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Le banche davanti alla sfida del social media marketing

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

MARKETING E RICERCHE DI MERCATO

Tesi di Laurea

LE BANCHE DAVANTI ALLA SFIDA

DEL SOCIAL MEDIA MARKETING

Relatore: Candidato:

Prof. Alessandro Gandolfo Giulia Oliveri

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A Simona, nonno Angiolino e Tommaso, senza i quali non sarei la persona che sono oggi,

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Sommario

INTRODUZIONE ... 1

1. L’IMPORTANZA DELLE RELAZIONI TRA IMPRESE E CONSUMATORI ... 3

1.1 Dal marketing tradizionale al marketing relazionale ... 3

1.2 La relazione azienda-cliente: la co-creation ... 11

2. SOCIAL MEDIA E SOCIAL NETWORK: UN MONDO SEMPRE PIU’ SOCIAL ... 17

2.1 Web 2.0, social media e social network ... 17

2.1.2 Utilizzo di Internet e dei social media in Italia ... 20

2.2 I social media come strumento di coinvolgimento degli utenti ... 23

2.3 Benefici e rischi dell’utilizzo dei social media in ambito business ... 26

3. LE BANCHE NELL’ERA DIGITALE ... 31

3.1 Banche: da Brick and Mortar a Click and Mortar ... 31

3.2 Utilizzo dei canali social da parte delle banche ... 35

3.3 Pro e contro del social banking ... 39

4. OBIETTIVI E METODOLOGIA DI RICERCA ... 43

4.1 Obiettivi della ricerca ... 43

4.2 Costruzione del campione ... 44

4.2.1 BNL – Gruppo BNP Paribas... 45

4.2.2 UniCredit ... 47

4.2.3 ING Direct ... 49

4.2.4 WeBank ... 50

4.3 Scelta dei social network di riferimento ... 52

4.3.1 Facebook ... 52

4.3.2 Twitter ... 53

4.4 Comunicare sui social ... 55

4.5 Strumenti di ricerca e raccolta dei dati ... 57

4.5.1 Metodologia di raccolta dei dati: monitoraggio e rilevazione ... 58

4.5.2 Metodologia di classificazione dei dati: Content Analysis ... 62

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4.5.4 Il grado di coerenza: l’indice K di Cohen ... 72

5. RISULTATI DELLA RICERCA ... 75

5.1 Panoramica sui dati raccolti ... 75

5.2 Analisi contenuti Out... 90

5.2.1 Panoramica sui contenuti Out ... 90

5.2.2 Analisi dei contenuti out in base alla tipologia di banca ... 93

5.2.3 Analisi dei contenuti out in base alle banche monitorate ... 102

5.3 Analisi contenuti In ... 115

5.3.1 Panoramica contenuti In ... 115

5.3.2 Analisi dei contenuti In in base alla tipologia di banca ... 120

5.3.3 Analisi dei contenuti In in base alle banche monitorate ... 124

5.4 Limiti della ricerca ... 128

6. CONCLUSIONI E CONSIGLI ALLA COMMITTENZA ... 131

BIBLIOGRAFIA ... 137

SITOGRAFIA ... 141

APPENDICE ... 143

Tabelle ... 143

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INTRODUZIONE

La proliferazione dei media, la globalizzazione dei mercati e l'emergere di una nuova generazione di tecnologie dell'informazione e della comunicazione - Internet è la più importante di esse - stanno cambiando le regole di marketing e le dinamiche del mercato indebolendo la posizione competitiva aziendale e presentando agli individui molte nuove opportunità.

