L’art. 258 c.p.p. abr. prevedeva che il giudice disponesse il ricovero provvisorio in in un manicomio laddove l’imputato fosse stato incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto e, al comma 2, prevedeva che, se l’infermità fosse sopravvenuta al reato, si sarebbe applicato l’art. 88 c.p.p. abr.

(35)

Con riferimento al primo punto, vi era chi riteneva che il proscioglimento non potesse essere applicato ogniqualvolta, per adottarlo, fosse necessaria un’attività processuale dell’indagato/ imputato quale ad esempio l’interrogatorio. Quindi, mentre nel dibattimento avrebbe potuto essere adottato in modo incondizionato, in fase istruttoria avrebbe potuto realizzarsi solo con formule che non implicassero il previo interrogatorio. Alcuni sostenevano però che, in realtà, avrebbe potuto essere adottato anche con formule che richiedessero il previo interrogatorio, in deroga alla disciplina prevista in tema di interrogatorio, sulla base dei principi del favor rei e del

favor libertatis, poiché altrimenti l’istituto della sospensione del

procedimento, ispirato all’intento di tutelare il diritto all’autodifesa, avrebbe conseguito risultati contrari a tale ratio . 40

Con riferimento al secondo punto, cioè quello per il quale ci si chiedeva se il proscioglimento potesse essere adottato illimitatamente oppure solo in relazione a certe formule, si discuteva sul proscioglimento per estinzione del reato conseguente ad accettazione della remissione di querela dal momento che si riteneva che l’imputato, in quanto incapace, non avrebbe potuto validamente accettare la remissione in questione. La risposta a tale problema veniva però individuata nel fatto che l’art. 155 c.p., in tema di accettazione della

M.G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, cit., pp.

40

(36)

remissione, ai commi 3 e 4, prevedesse, così come prevede ancora, che l’accettazione, in caso di infermità dell’interessato, debba provenire dal rappresentante legale e, in mancanza, dal curatore speciale.

Sempre con riferimento a questo secondo punto, altro dubbio era determinato dalla possibilità o meno di proscioglimento in sede predibattimentale. A tal proposito, chi considerava l’imputato divenuto mentalmente infermo, come processualmente incapace d’agire, riteneva inapplicabile il proscioglimento predibattimentale dal momento che, l’art. 421 c.p.p. abr. a ciò dedicato, richiedeva che il giudice decidesse «sentite le parti» e l’audizione dell’incapace non si poteva considerare pensabile. Altri sostenevano invece, senza dubbio, l’applicabilità, in sede predibattimentale o nel corso delle formalità di apertura del dibattimento, delle formule di proscioglimento per estinzione del reato o improcedibilità dell’azione mentre più problematiche si presentavano le ipotesi di non sussistenza fatto o non commissione da parte dell’imputato: qui avrebbe dovuto prevalere, sull’art. 88 c.p.p. abr. che imponeva un proscioglimento, l’art. 421 c.p.p. abr. il quale escludeva un proscioglimento nel merito così che la conseguenza avrebbe dovuto essere la sospensione del procedimento . 41

Una volta adottata l’ordinanza di sospensione, gli effetti successivi si ricollegavano, sul piano sostanziale, alla sospensione del termine di

M.G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di mente, cit., pp.

41

(37)

prescrizione ai sensi dell’art. 159 c.p. e, sul piano processuale, a una vera e propria stasi del processo alla quale facevano eccezione i soli atti necessari per l’accertamento del reato (art. 88, comma 4, c.p.p. abr.). Non era prevista né l’impugnabilità dell’ordinanza, né la nomina di un curatore speciale.

Per quanto riguarda le altre parti, la parte civile, ai sensi del comma 5 dell’art. 88 c.p.p. abr., aveva la facoltà di esercitare l’azione davanti al giudice civile indipendentemente dal procedimento penale e, nel caso in cui quest'ultimo avesse ripreso il suo corso, avrebbe potuto ritrasferite la sua azione nel processo penale laddove il giudice civile non si fosse ancora espresso con sentenza anche non definitiva. Per i coimputati dell’infermo era invece previsto che il giudice, d’ufficio, potesse ordinare la separazione dei procedimenti, anche nell’istruzione o negli atti preliminari al giudizio. Poteva inoltre intervenire in tal senso, e con decreto motivato, anche su richiesta del coimputato che, in caso di risposta negativa da parte del giudice, avrebbe potuto presentare ricorso in Cassazione . 42

La sospensione poteva, poi, essere successivamente revocata dal giudice, o in caso di recupero della capacità di intendere o di volere (malgrado il codice Rocco non prevedesse, come il codice attuale,

Tale disciplina relativa alla separazione era stata inserita, all’ultimo comma

42

dell’art. 88 c.p.p. abr., con la l. 18 giugno 1955 n. 517, Modificazioni al codice di

procedura penale, (Gazzetta Ufficiale 148 del 30 giugno 1955 Suppl. Ordinario) in www.normattiva.it.

