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III Capitolo: Women and Guns

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III Capitolo:

Women and Guns

1) 1989-2000: dagli esordi alla Million Mom March

Women & Guns è una pubblicazione bimensile che, da quasi trent’anni,

rappresenta un punto di riferimento nella costellazione di soggetti e istituzioni che si adoperano per la difesa del Secondo Emendamento interpretato e propagandato in un’ottica individualistica, ossia come diritto fondamentale dei cittadini americani a possedere armi private. Fondata alla fine degli anni Ottanta, Women & Guns si definisce come la prima rivista specializzata in armi da fuoco scritta prevalentemente da donne e indirizzate a un pubblico quasi esclusivamente femminile. È possibile ricostruire parzialmente le vicende del primo decennio di vita della rivista, grazie a una semplice ricerca nel sito di riferimento.1

Women&Guns (d’ora in avanti, W&G) viene lanciata per la prima volta nel

Febbraio del 1989 da Sonny Jones – originaria dell’Arkansas che nutre interesse per le armi da fuoco e in particolare, strategie di autodifesa – nel corso del Shooting, Hunting Outdoor Trade (SHOT) Show, una fiera rinomata delle industrie di armi. In quell’occasione Smith&Wesson presenta in un tipo di revolver disegnato per attrarre l’attenzione del pubblico femminile, battezzato “Lady Smith”. Il layout della rivista è, in origine, rudimentale: stampata in bianco e nero, non contiene inserzioni pubblicitarie. Fin dai suoi esordi W&G adotta un taglio editoriale informativo e tecnico, indirizzato alle donne, presentando anche il

1 V.www.womenandguns.com

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2 nuovissimo tipo di revolver lanciato pochi mesi prima da Smith&Wesson.2 Successivamente, in autunno, Sonny vende la sua idea alla Second Amendment Foundation (SAF), una istituzione no-profit fondata nel 1974 da Alan Merril Gottlieb (uomo d’affari, attivista politico conservatore e sostenitore dei gun rights) con sede a Bellevue, Washington. La SAF si occupa, in modo analogo alla NRA, della difesa dei gun rights, ha numerose pubblicazioni, offre materiali informativi e consulenze legali.3 Sempre in quel periodo, Sonny si trasferisce nello stato di Wahshington dove lavora per qualche anno per la NRA sul progetto, allora in cantiere, Refuse to Be a Victim. Con l’acquisizione della rivista da parte della SAF, Women & Guns ha un nuovo editore, Julianne Versnel Gottlieb, moglie di Alan Gottlieb e comincia ad andare in stampa tra New York e l’Arkansas, mantenendo al centro il tema dell’autodifesa.

È però il 1991 a segnare un punto di svolta, grazie a un’acuta operazione di marketing con la quale la rivista riesce a raggiungere un pubblico più vasto. L’uscita nelle sale cinematografiche di “Thelma & Louise”, regia di Ridley Scott, in quell’anno, consente un’astuta e proficua mossa editoriale che permette alla rivista di acquisire un maggior grado di popolarità, mettendo nella copertina di Settembre proprio un’immagine tratta dal film, che ritrae le due protagoniste in macchina, munite di pistola. Il mese successivo, appare l’attrice Linda Hamilton, che nel 1991 ha un ruolo di primo piano nella pellicola di James Cameron, “Terminator II – Judgement Day” con Arnold Schwarzenegger nei panni di un

2 <<The idea for the magazine had been percolating for a while, and Sonny decided to go ahead

with it. The first issue was 16 pages, black and white and included no advertising. The publication was by subscription-only. Sonny wrote almost the entire issue herself, although only her editorial was signed. The first feature was on concealed carry options for women and featured some of the then-very new holster purses, and another made brief mention of the also very-new LadySmith line from Smith & Wesson.>> cit. http://www.womenandguns.com/?s=Women+and+guns+1991

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3 killer cyborg proveniente dal futuro. Linda, che nel film interpreta il personaggio di Sarah Connor, viene ritratta in tuta militare nera, occhiali scuri con in braccio un fucile mitragliatore. Questa scelta pare dimostrarsi una mossa pubblicitaria vincente, grazie alla quale W&G conosce, stando alla ricostruzione4, un lancio mediatico notevole. In effetti, il presunto successo della rivista tra il pubblico femminile e l’idea che tra il 1980 e il 1990 negli Stati Uniti vi fosse un numero sempre crescente di donne in possesso di armi da fuoco, sono elementi che già a metà anni Novanta sono oggetto di verifiche e smentite. In un articolo de The

Journal of Criminal Law and Criminology del 1995, Tom W. Smith and Robert J.

Smith mettono fortemente in dubbio le stime concernenti il numero di donne acquirenti di armi private, diffuse soprattutto da NRA e Smith & Wesson. Attraverso l’utilizzo di queste stime, i media avrebbero potuto diffondere notizie e articoli con argomentazioni volte a dimostrare che un numero sempre più alto di cittadine americane, soprattutto non sposate e residenti nelle metropoli, avrebbe acquistato un’arma o era in procinto di farlo, considerando il fenomeno come una reazione all’incremento dei casi di criminalità e alla violenza relativa esercitata contro le vittime.5 Si presume dunque che molti organi di stampa si siano basati

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<<Coincidence-or perhaps serendipity-led Sonny to chose a now-iconic image from the film “Thelma & Louise” for the newsstand debut cover, and the cover hit the newsstand just as the film was making waves in the zeitgeist. The next issue had Linda Hamilton from “Terminator 2” on the cover, although most covers before and since have been of real women with real guns. The newsstand debut also meant a fair amount of general media publicity about the magazine and about women gun owners generally. We fielded dozens of media calls-from television, newspapers, other magazines and radio, and have continued to be a resource for the general media. >> http://www.womenandguns.com/?s=Women+and+guns+1991

5

<< Pro-gun groups have touted twin themes: (1) that women should arm themselves for self-protection; and (2) that many women have already armed themselves and many more are planning to do so. The mass media have debated the wisdom of the first theme but, with few exceptions, have accepted the truth of the second. The typical news story describes women who buy handguns and take firearms training courses because they have been the victims of crime or are afraid of becoming victims. Most of these women are unmarried and live in large cities. The typical article asserts that the level of ownership among women is already high, that their ownership is rapidly increasing, and that women account for a large number of trainees, gun sales, and new permit

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4 su questi dati diffondendo l’idea di una tendenza significativa tra le cittadine americane ad armarsi e che, ponendo l’accento sulla possibilità di difendersi autonomamente, si sia potuto accostare la pistola all’empowerment.6

Un ulteriore problema nella stima del numero di soggetti femminili in possesso di armi messo in luce dai due studiosi, riguarda proprio il fatto che la NRA dichiarasse di contare tra i suoi membri un cospicuo numero di donne, nonostante il fatto che la lobby stessa non fosse in grado di stimarne la cifra esatta.7 Per quanto riguarda W&G, si può intuire che dal 1989 ai primi anni Novanta abbia costituito uno strumento utile per avvicinare più cittadine americane alle organizzazioni sostenitrici dei gun

rights, considerando ancora una volta il fatto che la NRA abbia indirizzato proprio

in questo periodo, poco dopo il lancio della rivista, la sua agency verso le cittadine americane. Non di meno, la crescita e il successo editoriale di W&G sono oggetto di dubbio nell’articolo