Le aziende, da quelle di produzione a quelle di servizi, bancarie, finanziarie, devono fronteggiare questi cambiamenti, andando incontro alle nuove esigenze e ai nuovi desideri dei consumatori, così come al loro nuovo modo di approcciarsi agli strumenti di comunicazione e al mercato dei consumi. In particolare, i cambiamenti indotti dalla tecnologia e dalla comunicazione portano le imprese a dover modificare le proprie strategie di comunicazione e di vendita, a fronteggiare la nuova sfida dei social media. Mediante il monitoraggio e l’ascolto dei social network Facebook e Twitter, avvalendosi della content analysis, in questo lavoro di ricerca si è andati ad analizzare il comportamento che quattro istituti bancari adottano sui social network per interfacciarsi con i propri stakeholder. Parallelamente, si è analizzato anche come gli utenti si rivolgano alle banche e se queste riescano a instaurare con essi un dialogo. Al termine di questo lavoro di ricerca è emerso come le banche applichino tutte le buone pratiche che si evincono in letteratura, ma nonostante questo gli utenti non siano particolarmente attivi e reattivi sulle pagine in analisi. Appare quindi necessario attuare strategie che coinvolgano l’utente, lo facciano sentire parte centrale dell’attività del proprio istituto bancario e stuzzichino la sua curiosità.

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1. L’IMPORTANZA DELLE RELAZIONI TRA IMPRESE E

CONSUMATORI

1.1 Dal marketing tradizionale al marketing relazionale

“Panta rei”: tutto cambia, tutto si trasforma, niente resta immutato. Questo l’insegnamento attribuito al filosofo Eraclito, che mette in luce il mutare delle cose mediante il suo rinomato paragone con il fiume: “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”. Il fiume che scorre, apparentemente sempre identico, si rinnova continuamente e quindi non è possibile tuffarvisi e vivere la stessa identica esperienza due volte.

Sempre secondo il filosofo greco, il divenire è l’essenza del cosmo. Niente di più vero nella società odierna, caratterizzata da immediatezza e frenesia, dove tutto cambia rapidamente, una società in cui la legge inesorabile del mutamento di cui parla Eraclito sembra essere esasperata.

Anche nel marketing si è assistito al cambiamento, lento, inarrestabile e, in parte, non completamente controllabile: dalla concezione “tradizionale” del marketing a quella relazionale, che si pone come obiettivo la creazione di relazioni e attraverso la quale le aziende cercano di coinvolgere i propri stakeholder, attraverso esperienze di volta in volta diverse.

Il marketing relazionale affonda le proprie radici nell’era preindustriale (Sheth e Paravatiyar, 1995). L’avvento della produzione di massa, l’emergere degli intermediari e la separazione del produttore dal consumatore nell’era industriale hanno poi portato il marketing a focalizzarsi sulle transazioni. Oggi, con l’avanzare delle nuove tecnologie, assistiamo all’affermarsi del direct marketing, che ci guida nuovamente verso un orientamento alle relazioni (Sheth e Paravatiyar, 1995). Si viene, quindi, a creare un paradigma di marketing alternativo, che va al di là di un processo orientato all’output ed enfatizza la creazione, anziché la distribuzione, del valore (Prahalad e Ramaswamy, 2004).

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Figura 1: Curva dell'orientamento alla relazione (Sheth e Paravatyiar, 1995)

Marketing relazionale e marketing transazionale (o marketing tradizionale) sono diametralmente opposti tra loro.

Il marketing transazionale è il marketing così come definito dall’American Marketing Association (AMA), cioè “il processo che consiste nel pianificare ed elaborare una concezione, nel fissare il prezzo, nel promuovere e distribuire idee, beni e servizi per creare scambi che soddisfino gli individui e gli obiettivi dell’organizzazione”. Un marketing, quindi, concentrato sulla creazione di scambi che siano soddisfacenti per entrambe le parti.

Il relationship marketing, invece, tenta di coinvolgere e integrare tra loro clienti, fornitori e altri partner strategici nello sviluppo e nelle attività di marketing di un’impresa. È una “relazione integrativa”, che sottolinea l’importanza dell’interdipendenza nelle scelte delle parti – e non più la loro indipendenza – e pone l’attenzione sulla cooperazione anziché sulla competizione e il conflitto che solitamente derivano dai rapporti commerciali orientati alla singola transazione (Sheth e Paravatiyar, 1995).

