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Le norme cogenti a supporto della sicurezza alimentare

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

Le norme cogenti a supporto della sicurezza alimentare

2.1 Introduzione

Uno degli strumenti più efficaci per garantire la sicurezza degli alimenti e dei mangimi è da sempre un valido sistema di controlli.

Nei Paesi membri dell'Unione Europea i prodotti alimentari sono sempre stati sottoposti ai controlli necessari per salvaguardare le esigenze fondamentali della collettività; essendo già previsti in normative nazionali precedenti all'istituzione della CEE, tali controlli hanno dovuto essere gradatamente “armonizzati” per permettere la realizzazione di uno dei princìpi fondanti la Comunità stessa: la libera circolazione delle merci.

Successivamente – in seguito al processo d'integrazione che avrebbe portato alla realizzazione del Mercato Unico entro la fine del 1992 – è intervenuto un progressivo cambiamento nell'esecuzione dei controlli: dal momento che i mercati dei Pesi membri erano destinati a fondersi in uno solo, è parso logico conferire la responsabilità dei controlli su derrate alimentari e mangimi al solo Paese produttore (o al Paese di prima immissione in caso d'importazione da Paesi terzi); in tale prospettiva, l'armonizzazione dei sistemi nazionali di controllo è divenuta ad un tempo un obiettivo fondamentale di politica comunitaria per il settore alimentare e, di fatto, una condizione essenziale per liberalizzare il settore medesimo, dato che il prodotto – una volta garantita la sua salubrità dalle autorità del Paese membro di produzione – in teoria avrebbe posseduto tutti i titoli per circolare liberamente negli altri Paesi membri, senza dover essere sottoposto a controlli sistematici da parte di quest'ultimi.

In egual misura, in materia di igiene alimentare la Comunità europea ha perseguito la stessa politica di armonizzazione a partire dagli anni '60, con l'introduzione di specifici requisiti in direttive atte a conciliare le discordanze normative nazionali in merito a etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari, disposizioni su additivi e aromi, mangimi composti, prodotti impiegati nell'alimentazione animale e così via; si è andato così formando un corpus normativo

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caratterizzato da un elevato livello di armonizzazione in riferimento alla disciplina di produzione di alimenti e mangimi, ai controlli ufficiali da eseguire su di essi e alle prassi d'igiene. L'obiettivo primario è stata la food safety con la conseguenza di accentuarne la responsabilità primaria sugli operatori direttamente coinvolti nel settore [Capelli et al.]. Nonostante siffatto impegno legislativo, l'Europa si è ugualmente trovata ad affrontare le crisi alimentari degli anni '90 che hanno mostrato implacabilmente le vistose carenze estese – come nel caso della BSE – fino ai controlli sui prodotti destinati all'alimentazione animale, e che hanno avuto pesanti ripercussioni sulla salute umana; nella sostanza, l'Unione Europea si è resa conto una volta per tutte che per garantire un'adeguata tutela della salute della cittadinanza comunitaria (quantomeno sul piano alimentare), era necessario instaurare un coordinato sistema di collaborazione fra addetti ai lavori, autorità dei vari Paesi membri e istituzioni europee. Gli effetti devastanti di tali crisi, a livello sociopolitico ed economico, hanno portato a rimettere le mani sulla normativa dalle radici, aprendo la strada ad una completa revisione dell'intera disciplina in materia di sicurezza alimentare, che ha portato alla promulgazione del Regolamento Ce n. 178/2002.

2.2 Il Regolamento Ce n. 178/2002

Nel Regolamento Ce n. 178/2002 (nel prosieguo: il Regolamento) si trovano le fondamenta della nuova legislazione alimentare europea, tesa a garantire un livello elevato di tutela della salute umana e gli interessi dei consumatori in relazione ad alimenti e mangimi, unitamente ad un efficace funzionamento del Mercato Interno; un immediato elemento degno di nota è la forma dell'atto comunitario: un regolamento.

Assimilabile ad una direttiva nel proprio effetto vincolante, un regolamento ha validità erga omnes, è obbligatorio in ogni sua parte per ogni cittadino comunitario e

direttamente applicabile tal quale all'interno di ogni Paese membro; viceversa una

direttiva è destinata al Paese membro che è sì vincolato al raggiungimento del risultato in essa richiesto, ma libero di utilizzare gli strumenti giuridici ritenuti più adatti a tale scopo, con un'applicazione pertanto indiretta che avviene mediante un'apposita legge di recepimento.

Un passaggio che potrebbe definirsi “epocale” quello che porta da un lungo (e inefficace) processo di armonizzazione degli ordinamenti legislativi nazionali tramite

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una moltitudine di direttive, ad una repentina loro unificazione in virtù di un insieme razionale di regole comuni, testualmente applicato nell'intero Mercato Interno e capace di consentire una volta per tutte un più facile aggiornamento di standard comuni in ogni Paese membro, e la rimozione di tutti gli ostacoli tecnici alla libera circolazione delle merci alimentari, talvolta innescati perfino dai meccanismi di attuazione di quelle stesse direttive promulgate per eliminarli.

Due sono le novità di maggior rilievo presentate nel Regolamento:

la costituzione di un'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA); l'istituzione del concetto di rintracciabilità che mira a responsabilizzare tutti gli

operatori che intervengono nella filiera agroalimentare.

Il Regolamento si struttura in cinque Capi:

• Campo d'applicazione e definizioni (artt. 1-3); • Legislazione alimentare in generale (artt. 4-21);

• Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (articoli 22-49);

• Sistema di allarme rapido, gestione delle crisi e situazioni d'emergenza (artt. 50-54);

• Procedure e disposizioni finali (artt. 58-65).

2.2.1 Il Regolamento Ce n. 178/2002 come normativa di base

A testimonianza di quanto l'UE fosse realmente intenzionata a ripartire da capo, vi è l'art. 2 – marcatamente ispirato al Codex Alimentarius – che definisce alimento (o prodotto alimentare, o derrata alimentare) “qualsiasi sostanza o prodotto trasformato,

parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l'acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Non sono compresi: a) i mangimi; b) gli animali vivi, a meno che siano preparati per l'immissione sul mercato ai fini del consumo umano; c) i vegetali prima della raccolta; d) i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE e 92/73/CEE; e) i cosmetici ai sensi della direttiva 76/768/CEE del Consiglio; f) il tabacco e i prodotti del tabacco ai sensi della direttiva 89/622/CEE del

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Consiglio; g) le sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi della convenzione unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti del 1961 e della convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971; h) residui e contaminanti”. Come già si

faceva notare nel Libro Verde sulla legislazione alimentare, le divergenze giuridiche fra i Paesi membri nella nozione di prodotto alimentare – legittimate dall'assenza di una norma comune – prestavano il fianco a interpretazioni contrastanti fra i Paesi membri e quindi a possibili ostacoli alla sua circolazione.

Col Regolamento è tutto più chiaro, ogni sostanza che può essere assunta dall'uomo per via orale, per inalazione o intubazione gastrica è un alimento; inoltre, secondo la nuova legislazione, sono da considerarsi prodotti alimentari solo quelle sostanze che intenzionalmente fanno parte di un alimento, come gli ingredienti (ai sensi della Direttiva n. 2000/13/Ce) o qualsiasi additivo con proprietà fisiologiche, diversamente dai residui o contaminanti che, indesiderati, entrano in modo accidentale nel ciclo produttivo. Interessante da questo punto di vista è anche il riferimento ai medicinali: disciplinati dalla Direttiva n. 2001/83/Ce, per essi s'intende l'insieme delle sostanze assunte per ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche nell'uomo mediante azioni di tipo metabolico, farmacologico o immunologico; in base al principio di prevalenza del diritto europeo (che prevede l'abrogazione forzosa di un provvedimento nazionale confliggente con quanto imposto da un atto comunitario), autorità e giudici dei Paesi membri non possono più appellarsi a qualsiasi accezione nazionale di alimento, e ciò vale pure per i medicinali. Ovviamente sorgono casi borderline allorquando prodotti alimentari (come ad esempio gli integratori) contengono sostanze frequentemente presenti anche nei medicinali, e dal momento che spetta in primis alle autorità nazionali pronunciarsi sulla reale natura di un prodotto, non può escludersi il rischio di una attribuzione giuridica diversa da Paese a Paese; in tali casi, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea occorre verificare caso per caso se il prodotto di cui trattasi, in base alle sue caratteristiche, tra le quali in particolare, composizione, dosaggio delle sostanze contenute, eventuali proprietà farmacologiche, modalità d'uso ed eventuali rischi derivanti dal suo utilizzo, sia da ritenere un alimento o un farmaco.