The NRA and virtually every article in the media assert that gun ownership in general and handgun ownership in particular is rapidly increasing (...) Media claims that many more women are planning to buy guns and that this group of potential gun owners had greatly expanded is also supported by the Smith&Wesson Gallup surveys found that there were 15.6 million potential female gun purchasers in 1989 and that this figure was 100% higher than in 1983. This central claims are bolstered by supporting assertions that: (1) more NRA members are women; (2) more women are taking training courses; (3) the success of the magazine Women &Guns indicates

holders. To help fulfill this supposed surge in demand, the stories also frequently mention that guns especially designed for women are being marketed and advertised in women’s magazines and that a wide range of gun accessories for women are available. This standard story has been repeated dozens of times in virtually every women’s magazine, the major newsmagazine, most leading newspaper, and in many other prominent news sources.>> Tom W. Smith and Robert J. Smith, Changes in Firearms Ownership Among Women, 1980-1994, in The Journal of Criminal

Law and Criminology, Vol. 86, No. 1, 1994, cit. pp. 133-134 6 Ivi, p. 137

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greater female interest in guns; (4) retail sales to women are up; (5) gun permits issued to women have increased.8

Sembra pertanto opportuna una valutazione cauta per quanto riguarda l’incremento tra il 1980 e il 1990 del numero di donne armate o interessate alle armi e il grado di popolarità e diffusione di questa pubblicazione a loro indirizzata. È probabile che l’aspetto “patinato”9

della neonata rivista risultasse anche dalla scelta di mettere in copertina personaggi dei sopracitati film cult per attirare lettrici. È da notare comunque che nei decenni successivi W&G sembri non tanto puntare su una rappresentazione accattivante e glamour di un soggetto femminile armato quanto, piuttosto, sull’obbiettivo di informare il pubblico riguardo il panorama politico e legale concernente le armi da fuoco e di formare i lettori/le lettrici sulle battaglie portate avanti per la difesa dei gun rights, mettere a diposizione materiale per arricchire le loro competenze tecniche e fornire suggerimenti validi sul tipo di arma più adatto ad ogni situazione.

Tra il 1992 e il 2000, W&G lavora a pieno ritmo, arricchendo i contenuti di interviste rivolte a donne in possesso di armi e di inserzioni pubblicitarie, attirando anche l’interesse di lettori di sesso maschile, affascinati dal taglio della rivista “no- nonsense” (sic.), apprezzando probabilmente l’assenza di “frivolezze”. Il gruppo di lavoro si allarga, aprendosi a nuove collaborazioni: entrano a far parte della redazione in questo periodo, tra le altre, Lyn Bates e Karen McNutt, entrambe attiviste nella difesa dei gun rights. Le copertine continuano a

8 Ivi, cit. pp. 136-137

9 <<Since its start in 1989 as a simple newsletter, Women&Guns has grown into a glossy,

high-production value magazine. However, as of 1993, it had a circulation of only 18,000. This is about two-hundredths of a percent of all adult women or less than two-tenths of a percent of all adult, female gun owner. Thus the apparent success of Women&Guns provides little support for the idea of a huge or expanding mass market for women.>> ibidem

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6 raffigurare donne famose nell’ambiente delle gun owners, nel mondo competitivo del tiro a bersaglio e nei circoli di addestramento o personalità in vista nel movimento pro-gun. È il caso della copertina del Giugno 1994, in cui appare Tanya Metaska, una tra le personalità più rilevanti della NRA, che in quel periodo viene nominata alla guida dell’Istituto per Azione Legale (ILA) afferente alla lobby, occupandosi anche di supervisionare la nascente campagna Refuse To Be a Victim. Il focus sull’autodifesa rimane una cifra costante dei contenuti della rivista, approfondendone peraltro gli aspetti legati al periodo di gravidanza. W&G mantiene dunque un taglio tecnico “di genere”, senza rinunciare a contenuti di interesse più commerciale pubblicizzando accessori di design e dando spazio anche a notizie che riguardano competizioni sportive e manifestazioni popolari nell’ambiente dei gun owners. Il primo decennio di vita di W&G coincide con una fase storica caratterizzata dall’amministrazione Clinton, che indirizza la gun policy verso la regolamentazione, attraverso il passaggio di Brady Bill10, ponendo i cosiddetti back-ground checks prima dell’acquisto di un’arma. Cionondimeno, a cavallo del nuovo millennio, si susseguono tragicamente alcune stragi che vengono commesse in luoghi pubblici. Il caso più eclatante del periodo rimane forse quello del massacro alla Columbine High School (Littleton, Colorado) il 20 Aprile 1999, rimasto nella memoria collettiva come uno tra i più gravi e sconvolgenti.11 Due studenti, Eric Harris e Dylan Klebold, si introdussero nell’edificio muniti di armi semiautomatiche con le quali aprirono il fuoco su

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In onore di Sarah Brady, il cui marito, James Brady, segretario di stampa nell’amministrazione Reagan rimase coinvolto nell’attentato occorso il 30 Marzo 1981 e indirizzato contro il presidente da parte di John Hinckley Jr. un cittadino texano con evidenti problemi psichici.

11 Micheal Moore dedicherà nel 2000 un suo famoso documentario intitolato proprio “Bowling for

Columbine”: oltre a essere ricostruita la vicenda del massacro, il regista si interroga sulle sue cause e percorre gli Stati Uniti indagando sulle realtà lobbistiche come la NRA che promuovono i gun rights, mettendo in luce la persistenza e la forza di una cultura che lega profondamente le armi da fuoco con la costruzione dell’identità americana.

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7 professori e compagni, uccidendo dodici persone e ferendone altre ventiquattro, per poi suicidarsi. Questa vicenda emblematica contribuì ad allarmare l’opinione pubblica riguardo alla gun violence, prima considerata come qualcosa che riguardava ambienti urbani ad alto rischio. A questo punto, ci si rende conto che a essere colpite non sono soltanto alcune fasce di popolazione nelle inner cities, ma che il problema riguarda l’America intera.12 Nasce dal basso l’idea di una grande manifestazione che possa portare una maggiore attenzione sulla questione e lanciare una sfida alla NRA, considerata in parte responsabile del clima di violenza, essendosi sempre opposta – in modo efficace – a misure di gun control considerate basilari, quali la registrazione, obbligo di licenza e controlli di base sulle condizioni psichiche dell’acquirente. Oltre alla lobby viene criticato l’operato delle industrie delle armi, soprattutto le loro politiche irresponsabili di vendita e distribuzione.13 Viene organizzata per il Maggio del 2000 la Million Mom March14, iniziativa che, secondo le organizzatrici, avrebbe dovuto essere frutto di una mobilitazione dal basso e avere un carattere apolitico, perseguendo l’obiettivo di richiamare la cittadinanza americana sul problema della gun

12 <<Perception of where violent deaths do occur changed rapidly in the late 1990s, when several

high-profile school shooting in predominantly white neighbourhoods riveted public attention and galvanized anger, frustration, and grief. For many in middle America, it finally became clear that gun violence was an urgent problem shared by the nation as a whole.>> L. Wallack, L. Winett, L. Nettekoven, The Million Mom March: Engaging the Public on Gun Policy, in Journal of Public

Health Policy, vol. 24, No. 3 / 4, Palgrave Macmillan Journals, 2003, cit. p. 356

13 Cfr. F. Winddance Twine, Girls With Guns: Firearms, Feminism and Militarism, pp. 26-27 14 Il nome richiamava immediatamente al ricordo di una recente marcia svoltasi in precedenza

nella capitale, la Million Men March, promossa dal leader della Nation of Islam, Louis Farrakhan. Una scelta che pare essere stata oggetto di critiche e scetticismo: <<Several key leaders expressed concern that such an event would yield few attendees, resulting in damage to the movement and political fodder for the National Rifle Association (NRA). Some worried that the very name “Million Mom March” would set an easy threshold for failure, as anything less than remarkable attendance would fall short of the goal. Others simply didn’t like the event’s name because it too closely resembled that of events that had recently preceded it, specifically the Million Man March and the Million Youth March.>> L. Wallack, L. Winett, L. Nettekoven, The Million Mom March:

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8 violence e chiedere al governo di legiferare per una società più sicura.15 Nei fatti, le elezioni del nuovo millennio che avrebbero visto contendersi Al Gore e George W. Bush la presidenza degli Stati Uniti erano alle porte e nel corso della manifestazione, a cui sembra presero parte più di settecentomila persone, alcune figure politiche notoriamente impegnate sul fronte del gun control, tra cui Sarah Brady e i Clinton stessi ebbero contatti e momenti di confronto con gli organizzatori.16 La manifestazione che ebbe il merito di portare al National Mall di Washington D.C. migliaia di persone e di dar voce alle preoccupazioni legate al fatto di quanto fosse fin troppo facile per chiunque entrare in possesso di armi, non riuscì successivamente a concretizzarsi in un movimento politico duraturo.17 Molte furono le criticità, legate a questioni di organizzazione e di coordinamento tra le forze promotrici, altre soprattutto connesse alle modalità discorsive utilizzate durante l’iniziativa, che pare ricadessero nell’ottica della contrapposizione tra “bad guys” e “good guys” più volte utilizzata, nell’altra barricata, per sostenere il diritto di ogni cittadino americano ad essere armato per adempiere alla sua funzione protettrice. Stavolta i “criminali” erano da identificarsi proprio tra le fila delle industrie e delle organizzazioni per i gun

15 L. Wallack, L. Winett, L. Nettekoven, The Million Mom March: Engaging the Public on Gun Policy, p. 357

16 <<Many citizens have become anti-gun activists in the wake of these events, and they have

organized to press for the passage of new state and federal gun control laws. The Million Mom March, a public anti-gun demonstration held in Washington, DC, on April 14, 2000, attracted approximately 750,000 participants (according to the organizers) and showcased impassioned women speakers, many of them mothers of children who had died of gun wounds. (...) Sarah Brady and Representative Carolyn McCarthy, among others, addressed the demonstrators, and Hillary and Bill Clinton addressed organizers at the White House.>> D. Homsher, Women and

Guns. Politics and the Culture of Firearms in America, M. E, Sharpe, Inc. New York, 2001, cit. p.

205

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Sulla tesi della mancata costituzione di un movimento politico a favore del gun control negli Stati Uniti e l’inefficacia delle modalità della Million Mom March, vedi, K. A. Goss, Disarmed:

The Missing Movement for Gun Control in America, Princeton University Press, Princeton (NJ),

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rights.18 A suscitare la critica al movimento fu soprattutto il forte richiamo alla maternità usato nell’ambito della manifestazione per spingere il congresso a emanare misure di regolamentazione base.19 Nel merito, la retorica maternalistica utilizzata nel corso della Million Mom March diede modo agli esponenti della lobby di contrattaccare con un’operazione di delegittimazione delle istanze della manifestazione: si contestò che questa avesse avuto origine “dal basso” e che fosse, piuttosto, una campagna a favore di Al Gore condotta da “mamme fuorviate” esclusivamente mirata a bandire le armi da fuoco e a privare i cittadini americani dei loro diritti fondamentali.20

Anche da parte delle donne sostenitrici della NRA e più in generale favorevoli alle armi da fuoco ci fu una risposta piccata alle modalità e alle rivendicazioni portate nell’ambito della Million Mom March. W&G, a quanto è possibile ricostruire, pare abbia seguito da vicino l’intera vicenda, dedicando i

18 <<These moms generally did not approved of the NRA. According to the New York Times,

speakers “assailed the National Rifle Association and its power over Congress”. One Ithaca, New York, resident returning from the march commented: “I was truly inspired, and when I heard a rabbi say in his speech how the blood of the slaughter of our children is on the heads of the NRA, I came away feeling like I wanted to continue to try something back home”. Apparently the line between the good guys and the bad guys was very clearly drawn at this political event, and the agents the enable “gun violence” to flourish where sharply identified.>>. D. Homsher, Women and

Guns. Politics and the Culture of Firearms in America, cit. p. 206

19 <<The goal of this demonstration was to send a clear signal to Congress during an election year

in which several mass shootings had occurred including the Columbine shooting by two White teenage boys armed with semi automatic weapons. The demonstrators wanted Congress to pass “commonsense gun regulation”. The Million Mom March was a display of collective action by mothers which used the logics and language of “maternalism” that had been used 80 years earlier by suffragists arguing for women’s right to vote. (...) Critics have argued that they employed rhetoric and logics that were not unlike those of the “gunners”, or pro-gun women’s groups.>> F. Winddance Twine, Girls With Guns: Firearms, Feminism and Militarism, cit. p. 27

20 <<The marchers called for “sensible” gun control, attempting to appeal to mothers’ expectations

to protect their children. Casting its supporters as easily swayed soccer moms, NRA EVP LaPierre labelled the event the “Misled Moms March” and claimed these women where a tool of Al Gore’s presidential campaign (Mai 20,2000). LaPierre stated that, though these women are well-meaning, they are misinformed as to what actually reduces children’s firearms-related deaths.>>Melzer, p. 90

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10 numeri primaverili dell’anno 2000 agli sviluppi della manifestazione.21

È purtroppo limitante non potere avere accesso a queste uscite, che costituirebbero la fonte diretta per comprendere come la redazione si confrontasse con un evento così massivo a favore del gun control e quali argomenti venissero esplicati in merito. Ad ogni modo, sappiamo che parallelamente alla marcia di Washington D.C. viene organizzata, si potrebbe dire, una “contromanifestazione” promossa dalla neonata entità “Second Amendment Sisters”, il cui sito di riferimento è da tempo non più in funzione. Stando al materiale a disposizione, è possibile farsi un’idea di quelle che fossero le argomentazioni portate dalle sue rappresentanti: a loro volta rivendicano il fatto di aver creato un movimento “dal basso”, prendendo però radicalmente le distanze dalla richiesta di regolamentazione, accusando la Million Mom March di disinformare le persone demonizzando le armi da fuoco, per ribadirne invece la sua presunta funzione protettrice.22 Pare che l’intento fosse anche quello di mostrare che non tutte le donne, in quanto donne, erano favorevoli alle istanze della marcia e alla retorica maternalistica dispiegata in quell’occasione.

21<< In May of 2000, the whole “Million” Mom March movement took off, but once again,

grassroots activists, in the form of the Second Amendment Sisters, took the field to challenge the public and media perception that “all” women were anti-gun.>> http://www.womenandguns.com/?s=second+amendment+sisters

22

<<Then the Million Mom March was announced. The way to keep America safe, said the MMMs, was to ban guns. Mari was horrified. Ban guns?! It was her gun that could keep her safe when she was alone. “All women want stricter laws to reduce the number of guns and the kinds of guns and the kinds of ammunition that could be used,” said the MMMs. “I am a woman, and do not want this. I need my gun for protection,” she announced on a conservative forum. Many agreed with her. Four other women agreed so strongly that the five decided to join together and form an organization. Second Amendment Sisters was born. When the not-really-Mil-lion Moms marched, so did the Second Amendment Sisters. The groups stood toe-to-toe at rallies not only in Washington D.C., but across the country.>> ibidem