Infatti, uno degli assiomi di base del marketing transazionale è il considerare la competizione e il self-interest come driver fondamentali per la creazione di valore. Ma alcuni studi di matrice psicologica (Morgan e Hunt, 1994) hanno dimostrato che la

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5 mutua cooperazione, al contrario di competizione e conflitto, porta a una maggiore creazione di valore.

Il secondo assioma del marketing transazionale, invece, si basa sul postulato che la possibilità di fare scelte indipendenti tra gli attori di mercato sia il sistema più efficiente per creare e distribuire valore. Le imprese industriali ritengono, secondo questo approccio, che l’indipendenza renda ogni attore di mercato libero di scegliere i propri partner, al limite anche per ogni singola transazione, sulla base dei propri specifici interessi legati a quella decisione. Ma ogni transazione presuppone costi di ricerca, di negoziazione e per tutte le attività correlate, che vanno ad aggiungersi al costo della transazione, che finisce per diventare sempre meno efficiente.

Molte pratiche di marketing relazionale possono, invece, aiutare a raggiungere l’efficienza. Tra queste troviamo la customer retention e la condivisione di risorse con i partner: tali attività hanno la potenzialità di ridurre i costi operativi del mercato. Allo stesso tempo, grandi benefici possono essere raggiunti grazie al tentativo di coinvolgere i consumatori fin dai primi step dello sviluppo del programma di marketing, facilitando così i futuri sforzi di marketing dell’impresa.

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6 La crescita dell’orientamento relazionale del marketing nell’era post-industriale è dovuto alla rinascita del direct marketing tra produttori e consumatori. Tale rinascita è influenzata da almeno 5 forze macro-ambientali (Sheth e Paravatiyar, 1995):

1) il rapido avanzamento della tecnologia, soprattutto dell’IT; 2) l’adozione dei programmi di qualità da parte delle imprese; 3) la crescita dell’economia dei servizi;

4) i processi di sviluppo organizzativo che conducono all’empowerment degli individui e dei team;

5) l’aumento dell’intensità competitiva che porta alla preoccupazione per la conservazione del cliente.

L’impatto della rivoluzione tecnologica sta cambiando la natura e le attività del marketing. Lo sviluppo e l’introduzione di sistemi elettronici sofisticati e computerizzati nella nostra società sta rendendo più facile per i consumatori interagire direttamente con i produttori e i produttori, dal canto loro, stanno iniziando a conoscere meglio i propri consumatori grazie a sofisticati database che contengono informazioni relative ad ogni interazione con i singoli consumatori.

Dal momento che sempre più aziende dipendono dai flussi in entrata relativi al settore dei servizi, il marketing relazionale diventa prevalente. Non è infatti un caso che le ricerche di marketing relazionale siano nate grazie alla letteratura riguardante il marketing dei servizi e grazie all’emergere e all’affermarsi dell’economia dei servizi del mondo occidentale – tra questi, i servizi bancari e finanziari.

Una tra le più importanti conclusioni di queste ricerche è il fatto che per acquisire e mantenere un vantaggio competitivo, le organizzazioni di servizi dovrebbero instaurare relazioni con i propri clienti, svilupparle e mantenerle (Bejou, 1997).

“Every single customer forms a customer relationship with the seller that is broad or narrow in scope, continuous or discrete, short or lasting in nature, which the firm has to develop and maintain. Customer relationship are not just there; they have to be earned” (Gronroos, 1990,

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7 Secondo gli studi di Hennig-Thurau e Klee (1997), la qualità della relazione va a influenzare la soddisfazione del cliente e la capacità di retention dell’azienda, sebbene il costrutto della relazione non sia universale, ma vari a seconda dei segmenti del mercato.

