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INTRODUZIONE
1.1 SCLEROSI MULTIPLA
1.1.1 PATOLOGIA ED EZIOPATOGENESI
La sclerosi multipla (SM) o Sclerosi a placche è una patologia a carattere infiammatorio cronico autoimmune e demielinizzante che colpisce il sistema nervoso (SN), dove il sistema immunitario attacca il rivestimento mielinico degli assoni impedendo la corretta trasmissione dell’impulso nervoso e promuovendo un’ampia gamma di disturbi neurologici.
La patologia è contraddistinta da un’insorgenza giovanile e prosegue con decorso variabile e spesso invalidante; colpisce le donne in rapporto pari a 2:1 rispetto agli uomini. La SM è frequente in soggetti di etnia caucasica rispetto ad altre etnie; il Canada, gli Stati Uniti del nord e l’Europa settentrionale sono le aree dove la patologia si manifesta con maggior frequenza.
L’eziologia della malattia è ancora ignota, mentre la patogenesi appare legata a diversi fattori: viene infatti considerata una patologia multifattoriale che si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti che si trovano a vivere in condizioni ambientali favorevoli all’insorgere della malattia stessa, quali l’esposizione a raggi UV, l’inquinamento, elementi assunti con la dieta, abitudini quotidiane ed infine particolari agenti virali.
La storia naturale della malattia è eterogenea; i sintomi di esordio possono presentarsi, singolarmente o in associazione, in forma acuta e regredire totalmente o parzialmente, oppure in forma lentamente progressiva.
Le diverse forme della malattia sono state comunque classificate sotto due categorie principali: la forma recidivante-remittente e la forma primaria progressiva. La sclerosi multipla recidivante-remittente è contraddistinta da fasi acute che si manifestano con la comparsa di nuovi sintomi o con l’aggravarsi di sintomi precedenti; queste fasi si alternano a periodiche remissioni in cui si assiste ad uno stato di quiescenza della malattia. Nel 40% dei casi la forma recidivante–remittente sfocia in quella secondariamente-progressiva, caratterizzata da una progressione
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continua della disabilità. Un’ipotesi in attesa di conferma sperimentale rintraccia in queste due forme della malattia la manifestazione di un'unica patologia che si sviluppa dapprima in seguito all’instaurarsi di aree di infiammazione, ed è poi legata all’innescarsi di un processo strettamente neurodegenerativo (Hafler, 2004).
La sclerosi multipla primariamente progressiva segue invece un decorso lento ma costante, privo di riacutizzazioni, durante il quale si accumulano sintomi e lesioni. È generalmente associata ad una mancanza di responsività alle immunoterapie, tanto da essere ritenuta da molti una malattia a sé stante (Hohol et al., 1999).
Viene colpito il SN, encefalo e midollo spinale, con danni alla sfera motoria, sensitiva, visiva e vestibolo-cerebellare; può comparire, inoltre, una sintomatologia caratteristica contraddistinta da fatica (Colosimo et al., 1995), disturbi intestinali (Chia et al., 1995), dolori di intensità variabile, disartria e disfagia, presenti nelle forme più gravi e cronicizzate, disturbi urinari (Awads et al., 1984) e sintomi da disfunzione sessuale.
1.1.2 TRATTAMENTI
Non esiste una terapia specifica, poiché la natura multifattoriale ha reso difficile la presenza di un trattamento risolutivo, ciò nonostante si utilizzano quattro tipi di farmaci al fine di limitare la sintomatologia:
gli steroidi;
gli immunomodulatori; gli immunosoppressori; i sintomatici.
L’utilizzo degli steroidi è previsto nelle fasi acute della malattia e visto il loro effetto antiflogistico abbreviano la durata ed accelerano la remissione dei sintomi.
I farmaci oggi prediletti sono rappresentati per lo più da sostanze immunomodulatorie, quali interferone beta e glatiramer acetato; la loro funzione è quella di limitare l’intensità con la quale il sistema immunitario attacca il sistema nervoso centrale.
Studi recenti suggeriscono che la funzione immunomodulatoria dell’interferone beta sia mediata da una molteplicità di azioni anti-infiammatorie, tra le quali la capacità di antagonizzare le citochine pro-infiammatorie, di down-regolare le molecole di
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adesione necessarie per la migrazione linfocitaria, e di inibire l’attività delle collagenasi ostacolando il passaggio dei linfociti attraverso le membrane endoteliali
(Durelli et al., 2002).
Il glatiramer acetato è costituito da una sequenza amminoacidica che emula quella di un antigene mielinico e si è rivelato capace di indurre nell’uomo una sorta di tolleranza immunologica. La sua azione è legata a molteplici meccanismi, tra i quali la capacità di legarsi alle molecole MHC di classe II, alterando la presentazione antigenica ai linfociti autoreattivi (Weber et al., 2007).
Studi clinici controllati effettuati nel corso degli anni hanno dimostrato che sia l’interferon beta che il glatiramer acetato riducono significativamente la frequenza delle recidive e l’accumularsi di nuove lesioni cerebrali demielinizzanti nei pazienti affetti da sclerosi multipla sottoposti al trattamento (Comi et al., 2001; Bornstein et al., 1987) .
I farmaci immunosoppressori come l'azatioprina, il metotrexate, la ciclofosfamide e il mitoxantrone, che bloccano la replicazione cellulare del sistema immunitario, sono riservati a casi di sclerosi multipla con progressione rapida e disabilitante.
Le nuove strategie terapeutiche mirano a target immunologici, quali l’attivazione linfocitaria, la migrazione attraverso la barriera emato-encefalica e il coinvolgimento di popolazioni cellulari quali linfociti B e cellule Natural Killer.