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11 2) Armate e responsabili

Riferendoci al materiale a disposizione per l’analisi, vale a dire alcune uscite comprese tra il 2005 e il 2015 è possibile avere informazioni precise sulla composizione dello staff editoriale di W&G e scoprire che, in effetti, le posizioni più importanti sono ricoperte da due donne: il ruolo di editore (publisher) spetta a Julianne Versnel Gottlieb, di cui sopra accennato, mentre Peggy Tartaro è redattore esecutivo (Executive Editor.).23 Insieme alle co-redattrici Lyn Bates, Karen McNutt, Tartaro e Gottlieb sono molto più che giornaliste impegnate nella pubblicazione bimensile della rivista. Sono membri attivi nelle principali istituzioni promotrici dei gun rights tra cui, oltre la NRA, la SAF – cui la rivista è direttamente affiliata – e Gun Ownership America (GOA). Queste organizzazioni occupano posti di rilievo nella costellazione delle realtà che perseguono l’obiettivo politico dei gun rights e una visione individualistica del Secondo Emendamento. Peggy Tartaro24 è inoltre membro del consiglio di amministrazione del Citizens Commitee for the Right To Keep and Bear Arms (CCRTKBA); Karen MacNutt è avvocatessa, lavora a Boston e offre consulenza legale sia per la SAF che per la NRA.25 Lyn Bates, altra punta dello staff editoriale, riveste un ruolo chiave nella rivista per tutto ciò che riguarda tecniche e legalità nell’ambito dell’autodifesa.26

La sua rubrica,“Defensive Strategies”, si

23 Women&Guns. The World’s First Firearms Publication for Women, (ISSN 0145-7704), 267

Linwood Avenue PO Box 488 Buffalo, NY 14209-0488, published by Second Amendment Foundation, September-October 2005

24 http://www.womenandguns.com/?page_id=405

25<<Karen L. MacNutt us a consulting attorney for the Second Amendment Foundation, National

Rifle Association and Gun Owners Action League. She maintains a general law practice in Boston, and she is active rifle and pistol competitor>> Women&Guns. The World’s First Firearms

Publication for Women, September-October 2005, cit. p. 65

26<<Lyn Bates is the Vice President of AWARE (Arming Women Against Rape and

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12 concentra in maniera preponderante su tutto ciò che riguarda l’utilizzo di pistole per autodifesa, delineando talvolta possibili scenari rischiosi e fornendo istruzioni pratiche e tecniche sul da farsi. È di particolare interesse il livello di approfondimento di questi articoli, scritti da una professionista nel suo ambito: vengono fornite molte informazioni, delineate svariate circostanze, proprio per poter rendere le lettrici e, eventualmente i lettori, persone consapevoli e responsabili. “Responsible” e “aware” sono in effetti termini ricorrenti in molti altri articoli di questa pubblicazione.

Practice good tactics. 1. Be aware of your surroundings at all times. 2. Be prepared to move rapidly toward the best available cover. 3. Remember that you must always be able to identify your target with absolute certainty before you shoot. If you ever need to defend yourself, it will probably at night. Prepare for that, and you will never be completely in the dark about protecting yourself after the sun sets.27

Gli articoli pubblicati da Lyn Bates sono di particolare interesse, poiché occupandosi del tema dell’autodifesa armata, compongono anche una narrazione, fatta da esperienze di donne che utilizzano la pistola per autodifesa. Ciò che si vuole raccontare proponendo alle lettrici casi di autodifesa andata a buon fine è proprio l’efficacia del mezzo difensivo (la pistola) e un tipo di donna in grado di gestire questo strumento in modo da sventare l’aggressione, la rapina e/o lo stupro, delineando il soggetto armato come responsabile e autonomo, in grado di scardinare gli stereotipi legati alla sua inferiorità e vulnerabilità. D’altro canto, proprio la paura di subire un aggressione e ritrovarsi nella condizione di vittima

women to avoid, deter, repel or resist crimes ranging from minor harassment to violent assault. She is a competitive shooter, recipient of the National Tactical Invitational’s Tactical Advocate Award, and is certified to teach a wide range of self-defense techniques.>> ibidem

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13 sembra costituire un fattore determinante la scelta di armarsi da parte di molte donne.

Most armed women affirm that they fear violence at the hands of predators who kill, maim or rape those unable to protect themselves. These women own guns as just one method with which to resist if attacked by one who would harm them or those in their care.28

L’arma viene acquisita come strumento di autodifesa dai “predators”, verosimilmente, figure maschili aggressive spersonalizzate in altre circostanze definiti “bad guys” o “criminals” e disumanizzati, capaci soltanto di fare del male, soprattutto approfittando dei soggetti che, sprovvisti di armi, non sono in grado di proteggersi autonomamente. Il problema della violenza da armi da fuoco pare allora caratterizzare un quadro distopico e inquietante, perché il soggetto non può contare, in fondo, che su se stesso per difendersi da un non ben identificato aggressore. Le forze dell’ordine, si ribadisce, non possono arrivare ovunque in tempo per fermare i criminali.

Police protection is by nature reactive, not preventive. Depending on locale, average police coverage ranges from a thin ratio of one officer to every 2000 citizens to, in superbly covered areas, one officer per 500 citizens. Certainly target enforcement reduces criminal opportunities, but these tactics are most effective against property crime. Attacks against women occur in seclusion and are thus more difficult, and often altogether impossible, for law enforcement to thwart.29

Emerge dunque un aspetto, che sembra quasi evidenziato come specifico, tipico negli episodi di violenza subita dalle donne, che contribuisce anche ad alimentare il timore e il senso di solitudine di fronte a un evento che può danneggiare la persona fisicamente e psicologicamente. La violenza che le donne subiscono si

28G. Hayes, The Big Question: “Why?”, in The Armed Lifestyle, W&G, March-April 2006, cit. p.

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14 consuma spesso nell’intimità, in luoghi appartati e isolati, in orari improbabili, circostanze in cui presumibilmente, nessuna che non sia armata, potrà contare sull’arrivo di qualcuno in suo soccorso.

Unfortunately, many defensive shooting incidents take place at night, often in places that are very dimly lit. (...) In 2003, about half of the incidents of violent crime occurred at night, between 6 p.m. and 6 a.m. almost two-thirds of rapes and sexual assaults occurred during the night. So, night time is fright time, when it comes to life-threatening crimes that may require lethal force to prevent.30

È fondamentale, nelle situazioni rischiose o su cui una minaccia incombe, non solo essere armate, ma non avere inoltre alcuna remora ad agire per proteggere se stesse e le propri familiari. Il pericolo potrebbe provenire non soltanto dall’esterno, da qualcuno che cerca di violare lo spazio domestico per rubare e, eventualmente, imporre la propria volontà sessuale. Purtroppo, le shooters devono mettere in conto che il pericolo potrebbe essere rappresentato da una persona familiare: dal proprio partner ad esempio. È il caso riportato in un articolo di Lyn Bates nella sua rubrica “Defensive Strategies” nell’uscita primaverile del 2005. Carole, nome di fantasia, ha una figlia e un compagno amorevole.

Her name isn’t Carole, but that’s what we will call her. She was a divorced single mom in Indiana, whose son was grown and whose teenage daughter, we’ll call her Dorothy, sill lived with her. (...) When she met Tommy, a man who lived in Michigan, they dated long distance for four years, and then he moved to Indiana to live with her for another four years. That time was almost perfect.

