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Così una regina cambiò sesso alla parola potere

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«la Repubblica» 28 maggio 2015

Così una regina cambiò sesso alla parola potere

Come Elisabetta I d’Inghilterra inventò la rappresentazione della politica al femminile.

Diventa nell’immaginazione popolare la stessa cosa della terra su cui regna, l’isola impenetra- bile che il mare difende

Nadia Fusini

Nella storia e nel mito, nella realtà e nella leggenda, le donne sono state sovrane, hanno stretto nelle loro mani i simboli del potere. Ma hanno inventato un nuovo gesto? Una donna al comando si ispira a modelli diversi rispetto a un uomo? E oggi che alle donne sono aperti i luo- ghi del potere, le donne che vi giungono sanno di portare con sé una differenza, non singolare, ma di genere?

Elisabetta I Tudor lo sa. Lo dimostra nel modo della costruzione del suo corpo simbolico, come ad esempio nel “ritratto dell’Armada”, in cui si celebra il trionfo sulla Spagna.

Quando dall’alto della costa dell’Essex, a Tilbury, Elisabetta vide la possente e magnifica flotta di Filippo II veleggiare in mare aperto, pronta a perpetrare quello che nella sua esalta- zione della verginità, lei viveva come uno stupro, ebbe paura, forse. Però era lì, rivestita di una posticcia armatura guerresca, a cavallo di un bianco destriero.

Elisabetta era venuta tra il suo popolo in armi; senza esitazione s’era lanciata nel campo di battaglia, sito privilegiato della storia patriarcale. Come il padre Enrico VIII anni prima aveva assicurato al Parlamento che avrebbe in ogni cosa “messo in gioco” la sua persona, allo stesso modo Elisabetta ora è pronta a rischiare “il sangue regale”. Non nasconde la sua differenza, anzi, la denuncia: «so di avere un corpo di donna fragile e delicato», poi fa una pausa, di in- dubbia efficacia retorica, e aggiunge: «ma ho lo stomaco e il cuore di un re, e di un re d’In- ghilterra». Nomina due organi, il cuore, sede del coraggio, e lo stomaco, e cioè la pancia, come se lì si collocasse la capacità biologica, neutra – una potenza d’organo, capace di digerire e te- nere fronte agli eventi. Non dice “grembo”, termine più femminile per indicare l’addome; dice appunto “stomaco”, che è assai virile.

Quand’ecco che un uragano arruffa le onde, e quelle tramutano in pareti d’acqua, che in- ghiottono i sontuosi vascelli. Si leva una tempesta – propizia per la sua causa e per il suo po- polo, e l’Invincibile Armata sparisce tra i flutti. È la conferma del credo che nessuno mai potrà violare il corpo dell’isola, né quello della regina, che si fondono nella stessa iniziale, la E di Eli- zabeth valendo come la E iniziale di England – lettera che la regina ha fatto miniare con lo stesso identico ricamo sulle sue vesti.

Come altrimenti interpretare la provvidenziale tempesta, se non come la prova provata dell’impenetrabilità dell’isola? È un fatto che se all’immagine dell’isola Elisabetta ha sempre as- sociato un’idea di purezza, di non contaminazione, di perfetto e assoluto controllo dei confini, dopo Tilbury il motivo diventerà un tema profondo della sua regalità, una immagine sacra, quasi un talismano magico.

Elisabetta diventa nell’immaginazione popolare la stessa cosa della terra su cui regna, l’isola impenetrabile che il mare difende, quasi fosse un vallo, dall’invidia delle nazioni meno felici, perché “non elette”. Così recita la propaganda, e la parola fa da spia all’orgoglio della fede ri- formata, che si rappresenta in Elisabetta Rex.

Se nei ritratti, nelle medaglie, nelle incisioni volte a diffondere all’epoca la fede nella effica- cia del simbolo regale, la magnificenza del padre Enrico VIII è esaltata nella potenza muscolare

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del maschio; se, come nel celebre ritratto di Holbein, il diritto di Enrico a regnare è confermato dalla virilità della gonfia brachetta, il diritto di Elisabetta sempre più si confonde con la sua sessualità mistica, verginale. Al posto della gonfia brachetta, il ritratto dell’Armada esibisce una perla gigantesca. Alla base del triangolo che dal seno e dalla vita scende sul grembo, lo sguar- do è condotto sulla perla della regina. Le perle sono dappertutto; chiudono la veste, stringono il corpetto, decorano la fronte. Ma sulla fronte e sul sesso spiccano le più grandi: enormi gem- me che definiscono Elisabetta Rex come una creatura impermeabile, impenetrabile, potente perché inviolabile.

Una donna al potere genera angoscia, una donna sul trono non fa parte delle idee condivise, che si sostengono alla tradizione. Secondo una immagine paolina, molto attestata nelle letture bibliche della religione riformata, e secondo una pratica intesa al sesso riproduttivo, l’unico giustificato sempre dallo stesso punto di vista, la donna deve stare sotto, non sopra.

Il miracolo di Elisabetta è che una volta sul trono, riuscirà in un paradosso: si creerà una

“persona”, e cioè una maschera che incorpora il “corpo politico” idealizzato del padre, senza però nascondere i propri attributi femminili. Compone così un ibrido, è Re e regina insieme, è due in uno. Vede chiaramente il suo ruolo di governante come un ruolo maschile, che però, proprio perché un ruolo, anche lei, che è donna, può recitare – allo stesso modo delle eroine delle commedie shakespeariane, Porzia del Mercante, Viola nella Dodicesima notte. Non ha il principe un corpo doppio? un corpo sessuale e un corpo simbolico? un corpo fisico e un corpo metafisico? un corpo di carne e sangue e un corpo spirituale, come un arto fantasma? Non è forse il corpo del re questa meraviglia di un costrutto biosimbolico capace di trascendenza? di metamorfosi? o transustanziazione? Se questo valeva per il corpo infantile di Edoardo, e prima ancora per il corpo gracile di Riccardo II, principe con il quale Elisabetta sente una strana con- sonanza, perché non può valere per il suo corpo naturale, che è quello fragile di una donna?

Elisabetta è coraggiosa come un leone, scaltra come una volpe e soprattutto è una incom- parabile teatrante. E sa sostenere lo sguardo sul mistero del potere: chiunque lo detenga, uo- mo o donna che sia, il potere sempre ha bisogno della mistificazione e dell’inganno.

Intervento a Convegno Donne a sovrane, Pisa 29 maggio 2015

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