Il natalizumab è un anticorpo monoclonale rivolto ad impedire che i linfociti aderiscano alle pareti dell’endotelio vascolare, particolarmente a livello dei vasi cerebrali, riducendo quindi il flusso di cellule infiammatorie all’interno del tessuto nervoso. L’ultimo farmaco, commercializzato in Canada è fingolimod che impedisce il passaggio dei linfociti attraverso la BEE (barriera emato-encefalica) in modo che non possano attaccare la mielina, indirizzandoli, invece, verso i linfonodi e la periferia
(Linker et al., 2008).
Nell’ambito delle terapie sintomatiche vengono utilizzati, a seconda del tipo di disturbo e della loro entità, farmaci sintomatici per la spasticità, la fatica, le disfunzioni vescicali e i disturbi delle sensibilità.
Una nuova frontiera nei trattamenti della SM prevede l’utilizzo delle cellule staminali; nel 2005 infatti sono stati portati a termine con successo una serie di esperimenti, per ora solo su modelli animali di SM, con tre tipi di cellule staminali adulte: le staminali neurali, le staminali mesenchimali e le staminali ematopoietiche.
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La ricerca si sta concentrando in due direzioni:
la neuro-protezione: utilizzare le cellule staminali come fonte di nuova mielina per rallentare, o addirittura bloccarne, la perdita negli assoni;
l’immunosoppressione: sfruttare la loro attività antinfiammatoria e immunomodulante per proteggere il tessuto nervoso.
La terapia che prevedeva l’utilizzo di cellule mesenchimali si è dimostrata in grado di determinare una riduzione della produzione di citochine pro-infiammatorie e di aumentare il numero degli oligodendrociti nel cervello degli animali trattati (Bai et al., 2009).
In un altro studio condotto su topi affetti da EAE (Encefalomielite Sperimentale Autoimmune), il modello animale di SM, è stato dimostrato che le cellule staminali neurali trapiantate con un’iniezione endovenosa, giunte al cervello attraverso una migrazione selettiva, inducono apoptosi delle cellule infiammatorie proteggendo da danno tissutale cronico. Tali staminali vengono considerate una potenziale strategia terapeutica per patologie infiammatorie croniche, poiché mostrano un comportamento immuno-simile tale da promuovere una neuro-protezione a lunga durata (Pluchino et al., 2005).
Nel complesso, i dati più recenti orientano verso l’idea che le cellule neurali, come anche quelle mesenchimali, agiscano modificando la risposta autoimmune, più che riparando il tessuto danneggiato.
1.1.3 MIELINA
La SM, come già precedentemente definita, è una patologia autoimmune demielinizzante ovvero prevede una progressiva distruzione di mielina da parte delle cellule del sistema immunitario.
La mielina costituisce la guaina multi-lamellare, spiraliforme, che riveste parte del corpo dei neuroni permettendo la trasmissione rapida, integra ed efficace degli impulsi nervosi. Se in uno stato di normalità le informazioni nelle fibre nervose sono trasmesse a 100 m/s, in un individuo affetto da sclerosi multipla la velocità scende gradualmente fino a 5 m/s. La mielinizzazione degli assoni è un processo che comincia nel quinto mese di vita fetale, ha un picco intorno ai sei-otto mesi di età e si protrae fino ai 2 anni, raramente fino ai 10.
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Nel corso della malattia la distruzione delle guaine causa il blocco o il rallentamento degli impulsi che vanno dal sistema nervoso centrale verso le diverse parti del corpo e viceversa. Le aree in cui la mielina è stata danneggiata vengono anche dette placche; da ciò deriva l'appellativo sclerosi a placche.
Nella patologia della SM le cellule microgliali presentano l'antigene contro la mielina e danno inizio ad una reazione infiammatoria sostenuta da numerosi tipi cellulari tra cui linfociti T, monociti, linfociti B e polimorfonucleati; la mielina si disgrega in frammenti che vengono fagocitati da macrofagi e cellule della microglia attivata. Si assiste ad una proliferazione ed attivazione di precursori degli oligodendrociti che tentano di rigenerare la guaina mielinica; di fatto nel caso di soggetti affetti da sclerosi multipla tale rigenerazione è fallimentare. La motivazione non è ancora nota ma una possibile ipotesi è che i residui di mielina, dovuti alla fagocitosi dei macrofagi, funzionino da fattori inibitori per la produzione di un nuovo rivestimento.
I vasi sanguigni che si trovano in corrispondenza o alla periferia della placca presentano quasi sempre alterazioni della permeabilità e questo determina un'alterazione locale della barriera ematoencefalica che favorisce il passaggio di cellule del sistema immunitario dal sangue al tessuto cerebrale (Fig.1).
Gli oligodendrociti sono le cellule che a livello del sistema nervoso centrale (SNC) sono deputate alla produzione di mielina; questi svolgono altre funzioni fondamentali oltre allo sviluppo e al mantenimento degli assoni neuronali, quali la distribuzione dei canali del sodio lungo gli assoni .
Fig.1 Aree di diffusione del danno e
distruzione della mielina ad opera delle cellule del sistema immunitario.
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Gli oligodendrociti rappresentano la specie matura di cellule precursori (OPC-Oligodendrocyte Precursor Cells), passando attraverso differenti fasi di sviluppo identificabili con cambiamenti morfologici ma anche grazie a specifici marker
(Baumann et al., 2001).
1.2 PRECURSORI DEGLI OLIGODENDROCITI: SVILUPPO E
DIFFERENZIAZIONE
I precursori degli oligodendrociti (OPC) del midollo spinale vengono generati nel neuroepitelio ventrale del tubo neurale durante le fasi precoci della vita embrionale e, in particolare, dal motoneurone capostipite (pMN), il quale produce anche i motoneuroni.