30 L. Bates, No Light? No Problem, in Defensive Strategies, W&G, January-February 2005, cit. p.

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Tommy held various jobs in home constructions and in auto repair. He was so strong he could lift a car engine himself. He was also a really nice person. “As good as gold.” Carole says.31

Carole entra in possesso di una pistola ben prima che le cose tra lei e il compagno inizino ad andare male. Anzi, è proprio Tommy, così viene nominato, a incoraggiarla a procurarsi due pistole, un Revolver Calibro .44 e una Semiautomatica Calibro .22, perché preoccupato per la sua sicurezza, mentre Carole non ne è gran ché entusiasta

“I thought I’d never have to use the gun, so I never went to practice”, she said.32

Vivono felici e in armonia per un po’, finché lui non inizia a frequentare un’altra, così Carole non ne vuole più sapere di lui e decide di cacciarlo da casa sua. L’allontanamento del compagno, segna l’inizio dell’inasprirsi dei loro rapporti e l’uomo comincia ad avere un atteggiamento violento e persecutorio nei confronti della propria ex. La sua forza, impiegata in passato per scopi non violenti, si percuote su Carole

He gave her a black eye, then he smothered her, and then he hit her head on the wall. It happened so fast that Carole didn’t have a chance to defend herself. (...) Carole made police reports. At first, the police told her that they could not do anything unless they caught him in her house.33

Carole e il suo aguzzino devono trovarsi faccia a faccia, prima che la situazione possa evolvere in qualche modo. Il supporto delle forze dell’ordine viene descritto quasi come si trattasse di una presenza ausiliare, utile, ma che non può sostituirsi all’azione singola di autodifesa di Carole, che in questo caso specifico, si

31

L. Bates, Lesson in Reality: Love Gone Wrong, in Defensive Strategies, W&G, May-June 2005, cit. p.17

32 ibidem 33 ibidem

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16 accompagna alla necessità di proteggere anche la propria figlia Dorothy. In effetti, l’alleanza tra madre e figlia contro Tommy, che a questo punto ha compiuto la sua metamorfosi in aggressore famelico e inarrestabile, si rivelerà vincente. Anche il ritmo narrativo si fa incalzante

Tommy jumped out from around the corner, and rushed at the door. Carole did her best to slam it, but Tommy’s great strength quickly overpowered her efforts. Dorothy came toward the front to help her mother, but once Tommy was in, there was nothing she could do. Tommy started talking to Dorothy, saying things like, “You should make your mother talk to me” Dorothy headed for her room, and Tommy followed. Carole took that opportunity to go to her own room to get her gun, the big .44 Caliber revolver, which war always kept loaded. (...) She remembered what being beaten by him had been like. She kept telling him to stop, and when he didn’t she fired.34

Sebbene in questo caso l’aggressore coincidi con una persona intimamente legata alla protagonista, nell’articolo non si parla mai di violenza domestica. In effetti, gli spazi abitativi vengono condivisi solo prima che Tommy dispieghi la sua aggressività contro la ex compagna, una volta che la relazione è conclusa. Il compagno di un tempo sembra non avere niente a che fare con l’uomo che, una volta cacciato da casa, non potendo accettare la decisione di Carole, tenta di imporre la sua volontà, appostandosi fuori dall’abitazione e tentando un agguato, come un qualsiasi estraneo con intenzioni criminose. Solo quando Carole ha sparato al suo ex compagno, entra in scena la polizia, avvertita nel frattempo dalla figlia. Al suo arrivo, verrà constatato che si tratta di un caso di legittima difesa, per ciò Carole non deve scontare alcuna pena. Ne è uscita indenne, insieme alla casa e alla propria figlia. La scelta di armarsi si tramuta perciò in un atto di responsabilità nei confronti di se stesse, in un metodo per liberarsi dalla

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17 dipendenza della protezione e neutralizzare il proprio aggressore, chiunque egli sia. La giustificazione della violenza difensiva è connessa al senso di responsabilità individuale: così Carole, che in conclusione, della sua Calibro .44 non vorrebbe più saperne, viene ammonita dalla madre, che le ricorda che quella pistola è necessaria per proteggere sua figlia, Dorothy. Madre, figlia e nipote sembrano costituire in questa storia di violenza sventata attraverso la pistola, una triade simbolica: la madre di Carole, l’elemento più anziano, richiama sua figlia, l’elemento adulto, il suo compito di proteggere la sua discendenza.

How does Carole feel about guns now? “I’m still scared of them,” she says. “At first I gave my guns to my mothers, to get them out of the house. Then my mother reminded me that I might need them again to protect my daughter, so I took them back”. (...) I asked the big question. If could go back to that night, right at the point where you pulled the trigger, would you do it again? Her voice is sad, but she doesn’t hesitate. “Yes”.35

Questa testimonianza viene offerta a un pubblico femminile che presumibilmente può trarre un insegnamento da quanto narrato: fondamentale è non avere remore ed essere decise a sparare, se necessario, proprio come Carole ha fatto. Dalla propria decisione e fermezza, può dipendere, infatti, l’incolumità propria e delle persone amate.

You can do everything possible to keep away from that person. But if those strategies fail, you might be faced with Carole’s choice: let him injure you very seriously, maybe even kill you, or use a gun to stop him.36

Nella modalità narrativa proposta da Lyn Bates nella sua rubrica “Defensive Strategies” in cui vengono riportate le storie di donne che sono riuscite a sventare

35 ivi, p. 18 36 Ivi, cit. p. 61

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18 l’aggressione in modo autonomo, è decisamente preponderante la caratterizzazione delle protagoniste come soggetti responsabili e determinati, qualità che combinate insieme, permettono ogni volta di neutralizzare il criminale e sventare il pericolo. Prendiamo un caso differente da quello di Carole, riportato nell’uscita di Maggio-Giugno 2006

Susan Gaylord Buxton is a 66-Year-old freelance artist who works out of a studio in her home in Arlington, Texas. (...) Susan is spirited and adventuresome. She’s driven a race car at 138 mph, and loves to operate a tractor on the family hay field, Susan’s talents and enthusiasm extend to raising a family. She has four children, now grown, and 11 grandchildren in age from 2 to 28. (...) Living in Texas, she was never afraid of guns, but didn’t own one, either, until a dozen years ago when a couple of men almost abducted her 6-year-old granddaughter from her front yard. The child was not hurt, but Susan knew she needed protection. 37

Anche qui, la pistola non rientra nel corredo originario del soggetto narrato, ma viene acquisito solo in seguito a una tentata aggressione a danni di una stretta familiare, peraltro in età infantile: una serie di elementi che permettono al pubblico di immaginare il senso di allarme di Susan che l’ha spinta a procurarsi un’arma. La logica è lineare: contro l’aggressione estranea, un membro adulto di sesso femminile della famiglia acquista l’arma per rispondere alla paura di futuri attacchi e al bisogno/necessità di proteggere se stessi e i propri cari. Prima che Susan possa espletare la sua funzione protettiva deve, ad ogni modo, essere in grado di farlo nel modo appropriato e questo implica alcuni passaggi iniziali da cui, in quanto cittadina rispettosa della legge, non si sottrae certo: bisogna acquisire la licenza, scegliere l’arma giusta ed esercitarsi.38

Una sera Susan è a

37L. Bates, Lesson in Reality: He grabbed for Her Gun, in Defensive Strategies, W&G, May-June,

2006, cit. p. 10

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19 casa sola con la sua figlia più grande, Mandy, quando si insospettiscono per dei rumori.

It was getting late, about 12:30 am, when Susan decided to let her dog out. As was her custom, she took her gun with her, in case they encountered any of the coyotes that sometimes inhabited the wild land near the creek that ran in back of the house. When she went outside, she noticed a muddy footprint on the porch. Mandy reported that she had just heard glass breaking. Susan immediately told Mandy to get on the phone and call 911. Gun in hand, Susan began searching her home, clearing each room and closet as she came to it. In the very last closet, as she held the gun in her right hand and opened with her left, she found a man inside trying to hide under one of the coats.39

Ancora una volta, madre e figlia si trovano insieme ad affrontare il pericolo penetrato in casa propria e anche qui è il soggetto più adulto a scovare e affrontare direttamente il pericolo, rappresentato da un estraneo, mentre alla figlia, il soggetto più giovane, spetta il compito ausiliario di chiamare la polizia. Nel frattempo, è Susan a dover gestire una situazione altamente rischiosa che richiede un assoluto controllo delle proprie emozioni e, qualora sia necessario, abbastanza determinazione per poter sparare e evitare che l’invasore aggredisca le due donne prima che la polizia possa intervenire e arrestarlo. In questa testimonianza, Susan tiene il ladro in pugno e non ha alcuna esitazione a sparargli, quando questi si rivela riottoso