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L'art. 3 definisce mangime “qualsiasi sostanza o prodotto, compresi gli additivi,

trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato alla nutrizione per via orale degli animali”, dove la destinazione d'uso (gli animali) funge da distinguo tra

mangime e prodotto alimentare, le cui definizioni sono molto simili; un'altra similarità è data dalla distinzione opportuna tra mangime con funzione nutritiva e mangime con azione farmacologica: ai sensi dell'art. 1 della Direttiva n. 2001/82/Ce si definisce mangime veterinario “a) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come

avente proprietà curative e profilattiche delle malattie animali; oppure b) ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere usata sull'animale o somministrata all'animale allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche mediante un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, oppure di stabilire una diagnosi medica”.

2.2.2 Princìpi generali del Regolamento Ce n. 178/2002

Con l'espressione legislazione alimentare Parlamento e Consiglio sottintendono il complesso di disposizioni inerenti la salubrità di alimenti e mangimi, sia a livello comunitario che nazionale, in relazione alla loro fabbricazione, trasformazione e distribuzione; in base all'approccio dai campi alla tavola – suggerito dal Libro Bianco sulla sicurezza alimentare – l'art. 5 sancisce che “La legislazione alimentare

persegue uno o più fra gli obiettivi generali di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana, della tutela degli interessi dei consumatori, comprese le pratiche leali nel commercio alimentare, tenuto eventualmente conto della tutela della salute e del benessere degli animali, della salute vegetale e dell'ambiente”. In più – per

facilitare gli scambi commerciali con i Paesi terzi – l'UE riconosce la necessità di adeguare quanto possibile la propria legislazione alla corrispondente disciplina internazionale, e invita i Paesi membri a contribuire in tal senso.

Stando all'art. 6, un sistema portante per l'effettiva igiene di alimenti e mangimi è una corretta analisi del rischio; dal ventesimo giorno dalla data di pubblicazione del presente Regolamento, le istituzioni nazionali competenti – nell'emanare leggi proprie in materia di sicurezza alimentare – sono obbligate a conformarsi ad un preciso sistema coordinato di valutazioni scientifiche e successivi interventi, volti ad individuare, eliminare o minimizzare i pericoli per la salute che possono sorgere nelle

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fasi di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti alimentari; da lì in poi ogni impresa alimentare, ogni impresa nel settore dei mangimi, ogni relativo

operatore (tutti soggetti dettagliatamente definiti nell'art. 3) è chiamato in prima

persona a seguire i princìpi dell'analisi del rischio in ogni attività di propria pertinenza, e verificare il soddisfacimento delle sue disposizioni; alle autorità dei Paesi membri è affidato l'onere di sorvegliare l'operato di tutte le aziende del proprio territorio che intervengono all'interno della filiera produttiva di tutti i propri prodotti agroalimentari, e di stabilire – nel caso di inosservanze – sanzioni “effettive, proporzionate e

dissuasive”. Inoltre, poiché l'altro importante obiettivo del Regolamento è l'effettivo

funzionamento del Mercato Interno, misure nazionali restrittive alla circolazione di merci alimentari, addotte in nome della tutela della salute dei propri cittadini, sono consentite esclusivamente alla luce dei criteri tecnici previsti da questa nuova prassi; in un sol colpo il Regolamento omologa regole di condotta e potere discrezionale dei Paesi membri, eliminando le “zone d'ombra” di settori non ancora armonizzati, sulle quali hanno sempre trovato terreno fertile le barriere tecniche.

Oggettivamente si tratta di un passo notevole!

Il processo di analisi del rischio è costituito da tre fasi: valutazione, gestione e

comunicazione del rischio.

Con la fase di valutazione si tende a fornire all'autorità competente per la fase di gestione informazioni affidabili per il controllo di un potenziale rischio derivante da un fenomeno, da un prodotto o da un procedimento, e per stimare, sulla base dei dati scientifici più recenti, il grado di nocività insiti in esso; strutturalmente, la valutazione del rischio è a sua volta costituita da quattro sottofasi:

• individuazione del pericolo; • caratterizzazione del pericolo;

• valutazione dell'esposizione al pericolo • caratterizzazione del rischio.

Secondo l'art. 3 (il glossario del Regolamento) pericolo è un qualsiasi “agente

biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, o condizione in cui un alimento o un mangime si trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute” mentre, come già accennato, il rischio rappresenta la probabilità che l'effetto

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nocivo si concretizzi in seguito all'assunzione di un alimento; orbene, per determinare gravità e conseguenze di un agente pericoloso, e per decidere sulla necessità di misure preventive, è essenziale conoscere il suo tasso di rischiosità. Occorre anzitutto procedere alla individuazione di ogni possibile agente biologico, chimico o fisico presente in un alimento, poi alla sua caratterizzazione, determinando in termini quantitativi e qualitativi natura e gravità di tutti i possibili effetti nocivi; naturalmente non sempre è semplice riscontrare il nesso tra la presenza di un agente potenzialmente nocivo in un alimento ed il suo tradursi in danni alla salute, per questo bisogna valutare entità e modalità dell'esposizione del consumatore all'agente pericoloso. Da ultimo, la valutazione del rischio si completa con la sua caratterizzazione, intesa come l'accertamento di cosa c'è nell'alimento e in che quantità, della sua capacità di proliferare e produrre tossine (nel caso di un agente biologico) e dell'entità dell'esposizione alla popolazione comunitaria.

Uno dei numerosi elementi d'innovazione apportati col Regolamento è l'approccio

scientifico con cui affrontare le problematiche connesse all'alimentazione; già nella Comunicazione sulla salute del consumatore e sulla sicurezza dei generi alimentari,

pubblicata parallelamente al Libro Verde sulla legislazione alimentare, la Commissione – per l'elaborazione di perizie e pareri scientifici – caldeggiava l'assimilazione di tre princìpi: eccellenza, indipendenza e trasparenza. Data la primaria rilevanza del compito che è chiamato a svolgere, chiunque si trovi a valutare un rischio alimentare (esperti, scienziati, veterinari, agronomi) deve essere altamente qualificato e vantare una solida esperienza sul campo, deve essere libero da influenze politico-economiche e, pur tutelando la riservatezza commerciale di ogni ente coinvolto, tutto quanto conduce alla formulazione di pareri scientifici (dati, metodi, analisi, elaborati, risultati) va documentato e pubblicato.

Successiva alla fase di valutazione è quella di gestione del rischio ossia la presa di decisione sugli strumenti più idonei alla prevenzione e/o al controllo di un possibile rischio dovuto al consumo di un alimento (o di un mangime); è importante notare che la gestione del rischio deve necessariamente basarsi sul risultato della precedente valutazione, poiché solo il parere di autorevoli esperti su un pericolo reale può giustificare la messa in atto di misure di contenimento che di fatto restringono la circolazione di un dato alimento (o mangime). D'altronde, la fase di valutazione non

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esaurisce tutti i fattori da prendere in esame ai fini delle disposizioni da approvare, altri aspetti di natura sociale, economica, etica o ambientale sono in ogni caso pertinenti; qualsiasi misura decisa allo stadio di gestione del rischio deve essere consona al principio di proporzionalità e deve subire un esame meticoloso dei costi-benefici derivanti dal suo impiego, un confronto tra le prevedibili conseguenze positive e quelle negative sul breve e sul lungo periodo.