Tra i benefici del marketing relazionale, infatti, troviamo: fedeltà, customer retention e relazioni a lungo termine. Questi tre elementi sono essenziali e intrinsecamente collegati. Un cliente rimarrà fedele ad una certa azienda più a lungo solamente se ci sarà fedeltà reciproca. E per esserci fedeltà, dovrà esserci anche sincerità. Alle aziende che vorranno orientarsi verso il marketing relazionale, quindi, è chiesto un piccolo sforzo in tal senso. La trasparenza diventa un valore chiave, così come il coinvolgimento delle parti, la cooperazione, l’interdipendenza e la condivisione di valori.

Sviluppare relazioni e cercare un contatto diretto con gli stakeholder diventa sempre più strategico per le imprese. Quando i produttori e i consumatori si interfacciano tra di loro, infatti, c’è una maggiore probabilità che si crei un legame emozionale che trascende il mero scambio economico. Attraverso il contatto diretto – con tutti i limiti del caso, soprattutto per le grandi aziende – le imprese riescono a capire quali sono i bisogni del proprio pubblico, sono più inclini a cooperare e quindi più orientate alla relazione. La separazione del produttore dal consumatore, che è stata una naturale evoluzione dell’era industriale, vede oggi uno scenario mutato, in cui l’avanzamento tecnologico permette ai produttori stessi di interagire direttamente con un ampio numero di clienti, sia industriali che non.

“In our modern economy, the distribution network makes possibile specialized mass production on the one hand and the satisfaction of the differentiated tastes of consumers on the other” (Sheth e Paravatiyar, 1995,

pag. 402)

Le pratiche di mercato esortano sia il consumatore che il fornitore a ricercare tra loro relazioni più strette e collaborative. Questo cambiamento di visione, che passa dal valore di scambio alla creazione di valore attraverso le relazioni, ha portato le imprese a sviluppare un approccio diverso, nel quale non sempre le altre imprese sono viste

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8 come rivali in competizione, ma possono anzi considerarsi partner nel creare valore per il consumatore. Relazioni di cooperazione e interdipendenza sembrano avere più valore rispetto a relazioni puramente basate sulla transazione (Sheth e Paravatiyar, 1995).

La creazione di interazioni, come detto precedentemente, è importante non solo tra imprese, ma anche tra imprese e clienti. Infatti, secondo Prahalad e Ramaswamy (2004), “Informed, networked, empowered, and active consumers are increasingly

co-creating value with the firm. The interacion between the firm and the consumer is

becoming the locus of value creation and value extraction. As value shifts to

experiences, the market is becoming a forum for conversation and interactions between consumers, consumer communities, and firms. It is this dialogue, access, transparency, and understanding of risk-benefits that is central to the next practice in value creation”.

Si evince quindi quanto importanti e critiche siano le interazioni con i consumatori e con i gruppi di consumatori nella creazione di valore, che diventa co-creazione, cioè il tentativo da parte dei consumatori stessi di creare con l’azienda una propria esperienza unica e personalizzata. È necessario comprendere meglio i consumatori e questo è possibile farlo solo se l’azienda gli è vicina, se può osservare, analizzare e prendere parte alle loro esperienze. In via preliminare, quindi, si deve dialogare con i propri consumers e stakeholder più in generale. A tale scopo, è necessario prima capire quale ruolo svolge ogni attore nell’ambiente di riferimento.

L’impresa e il consumatore sono sia collaboratori che competitors nella creazione di valore e antagonisti quando si tratta di attribuire valore economico a un bene/servizio, e il mercato nel suo insieme diventa parte integrante del processo di creazione del valore. Il mercato, infatti, diventa il luogo del dialogo tra consumatore, impresa e comunità in generale, il luogo dove si possono creare relazioni.

Come spiega Berry (1983), data l’importanza strategica delle relazioni a lungo termine con i propri stakeholder, particolare enfasi deve essere posta sulla customer retention, sull’allocazione di risorse per trattenere e per rafforzare le relazioni con i clienti, e non solo per attrarli. E lo stesso Berry definisce il relationship marketing:

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“…as a process of providing continued satisfaction and reinforcement to customer individuals or organizations”.