Gli OPC proliferano e migrano occupando varie aree del midollo spinale e successivamente della corteccia cerebrale.
Diversi fattori sono implicati nel differenziamento ad oligodendrociti come: BMP (Bone Morphogenetic Protein);
Shh (Sonic Hedgehog).
La BMP impedisce lo sviluppo degli oligodendrociti mentre la Shh induce, in modo concentrazione dipendente, l’attivazione di Olig2, il quale rappresenta un fattore trascrizionale richiesto da un certo numero di geni e necessario per la differenziazione ad oligodendrociti (Fancy et al., 2011).
Nei roditori, le cellule progenitrici sono in grado di proliferare in vitro in risposta ai fattori di crescita FGF (Fibroblast Growth Factor) e PDGF (Platelet-Derived Growth Factor); esse sono caratterizzate da una morfologia bipolare e dalla presenza di specifici marker quali il glicolipide GD3 (Ganglioside) e NG2 (Chondroitin Sulfate Proteoglycan).
Dopo la migrazione nel SNC, le cellule si portano fino alla sostanza bianca e/o grigia e in tali siti evolvono a pre-oligodendrociti, cellule con capacità di divisione che hanno acquistato il marker O4 (anticorpo monoclonale in grado di marcare specifici glicolipidi non ancora noti ma che sono un indice dello stadio di maturazione). In questo stadio perdono gran parte della loro mobilità e la loro capacità mitogenica in risposta al PDGF.
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I pre-oligodendrociti divengono poi, oligodendrociti immaturi; nel ratto esprimono GalC (Galactosylceramidase) mentre perdono l’espressione del GD3.
Gli oligodendrociti in fase di maturazione cominciano ad esprimere le prime proteine mielino-specifiche come CNP (2’,3’-cyclic nucleotide-3’-phosphohydrolase), RIP (antigene che riconosce un epitopo citosolico ancora sconosciuto), CAII (Carbonic Anhydrase II) e MBP (Myelin Basic Protein).
Con la MBP compare anche PLP (Proteolipid Protein) e queste due proteine precedono di poco la produzione della mielina; in particolare quest’ultima fino a completa maturazione delle cellule compare nella sua isoforma PLP-DM20, indicando l’inizio del processo di mielinizzazione.
Le cellule completano il loro processo di evoluzione in oligodendrociti maturi quando compaiono i seguenti marker: PLP, MBP, MAG (Myelin Associated Protein) e MOG (Myelin Oligodendrocyte Protein) e morfologicamente sono contraddistinti da numerose ramificazioni (Baumann et al., 2001) (Fig.2A/B).
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Nel caso di perdita di oligodendrociti, questi possono essere sostituiti con nuovi oligodendrociti in grado di produrre mielina, ripristinando così la guaina neuronale. La generazione di cellule mielinizzanti avviene, anche in questo caso, a partire dagli OPC; infatti nel SNC di un individuo adulto un significativo numero di OPC va a completa maturazione, ma non tutti i precursori si differenziano durante lo sviluppo, e di questi il 5-8% esprime NG2, PDGF-αR e Olig2.
Gli OPC sono in fase di quiescenza e dopo il danno infiammatorio divengono responsivi alla mitosi e alle sostanze chemio-attrattrici, rilasciate dalla glia; la demielinizzazione porta gli astrociti a rilasciare fattori di crescita, come PDGF e bFGF, necessari per la ri-mielinizzazione.
Gli OPC reclutati, stabiliscono un contatto con l’assone e producono mielina ricoprendo così l’assone neuronale.
L’efficienza del processo è influenzata da fattori di crescita, citochine, molecole della matrice extracellulare, dal sesso e dall’età. L'effetto correlato all'età sulla ri-mielinizzazione è dovuto ad un reclutamento e ad una capacità di differenziazione meno efficiente, infatti diminuisce la produzione di citochine, chemochine e fattori di crescita (Franklin and French-Constant, 2008; Franklin and Kotter, 2008).
Fig.2 A Stadi di maturazione e differenziazione degli oligodendrociti. B Diversa espressione proteica
e morfologia cellulare in base alle diverse fasi di maturazione (modificato da Baumann et al.,2001; Fumagalli et al.,2011).
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Per il controllo della ri-mielinizzazione, sia in soggetti sani che affetti da patologia, è necessario un perfetto equilibrio tra fattori di attivazione e di inibizione (Rosse et al., 2003; Gokhan et al., 2005).
Tra i fattori che controllano lo sviluppo degli oligodendrociti rientra un recettore accoppiato a proteine-G e recentemente de-orfanizzato: il recettore GPR17 (Chen et al., 2009; Ciana et al., 2006).
1.3 IL RECETTORE GPR17
Il recettore GPR17, originariamente chiamato R12, appartiene alla superfamiglia ( membri dei recettori accoppiati a proteine G; e stato clonato e caratterizzato per la prima volta da Raport e collaboratori (Raport et al., 1996; Ciana et al., 2006) al fine di individuare nuovi recettori per le chemochine.
In quanto appartenente ai GPCR, anche il GPR17 è caratterizzato dalla loro tipica struttura:
7 domini transmembrana (TM1-TM7); 8 eliche anfipatiche (H8);
la regione ammino–terminale extracellulare; la regione carbossi–terminale nel citoplasma;
3 loop ad elica extracellulari e 3 loop ad elica intracellulari.
La regione terminale e la porzione extracellulare rappresentano i siti per la N-glicosilazione, i quali sono ritenuti fondamentali per il trasporto dal reticolo endoplasmatico alla membrana plasmatica.
L’estremità C-terminale, intracellulare, ha un motivo PDZ-1 like (X-S-X-Ø) il quale, nella sua internalizzazione e riciclo, è coinvolto nell’interazione del recettore con altre proteine (Marchese et al., 2008).