La terza e conclusiva fase dell'intero processo di analisi del rischio è rappresentata dalla comunicazione: elemento chiave per tutte le parti interessate, essa consiste nello scambio interattivo dei risultati emersi nello svolgimento delle due fasi precedenti, con riferimento alle caratteristiche riguardanti il rischio e (importante!) la percezione dello stesso; tempestività, accuratezza e soprattutto chiarezza sono requisiti imprescindibili specialmente nei confronti del consumatore, spesso sprovvisto delle specifiche competenze con le quali cogliere la vera portata dell'esito di una trafila così complessa.

Quali sono gli organi cui sono affidate queste mansioni? Sebbene strettamente collegate, valutazione e gestione del rischio sono due momenti ben distinti, distinti nelle competenze, negli ambienti di lavoro, nel personale coinvolto; una abbraccia un ambito più scientifico, l'altra uno più politico. In Europa la valutazione del rischio è di pertinenza dell'EFSA (alla quale spetta anche la comunicazione) e della gestione se ne occupa la Commissione, mentre a livello nazionale gli organi preposti dai 28 Paesi membri (in Italia il Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare per la valutazione, le amministrazioni locali per la gestione, coadiuvate dalla Direzione generale degli

organi collegiali per la tutela della salute, e l'Istituto Superiore di Sanità per la

circolazione di materiale informativo circa le attività dell'EFSA).

2.2.3 Principio di precauzione

L'art. 7 del Regolamento introduce formalmente in una legge comunitaria sulla sicurezza alimentare il principio di precauzione; a livello comunitario esso compare nel Trattato di Maastricht limitato alla politica ambientale perseguita dalla Comunità, ma in seguito al Libro Verde e al Libro Bianco e ad un'apposita comunicazione della Commissione datata 2 Febbraio 2002, il principio ha permeato la legislazione alimentare sino al richiamo ufficiale nel presente Regolamento. Il ricorso al principio

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di precauzione è giustificato qualora dagli studi effettuati durante l'analisi del rischio, non emergano dati a sufficienza per escludere con certezza la presenza in un alimento (o in un mangime) di un qualsiasi pericolo per la salute di persone o animali; a tal punto, spetta alle autorità competenti (europee e nazionali) decidere se attendere i risultati di analisi più approfondite o agire sulla base delle conoscenze attuali, anche se incomplete. Nel secondo caso, qualsiasi misura intrapresa – che rispetti in ogni caso il principio di proporzionalità – deve essere sottoposta ad un riesame periodico per valutare, alla luce di dati nuovi via via disponibili, la convenienza del suo mantenimento.

2.2.4 Tutela degli interessi dei consumatori

L'art. 1 del Regolamento parla chiaramente di tutelare salute ed interessi dei consumatori, difesa della salute (interesse naturalmente primario) e difesa anche di altri interessi, come ad esempio quelli economici! L'art. 8 riprende il discorso in relazione alle pratiche fraudolente, ai casi di adulterazione e più in generale ad ogni fatto che conduca in errore il cittadino europeo che acquisti un qualsiasi alimento; le misure volte ad assicurare scelte d'acquisto consapevoli sono, anzitutto, quelle che garantiscono adeguate etichettatura e presentazione di alimenti (o mangimi). Gli operatori del settore degli alimenti e dei mangimi sono obbligati a provvedere affinché etichette e marchi in presentazione dei propri prodotti non siano tali da indurre in errore, più o meno volontariamente, il consumatore.

2.2.5 Principio di trasparenza

Quello della trasparenza sulle attività delle proprie Istituzioni è un principio costituzionalmente radicato in ogni Paese membro e sancito anche in Europa, tant'è che nell'art. 1 del Trattato sull'Unione Europea si auspica che “le decisioni siano

prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”. Il

Regolamento fa suo questo principio dal punto di vista alimentare; nell'art. 9 esso stabilisce che “i cittadini sono consultati in maniera aperta e trasparente, direttamente

o attraverso organi rappresentativi, nel corso dell'elaborazione, della valutazione e della revisione della legislazione alimentare, a meno che l'urgenza della questione non lo permetta”.

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Col Regolamento si decreta il coinvolgimento della società civile, enti di amministrazione, imprese, rappresentanti di categoria, associazioni di consumatori, tutti sono invitati a contribuire attivamente al miglioramento della legislazione comunitaria (una modalità che – come si vedrà meglio nel prossimo capitolo – ricorda da vicino la prassi di stesura di una norma volontaria); in particolare, la Commissione è assistita dal Comitato per la catena alimentare e la salute degli animali, istituito ai sensi dell'art. 58 e costituito da delegati dei vari Paesi membri e presieduto da un rappresentante della Commissione. Inoltre, tramite internet la Commissione ha sviluppato la cosiddetta Intercative Policy Making (Definizione interattiva delle Politiche), un network formato da Euro Info Centres (Eurosportelli) adibiti a raccogliere in forma anonima ogni genere di segnalazione in merito alle più svariate questioni legate alla sicurezza alimentare; i dati emersi vengono poi analizzati da

European Business Test Panels (EBTP), gruppi d'esperti che s'interfacciano con le

Istituzioni Comunitarie

2.2.6 Requisiti generali della legislazione alimentare e obblighi degli operatori

Oltre ai princìpi sopra esposti, il Regolamento fissa pure dei requisiti generali ai quali legislazione comunitaria e nazionale devono adeguarsi: dall'art. 14 all'art. 18 si sancisce che:

• solo alimenti (e mangimi) sicuri possono essere immessi sul mercato;

• etichettatura, presentazione e pubblicità devono essere adatte a ben informare il consumatore e non trarlo in inganno;

• dalla fase di produzione primaria a quella di vendita è allestita la rintracciabilità del prodotto.

L'art. 14 in particolare, rappresenta il vero e proprio “fulcro” d'azione del Regolamento, andando a dettagliare le condizioni per le quali considerare sicuro o meno un alimento: non possono essere immessi sul mercato prodotti a rischio – capaci cioè di arrecare danno alla salute del consumatore – o non idonei al consumo; il criterio d'idoneità rappresenta la più alta garanzia di un elevato livello di tutela della sicurezza alimentare introdotta dal Regolamento, poiché un alimento deteriorato o contaminato da materiale estraneo, indipendentemente dal suo grado di nocività, non

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è adatto ad essere ingerito e va escluso dal circuito di distribuzione. Per l'art.14 condizioni d'uso e informazioni a disposizione del consumatore (comprese, ma non solo, le diciture riportate in etichetta) sono i primi aspetti da prendere in considerazione per definire a rischio un alimento, ma è pure essenziale tenere presente la duplice possibilità di effetti sulla salute a breve e a lungo termine (come avviene per l'ingestione di sostanze cancerogene) e il periodo di esposizione se episodica o continuata; possibili effetti tossici cumulativi, particolari sensibilità (allergie, intolleranze) in particolari categorie di consumatori, putrefazione, deterioramento, decomposizione, sono tutti fattori che escludono la possibilità di immettere sul mercato un alimento, o addirittura interi lotti o partite di alimenti se in essi si ravvisano prodotti non conformi. Stesso discorso per i mangimi; ad un animale destinato alla produzione alimentare non possono essere somministrati mangimi che abbiano un effetto nocivo sulla sua salute o che rendano a rischio l'alimento da esso ottenuto per la presenza di sostanze pericolose provenienti dal mangime stesso (residui).

Con l'art. 17 è definitivamente uniformata la disciplina della responsabilità primaria della salubrità dei prodotti a carico di tutti gli operatori che producono, trasportano, conservano e vendono alimenti e mangimi; in particolare, il Regolamento obbliga i vari operatori europei a garantire che alimenti e mangimi da essi prodotti e/o commercializzati sono ligi alle disposizioni (europee e nazionali) inerenti la loro attività, e ad effettuare verifiche concrete in tal senso. Agli operatori è imposto di identificare e rivedere periodicamente piani di autocontrollo igienico e provvedere all'immediato ritiro dal mercato di prodotti della cui salubrità non siano certi, informando subito le autorità competenti in materia e collaborando con esse in azioni intese a ridurre i rischi.