Susan knew how she wanted to control the situation until the police arrived. She ordered him to lie down the floor. He didn’t obey. She repeated her command several times, to not effect. (…) Christopher Lessner, the intruder, had a plano f his own. He thought he could grab her gun, then

39 Ivi, pp. 10-11

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run out the door and escape. He probably waited for an opening, and made his move. When he tried to seize the gun, Susan was ready. She shot him before he could get her gun. 40

Si profila una netta contrapposizione tra le due parti in conflitto. Susan è sola di fronte all’estraneo, che non ha alcuna risorsa, tranne quella di tentare di approfittare di una mossa falsa dell’anziana, sottrargli l’arma e fuggire. Chi, nell’immaginario comune dovrebbe trovarsi in svantaggio è Susan, che qui invece dimostra un sangue freddo e una decisione contro cui la disperazione del delinquente non può nulla. La narrazione, sottolineando la disparità di età e di genere, celebra un soggetto femminile che può trionfare grazie alla prontezza di spirito che l’utilizzo di un’arma richiede. È dunque possibile evitare che un estraneo con cattive intenzioni abbia la meglio, a patto di essere disposte ad andare fino in fondo senza remore, proprio come Susan

Are you concerned that someone might try to grab a gun from you? Whenever you hear anyone express this fear, explain that it just doesn’t happen. Guns are not grabbed from women who are prepared and willing to shoot. Susan is living proof of that. (...) Lessner will doubtless serve prison time, but perhaps one of the most difficult burdens he will face is going through life being known as the man who was shot by a “Gun Totin’ Granny” three times his own age.41

Donne come Susan contribuiscono insomma in quest’ottica a mettere in discussione l’idea di un soggetto femminile debole, per giunta anziano, in balia del pericolo proveniente dall’esterno e della forza maschile prevaricatrice. L’autodifesa armata rende chi generalmente subisce un’aggressione abbastanza forte da rovesciare completamente la dinamica vittima/carnefice. La sessantenne è l’eroina premiata dalla sua determinazione, mentre il ladro oltre alla prigione,

40 ibidem 41 ibidem

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21 vivrà l’eterna umiliazione di essere stato sconfitto da una nonna. Si cerca insomma di rendere affascinante e accattivante l’idea che sia possibile neutralizzare il proprio aggressore e che sia possibile, ponendo una pistola tra vittima e carnefice, rovesciare la dinamica di sopraffazione. Ci si trova di fronte a una narrazione che, attraverso la presentazione di soggetti femminili in grado di dispiegare qualità che l’ottica maschilista e patriarcale non è in grado di riconoscere loro, promuove l’uso dell’arma nei casi di autodifesa come l’opzione valida, la scelta appropriata per non cadere vittima dell’aggressione. Lo scardinamento dello stereotipo del “soggetto debole” va di pari passo con questo rifiuto dello status di vittima, considerato deplorevole e conseguenza di un atteggiamento superficiale e irresponsabile. Infatti, viene spesso sottolineata la necessità di essere consapevoli delle norme di scurezza, pena il rimprovero di sventatezza e superficialità. È il caso di un episodio riportato dal Lyn Bates, in cui una proprietaria con regolare licenza, avendo accidentalmente lasciato incustodita la propria arma in un luogo pubblico, va incontro a severi procedimenti giuridici.

Not surprisingly, one of the most common reactions, event from gun-people was to blame the victim, something like this: “How could she have not known, for three days, that her gun was lost? Wouldn’t it have been obvious from the weight of her purse? How can you call this woman a responsible gun owner if she didn’t take proper care and custody of her handgun?”42

Essere donne armate vuol dire essere cittadine responsabili, autosufficienti e consapevoli del fatto che chiunque potrebbe un giorno tentare di approfittare della propria debolezza. Armarsi permette di prevenire questa eventualità e dispiegare una risposta difensiva legittima. L’aggressione, la rapina, la violenza sessuale,

42L. Bates, Lesson in Reality: When Bad Gun Accidents Happen to Good Gun People, in Defensive Strategies, W&G, March-April 2005, cit. p. 12

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22 sono osservate da un punto di vista strettamente individuale: oltre all’aggressore e al soggetto femminile, nessun altro elemento viene chiamato in causa. Non si arriva ad attribuire la responsabilità della violenza sessuale direttamente a coloro che si trovano ad essere sprovviste di armi, tuttavia è necessario che le lettrici sappiano che le conseguenze disastrose di una relazione abusiva sono evitabili, se si conoscono e si applicano strategie preventive e se si attuano scelte responsabili, anche nella scelta del partner

Without holding the victim responsible in any way, there are things people can do to reduce the chance they, or a family member, is killed as a result of domestic violence. The first and foremost is to be careful about who you establish a relationship with. (...) Certain types of behaviour should send out sky rocket warnings. Some of the danger signs are: people who treat other people as if they were property to be possessed; people who try to control everything their partner does (...) Learn to listen to your head, not your heart, in these cases.43

Sembra quasi dipendere dalla responsabilità individuale di ciascuna la possibilità di ridurre le possibilità di trovarsi vittima di violenza di genere, e i comportamenti sensate da adottare in modo che questa eventualità decada sono molteplici: si può imparare a sparare per autodifesa, scegliere con accuratezza le proprie relazioni, mettere in sicurezza le proprie case. La violenza può essere dunque evitata se il soggetto femminile, in modo individuale, adotta efficaci strategie di difesa in ogni ambito della sua vita. Troviamo nell’uscita di Luglio-Agosto 2006 un articolo di Gila Hayes intitolato “Safe at Home”.

In the previous installment of The Armed Lifestyle, we examined gun owner responsibilities, and expanded the discussion to our Women&Guns Internet Board (…) Now, with this installment, let’s study guns and their use in home defense, as well as other tools and preparation that can keep

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you safer in your home. Fears about home intruders justifiably concern many Americans. In fact, the Beaurau of Justice Statistics indicates that despite general decreases in violent crime over the past several decades, the crimes of burglary (...) and sexual assault (...). My spirits fall when I remember several women who confided that they first realizes an intruder was in the house when they awoke to find a rapist in their bedroom.44

La facilità con cui il criminale è riuscito a penetrare nell’ambiente domestico e significativamente nello spazio più riservato della proprietaria, la sua camera da letto, è causata dall’impreparazione della stessa, che ha lasciato che la sua proprietà fosse facilmente esposta al rischio di un’intrusione illegittima nella sua sfera domestica e intima. L’invasione dello spazio privato è accostata emblematicamente al pericolo di violenza sessuale. La casa e il corpo femminile sono ora esposte al rischio, perché non sono state preventivamente messe in sicurezza da opportuni impianti di allarme e di protezione: a monte sussiste la mancanza di consapevolezza e irresponsabilità del soggetto in questione, che non ha tenuto conto di questa eventualità.