L’hGPR17 (umano mostra omologia del 90.3% con mGPR17 (murino) e rGPR17 (ratto : dall’allineamento delle sequenze amminoacidiche di ratto, topo e uomo è stata infatti mostrata la quasi completa sovrapposizione dei domini transmembrana TM3, TM6 e TM7 e la conservazione di un tipico motivo in TM6 ( H -XX- R), presente in vari recettori associati a proteine G; questo è ritenuto essenziale per legame con il ligando (Erb et al., 1995; Jiang et al., 1997; Jacobson et al., 2002).
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Si possono riscontrare due isoforme recettoriali: una corta (GPR17-S), di 339 amminoacidi, e una lunga (GPR17-L) di 367 amminoacidi, caratterizzata dalla presenza di una coda di amminoacidi che si aggiunge alla parte N-terminale. Il GPR17-L è stato identificato esclusivamente a livello cerebrale, suggerendo un suo ruolo specifico nel sistema nervoso (Pugliese et al., 2009) (Fig.3).
Da un punto di vista filogenetico il recettore si trova in una posizione intermedia tra i recettori P2Y, purinergici, e CysLT, leucotrienici, in particolar modo tra P2Y12,13,14 e
CysLT1 e CysLT2 (Fig.4).
Entrambe le sottofamiglie recettoriali, P2Y e CysLT, possiedono la stessa struttura e filogeneticamente si possono annoverare come appartenenti al “purine receptor cluster” della famiglia dei GPCR della rodopsina (derivano quindi da un comune antenato), che include il recettore GPR17 ma anche altri recettori orfani.
Fig.3 Rappresentazione della
struttura del hGPR17-S,L.
Fig.4 Albero filogenetico che
mostra la relazione tra GPR17, recettori PY2 e CysLT.
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Il recettore condivide con tali sottofamiglie, P2Y e CysLT, la via di trasduzione del segnale che è legata prevalentemente alle proteine di tipo inibitorio, Gi, comportando l’inibizione dell’adenilato ciclasi e una diminuzione della produzione di cAMP, e in misura minore alle Gq, inducendo la stimolazione del rilascio di calcio intracellulare attraverso la fosfolipasi C (Ciana et al., 2006).
1.3.1 LIGANDI DEL RECETTORE GPR17
In seguito alla sua deorfanizzazione (Ciana et al.,2006), il GPR17si è rivelato di natura dualistica: esso, infatti, può essere attivato da due famiglie di agonisti endogeni non correlate fra loro: i nucleotidi uridinici (UDP, UDP-glucosio) ed i cisteinil-leucotrieni (LTD4, LTC4, LTE4).
Vista la correlazione con queste due classi di ligandi, l’attività del recettore viene antagonizzata, in maniera concentrazione-dipendente, sia da antagonisti specifici per i recettori P2Y come il Cangrelor, selettivo per i recettori P2Y12/13, che da Montelukast e Pranlukast, antagonisti caratteristici per i recettori CysLT1(Ciana et al., 2006; Daniele et al., 2011; Lecca et al., 2008) (Tabella 3).
Infine, risulta avere azione antagonista su GPR17 anche l’analogo non idrolizzabile dell’ATP (ATPγS , come dimostrato dalla capacità di quest’ultimo di inibire l’attivazione del recettore indotta da UDP-glucosio o LTD4(Pugliese et al., 2009).
È stato dimostrato che, dopo blocco del recettore con antagonista purinergico e la stimolazione con antagonisti cisteinil-leucotrieni, e viceversa, la risposta recettoriale permane, suggerendo l’esistenza di due distinti siti di binding per CysLT e nucleotidi. A supportare questa ipotesi si pongono degli studi di docking e simulazione dinamica che hanno proposto l’esistenza di due diversi “binding pockets”, uno per nucleotidi, l’altro per leucotrieni (Parravicini et al., 2008).
Daniele e collaboratori hanno dimostrato un sinergismo tra le due classi di ligandi endogeni del GPR17: in cellule trasfettate, infatti, UDP-glucosio risulta essere in grado di aumentare l’accoppiamento alle proteine G del recettore indotto da LTD4 e viceversa. E’ stato inoltre dimostrato che l’attivazione prolungata del GPR17 con UDP-glucosio è in grado di diminuire la risposta funzionale del recettore al ligando leucotrienico LTD4, e non viceversa, suggerendo che il cross talk tra i due siti di legame possa seguire una gerarchia ben precisa (Daniele et al., 2011).
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Tuttavia ad oggi la farmacologia del recettore è oggetto di controversie: Ciana e collaboratori hanno osservato un piccolo rilascio di calcio in seguito a stimolazione con agonista, mentre Maekawa e collaboratori non hanno riscontrato alcun flusso di calcio attivato del recettore GPR17 (Ciana et al., 2006; Maekawa et al., 2009).
Recentemente un altro gruppo di ricerca (Benned-Jensen et al.,2010) ha confermato che UDP-glucosio, UDP-galattosio e UDP attivano l’isoforma GPR17-S umana, con valori di EC50 nell’ordine del micromolare, simili a quelli riportati precedentemente (Ciana et al., 2006). Tuttavia gli stessi autori non rilevano che il GPR17 sia attivato, internalizzato o legato dai ligandi leucotrienici. In contrapposizione, Maekawa e collaboratori suppongono che il recettore GPR17 possa legarsi a CysLT1, regolando negativamente la sua funzione (Maekawa et al., 2010).