Per rinforzare le relazioni con i clienti, Peppers e Rogers (1994) propongono il concetto di marketing individuale, o marketing one-to-one, come nuovo modo di pensare al marketing: non più un marketing rivolto alla massa, ma un marketing che si concentra sull’importanza della costruzione di relazioni con ogni singolo cliente.

Infatti, secondo McKenna (1993, p. 69):

“Relationship marketing is a way of integrating the customer to the company, creating and sustaining the relationship between the company and the customer”.

In conclusione, le imprese cercano continuamente di ridurre i costi, così come i consumatori cercano di ottenere prezzi sempre più bassi. Questa situazione, che sta diventando insostenibile per le imprese di piccole e medie dimensioni, si può risolvere solamente abbandonando la vecchia prospettiva che vede imprese e clienti come mondi separati per abbracciare la nuova visione di valore co-creato con i clienti attraverso le interazioni (Prahalad e Ramaswamy, 2004).

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Tabella 1: Differenze tra marketing relazionale e marketing tradizionale (Adattato da Henning-Thurau e Hansen, 2012)

Criterio Marketing tradizionale Marketing relazionale

Obiettivo primario Transazione Relazione

Approccio Azione (Il fornitore è la parte attiva, il consumatore quella passiva)

Interazione (creo una connessione tra consumatori, stakeholder e azienda in prospettiva dinamico-evolutiva)

Prospettiva Statica Dinamico-evolutiva

Orientamento Decisioni Implementazioni

Lungo/breve termine Breve Lungo

Strategia Acquisizione di nuovi consumatori Fidelizzazione dei clienti attuali

Focus nel processo decisionale

Attività di pre-vendita (strumenti del marketing classico, es. individuare il target di riferimento)

Decisioni e azioni post-vendita, dove si hanno strumenti diversi (es. customer relationship

management, assistenza e promozioni personalizzate, recupero clienti). Sono fondamentali i servizi.

Intensità di contatto Basso Alto (non più un solo contatto)

Grado di mutua dipendenza Generalmente basso Generalmente alto

Misurazione soddisfazione dei

clienti Monitoraggio quote di mercato

Gestione della base clienti (quota di mercato non più idonea perché voglio misurare la soddisfazione dei miei clienti)

Qualità rilevante Qualità dell'output (soddisfazione del prodotto)

Qualità dell'interazione (soddisfazione della relazione) Ruolo del marketing interno Nessuna o di limitata importanza

Importanza strategica (dipendenti di front-line sono quelli che hanno la relazione diretta con il

consumatore) Importanza dei dipendenti per il

successo del business Basso Alto

Focus sulla produzione

Produzione di massa (impersonale). Cerca il mix per convincere il consumatore

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1.2

La relazione azienda-cliente: la co-creation

Come osservato nel paragrafo precedente, si assiste a un cambiamento radicale nella gestione dei rapporti tra aziende e consumatori in seguito all’affermazione dei principi del marketing relazionale. In particolare: una relazione integrata porta all’interdipendenza delle scelte tra le parti ed enfatizza la cooperazione tra gli attori.

“Development of relationship marketing point to a significant shift in the axioms of marketing: competition and conflict to mutual cooperation,

and choice independence to mutual interdependence” (Sheth e Parvatiyar, 1995, p. 399)

Per un’azienda avere un cliente fedele significa sostanzialmente abbattere costi, avere (potenziali) maggiori ricavi e godere di alcuni benefici collaterali.

Nello specifico, un cliente fedele genera minori costi di gestione, è già a conoscenza dell’offerta ed è più incline all’acquisto; allo stesso tempo genera anche minori costi di produzione: sarà lui stesso, grazie al rapporto creatosi, a suggerire nuovi prodotti in un’ottica di co-creation.