This is preventable! If your house is so easily breached so that you would not hear an intruder coming in, you do not have a defense problem, you have a security problem that could not be solved by fifty guns! Start becoming security conscious!45

L’aggressione sessuale è qualcosa che si può contrastare con successo, se si ha la giusta preparazione e si conoscono le tecniche di autodifesa adeguate: ogni soggetto femminile è in grado di acquisire queste abilità e ha dunque la facoltà di rifiutarsi di essere vittima e lasciare il proprio corpo e la proprietà privata in balia di maschi criminali. I soggetti vincenti nelle storie di autodifesa armata sembrano

44 G. Hayes, Safe at Home, in The Armed Lifestyle, W&G, July-August, 2006, cit. p. 36 45 ibidem

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24 presentare altre caratteristiche ricorrenti, oltre la prontezza e la determinazione: sono adulte, sposate o divorziate, madri. La dinamica in cui si trovano coinvolte implica la difesa delle mura domestiche e della propria prole e un conflitto che si ripropone costantemente tra due parti, in scenari in cui nessun altra forza in gioco è chiamata in causa se non quella della pistola. Il crimine, sovrapposto con la violenza di genere si risolve in una resa dei conti in cui infine ha la meglio, proprio solo grazie a un’arma, il soggetto femminile, con la sua necessità di proteggere quello che ha più caro, l’integrità della casa e dei corpi contro un soggetto maschile estraneo, col suo portato di aggressione, violenza e criminosità. L’arma si configura allora come una scelta anche dettata dal timore dell’aggressione, che, tuttavia, potrebbe essere perpetrata non solo da estranei, ma anche da persone vicine o insospettabili. In effetti, qualunque soggetto di sesso maschile potrebbe rivelarsi un potenziale aggressore.46 Il “predatore” può essere personificato da chiunque: un parente, un compagno, un vicino. Come riuscire a fidarsi di persone apparentemente innocue? D’altronde, si ammette, non è plausibile neanche vivere nel terrore che un collega di lavoro possa tramutarsi improvvisamente in un mostro, atteggiamento che del resto alienerebbe da qualsiasi rapporto sociale. Ritorna allora come elemento risolutivo, il compito di essere “preparate” per qualsiasi eventualità, cosa comunque rimane vincolata alla scelta individuale del soggetto. Qualora le cose dovessero mettersi male, avere un’arma con sé è sinonimo di senso di responsabilità.

46<<People who look like the worker in the next office, the meter reader, the neighbour, or the men

in the car stopped next to yours in traffic have replaced the archetypal movie villain. Who wants to live in fear of those with whom they have daily contact? Still, if we study who has victimize whom, we might exercise greater suspicion about a flirty clerk at the neighbourhood store. A friendly co-worker, the guys at the gym or even a church member. Statistics show that 82 percent of sexual assault victims knew their attacker and in many cases knew them well.>> G. Hayes, The

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If, after a realistic assessment of crimes committed against women, it becomes hard to trust others, how are we to live? (...) For me, trust stems from a justifiable confidence that I have sufficiently prepared myself to deal with the unexpected. Self-sufficiency in all life aspects and a fully capable self-defense plan is the only reasonable choice. And, acknowledging the severity of crimes committed against women, the power to use deadly force in self-defense is, in my opinion, a reasonable preparation.47

3) “Female”, not “Warriors”: armate, femminili e protettrici

In questa narrazione, l’uso della pistola a scopo difensivo mette in risalto non solo la responsabilità e la ricerca di autonomia del soggetto, ma richiama anche una funzione “protettrice” del soggetto femminile. Un dato che per esempio gli istruttori non dovrebbero sottovalutare nel momento in cui si trovano ad insegnare a una classe di donne principianti. Come Lyn Bates, riporta un articolo, gli istruttori uomini spesso si trovano in difficoltà ad insegnare alle proprie allieve ad avere un atteggiamento più risoluto. In effetti, per quanto la pistola sia riconosciuta come un valido aiuto nelle situazioni peggiori e mezzo di autodeterminazione, o meglio, di autonomia, si tratta pur sempre di un’arma letale che incontra l’iniziale riluttanza del soggetto che si accosta alla pratica, mentre gli uomini, si dice, non dimostrano questo tipo di remore.

Firearms instructors sometimes talk among themselves about particular issues they have encountered with their students. Recently, one such online group discussion started with a male instructor commenting on the problems he has had teaching women. He said, “When I ask our female students if they have ever thought seriously about employing gunfire to abruptly end the like of a criminal attacker, a common response is to dodge the question with something like ‘I

47 ibidem

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don’t want to hurt anyone’. Conversely, male students usually go right to the heart of the matter with an answer like, ‘No problem’.48

È rilevante come in questo articolo vengano riportate le opinioni degli istruttori sulle maggiori difficoltà che incontrano nell’addestrare le donne nell’uso delle armi. Molte volte i loro tentativi di far capire che la legittimità della violenza difensiva si scontra con il rifiuto della violenza stessa. Per Lyn Bates, non sembra plausibile l’idea che le donne abbiano difficoltà a dimostrare la stessa risolutezza che dimostrano gli uomini perché non riescono a identificarsi come “guerriere”. Dalla sua esperienza di istruttrice, Lyn Bates fa notare che uomini e donne si approcciano in modo differente alla materia autodifesa armata:

I’ve observed that men tend to go through three steps, in this order: 1. Decide/declare willingness to use lethal force to protect self and loved ones; 2. Buy a gun; 3. Get training. For most men this process generally takes a few weeks or months. Women tend to go through those steps in the opposite order: 1. Get training; 2. Buy a gun; 3. Decide/declare willingness to use that gun for protection. For many women, the process often takes months or years.49

Il processo di presa di coscienza del fatto che la violenza possa servire a uno scopo protettivo e difensivo generalmente non sta alla base del proprio allenamento, né della decisione di acquistare un’arma. È semmai una conseguenza dell’allenamento e di una maggiore padronanza dell’oggetto, una conclusione a cui il soggetto arriva dopo aver acquisito competenze tecniche che lo rendono padrone dell’arma. In questa fase si riesce a capire se il soggetto trasformerà il proprio punto di vista e riuscirà ad abbandonare i propri timori, oppure se non potrà intraprendere questa strada. A questo proposito, ritroviamo ad esempio

48 L. Bates, Your First Time: A Survey, in Defensive Strategies, W&G, January-February 2006, cit.

p. 12

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27 nell’uscita di Marzo-Aprile 2006 un piccolo estratto dal best seller di Paxton Quigley, Stayin’ Alive. Armed and female in an unsafe World. È significativo come sia proprio forse la più famosa istruttrice di autodifesa armata, a parlarci di questo approccio graduale. L’acquisizione di un’arma non può infatti prescindere da un’adeguata propedeutica e avvicinamento alla pistola: per le donne insomma, non sembra affatto scontato avere confidenza con questo tipo di oggetto, anche perché è necessario che il soggetto sviluppi una certa propensione all’idea di uccidere, qualora se ne presenti la necessità

If you want to buy a gun for self-defense, don’t purchase one until you’ve taken a gun safety and training course. First, you need to feel comfortable shooting a gun and most importantly, you need to know that you could shoot someone who is attacking you or a loved one. I have met a number of women who clearly said they could not shoot anyone even if he was a bad person, intending grave physical harm to them or their children. I’ve always replied, “Then, you shouldn’t own a gun.”50

Non tutte le donne insomma riescono a comprendere la fondamentale utilità dell’arma da fuoco per poter proteggere se stesse e i propri cari. Bisogna essere disposte ad abbracciare questa idea, altrimenti, è meglio proprio non possedere un’arma, con un tremendo sottointeso: lasciare se stesse e i propri figli alla mercé degli aggressori. È una scelta di cui bisogna assumersi le responsabilità. Essere disposte a fare la prima mossa e anche uccidere se necessario, è una questione vitale: ad ogni modo, è una associazione che molte donne hanno difficoltà a comprendere all’inizio dell’addestramento, momento in cui prevalgono più le paure, i dubbi, le insicurezze

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Brandishing a gun at someone doesn’t always stop him. The truth is if you point a gun at an attacker and don’t intend to shoot him and you hesitate, he’ll sense it and come after you. (...) Once you’ve taken some classes, you’ll begin to understand who you are in terms of your fears, personal convictions, mental readiness and physical abilities. In my Empowerment Seminars, after my introductory remarks, each woman briefly tells the class why she’s there. All of them voice their concerns about crime and their personal safety and want to know how to care of themselves. But nearly all are scared about learning how to shoot a gun and some are nervous about having one in house.51

Tuttavia, queste insicurezze possono essere superate, proprio acquisendo dimestichezza con la tecnica dell’autodifesa e con la pistola in quanto oggetto. Viene riportato il percorso positivo intrapreso da una allieva, all’inizio intimorita e recalcitrante.