COMPOSTI STRUTTURA FARMACOLOGIA E AFFINITA` VERSO GPR17 UDP AGONISTA EC50: 1.14 µM(h);4.6 µM(r); 55 nM(m) UDP-glucosio AGONISTA EC50: 12 µM(h);530 nM(r); 88 nM(m) UDP-galattosio AGONISTA EC50: 1 µM(h);- (r); 68 nM(m) Cangrelor ANTAGONISTA EC50: 0.7 nM(h); 22 pM(r); 1.2 nM(m)
13 MRS 2179 ANTAGONISTA EC50: 508 nM(h); 0.18 pM(r); n.d (m) ATP ANTAGONISTA EC50: 3.1 µM vs UDP-glucose;209.8 vs LTD4(h); n.d (r,m) LTC4 AGONISTA EC50: 0.33 nM(h);65 nM(r); 0.74 nM(m) LTD4 AGONISTA EC50: 7.2 nM(h);5.9 nM(r); 0.63 nM(m) LTE4 AGONISTA EC50: n.d (h,r); 0.31 nM(m) Montelukast ANTAGONISTA EC50: 60 nM(h); 196 nM(r); 61 nM (m)
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Pranlukast
ANTAGONISTA
EC50: 10.5 nM(h); 31
nM(r); n.d (m)
1.3.2 DISTRIBUZIONE E RUOLO FISIOPATOLOGICO DEL GPR17
Al fine di indagare la distribuzione tissutale del recettore GPR17, è stato preso come riferimento il mGPR17 (murino) visto che è la specie filogeneticamente più simile all’uomo.
Attraverso analisi PCR è stato evidenziato che il recettore è maggiormente espresso a livello del cervello, cuore, rene e muscolo scheletrico, organi principalmente coinvolti nel danno ischemico e nel trauma, mentre è poco espresso nei polmoni e nel fegato
(Ciana et al., 2006). A livello del sistema nervoso centrale, il GPR17 si ritrova altamente espresso nell’area subventricolare (SVZ) dei ventricoli laterali (VL), in particolare a livello delle cellule ependimali e nel nucleo dentato (Lecca et al., 2008). Inoltre, altra localizzazione recettoriale, è rappresentata proprio dagli OPC, unico sottotipo gliale che esprime costitutivamente il recettore.
Grazie all’utilizzo di due modelli sperimentali di ischemia nel topo, si è potuto comprendere meglio il ruolo fisiopatologico del recettore.
Il primo modello analizzato è MCAo (Permanent Monolateral Middle Cerebral Artery Occlusion In The Rat), nel quale sono stati evidenziati dei cambiamenti sostanziali del recettore a livello spazio-temporale, a partire dal luogo dell’insulto ischemico (Ciana et al., 2006): il GPR17 sembra possedere ruoli di rimodellamento e di riparazione a seconda delle specifiche fasi di sviluppo del danno.
A 24 ore dall’insulto ischemico, vi è una forte up-regulation di GPR17 nelle cellule neuronali che si trovano nel “core” della lesione, con la co-espressione del marker HSP70 (stress heat shock protein 70), proteina sovra-espressa nei neuroni soggetti a danno. L’inibizione in vivo di GPR17 con agenti farmacologici o attraverso approccio biotecnologico riduce fortemente la progressione dell’ischemia, suggerendo che il
Tabella 3. Strutture dei ligandi del GPR17 (umano h, ratto r, murino m); attività farmacologica e
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GPR17, nel cervello lesionato, influenzi realmente l’evoluzione e lo sviluppo del danno
(Lecca et al., 2008).
A 48 ore dall’insulto, il recettore GPR17 non è più presente nei neuroni dell’area lesionata, suggerendo che tali cellule, che precedentemente sovraesprimevano il recettore, siano andate incontro a morte; a questo stadio GFAP+ (Astrocytic Marker Glial Fibrillary Acidic Protein attiva gli astrociti mentre l’espressione recettoriale viene mantenuta ai confini del “core” ischemico, in cellule di microglia e macrofagi, che, in condizioni fisiologiche, non esprimono il recettore. Queste cellule si vanno a infiltrare nella zona ischemica, inducendo fagocitosi e rimodellamento del tessuto danneggiato.
A 72 ore dall’insulto ischemico si ha un aumento marcato del numero di cellule proliferanti; la quasi totalità delle cellule risulta IB4+, marker d’attivazione di microglia/macrofagi.
Due principali tipi di cellule sono state ritrovate nell’area ischemica, le prime si osservano principalmente ai confini della lesione e sono macrofagi e cellule della microglia attivate, le seconde sono i progenitori oligodendrogliali GPR17+che
proliferano nell'area che circonda il “core” della lesione, facendo supporre un inizio di ri-mielinizzazione (Lecca et al., 2008).
Quindi dopo le prime fasi di ischemia, i segnali generati dai neuroni danneggiati diffondono nelle regioni adiacenti al “core” ischemico, innescando i processi riparativi
(Ciana et al., 2006).
L’altro modello sperimentale in cui è stato esaminato il GPR17 è la SCI, lesione traumatica al midollo spinale, riprodotta attraverso una compressione acuta, nella quale Ceruti e collaboratori (Ceruti et al., 2009) hanno evidenziato un’aumentata espressione di GPR17 con conseguente attivazione delle vie di morte cellulare dei neuroni ed oligodendrociti.
Similmente a quanto compare nel MCAo, 48 ore dopo la SCI, si ha la fase di proliferazione, migrazione e infiltrazione dei macrofagi, i quali puliscono la zona danneggiata e favoriscono la riparazione.
Settantadue ore dopo l’insulto, le cellule ependimali GPR17+ iniziano a proliferare ed esprimere la GFAP, proteina gliofibrillare acida, indicando il tentativo di iniziare un
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processo riparativo che però rimane solo parziale e nella maggior parte dei casi, non risolutivo.