Come già accennato, un obbligo specifico imposto dal Regolamento a tutti gli operatori alimentari e del settore dei mangimi è la rintracciabilità “degli alimenti, dei

mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime” (art.

18); nonostante essa non sia una novità nel panorama normativo comunitario (Regolamento Ce n. 1907/90, Regolamento Ce n. 1760/2000), è la prima volta che si disciplina direttamente in un regolamento un accurato sistema di controllo che

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consente, tramite raccolta e trasmissione di precise informazioni, di ricostruire l'intero percorso di ogni alimento, di ogni mangime e di qualsiasi sostanza che ne fa parte, in un qualsiasi momento della sua fabbricazione, trasformazione, conservazione, trasporto, vendita. La rintracciabilità rende possibile identificare a monte l'azienda da cui proviene il prodotto in questione e a valle l'azienda alla quale esso è stato fornito; non è un meccanismo con cui garantire l'igiene di un alimento o di un mangime (come ad esempio l'HACCP), piuttosto uno strumento utile nell'attività di gestione del rischio, mirato a migliorare i tempi di reazione in situazioni d'emergenza e agevolare identificazione e ritiro dal mercato di prodotti non idonei. La rintracciabilità deve essere garantita durante tutte le fasi di lavorazione (produzione primaria, trasformazione, conservazione, trasporto, vendita al consumatore) e per ogni tipo di alimento o mangime, sia esso prodotto finito, materia prima o ingrediente. Ogni operatore coinvolto in entrambi i settori deve sapere (e saper dire) da chi ha ricevuto e a chi ha venduto, ma deve essere ancora più chiaro riguardo al cosa: caratteristiche e natura della merce ricevuta (e consegnata), quantitativo espresso in peso o volume, stato di presentazione, nome e ragione sociale del fornitore (e cliente), data di ricezione e spedizione, nome e ragione sociale di chi si occupa del trasporto, sono dati che pur raccolti e archiviati in modo diverso da azienda a azienda, devono comunque essere prontamente disponibili e – se necessario – comunicati in modo tempestivo; a fini fiscali, per prodotti sui quali non sia indicato il termine medio di conservazione, tale documentazione deve essere conservata per un periodo non inferiore ai 5 anni.

La procedura di rintracciabilità è cosa complessa e coinvolge competenze differenti; il Regolamento non prescrive minuziosamente come raggiungere i risultati richiesti, pone l'accento sull'obiettivo lasciando una certa flessibilità di manovra alle imprese, scelta quanto mai utile dal momento che progettazione e attuazione di un sistema di rintracciabilità devono tener conto delle peculiarità del prodotto in oggetto e del suo contesto aziendale. Tra gli espedienti deputati all'approntamento del sistema di rintracciabilità, svolgono un ruolo rilevante le norme tecniche; in effetti, all'indomani dell'emanazione del Regolamento, gli enti di normazione dei vari Paesi membri hanno sfornato decine di standard sui sistemi di rintracciabilità e in Italia hanno avuto larga diffusione le norme UNI 10939 e UNI 11020, la prima sulla

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rintracciabilità all’interno di una filiera produttiva (rintracciabilità inter-aziendale), la seconda riguardo elementi minimi per implementare un sistema di rintracciabilità interno all’azienda (rintracciabilità intra-aziendale) in grado di collegare le materie prime in entrata al prodotto finito in uscita. Dal 2008 tali norme sono state inglobate e sostituite dalla UNI EN ISO 22005:2007.

Naturalmente l'imprevisto è dietro l'angolo, non sempre la mancata rispondenza di un alimento (o di un mangime) ai requisiti di sicurezza imposti dal Regolamento è da addebitare alla negligenza di un operatore e – nonostante il buon esito di tutte le verifiche necessarie – la pericolosità di un prodotto può manifestarsi dopo la sua immissione sul mercato; secondo l'art. 19, nel caso di avvenuta immissione sul mercato di prodotti a rischio (e dei quali quindi non abbiano più il controllo) gli operatori devono:

• avviare immediate procedure per il ritiro del prodotto; • informare le autorità competenti;

• informare i consumatori in modo chiaro ed efficace circa i motivi del ritiro del prodotto.

Nel caso il prodotto “incriminato” sia ancora sotto il controllo dell'operatore responsabile, il Regolamento non ne prevede il ritiro (salvo decisione contraria delle autorità competenti), né d'altro canto attenua l'obbligo dell'azienda di continuare a garantire la salubrità del proprio prodotto; tuttavia, nel caso di prodotti a rischio ancora sotto il controllo dell'operatore, egli – secondo il Regolamento – non è tenuto ad informarne l'autorità competente. Il ritiro dal mercato ha lo scopo di azzerare (o ridurre al massimo) le possibilità che l'alimento giunga al consumatore finale ossia l'ultimo anello della catena alimentare, ma ovviamente non conformità possono verificarsi in qualsiasi punto e, a tal proposito, preme far notare l'importanza di una stretta collaborazione tra i vari soggetti della filiera; inoltre tutti i prodotti appartenenti allo stesso lotto, alla stessa partita o fornitura sono da considerare potenzialmente a rischio e come tali vanno ritirati.

Per quanto i mangimi, l'art. 20 del Regolamento pone agli operatori interessati obblighi in larga misura analoghi agli operatori del settore alimentare ma una specifica differenza concerne il destino del mangime a rischio: oltre al suo ritiro (o

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richiamo nel caso esso sia già in possesso dell'allevatore) e all'immediata notifica alle autorità competenti, gli operatori del settore dei mangimi devono provvedere alla

distruzione del mangime (o dell'intero lotto) salvo decisione contraria delle autorità.

Pur stabilendo gli obblighi sopra esposti, il Regolamento lascia carta bianca agli operatori in merito a modalità e strumenti con cui gestire i propri prodotti a rischio; ne consegue che ciascun operatore può decidere se e come preparare la propria azienda nei casi eventuali di non conformità. L'Europa è grande ed è grande l'eterogeneità (numero di addetti, dimensioni, fatturato, macchinari) di aziende agroalimentari (e mangimistiche) sottoposte al nuovo Regolamento, ma non vi è dubbio che, implicitamente, esso suggerisca l'adozione da parte delle imprese di sistemi di gestione aziendale che standardizzino prassi quotidiane di autocontrollo igienico nel ciclo produttivo, di rintracciabilità esterna e interna, addestramento e motivazione dei propri addetti, scambi di informazioni con fornitori e clienti.

2.2.7 L'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare

L'intero terzo Capo del Regolamento è dedicato all'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, organo comunitario indipendente di consulenza scientifica e di comunicazione sui rischi associati alla catena alimentare; nel Libro Bianco sulla sicurezza alimentare l’istituzione dell’agenzia era considerata la “risposta più

appropriata all'esigenza di garantire un elevato livello di sicurezza alimentare”, ma

allo stesso tempo la Commissione auspicava che tale autorità fosse istituita una volta varata la legislazione concernente tutti gli aspetti dei prodotti alimentari, così come richiamato nel Libro verde sui principi generali della legislazione in materia alimentare. Il Libro Bianco è stato un vero e proprio punto di svolta nel delineare le strategie della Comunità Europea in materia, portando nel giro di pochi anni ad un nuovo assetto politico, giuridico e amministrativo in tema di controllo, sicurezza e comunicazione all'interno dell'UE. Attraverso le azioni di comunicazione, l’EFSA sensibilizza le implicazioni del proprio operato in ambito scientifico, con l'obiettivo di fornire comunicazioni accurate e puntuali su questioni di sicurezza alimentare a tutte le parti interessate e al pubblico in generale, sulla base dell'autorevolezza scientifica che contraddistingue la sue attività di valutazione del rischio; al fine di espletare i propri compiti e funzioni, l’Autorità “agisce in stretta collaborazione con gli organi

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competenti che negli Stati membri svolgono funzioni analoghe alle sue. L'Autorità, la Commissione e gli Stati membri collaborano per promuovere l'effettiva coerenza fra le funzioni di valutazione del rischio, gestione del rischio e comunicazione del rischio. Gli Stati membri collaborano con l'Autorità ai fini dell'espletamento delle sue funzioni”.