I maggiori ricavi (potenziali) deriveranno, invece, dai flussi in entrata pressoché costanti: un cliente fedele acquista volentieri e più spesso rispetto a un cliente non affezionato. Senza contare la possibilità per l’impresa di fare up- e cross-selling nei confronti di un soggetto già di per sé incline all’acquisto dei propri prodotti. Tra i benefici collaterali, invece, troviamo il passaparola positivo, la collaborazione in ottica di miglioramento e co-creazione e tutti quei benefici che da tali comportamenti derivano, anche e soprattutto a livello di benessere aziendale – in particolare per tutti i lavoratori di front-line, a diretto contatto con la clientela.

Per instaurare una relazione di lunga durata tra cliente e azienda, è necessario che le due parti interagiscano tra loro. Infatti, tutte le relazioni ruotano attorno alle interazioni. Secondo Watzlawick, Beavin e Jackson:

“... interaction is the action that takes place between individuals and is always a communication process” (Rocha et al., 2013)

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12 Quindi le interazioni sono quelle connessioni sociali che legano le persone. I legami sociali possono essere forti oppure deboli: è necessario creare legami forti con le persone di interesse, in quanto tali legami denotano intimità, capacità di resistere a pressioni e a frequenti atti di scambio.

I social network stanno cambiando il modello di interazione tra azienda e cliente. Il potere del consumatore sta crescendo: non è più anonimo, sta diventando consapevole e influente. Dall’altra parte, però, anche le opportunità delle imprese stanno crescendo, in quanto queste hanno la possibilità di essere direttamente connesse con i clienti finali. La connessione diretta è fondamentale per conoscere e comprendere i consumatori. Facendo leva sulle piattaforme social, sapendo valorizzare le informazioni emergenti dall’ascolto delle conversazioni online, si può raggiungere una comprensione del consumatore precedentemente impensabile; è possibile fidelizzare i clienti, attrarne di nuovi, aumentare la propria brand awareness.

Pertanto, possiamo concludere che il mercato sta diventando un luogo di incontro e di creazione del valore e fondamento di tutto ciò sono le interazioni e le relazioni tra i soggetti operanti sul mercato stesso: aziende e consumatori. Secondo Prahalad e Ramaswamy, infatti:

“Informed, networked, empowered, and active consumers are increasingly co-creating value with the firm. The interaction between the firm and the consumer is becoming the locus of value creation and value extraction. As value shifts to experience, the market is becoming a forum for conversation and interactions between consumers, consumer communities, and firms. It is this dialogue, access, transparency, and understanding of risk-benefits that is central to the next practice in value creation” (Prahalad e Ramaswamy, 2004, p.5).

In tale scenario, le aziende possono decidere di non seguire il cambiamento, ma non senza conseguenze. Finché le imprese crederanno che mercato e processo di creazione del valore sono due identità ben distinte, non avranno altre possibilità se non quella di cercare di abbattere i costi. Allo stesso tempo, se i consumatori non vedranno da parte di tali imprese nessun elemento di differenziazione, pretenderanno di comprare

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13 prodotti sempre più “Smart and cheap” (Prahalad e Ramaswamy, 2004). È quindi preferibile seguire il cambiamento in atto e instaurare “high-quality interactions” con i singoli consumatori, che potranno co-creare con l’azienda quelle esperienze di consumo che sono la chiave e la fonte del vantaggio competitivo di quest’ultima. La chiave del vantaggio competitivo al giorno d’oggi, quindi, appare essere la co-creazione. Il punto di partenza per mettere in atto questo processo è detto DART:

Dialog, Access, Risk-benefits, Transparency.