Ad una settimana dall’induzione della SCI, l’espressione del GPR17 comincia a ridursi, quindi il recettore presenta un picco massimo nelle cellule durante la loro migrazione/infiltrazione, dopodiché subentra una down-regulation recettoriale. L’inibizione in vivo del GPR17 con un oligonucleotide antisenso (oligo616), ha dimostrato di ridurre considerevolmente i danni indotti durante SCI, confermando il ruolo cruciale di questo recettore nelle prime fasi dello sviluppo dei danni tessutali
(Ceruti et al., 2009).
Il GPR17, perciò, si mostra come un “sensore” che si attiva durante l’insulto cellulare, inizialmente inducendo morte all'interno della lesione mentre successivamente promuovendo il rimodellamento locale, la ricostruzione e la ripresa della funzione tissutale. I cambiamenti di espressione spazio-temporale recettoriale potrebbero avere un’influenza importante nello sviluppo di nuovi approcci farmacologici: antagonisti selettivi per GPR17 potrebbero rallentare, nella fase acuta del danno, l’evoluzione della lesione, mentre agonisti selettivi potrebbero agire come “rimodellatori tissutali” nelle fasi successive al danno.
1.3.3 ESPRESSIONE DEL GPR17 NELLO SVILUPPO DEGLI OPC
Lecca e collaboratori (Lecca et al., 2008) hanno individuato la localizzazione cerebrale del GPR17 grazie allo sviluppo di un anticorpo anti-GPR17, ottenuto sfruttando l’estremità C-terminale del recettore; esaminando la corteccia cerebrale sono state indentificate un tipo di cellule GPR17+ che esprimevano anche il proteoglicano NG2, e che mostravano un fenotipo tipico, simile agli oligodendrociti.
Le cellule GPR17+ esprimevano Olig2 ma non producevano la proteina mielina individuabile attraverso i fattori MAG, MBP o CNPase e questo ha suggerito l’ipotesi che le cellule GPR17+ riscontrate, fossero precursori degli oligodendrociti quiescenti al primo stadio di differenziazione.
Nello stesso studio Lecca e collaboratori hanno dimostrato che in condizioni d’insulto ischemico i precursori degli oligodendrociti GPR17+ quiescenti,attivati dai mediatori
infiammatori rilasciati nella lesione, cominciano a proliferare nel parenchima dell’area danneggiata; quindi il recettore può contribuire alla riparazione intrinseca
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nella rigenerazione post-ischemica e la differenziazione dei precursori in oligodendrociti maturi potrebbe ripopolare la zona lesa e favorire il rimodellamento tissutale (Lecca et al., 2008).
Durante la maturazione degli oligodendrociti si assiste ad un cambiamento dell’espressione del recettore tempo-dipendente, in particolare (Fig.5):
STADIO 1: gli OPC mostrano una tipica morfologia bipolare, sono positivi per NG2 ma l’espressione proteica del recettore GPR17 è molto bassa.
STADIO 2: le cellule sono GPR17+, presentano una morfologia tripolare o comunque più completa ed esprimono PDGFα-R, NG2 mentre risulta assente la proteina DM-20.
STADIO 3: coincide con il sesto giorno di maturazione; le cellule presentano il picco di espressione del recettore GPR17, esprimono la proteina DM-20 ed O4, non esprimono più PDGFα-R e comincia a essere incrementata la produzione dell’MBP.
STADIO 4: aumenta progressivamente l’espressione di MBP, si evidenzia un decremento dei livelli recettoriali, infatti al 14° giorno si presenta il picco minimo; viene espressa la proteina PLP che caratterizza gli oligodendrociti maturi (Fumagalli et al.,2011).
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Da ulteriori studi è stato possibile concludere che il recettore GPR17 gioca un ruolo chiave nel processo di differenziamento degli OPC: infatti, la perdita di funzionalità del GPR17, in topi GPR17-/-, aumenta la differenziazione degli OPC e di conseguenza la mielinizzazione. Al contrario in topi transgenici con iper-espressione del recettore si presenta un arresto della mielinogenesi ed insorgenza di apoptosi nonché la traslocazione all’interno del nucleo di ID2 e ID4 (DNA-Binding Protein Inhibitor) le quali sequestrano i fattori Olig1 ed Olig2 bloccando la differenziazione degli OPC
(Chen et al., 2009).
Ha preso largo, per cui, l’ipotesi che l’attivazione del recettore, attraverso il legame con ligandi endogeni, possa servire da trigger per il differenziamento degli OPC. Allo stesso tempo, una volta innescato questo processo, lo spegnimento del GPR17 sembra essere un requisito necessario per permettere la completa maturazione cellulare. Tale spegnimento potrebbe avvenire attraverso opportuni meccanismi di desensitizzazione (perdita di funzionalità), internalizzazione e down-regulation. Il recettore GPR17 è, quindi, paragonabile ad un timer intracellulare che regola la transizione degli OPC da immaturi a maturi. L’induzione della perdita di attività o lo spegnimento dell’espressione del GPR17 potrebbero quindi rappresentare valide strategie nel completamento della maturazione degli OPC.
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1.4 MECCANISMI MOLECOLARI CHE REGOLANO LE
RISPOSTE DEI RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G
In condizioni fisiologiche, laddove si presenti una prolungata stimolazione di un recettore accoppiato a proteine G, conseguono una pluralità di eventi con andamento rapido causati da fenomeni di re-uptake o di degradazione enzimatica dell’agonista. Esistono, poi, altri meccanismi che controllano nel tempo la risposta dei recettori agli agonisti quali la desensitizzazione recettoriale, l’internalizzazione e la down-regulation.