Le competenze affidate all'Autorità in materia di valutazione e comunicazione del rischio si estendono a tutte quelle questioni che hanno un impatto sulla sicurezza dell'intera catena di approvvigionamento di alimenti e mangimi, e sulla salute e sul benessere di animali e piante; i principali compiti demandati all’Autorità sono:

• “fornire alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri i migliori pareri scientifici in

tutti i casi previsti dalla legislazione comunitaria e su qualsiasi questione di sua competenza”;

• “coordinare la definizione di medesime metodologie di valutazione del rischio”; • “fornire alla Commissione un’assistenza scientifica e tecnica nelle materie di sua

competenza”;

• “commissionare studi scientifici necessari all’espletamento dei suoi compiti”; • “ricercare, raccogliere, confrontare, analizzare e sintetizzare i dati scientifici e

tecnici nei settori di sua competenza”;

• “intervenire per individuare e definire i rischi emergenti nei settori di sua

competenza”;

• “creare un sistema di reti tra organizzazioni operanti nei settori di sua

competenza, del cui funzionamento è responsabile”;

• “prestare assistenza scientifica e tecnica nelle procedure di gestione delle crisi”; • “fornire, su richiesta della Commissione, assistenza scientifica e tecnica allo

scopo di migliorare la collaborazione tra la Comunità, i Paesi candidati, le organizzazioni internazionali e i Paesi terzi”;

• “fare in modo che i cittadini e le parti interessate ricevano informazioni rapide,

affidabili, obiettive e comprensibili nei settori di sua competenza”;

• “formulare in modo indipendente conclusioni ed orientamenti su materie di sua

(16)

L'EFSA è dotata di personalità giuridica e svolge le proprie funzioni attraverso i seguenti organi:

• un Consiglio di amministrazione;

• un Direttore esecutivo, con il relativo personale; • un Foro consultivo;

• un Comitato scientifico e otto gruppi di esperti.

Il Consiglio di amministrazione è composto da quattordici membri nominati dal Consiglio in consultazione con il Parlamento Europeo, sulla base di un elenco stilato dalla Commissione; quattro membri rappresentano i consumatori e le associazioni con interessi nella catena alimentare, durano in carica quattro anni e il loro mandato può essere rinnovato una sola volta. Il Consiglio di amministrazione – presieduto da un presidente eletto tra i membri con mandato biennale rinnovabile – è l’organo garante dell’operato dell’Autorità. Prima del 31 gennaio di ogni anno il Consiglio di amministrazione adotta il programma di lavoro dell’Autorità per l’esercizio successivo e un programma pluriennale suscettibile di revisione, provvedendo che entrambi siano coerenti con le priorità legislative e strategiche della Commissione nel campo della sicurezza alimentare; esso inoltre, prima del 30 Marzo di ogni anno, adotta la relazione generale sull'attività dell'Autorità per l'anno precedente, e – d'intesa con la Commissione e previo parere della Corte dei Conti – approva il regolamento finanziario che prevede la procedura di formazione ed esecuzione del bilancio dell'Autorità stessa.

Il Direttore esecutivo, nominato dal Consiglio di amministrazione su proposta della Commissione per un periodo di cinque anni rinnovabile, è il rappresentante legale dell'EFSA; egli è incaricato al disbrigo degli affari correnti dell'Autorità, di elaborare assieme alla Commissione il suo programma di lavoro, di attuare tali programmi e le decisioni del Consiglio di amministrazione, di garantire che venga fornito un adeguato sostegno scientifico, tecnico e amministrativo al Comitato scientifico e ai gruppi di esperti, di preparare il bilancio, e di gestire tute le questioni relative al personale. Il Direttore inoltre, trasmette i programmi e la relazione generale adottati dal Consiglio di amministrazione al Parlamento, al Consiglio UE, alla Commissione e ai Paesi membri, disponendone la pubblicazione.

(17)

Il Foro consultivo è composto dai rappresentanti degli organi competenti che svolgono nei Paesi membri funzioni analoghe a quelle dell'Autorità, in ragione di un rappresentante per ogni Paese membro; il Foro sostiene il Direttore esecutivo, consigliandolo nello svolgimento dei propri compiti e garantendo la piena collaborazione tra l'Autorità e gli organi stessi.

Il Comitato scientifico è costituito dai gruppi di esperti e da sei esperti indipendenti; esso è responsabile del coordinamento generale, necessario per garantire la coerenza nella formulazione dei pareri scientifici, con particolare riferimento all'adozione delle procedure operative e all'armonizzazione dei metodi di lavoro.

Gli otto gruppi di esperti permanenti e indipendenti sono incaricati sulla base delle proprie competenze su:

• additivi e aromatizzanti, coadiuvanti tecnologici e materiali a contatto con gli alimenti;

• additivi e prodotti utilizzati nella fabbricazione di mangimi; • prodotti fitosanitari e loro residui;

• OGM;

• prodotti dietetici, intolleranze ed allergie; • pericoli biologici;

• contaminanti della catena alimentare; • salute e benessere degli animali.

I gruppi sono costituiti da un numero variabile di addetti, adattabile a seconda delle esigenze, e comunque nominati dal Consiglio di amministrazione su proposta del Direttore esecutivo, con mandato triennale rinnovabile.

Il compito principale dell'EFSA è, si ribadisce, formulare pareri scientifici, su richiesta della Commissione, del Parlamento europeo, di ciascun Paese membro, nonché di propria iniziativa in merito a qualsiasi questione che abbia un’incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti. La Commissione può altresì chiedere all’Autorità di prestare assistenza scientifica e tecnica in tutte le materie di sua competenza, nel qual caso possono essere applicati quei princìpi scientifici e tecnici che non necessitano di una valutazione scientifica da parte del comitato o di un gruppo di esperti competenti. All’Autorità spetta l’ulteriore compito di commissionare

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gli studi scientifici necessari all’espletamento delle proprie funzioni, inoltre la Commissione le ha demandato la responsabilità di ricercare, raccogliere, confrontare, analizzare e sintetizzare dati scientifici e tecnici significativi nei settori di sua competenza.

L'EFSA è deputata all’attività di sorveglianza, attraverso una sistematica ricerca e raccolta di dati e informazioni, finalizzata all’individuazione dei rischi emergenti; nell’assolvimento di tale funzione di sorveglianza l’Autorità analizza i messaggi che transitano per il Sistema di Allarme Rapido (di cui all'art. 50) al fine di poter fornire tutte le informazioni necessarie relative all’analisi del rischio. All’Autorità viene affidato in particolare il compito di promuovere la costituzione e gestire il collegamento di efficaci reti di organizzazioni che operano nei settori di sua competenza.

Data l'eterogeneità delle mansioni corredate dall'EFSA, è più che possibile la presenza di pareri divergenti tra gruppi di ricerca di istituzioni (nazionali e/o europee) diverse in merito allo stesso oggetto d'analisi, e naturalmente ciò può comportare l'adozione di misure di sicurezza alimentare discordanti da Paese a Paese, innescando nuovi ostacoli alla libera circolazione di alimenti e mangimi; il Regolamento prevede due possibilità e cioè che le controversie emergano in seno ad un organo della Commissione o ad un ente nazionale. In entrambi i casi è prevista una collaborazione supplementare tra l'EFSA e l'organo in questione e la stesura di un documento pubblico contenente i motivi di tali discordanze con i risultati della loro eventuale rettifica.