(38)

l’obbligo di accertamenti periodici volti a tale verifica), oppure, anche se ciò non era esplicitamente previsto dalla disposizione, laddove fosse sorta la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento. Tale ultima eventualità poteva presentarsi a seguito dei risultati ottenuti dallo svolgimento degli atti consentiti durante la paralisi processuale, a seguito di novatio legis, oppure ancora di estinzione del reato . 43

3- La fisionomia dell’istituto nel codice di rito vigente (70-73 c.p.p.).

La disciplina attuale dell’istituto della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, è stata collocata, dal legislatore dell ’88, agli artt. 70-73 del c.p.p. i quali individuano: i presupposti di applicazione; le modalità mediante le quali il giudice è tenuto a procedere; gli effetti che scaturiscono dall’ordinanza di sospensione; nonché i presupposti per l’eventuale revoca dell’ordinanza stessa.

3.1- I presupposti (segue).

Affinché il giudice possa decidere nel senso della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, eventualmente anche disponendo una perizia ai fini dell’accertamento in questione, ai sensi

M.G. AIMONETTO, l’incapacità per infermità di mente dell’imputato, cit., p 39.

(39)

dell’art. 70 c.p.p. è necessario, da un lato, e preliminarmente, che non vi siano gli elementi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e, dall’altro, che vi sia ragione di ritenere che l’imputato sia affetto da una infermità tale da non consentirgli di partecipare coscientemente al processo.

Si tratta di presupposti che, presentando dei confini talvolta incerti, hanno suscitato, non solo opinioni contrastanti da parte della dottrina, ma anche, in particolare circa il tema dell’incapacità, un susseguirsi di pronunce della Corte costituzionale che, di volta in volta, è stata investita di questioni di legittimità.

3.1.1 - (segue) L’infermità: tra innovazioni legislative e pronunce della

Corte costituzionale.

Il presupposto naturalistico dell’infermità ha da sempre dato luogo a 44

notevoli problematiche in ordine ai suoi confini e, nel corso degli anni, si sono succeduti sul tema, non soltanto interventi ad opera del legislatore, ma anche una serie di pronunce della Corte costituzionale. Queste ultime hanno riguardato, in particolare, sia la natura dell’infermità, che il momento nel quale questa deve manifestarsi

Cfr. cap. I par. 1.

(40)

affinché possa acquistare rilevanza ai fini della sospensione del procedimento.

Con riferimento agli interventi modificativi del legislatore, è da evidenziare il dato, immediatamente percepibile, consistente nell’individuazione, all’interno dell’art. 70 c.p.p. comma 1, di un nuovo concetto di infermità rilevante ai fini della sospensione. Non si tratta più, infatti, come disponeva il codice Rocco, di una infermità coincidente con il vizio totale di mente, ma, piuttosto, di una infermità tale da impedire all’imputato una partecipazione cosciente al processo. Solo in questo caso sarà legittima una sospensione del procedimento dal momento che, altrimenti, non potrebbe essere garantito il rispetto dell’esercizio del diritto all’autodifesa.

Il presupposto previsto dal legislatore dell’ 88 è quindi sicuramente più preciso rispetto a quello del codice previgente e, assumendo una connotazione evidentemente processuale (in conformità alla delineazione di un sistema tendenzialmente accusatorio), si svincola finalmente dai paramenti psichico-normativi stabiliti per l’accertamento dell’imputabilità sul piano sostanziale. Tale cambiamento può spiegarsi, appunto, considerando che, con il nuovo codice di rito, si assiste al passaggio ad un modello processuale di tipo accusatorio: ciò implica la necessità di foggiare l’attività difensiva in una dimensione totalmente nuova. Questa si sostanzia in un diritto di

(41)

partecipazione al processo nella forma della proposizione argomentativa volta alla persuasione del giudice e della presentazione e formazione delle prove esigendo, di conseguenza, un imputato capace di raccogliere informazioni per individuare le proprie fonti di prova, di verificare l’attendibilità , insomma capace di difendersi.Ciò 45

che conta ai fini della sospensione è infatti, esclusivamente, che l’imputato non sia in grado di comprendere il significato del processo che nei suoi confronti si sta svolgendo e, di conseguenza, di esercitare diritti e garanzie a lui riconosciute . Evidentemente viene in rilievo 46

allora la necessità di un accertamento clinico, da parte del perito eventualmente incaricato dal giudice, profondamente individualizzato, che tenga conto delle singole circostanze del caso, senza limitarsi alla rilevazione della sussistenza di una determinata patologia secondo i criteri psichiatrici-nosografici . 47

Un primo aspetto da considerare riguarda appunto i confini della infermità rilevante che non necessariamente devono coincidere con quelli di una patologia psichica. A tal proposito costituisce un convincimento erroneo quello secondo cui, chi è affetto da un disturbo mentale, non è automaticamente in grado di comprendere ciò che

L. BRESCIANI, voce Infermità di mente, in Digesto, Disciplina penalistica,

45

Milano, 1992, p. 433.