1.4.1 DESENSITIZZAZIONE RECETTORIALE
Con il termine di desensitizzazione si intende la riduzione progressiva di responsività recettoriale in seguito a esposizione prolungata ad agonista, che si traduce in una minor capacità del recettore di accoppiarsi al sistema di trasduzione del segnale. In base al meccanismo coinvolto vengono classificati due tipi di desensitizzazione
(Goodman et al., X ed):
omologa: quando la perdita di attività dell'agonista è mediata dall’attivazione agonista-dipendente del proprio recettore;
eterologa: quando l’attivazione prolungata del recettore va a indurre la desensitizzazione di un altro sistema recettoriale presente anch’esso sulla stessa membrana, che utilizza il medesimo meccanismo di trasduzione del segnale o gli stessi effettori.Il fenomeno si innesca, in genere, a seguito di fenomeni di fosforilazione del recettore su residui amminoacidici di serina e treonina e comporta l’internalizzazione del complesso recettore-ligando.
Il processo di fosforilazione può avvenire in due modi:
fosforilazione a livello del terzo loop citoplasmatico mediata da protein-chinasi A e C (PKA, PKC), in precedenza attivate dalla produzione di cAMP, e il conseguente disaccoppiamento tra recettore e proteina G. Il recettore desensitizzato viene quindi internalizzato e può essere degradato da enzimi lisosomiali oppure può essere riciclato sulla membrana (ri-sensitizzazione). Si tratta di un esempio di desensitizzazione eterologa, poiché un qualsiasi altro20
sistema recettoriale in grado di stimolare la produzione di cAMP ha la potenzialità di indurre desensitizzazione del recettore.
fosforilazione su specifici residui di serina e treonina a livello intracellulare da parte di chinasi specifiche dei recettori accoppiati a proteine G (GRK). L’interazione agonista-recettore determina la dissociazione della proteina G trimerica, mentre il dimero βγ funziona da ancoraggio per le GRK, le quali, una volta legatesi ad esso, fosforilano il recettore su residui specifici, determinando un aumento di affinità del recettore stesso verso la proteina citoplasmatica β-arrestina. Quest’ultima, una volta traslocata sulla membrana, determina il distacco del recettore dalla proteina G. A questo punto il recettore può essere internalizzato in endosomi, attraverso vescicole rivestite di clatrina, e può seguire due destini: essere degradato da enzimi lisosomiali (down-regulation), oppure può essere riciclato sulla membrana. In quest’ultimo caso le pompe ATP-dipendenti, che mantengono costante il pH degli endosomi, vanno a de-fosforilare il recettore e lo distaccano dalla β-arrestina, consentendone così il riciclo su membrana (Fig. 6).Fig.6 Esempio di desensitizzazione, internalizzazione e degradazione di un recettore accoppiato a
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1.4.2 GRK: G PROTEIN-COUPLED RECEPTOR KINASE
Le GRK sono una famiglia di chinasi specifica per i recettori accoppiati a proteine G. Queste promuovono la fosforilazione recettoriale e danno inizio a una profonda riduzione della funzionalità del recettore, ovvero la sua desensitizzazione omologa
(Métayé et al., 2005). La fosforilazione avviene principalmente su residui di serina e treonina a livello del terzo loop intracellulare e/o all’estremità C-terminale del recettore, aumentando l’affinità di questo verso la proteina citosolica β-arrestina, che a sua volta può impedire l’interazione proteina G-recettore per ingombro sterico, oppure promuovere il processo endocitotico clatrina-dipendente del recettore inattivo, con sua successiva degradazione o riciclo su membrana (Ribas et al., 2007; Yang et al., 2006).
Vista l’importanza rivestita dalle GRK nel processo di desensitizzazione dei GPCR e per i numerosi coinvolgimenti che hanno i recettori accoppiati a proteine G nelle funzioni vitali, è probabile che una alterazione nella regolazione dei GPCR GRK-mediata possa contribuire alla patogenesi di diverse malattie (Yang et al., 2006).
Le GRK sono accomunate da una stessa struttura di base:
un dominio N-terminale moderatamente conservato, importante per il riconoscimento del recettore e l’ancoraggio alle membrane intracellulari (circa 185 amminoacidi);
un dominio catalitico centrale altamente conservato (circa 45% di identità di sequenza) di 263-266 amminoacidi;
una porzione C-terminale poco conservata e di lunghezza variabile (105-230 amminoacidi), importante per la traslocazione agonista-mediata poiché favorisce l’interazione con i lipidi.
Il dominio N-terminale è costituito da 25 residui amminoacidici unici per la famiglia delle chinasi GRK, seguito da un dominio omologo (RH) regolatore del segnale delle proteine G (RGS) e da un dominio serina/treonina protein kinasi (KD). Il dominio N-terminale sembra mediare l’attivazione allosterica delle GRK in presenza di recettori accoppiati a proteine G attivi. Il dominio C-terminale contiene invece elementi responsabili per il loro riconoscimento sulla membrana. Ad esempio GRK1 e 7 presentano una piccola sequenza C-terminale prenilata; GRK2 e 3 contengono un
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dominio che interagisce con le subunità βγ delle proteine G; GRK4 e 6 contengono dei siti di palmitolazione, mentre GRK5 presenta elementi carichi positivamente che legano i lipidi di membrana (Guervich et al., 2012).
Le GRK si classificano in tre sottofamiglie, vista la somiglianza funzionale e l’analogia di sequenza (Ferguson, 2001)(Fig.7):
1. sottofamiglia delle chinasi della Rodopsina: GRK1 e GRK7;
2. sottofamiglia delle chinasi dei recettori β-adrenergici: GRK2 e GRK3; 3. sottofamiglia delle GRK4: GRK4, GRK5, GRK6.