Oltre alla formulazione di pareri, oltre all'attività di consulenza e oltre alla raccolta di dati scientifici, l'EFSA, come già anticipato, si occupa pure di far circolare l'ampia gamma di informazioni raccolte e, data la sua indipendenza, è essenziale che essa svolga tale ruolo in maniera autonoma e trasparente, per fornire indicazioni chiare affidabili obiettive; gli uffici di pertinenza sono:

• il Dipartimento di Comunicazione;

• il Forum Consultivo sulle comunicazioni;

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Il primo si occupa fisicamente della divulgazione tramite il Web e organi di stampa o per mezzo di esposizioni, eventi e programmi di formazione con gruppi di interlocutori sociali; il secondo – che è presieduto dal direttore delle comunicazioni e si riunisce quattro volte l'anno – coordina le migliori prassi e favorisce la presenza di messaggi uniformi riguardo la circolazione del rischio in tutta Europa; il terzo è l'organo dell'EFSA più vicino al consumatore e alle sue reazioni in seguito alle sue divulgazioni, è composto da sette membri esperti di comunicazione, sensibili all'ampia diversità culturale – in termini di tradizioni culinarie e comportamento alimentare – che attraversa l'Europa e che assistono il direttore esecutivo nelle sue attività.

2.2.8 Procedure in materia di sicurezza alimentare

Quelli sopra esposti sono gli obblighi cui sono tenuti gli operatori dei vari Paesi membri, ma in caso d'emergenza sanitaria nel settore alimentare cosa fanno le Istituzioni Comunitarie? Come risposta, nel quarto capo il Regolamento stabilisce tre meccanismi complementari e graduali: anzitutto, esso istituisce un Sistema di

Allarme Rapido per gli Alimenti e per i Mangimi per la notificazione dei rischi diretti o

indiretti per la salute umana dovuti ad alimenti o mangimi (artt. 50-52); in secondo luogo, disciplina l'adozione di misure urgenti nelle situazioni d'emergenza, intendendo come tali quelle circostanze nelle quali sia manifesto che alimenti o mangimi di origine comunitaria o provenienti da un Paese terzo possano comportare un grave rischio per la salute umana, per salute degli animali o per l'ambiente, e che tale rischio non possa essere adeguatamente affrontato dai singoli Paesi membri interessati: spetta in tal caso alla Commissione, assistita dal Comitato permanente

per la catena alimentare e la salute degli animali (di cui all'art. 58), l'adozione di

misure che possono variare in funzione della gravità della situazione e della provenienza degli alimenti e dei mangimi in questione (artt. 53-54); infine, con riferimento a situazioni di estrema gravità che non possono essere appropriatamente gestite mediante il solo impiego dei predetti strumenti, il Regolamento dispone che la Commissione si doti di un Piano generale per la gestione della crisi e che – in caso di necessità – istituisca un'apposita unità di crisi (artt. 55-57).

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Nel quadro così delineato, il Sistema di Allarme Rapido (nel prosieguo: RASFF

Rapid Alert System for Food and Feed) svolge un ruolo fondamentale. Esso, infatti,

consentendo la rapida circolazione delle informazioni tra le autorità competenti in materia di sicurezza alimentare, non solo ne agevola il coordinamento, ma fornisce alla Commissione gli elementi informativi sulla cui base quest’ultima può decidere di intervenire in prima persona, adottando misure urgenti e/o attivando le procedure previste dal piano generale per la gestione delle crisi. Il RASFF concorre, inoltre, a informare la cittadinanza comunitaria, dal momento che il Regolamento dispone che essa abbia accesso alle informazioni in esso presenti che non sono coperte dal segreto professionale.

Analogamente alla rintracciabilità, esso non è cosa nuova nella legislazione alimentare comunitaria, già nella Decisione n. 84/133/CEE il Consiglio dei ministri europei varava l'instaurazione di un sistema comunitario per lo scambio di informazioni sui pericoli derivanti dall'uso dei prodotti di consumo, e con la Direttiva

n. 2001/95/CEE (che abrogava la direttiva 92/59, menzionata nel paragrafo

precedente) istituiva il RAPEX (Rapid Exchange of Information System), un sistema di allarme utile allo scambio rapido di informazioni tra Paesi membri e Commissione sulle misure adottate per prevenire l'immissione sul mercato, o l'utilizzo, di prodotti recanti rischi per la salute e la sicurezza dei consumatori; il Regolamento ha tuttavia disegnato un sistema più ampio rispetto al precedente, sia a livello di soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nel suo funzionamento, sia a livello delle informazioni oggetto di notifica.

Il Regolamento dispone, innanzitutto, che partecipino al RASFF, designando ciascuno un punto di contatto, non solo i Paesi membri (per l'Italia il Ministero della

Salute) e la Commissione, ma anche l’EFSA. Come già detto, quest’ultima tra i molti

ha anche il compito di analizzare i messaggi che transitano per il sistema, così da fornire alla Commissione e ai Paesi membri le informazioni scientifiche e tecniche necessarie all’analisi del rischio e, specificamente, alla sua gestione. Il RASFF si caratterizza, inoltre, per la sua proiezione verso l’esterno dell’Unione: da un lato, infatti, il Regolamento consente la partecipazione al sistema – sulla base di accordi stipulati con l’UE e basati sul principio della reciprocità – di Paesi candidati, Paesi terzi o organizzazioni internazionali, dall’altro, impone alla Commissione di informare

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il Paese terzo di volta in volta interessato in due circostanze:

• quando una partita, un container o un carico di alimenti o mangimi originari di un Paese terzo siano stati respinti a un posto di frontiera dell’Unione;

• quando un alimento o un mangime oggetto di notifica nell’ambito del RASFF sia stato spedito in un Paese terzo.

A ciò si aggiunga che il RASFF – in considerazione del carattere sempre più spesso globale delle emergenze riguardanti la sicurezza alimentare – interagisce con l’INFOSAN (International Food Safety Authorities Network), costituito a livello mondiale su iniziativa congiunta dei due istituti specializzati delle Nazioni Unite con specifiche competenze in materia di sicurezza degli alimenti, ossia la World Health

Organization (WHO) e la Food and Agriculture Organization (FAO).

Quanto alle informazioni oggetto di notifica, il RASFF si differenzia sotto diversi profili dal preesistente sistema d’allarme rapido fondato sulla direttiva 92/59; in primo luogo, avendo ad oggetto unicamente i prodotti destinati ai consumatori o suscettibili di essere destinati ai consumatori, quel sistema non includeva i mangimi; la considerazione che la BSE era stata originata proprio da forme di contaminazione dei mangimi ha tuttavia indotto a inserire anche questi ultimi nel RASFF – in piena coerenza, d’altra parte, con quell’approccio “integrato” o “globale” che costituisce uno dei principi ispiratori del Regolamento, ben espresso nel Considerando n. 12 dello stesso, laddove si afferma che “per garantire la sicurezza degli alimenti occorre

considerare tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare come un unico processo (...), in quanto ciascun elemento di essa presenta un potenziale impatto sulla sicurezza alimentare”. In secondo luogo, va osservato che, ai sensi dell’art. 8

della direttiva 92/59, l’obbligo di informare d’urgenza la Commissione sussisteva per i Paesi membri solamente nell’ipotesi in cui essi avessero preso o deciso di prendere misure urgenti volte ad impedire, limitare o sottoporre a particolari condizioni la commercializzazione o l’uso di un prodotto o di un lotto di un prodotto, a causa di un rischio grave ed immediato per la salute e la sicurezza dei consumatori; prima di tale decisione, la scelta di mettere al corrente la Commissione dei dati in proprio possesso in relazione ad un simile rischio era meramente facoltativa.

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Il Regolamento invece – pur elencando alcune tipologie di provvedimenti che i Paesi membri devono immediatamente notificare alla Commissione – prescinde dall’adozione di tali provvedimenti laddove stabilisce che ogni membro della rete, qualora sia in possesso d’informazioni riguardanti l’esistenza di un grave rischio, diretto o indiretto, per la salute umana dovuto ad alimenti o mangimi, debba immediatamente trasmetterle alla Commissione attraverso il RASFF; si può cogliere in questa previsione un mutamento di prospettiva del legislatore, per il quale la funzione di sorveglianza, monitoraggio e reazione alle emergenze diviene preponderante rispetto a quella di controllo della compatibilità delle misure adottate dai Paesi membri con il diritto dell’Unione.