Il dialogo è un elemento base per la co-creazione. Dialogare implica interazione, coinvolgimento e soprattutto volontà di azione da parte di tutti i soggetti coinvolti. Perché si abbia un dialogo attivo e lo sviluppo di una soluzione condivisa, l’impresa e il consumatore devono sentirsi alla pari e unirsi nella soluzione di problemi comuni. Il dialogo quindi non può essere unilaterale, ma deve incentrarsi su questioni che siano interessanti sia per il consumatore che per l’azienda (Prahalad e Ramaswamy, 2004). Ma il dialogo può essere difficile se i consumatori non hanno accesso alle stesse informazioni a cui hanno accesso le aziende, cioè se si trovano di fronte a quelle che in economia sono definite asimmetrie informative. La trasparenza è ciò che i clienti si aspettano come requisito base da parte dell’azienda: un approccio del tipo “Don’t hold

back, tell me the truth” è quindi basilare.

L’espressione “Co-creazione”, in letteratura assume molteplici significati. Prahalad e Ramaswamy (2004) fanno riferimento alla “creazione congiunta di valore da parte dell’impresa e del consumatore” come elemento essenziale della co-creazione, includendovi “la definizione del problema e il problem solving congiunti”.

La co-creazione è definita anche come “il processo attraverso il quale il valore reciproco viene ampliato”. Vargo e Lusch (2008) sostengono che le imprese possano solo fornire ai clienti una value proposition e che la co-creazione dei clienti è necessaria perché il valore sia realizzato. Fuller et al. (2010) parlano della co-creation come della partecipazione dei clienti nello sviluppo del prodotto. Questo significa che i clienti partecipano attivamente nella generazione e valutazione delle idee a tutti i livelli del processo di sviluppo di un servizio o prodotto. La co-creazione è un processo

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14 che può essere profittevole non solo per l’azienda, ma anche per gli stessi clienti che vi partecipano (Nysveen e Pedersen, 2014).

Tale collaborazione, infatti, può creare nuovi modelli di business in cui i partner sono proprio i consumatori (Constantinides, 2014).

La co-creazione può essere anche vista come il grado con cui i consumatori partecipano attivamente insieme all’impresa nel migliorare le soluzioni esistenti o nel trovare nuove soluzioni per creare più valore sia per il consumatore che per l’impresa. Attraverso gli elementi di interazione e dialogo della co-creazione, viene sviluppata la mutua conoscenza e comprensione, aumentando sia l’abilità dell’impresa nel fornire ciò che i consumatori vogliono, sia l’abilità dei consumatori nello scegliere o adattare i servizi che incontrano i loro bisogni. La partecipazione dei clienti nella co-creazione con un brand si propone di stimolare il coinvolgimento dei clienti con il brand stesso e, attraverso questo, la brand experience, brand satisfaction e brand loyalty.

Il concetto di co-creazione appare ancora più chiaro se vediamo cosa non è. La co-creazione non è l’esternalizzazione di attività che vengono trasferite sui clienti e nemmeno la personalizzazione di prodotti e servizi. Non è neppure la creazione di eventi rivolti ai clienti per promuovere le varie offerte dell’azienda. La co-creazione è qualcosa di più profondo, che coinvolge la creazione di valore attraverso interazioni personalizzate, diverse da individuo a individuo. La co-creazione sposta l’attenzione sull’interazione tra azienda e consumatore, che è il vero luogo della creazione di valore. In tale sistema, i punti di incontro e interazione tra azienda e cliente possono essere molteplici e ognuno di essi è fondamentale per la creazione di valore (Prahalad e Ramaswamy, 2004).

La co-creazione è qualcosa che va oltre il “solito” co-marketing1 o il coinvolgimento dei consumatori in veste di agenti di vendita diretta2. Questo modello va più a fondo, si cerca una conoscenza e comprensione reciproca delle esperienze, in modo che l’azienda possa plasmare le aspettative e le esperienze dei consumatori assieme ai propri clienti (Prahalad e Ramaswamy, 2004).

1 Per co-marketing si intendono attività di collaborazione con la finalità di ottenere benefici nell'approccio al proprio mercato di riferimento utilizzando iniziative di marketing di tipo diverso.