I remember a woman named Alana, a 32-year-old spirited, high-powered advertising agency executive, who was quite candid about guns. “I don’t want to be here. I don’t like guns and I’m frightened of guns. My husband owns lots of guns and they’re in the house and I won’t touch them. He wants me to learn how to use them just in case he’s not home” explain Alana.52

Alana sembra non avere alcuna intenzione di farsi piacere un oggetto con cui suo marito ha sicuramente più familiarità: questo corso è vissuto quasi come una sua imposizione, un modo per assicurarsi che il suo compito protettivo possa essere assolto anche dalla moglie, quando lui non è presente. Paxton ricorda questa allieva come particolarmente difficile da addestrare nel corretto utilizzo della pistola. Nondimeno, i suoi assistenti vi si dedicano con pazienza e le prime confusioni vengono superate. Alana affronta le sue paure soprattutto quella, tipica delle principianti, di non essere in grado di controllare la propria arma

51 ibidem

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Control is a major issue for women because they believe that they won’t be able to safely handle a firearm.53

L’addestramento procede. Si acquisiscono abilità pratiche e dimestichezza, si impara a capire quale tipo di pistola si adatta meglio al proprio corpo e alle proprie esigenze. Soprattutto, l’addestramento si rivela un processo fondamentale del superamento delle proprie paure e di maturazione della propria sicurezza e autostima personale. Chiunque, anche la donna più ritrosa e intimorita dalle armi, può trasformarsi in una shooter professionista e dimostrare abilità formidabili con l’arma. È proprio quanto succede, infine, ad Alana.

At the end of the day when we returned to the classroom for graduation, Alana, who was all pumped up, announced to everyone that she lost her fear. “I love shooting! I love the gun I used! I want to take it up as sport! I can’t wait to show my husband my target”, Alana gleefully said. (...) The last I heard from Alana she was beginning to place first, beating her husband! 54

L’addestramento nell’autodifesa armata, permette non solo alle donne di mettersi allo stesso livello degli aggressori e neutralizzare la loro ferocia, ma anche raggiungere alcune soddisfazioni personali, superando in abilità il proprio compagno, si presume già esperto. L’arma responsabilizza le donne e le rende anche vincenti. Soprattutto, vincono nell’ambito domestico, guadagnando il ruolo di protettrici della famiglia. Alcune lettrici scrivono a Lyn Bates chiedendole di suggerire alcune tecniche per custodire le pistole tra i propri abiti, lamentandone la scomodità, trovandosi in uno stato di gravidanza. Una volta di più viene sottolineata la necessità di avere sempre a disposizione un mezzo di difesa armata per incrementare le possibilità di proteggere la vita che si porta in grembo, anche

53 ibidem

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30 quando essere incinte può creare difficoltà pratiche, legate alla scelta dell’abbigliamento e del calibro di pistola da adottare55

. Anche quando si è incinte bisogna essere consapevoli e informate su quali modalità e strategie si possono adottare per garantire costantemente l’autodifesa e la protezione. Soprattutto perché ci si trova in un momento di particolare vulnerabilità, madri responsabili non possono permettere di rimanere “scoperte” e mettere così in pericolo se stesse e la prole. I criminali potrebbero trarre vantaggio proprio della loro maggiore vulnerabilità, rendendole prede facili e indifese

Why bother to carry at all, during what is clearly an inconvenient and difficult time for a woman to go about armed? Well, because crime doesn’t cease just because a woman is pregnant. Indeed, the perceived incapacity might make a pregnant woman a more appealing target to some criminals.56

La concezione di un soggetto femminile armato che, in quanto in possesso di un mezzo di autodifesa, è in grado di assolvere al meglio la sua funzione materna di protezione, è anche, secondo Lyn Bates il modo migliore per stimolare le donne nell’apprendimento. L’immagine del guerriero proposta da alcuni istruttori, non si rivela efficace per invogliare i soggetti apprendenti a superare le proprie insicurezze e ha sviluppare quella risolutezza necessaria per premere il grilletto. Nell’uscita di Luglio-Agosto del 2006 Lyn Bates, interessata a rilevare come le gunowners si rapportano con l’immagine del guerriero e se vi si identificano, raccoglie risposte diverse: alcune prendono le distanze dalla figura aggressiva e machista del guerriero

55 Cfr. L. Bates, Carrying while Carrying, in Defensive Strategies, W&G, March-April 2006, cit.

p. 12

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“Warrior? No, but I have a pretty strong self-image as just a crusty old gal who doesn’t accept intrusions from others. I think for me “strong”, “self-possessed”, the image of one capable person, able to stand alone and do what has to be done is my self-image. Warrior has overtones of aggression that doesn’t fit my persona.”57

Le qualità viste come positive tornano anche qui il controllo di sé, la forza, l’autosufficienza. La parola “warrior”, per alcuni soggetti, non si addice o non esprime in pieno il concetto di essere armate per auto-difesa: non si tratta di dimostrare la propria aggressività, ma di essere capaci di cavarsela da sole con i propri mezzi.

“I don’t think of myself as a warrior – perhaps a survivor or just a self-reliant. And I find a great deal of the “warrior” essays to be macho-posturing and off-putting, at least for everyday citizen carrying in self-defense. I am not trying to take on the world; I’m out to protect my piece of it.58

Si è armate per proteggere, sia i propri cari e se stesse, sia il proprio diritto di poter difendersi da sole, che appartiene alla Costituzione degli Stati Uniti: per assolvere insomma quello che è percepito come un dovere civico, conservando la propria “femminilità”

“I do not consider myself a warrior, I don’t think I would like to be considered a warrior, it makes sound aggressive. I do consider myself comfortable around guns, willing to learn and an advocate for the Second Amendment (...) I would think of myself more as the protector of home and hearth (...) I look at myself as the last line of defense of my property and family (...) I like to describe myself as the last line of defense in my home and family. If there other means to deal with a threat, those are the means I will utilize. When there are no options and there is still a threat, I refuse to

57 L. Bates, The W-Word, in Defensive Strategies, W&G, July-August 2006, cit. p. 10 58 Ivi, cit. p. 11

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allow myself and my family to be defenceless victims. (...) Now, the nice thing is I am calling myself the nice, feminine Last Line of Defense of my Home and not the nasty Warrior word”59 Se l’ addestramento all’autodifesa armata permette ai soggetti femminili di iniziare un percorso che le emancipa dalle proprie insicurezze e incrementare la consapevolezza che imparando a difendersi da sole dallo stupro possono ritenersi cittadine responsabili che mettono fine al loro status di vittima potenziale, l’autodifesa è declinata anche attraverso la protezione dei propri cari e del “focolare” domestico. L’ambito della protezione, propria e della famiglia non viene abbandonato, d’altronde, neanche da coloro che accolgono positivamente l’immagine di “guerriero” e vi si identificano

“Yes, I do think of myself as a warrior. After I started carrying, I started having “warrior dreams” in which I have to save my family. They’re very detailed and I’m never frightened. I feel strong, secure and prepared.”60

Il concetto di “warrior”, come spiegato da Lyn Bates in questo articolo intitolato “The W-World” è controverso, può contenere aspetti negativi e positivi, e a seconda di come lo si osserva, le lettrici dimostrano sia di identificarsi con alcune qualità da guerriero, sia di rifiutarne altre, considerate inadatte alla propria “femminilità”. Del resto, sembra essere assunto come un dato pacifico, su cui non vale la pena soffermarsi, che ai soggetti maschili sia impartita un’educazione tale per cui risultano più propensi a identificarsi come “guerrieri”: sono maschi, semplicemente, gli viene più facile. E nonostante le risposte da parte di quelle lettrici che dichiarano di sentirsi un po’ “guerriere”, Lyn Bates trae le sue conclusioni

59 ibidem

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