G. PONTI, La disciplina dell’infermità di mente sopravvenuta nel nuovo c.p.p., in

46

Rivista italiana di medicina legale, 1993, p. 554.

G. PONTI, La disciplina dell’infermità di mente sopravvenuta nel nuovo c.p.p.,

47

(42)

accade intorno a lui, di capire il significato delle domande a lui rivolte, o il valore delle prove assunte in giudizio. La concezione non più solo nosografica della malattia mentale è tale da far concludere che una persona può essere colta da una infermità mentale, anche grave, senza che ciò comporti necessariamente la conseguenza di una sua totale alienazione dalla realtà . Dunque si può affermare che il presupposto 48

naturalistico di cui all’art. 70 c.p.p., sia, sì, più specifico rispetto a quello di cui all’art. 88 c.p.p. abr., ma anche più circoscritto, proprio se considerato da tale prospettiva: non necessariamente una infermità grave determina una incapacità di partecipazione cosciente al processo. Da altro punto di vista può risultare invece più ampio in quanto può accadere che il seminfermo di mente, seppur imputabile, risulti incapace di partecipare coscientemente al processo . In conclusione, 49

la diversità rispetto al passato consiste appunto, come già detto, nell’utilizzare, come parametro, la valutazione di “inidoneità processuale” dell’imputato . 50

I cambiamenti, in ordine al presupposto naturalistico dell’infermità dell’imputato, non si sono avuti soltanto a seguito della (ragionevole) scelta del legislatore dell’88 di discostarsi dalla previsione contenuta

G. PONTI-E. CALVANESE, voce Infermità sopravvenuta, in Digesto, Disciplina

48

penalistica, Milano, 1992, p. 456.

M.G. AIMONETTO, Sospensione del processo penale per infermità di mente

49

dell’imputato, osservazione su sent. Corte Cost., 20 luglio 1992, n. 340, in Giurisprudenza costituzionale, 1992, pp. 2744 ss.

G. PONTI-E. CALVANESE, voce Infermità sopravvenuta, cit., p. 456.

(43)

nel codice Rocco, ma anche in ragione dei numerosi interventi della Corte costituzionale. Innanzitutto, un aspetto sul quale questa ha avuto modo di pronunciarsi, riguarda l’origine dell’infermità: in particolare, se questa debba necessariamente essere di tipo psichico oppure, eventualmente, anche fisico. A questo proposito la Consulta, nel corso degli anni, non si è espressa in maniera sempre uniforme.

In un primo momento, nel 1996 , la questione viene sollevata dal 51

Pretore di Milano il quale lamenta l’illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni del c.p.p., in particolare gli artt. 486, 477, 70 e 71, «nella parte in cui non prevedono la sospensione del dibattimento in caso di imputato permanentemente impossibilitato in modo assoluto a comparire per legittimo impedimento dovuto a malattia irreversibile». Il giudice a quo sostiene che, pena la violazione degli artt. 3 e 112 Cost., l’ipotesi in questione debba essere disciplinata con il regime previsto per l’imputato incapace di partecipare coscientemente al processo in quanto le due posizioni sarebbero analoghe: in entrambi i casi si creerebbe una situazione di “stallo” processuale, anomala ed irragionevole, che sacrifica l’obbligatorietà dell’azione penale. La Corte risponde però con un rigetto sostenendo, al contrario, che le due situazioni non sono comparabili in quanto «altro è l’incapacità di partecipare coscientemente al processo che ineluttabilmente

Corte Cost. 22 ottobre 1996, n 354, in Giurisprudenza Costituzionale, 1996, pp.

51

cit., con osservazione di C. VALENTINI REUTER, Malattia irreversibile

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compromette l’idoneità ad esercitare l’autodifesa e, dunque, giustifica la predisposizione di un composito e peculiare assetto normativo informato alla tutela di libertà di autodeterminazione dell’imputato, altro è l’impedimento a comparire, posto che una evenienza di tal genere può rappresentare, ma non necessariamente rappresenta, un semplice ostacolo all’esercizio del diritto di difesa, che l’imputato è posto in condizione di rimuovere esercitando la facoltà di rinuncia a presenziare il dibattimento». Dunque la Consulta, nell’ipotesi in parola, non legittima né la sospensione del procedimento, né l’assunzione di prove alle condizioni stabilite dall’art. 70 c.p.p., né la possibilità di adottare, all’esito, sentenza di proscioglimento o di non doversi procedere; riconosce una analogia soltanto con riferimento alle conseguenze sull’azione civile in quanto, «anche la situazione di “stallo” processuale dovuta all’imputato che per malattia irreversibile è impossibilitato a comparire, effettivamente determina, per la parte civile, l’impossibilità di dare concreto seguito alla propria domanda risarcitorie» . Anche in questo caso, al pari dell’ipotesi di imputato 52

incapace di partecipare coscientemente al processo disciplinata dall’art. 71 comma 6, non dovrà trovare applicazione la previsione di cui all’art. 75 comma 3 c.p.p.

Corte Cost., 22 ottobre 1996, n. 354 cit.

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