Muta, infine, la stessa qualificazione del rischio rilevante ai fini del ricorso al sistema: il citato art. 8 della direttiva 92/59 limitava, infatti, il proprio ambito di applicazione all’ipotesi di “un rischio grave ed immediato (...) per la salute e la

sicurezza dei consumatori”; l’art. 50 del Regolamento, invece, definisce il RASFF

come uno strumento per la notificazione di “un rischio diretto o indiretto per la salute

umana”, in un'accezione senz’altro più ampia della precedente; i successivi paragrafi

dello stesso art. 50, tuttavia, se da un lato confermano che il rischio rilevante può anche avere un carattere meramente indiretto, dall’altro sembrano circoscrivere l’obbligo di notificazione ai soli rischi che abbiano natura “grave”.

Per quanto riguarda la misure da adottare in caso d'emergenza, è anzitutto essenziale che esse siano adeguate e uniformi in tutta l'eurozona; più precisamente, l'art.53 del Regolamento prevede che di fronte a situazioni di grave emergenza derivanti dalla circolazione di alimenti o mangimi a rischio per la salute umana, la Commissione agisca o di propria iniziativa o su richiesta di un Paese membro coadiuvata dal Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali: nel caso l'alimento o il mangime sia d'origine comunitaria, può sospenderne l'immissione sul mercato, dettare “condizioni particolari” per la sua circolazione o adottare provvedimenti alternativi, se è di provenienza extracomunitaria, essa può sospenderne l'importazione e determinarne le condizioni particolari per l'utilizzo. Da ultimo, l'art. 54 stabilisce che qualora la Commissione, pur sollecitata da un Paese membro, dovesse non prendere provvedimenti, quest'ultimo può agire autonomamente in materia di tutela della salute alimentare; nel qual caso, esso è

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tenuto ad informare gli altri Paesi membri e la Commissione stessa che – previa consultazione col Comitato – valuterà la ragionevolezza delle misure adottate, e se sia il caso di prorogarle, modificarle o abrogarle.

Il terzo dei meccanismi succitati rientra nella gestione di possibili crisi alimentari, con la stesura di un Piano generale e l'istituzione di un'unità di crisi; il primo – elaborato dalla Commissione in stretta collaborazione dell'EFSA e di tutti i Paesi membri – prevede l'utilizzo di dispositivi comunitari per fronteggiare emergenze che i singoli Paesi membri non riescono a gestire, la seconda – alla quale partecipa l'EFSA in qualità di assistente e consulente – ha il compito di raccogliere il maggior numero possibile di dati e informazioni per valutare correttamente la situazione e fornire alla Commissione il quadro esatto nella sua opera di stesura del Piano generale.

L'ultimo capo del Regolamento è rivolto alle disposizioni finali: dall'art. 58 al 65 si introducono il Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali e le sue mansioni e si definisce il ruolo di mediatore della Commissione qualora un Paese membro ritenga che una qualsiasi misura adottata da un altro collida col Regolamento o col buon funzionamento del Mercato Interno (a tal riguardo, “se non è

possibile giungere a un accordo, la Commissione può chiedere all'Autorità un parere su ogni pertinente questione scientifica controversa”); si dispongono le clausole di

revisione sui risultati dell'operato dell'EFSA e si reindirizzano a lei e al neo Comitato i riferimenti originari dei vari Comitati preesistenti; si ricordano le leggi comunitarie precedenti alle quali l'EFSA deve attenersi in termini di farmaci e medicinali e si annuncia la data di entrata in vigore.

2.3 Atti seguenti il Regolamento Ce n. 178/2002

Dopo l'adozione del Regolamento, i princìpi e le novità introdotte hanno pervaso l'impegno del legislatore nel continuare a garantire un elevato livello di protezione sanitaria in materia alimentare; nei Consideranda di disposizioni come il

Regolamento n. 1829/2003/Ce sugli OGM e il Regolamento n. 1830/2003/Ce sulla

tracciabilità e l'etichettatura degli OGM e dei mangimi da essi ottenuti, o come la

Direttiva n. 2003/99/Ce sulla sorveglianza degli agenti zoonotici e della loro

resistenza agli antimicrobici, tornano numerosi i riferimenti all'EFSA o al Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali o alle metodiche di analisi del rischio.

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Molto sinteticamente, le principali novità introdotte col regolamento 1829/2003 riguardano etichettatura, soglie di tolleranza e procedure di autorizzazione.

L'etichettatura deve indicare non soltanto la presenza di OGM ma anche il fatto che

un alimento o mangime, o loro ingredienti, siano derivati da OGM, pure in assenza di tracce residue di singole proteine o DNA geneticamente modificati; in linea con le regole generali sull’etichettatura, il regolamento non richiede l’etichettatura specifica di prodotti non qualificati come ingredienti (es. coadiuvanti tecnologici), né viene prescritta l’indicazione della presenza/derivazione da OGM per prodotti di origine animale (es. carne, latte, uova) provenienti da animali nutriti con mangimi OGM o trattati con medicinali di origine OGM. Sulle soglie di tolleranza il legislatore comunitario prende atto della sostanziale impossibilità – nell’UE come in Paesi terzi – d'impedire la presenza, accidentale o tecnicamente inevitabile, di materiale OGM nei prodotti convenzionali; presenza che può occorrere durante le fasi di coltivazione, manipolazione, stoccaggio, trasporto. Di conseguenza, vengono fissati limiti di accettabilità: 0,9%, per gli OGM autorizzati e 0,5%, per gli OGM non ancora autorizzati, purché già valutati favorevolmente dai Comitati Scientifici europei; residui di OGM in quantitativi inferiori ai limiti suddetti non richiederanno alcuna indicazione specifica in etichetta né la tracciabilità, a condizione che gli operatori siano in grado di dimostrare di aver preso tutte le misure appropriate per evitarne la presenza. Le

procedure di sorveglianza vengono affidate all’esclusiva competenza della Comunità

ed è stabilita una procedura centrale e unitaria: gli operatori rivolgono all’EFSA una richiesta unica di autorizzazione per ciascun OGM e i suoi possibili utilizzi alimentari/mangimistici. L’Autorità provvede all’analisi scientifica del rischio e il suo parere viene trasmesso alla Commissione e ai Paesi membri ai quali è permesso presentare osservazioni per voce dei propri rappresentanti. Sulla base della valutazione scientifica, la Commissione propone una Decisione (di autorizzazione o diniego), che deve essere approvata a maggioranza qualificata dei Paesi membri, riuniti in un Comitato Regolativo. I prodotti autorizzati sono inseriti in un registro pubblico degli alimenti e mangimi OGM; le autorizzazioni hanno efficacia decennale e possono essere rinnovate, se del caso, a seguito di valutazione degli effetti della loro immissione sul mercato.

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regole sulla tracciabilità degli OGM e loro derivati; il campo di applicazione è esteso a tutti gli alimenti e mangimi che – interamente o in parte – consistono, contengono o sono derivati da OGM, pur in assenza di relative tracce ma sono esclusi i prodotti medicinali, per utilizzo umano o veterinario; il principio di base è identico a quello delineato nel Regolamento, e cioè in tutte le fasi di produzione e distribuzione, ciascun operatore che tratti prodotti contenenti o derivati da OGM deve fornire al cliente una specifica informazione al riguardo. Tale informazione deve essere estesa per iscritto e compresa nei documenti di accompagnamento di materie prime/ingredienti/alimenti/mangimi e contenere la precisa indicazione degli OGM utilizzati: a tal fine, sono stati elaborati appositi identificatori unici da assegnare a ciascuno degli OGM la cui presenza è autorizzata o tollerata nell’UE. La sorveglianza sul corretto svolgimento di questi passaggi rimane ai Paesi membri.

Nella direttiva 2003/99 si affida ai Paesi membri la responsabilità della definizione e dell’applicazione dei sistemi di sorveglianza riguardo le patologie animali trasmissibili all'uomo in ogni fase della catena alimentare, dalla produzione primaria alla produzione di alimenti di origine animale e di mangimi; animali e fasi della catena alimentare, natura e tipo di dati da raccogliere, schemi di campionamento e metodi di analisi da utilizzare, frequenza della notifica dei dati sulle malattie o sui rischi, sono tutte procedure che le autorità competenti nazionali devono mettere in pratica e i cui risultati devono essere prontamente forniti alla Commissione che, a sua volta, li comunica all'EFSA.