L’espressione delle GRK è per lo più di tipo ubiquitario, fatta eccezione per GRK4 che è presente esclusivamente nei testicoli e GRK1 solo nella retina. A livello subcellulare le GRK si ritrovano, principalmente, in prossimità delle membrane plasmatiche, anche se ultimamente GRK5 e GRK6 sono state ritrovate anche a livello nucleare. In particolar modo si è visto che GRK5 contiene delle sequenze che mediano sia la localizzazione nucleare che il legame con il DNA, suggerendo una sua partecipazione nella regolazione della trascrizione genetica (Sorriento et al., 2010).
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Nel seguente lavoro di tesi l’attenzione è stata focalizzata verso due chinasi specifiche:
GRK2: in quanto risulta alterata in numerose patologie come ipertensione, patologie cardiache e patologie infiammatorie croniche come l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla; si evidenza una diminuzione dei livelli intracellulari di GRK2 anche fino al 70% e la causa di tale decremento sembra sia da attribuire alle citochine pro-infiammatorie, coinvolte nel decorso patologico, le quali possono down-regulare i livelli proteici della chinasi (Vroon et al,2005).
GRK5: gioca un ruolo critico nelle patologie del SNC, infatti, una sua disfunzione è stata riscontrata sia nella patologia dell’Alzheimer che del Parkinson ma anche in ulteriori patologie infiammatorie croniche (Guervich et al, 2012).
1.4.3 RUOLO DELLE β-ARRESTINE NELLA TERMINAZIONE DEL
SEGNALE DEI RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G
Le β–arrestine sono proteine adattatrici in grado di agire come regolatore negativo nella cascata del segnale dei GPCR ma a cui recentemente è stato attributo un ruolo di linker nella formazione del fenomeno dell’endocitosi e di trasduzione del segnale (Ma et al., 2007). Le β–arrestine sono considerate fondamentali nei processi correlati di desensitizzazione omologa e sequestro dei GPCR, che portano alla terminazione dell’attivazione della proteina G (Luttrell et al., 2002).
Ad oggi, sono stati clonati quattro membri funzionali della famiglia di geni delle arrestine (Freedman et al., 1996; Ferguson, 2001), classificabili in due gruppi principali:
Arrestina visiva (Shinohara et al., 1987; Yamaki et al., 1987) e arrestina del cono
(Murakami et al., 1993; Craft et al., 1994) sono espresse quasi esclusivamente nella retina, dove regolano la funzione foto-recettrice;
β–arrestina 1 (Lohse et al., 1990) e β–arrestina 2 (Attramadal et al., 1992) sono invece proteine ubiquitarie, con i massimi livelli di espressione nel cervello e nella milza.
Il legame della β–arrestina, in genere all’estremità citoplasmatica del recettore, scaturisce due eventi principali che sono dapprima l’occlusione del sito di legame per
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la proteina G e disaccoppiamento dalla proteina G eterotrimerica dal recettore, dopodiché il legame tra recettore, clatrina e adattatore della clatrina AP-2 e successivo direzionamento del recettore verso vescicole endocitotiche.
Recentemente è stato mostrato come i GPCR esibiscano differenti meccanismi di interazione con le β–arrestine, suddividendosi in due classi (Oakley et al., 2000):
CLASSE A (come ad esempio recettori β2 e α1B adrenergici, μ oppioide, A dell’endotelina e D1A dopaminergico): il recettore interagisce con le arrestine in maniera transiente, per cui, dopo l’internalizzazione del recettore e il suo sequestro in vescicole di clatrina, la β–arrestina si dissocia e il recettore ricicla sulla membrana plasmatica. Questi recettori si legano, generalmente, alla β– arrestina 2 con affinità più alta rispetto alla β–arrestina 1 e non si legano alle arrestine visive.
CLASSE B (come ad esempio recettori AT1a dell’angiotensina, I della neurotensina, 2 della vasopressina, NK-1 della neurochinina e recettore dell’ormone tireotropina-rilasciante): questi recettori formano complessi stabili con le β–arrestine, si legano con uguale affinità alle β–arrestine 1 e 2 ed interagiscono anche con le arrestine visive.
La stabilità dei complessi β–arrestina-recettore influenza di conseguenza anche il destino del recettore internalizzato: infatti, nel caso della formazione di complessi transienti viene favorita la rapida defosforilazione e il ritorno su membrana del recettore, al contrario nei complessi stabili viene ritardata la re-sensitizzazione e il recettore viene indirizzato verso la degradazione.
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SCOPO DELLA TESI
L’obiettivo che questo lavoro di tesi si prefigge è quello di indagare i meccanismi di regolazione funzionale del recettore GPR17, durante i vari stadi di maturazione dei precursori degli oligodendrociti. Vista l’ipotesi secondo la quale, al fine di una completa maturazione degli OPC, sia necessario uno spegnimento del recettore GPR17, attraverso un opportuno meccanismo di desensitizzazione, internalizzazione e down–regulation, si è voluti andare a studiare il ruolo di specifiche GRK nei processi di regolazione del GPR17. Tra i vari sottotipi delle GRK (classificate da 1 a 6), il focus si è rivolto verso la GRK2 e la GRK5.
In particolare sono stati ricercati:
l’andamento dell’espressione del GPR17 e dei sottotipi delle GRK durante il processo di maturazione degli OPC;
i meccanismi di desensitizzazione tipici di un GPCR: fosforilazione agonista-mediata, e l’associazione tra il recettore e GRK specifiche;
le cinetiche di desensitizzazione del recettore in risposta alle due classi di ligandi, nucleotidici e cisteinil-leucotrienici, sia al picco di espressione del recettore (stadio 3), che negli OPC quasi maturi (stadio 4);
per concludere, è stato valutato il contributo dei sottotipi delle GRK al fenomeno della desensitizzazione del GPR17: la cinetica di desensitizzazione recettoriale è stata infatti studiata anche in presenza di inibitori specifici per i sottotipi delle GRK.