2.3.1 Il Pacchetto Igiene

Il 2004 è stato l'anno di un altro considerevole passo in avanti nella costruzione di quel nuovo assetto giuridico in tema di sicurezza alimentare prospettato dal Libro Bianco del 2000: il 29 Aprile, Parlamento europeo e Consiglio dei ministri hanno promulgato i quattro regolamenti fondamentali mediante i quali l'UE ha rielaborato e uniformato i princìpi d'igiene delle proprie produzioni alimentari unitamente ad un relativo quadro comunitario di controlli sanitari. Meglio noti come “Pacchetto Igiene”, i

Regolamenti Ce n. 852/2004, n. 853/2004, n. 854/2004 e n. 882/2004 rappresentano

la naturale prosecuzione del percorso legislativo già delineato nel regolamento 178/2002; in effetti, se da un lato il Regolamento contiene requisiti e princìpi dai quali

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partire per rifondare una nuova disciplina alimentare europea, dall'altro il pacchetto igiene fornisce gli strumenti e le modalità di attuazione. Essi sono finalizzati a garantire un livello elevato di tutela della salute del cittadino europeo assicurando l’immissione sul mercato di alimenti sicuri e sani; uno degli obiettivi fondamentali del pacchetto igiene è quello di unificare la legislazione di tutti i Paesi membri in modo tale da definire i medesimi requisiti di sicurezza degli alimenti. Attraverso esso, ogni Paese membro è obbligato a far seguire gli stessi criteri d'igiene alle proprie imprese agroalimentari, criteri che secondariamente si traducono in standard omologhi sui quali effettuare controlli sanitari uniformi su tutto il territorio comunitario. Stesso discorso già fatto per il regolamento 178/2002, il pacchetto igiene ha il pregio di ovviare alle complicazioni derivanti dalle differenze tra le legislazioni dei vari Paesi riguardo ai concetti, ai princìpi e alle procedure in materia d'igiene alimentare: la stessa norma quadro 93/43 di cui si è parlato in precedenza (e abrogata dal regolamento 852/2004), pur nella sua portata, era comunque una direttiva, e come tale lasciava ai Paesi membri quella libertà di manovra capace di creare condizioni di concorrenza non omogenee e avere quindi un'incidenza diretta sul funzionamento del Mercato Interno della Comunità.

I capisaldi normativi del pacchetto igiene sono riassumibili in tre punti:

• attuazione di una politica igienica “dai campi alla tavola”, che copra tutti gli alimenti in tutti i settori, comprendendo i mangimi;

• responsabilità primaria del produttore, che userà programmi di autocontrollo secondo il sistema HACCP e tecniche preventive di controllo dei pericoli mediante applicazione delle cosiddette buone prassi di igiene;

• responsabilità del Paese Membro che deve garantire il controllo di tutti gli operatori del settore alimentare (i servizi del controllo pubblico rappresentano i garanti della puntuale applicazione della normativa comunitaria e degli eventuali accordi stipulati con Paesi terzi).

Quella che segue è una sintetica rassegna di ciascuno dei regolamenti suddetti.

2.3.1.1 Il Regolamento Ce n. 852/2004

2.3.1.1 Il Regolamento Ce n. 852/2004

2.3.1.1 Il Regolamento Ce n. 852/2004

2.3.1.1 Il Regolamento Ce n. 852/2004

Il regolamento 852/2004 è destinato agli operatori del settore alimentare (OSA) e stabilisce norme generali in materia di igiene di tutte le preparazioni alimentari; ha

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validità generale e fissa i requisiti base a cui devono attenersi le aziende alimentari, e che va a sostituire de facto la direttiva 93/43 sull’igiene degli alimenti. Il regolamento 852/2004 tiene conto in particolare dei seguenti principi:

• la responsabilità principale per la sicurezza degli alimenti è degli OSA;

• la sicurezza deve essere garantita lungo tutta la filiera alimentare, a partire dalla produzione primaria attraverso tutte le fasi di trasformazione e distribuzione e fino al consumatore, con particolare riferimento al mantenimento della catena del freddo e all’applicazione generalizzata di una corretta prassi igienica, oltre che di procedure basate sui principi del sistema HACCP;

• gli operatori possono utilizzare dei manuali di corretta prassi operativa e igienica, di cui viene riconosciuta l’importanza e incoraggiata la diffusione; • è necessario stabilire criteri microbiologici e requisiti in materia di controllo

delle temperature sulla base di una valutazione scientifica dei rischi;

• gli alimenti importati da Paesi Terzi devono rispondere almeno agli stessi standard igienici stabiliti nella Comunità Europea, o a norme equivalenti.

Il regolamento si applica a tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti, comprese produzione primaria ed esportazioni; sono invece escluse dal campo di applicazione la produzione primaria per autoconsumo, la preparazione, la manipolazione e conservazione domestica di alimenti per consumo privato, la vendita diretta di piccole quantità di prodotti primari (dal produttore al consumatore o a dettaglianti locali), e la produzione di materie prime per gelatina alimentare o collagene.

Gli OSA sorvegliano che tutte le fasi di cui sono responsabili, dalla produzione primaria fino alla vendita al consumatore finale, si svolgano in maniera igienica, in conformità alle disposizioni del presente regolamento.

Le indicazioni specifiche per gli operatori sono raccolte in due allegati:

• Allegato 1, relativo ai requisiti d’igiene per la produzione primaria e le operazioni associate (trasporto, magazzinaggio, manipolazione di prodotti primari sul luogo di produzione, trasporto di animali vivi, trasporto per la consegna dal luogo di produzione a uno stabilimento di lavorazione per i prodotti vegetali e per quelli della pesca e della caccia);

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• Allegato 2, relativo ai requisiti d’igiene applicabili a tutti gli OSA (diversi da quelli elencati nell’Allegato 1).

Da detti allegati discende una serie di obblighi per gli operatori (protezione dei prodotti primari dalle contaminazioni, adozione di misure di controllo delle contaminazioni e di misure relative alla salute ed al benessere di animali e piante) da ottemperare attraverso l’attuazione di misure specifiche quali la progettazione dei locali, la pulizia degli impianti delle attrezzature e dei veicoli, l'utilizzo di acqua potabile, lo smaltimento dei rifiuti, la formazione del personale, l'utilizzo corretto di fitofarmaci e di medicinali, la pulizia degli animali inviati al macello, le analisi e via dicendo; gli operatori devono dimostrare il raggiungimento degli obiettivi di igiene del regolamento e le eventuali misure specifiche applicabile alle loro lavorazioni. A tal proposito, è previsto che vengano tenute e conservate documentazioni e registrazioni pertinenti da lasciare a disposizione delle autorità e degli operatori che ricevono il prodotto.

Un particolare accento viene posto sulla produzione primaria (comunque esclusa con questo regolamento dall’obbligo del sistema di autocontrollo, se non si effettuano attività di prima lavorazione del prodotto agricolo, quali pulitura, lavaggio o semplice stoccaggio), che le precedenti normative non avevano agganciato all’aspetto preventivo; le novità per il settore primario sono riassunte nell’Allegato 1 e riguardano norme di tipo igienico. I pericoli alimentari presenti a livello della produzione primaria devono comunque essere identificati e controllati per garantire il conseguimento degli obiettivi del regolamento: si tratta di un primo passo per inserire la fase primaria nei processi di analisi del rischio e portarla, a piccoli passi, all’applicazione generalizzata del sistema HACCP. D'altra parte si riconosce che i princìpi dell’HACCP non sono immediatamente applicabili alla produzione primaria su base generale (in special modo nelle piccole realtà produttive), quindi in questo ambito è necessario adottare misure preventive e di controllo con modalità semplificate di registrazione e documentazione mediante il ricorso a manuali di buona prassi igienica.

In effetti, se da una parte il legislatore comunitario prevede che in ogni azienda del settore sia applicato un sistema di autocontrollo in conformità ai princìpi del sistema

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