2 Nel caso dei consumatori si intende vendita diretta a domicilio – come nel modello delle presentatrici

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15 Ma la co-creazione richiede degli aggiustamenti da parte di tutti gli stakeholder coinvolti, compresa l’azienda. I manager, ad esempio, hanno solamente un controllo parziale sull’ambiente e un controllo parziale sulle esperienze di co-creazione della rete di contatti che loro stessi hanno creato.

Manager e clienti devono riconoscere che l’interazione e la co-creazione tra loro devono iniziare dall’accesso alle informazioni e dalla trasparenza. Soprattutto dalla trasparenza, alla quale le aziende si sono tradizionalmente sempre opposte. La richiesta di trasparenza che gli stakeholder muovono verso l’azienda deve diventare spontanea, volontaria. Tutto questo, poi, deve essere affiancato da investimenti volti a facilitare il dialogo: investimenti in tecnologia, ma soprattutto nella rieducazione dei manager e in nuove pratiche manageriali più customer-friendly (Prahalad e Ramaswamy, 2004).

Il nuovo approccio per instaurare una relazione azienda-cliente che porti alla co-creazione e all’engagement si basa su una visione “service dominant”. La partecipazione alla relazione si declina in tre filoni:

• co-creazione del valore per il cliente insieme al brand; • co-creazione di nuovo valore con il brand;

• co-creazione di valore insieme ad altri clienti nel contesto del brand

Sebbene la differenza tra questi concetti di co-creazione sia labile e difficilmente identificabile, un fattore comune è che la co-creazione è considerata un’attività congiunta o collaborativa, che include sia i produttori che i consumatori nel tentativo di creare valore (Nysveen e Pedersen, 2014).

Customer engagement refers to “the creation of a deeper, more meaningful connection between the company and the customer” (Kumar et al., 2010).

Questo implica che il coinvolgimento del cliente è raggiunto attraverso l’impresa o il brand e la relazione che questi instaurano con il cliente. Secondo Brodie et al. (2011), il coinvolgimento e la partecipazione del cliente sono step precedenti rispetto alla brand

engagement. Per questo è fondamentale instaurare una relazione con il cliente e

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16 viene definito come “the level of a customer’s cognitive, emotional and behavioural

investment in specific brand interactions” (Nysveen e Pedersen, 2014) ed è quindi un

qualcosa di molto più profondo di una semplice transazione.

Da uno studio condotto da Nysveen e Pedersen (2014), risulta che la co-creazione ha un’influenza positiva sulla brand experience in tutte le sue sfaccettature (sensoriale, affettiva, cognitiva, relazionale e comportamentale). Ciò implica che il coinvolgimento in attività di co-creazione con i consumatori rafforza la brand experience e il livello di coinvolgimento con il brand che i clienti percepiscono.

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2. SOCIAL MEDIA E SOCIAL NETWORK: UN MONDO SEMPRE

PIU’ SOCIAL

2.1 Web 2.0, social media e social network

I termini Web 2.0 e social media sono nuovi termini nel lessico di Internet e del marketing e non esiste un consenso generale sul loro significato esatto (Constantinides, 2014). La complessità nel dare una definizione univoca risiede nella natura intrinseca del Web 2.0, che è composto da un insieme di elementi eterogenei e complessi, tra i quali è necessario richiamare la comunicazione interpersonale, la condivisione di informazioni e un design adatto agli utilizzatori (Toplu et al., 2014). Pertanto, una prima definizione del Web 2.0 è, secondo Constantinides:

“Web 2.0 is a collection of interactive, open source and user-controlled Internet applications enhancing the experiences, collaboration, knowledge and promote innovation and creativity by allowing the efficient generation, dissemination, sharing and editing of content” (Constantinides, 2014)

Vernuccio (2014), nella sua definizione di Web 2.0, pone l’accento sull’aspetto di libera partecipazione alla creazione e modifica dei contenuti da parte di tutti gli utenti:

“Web 2.0 is a platform whereby content and applications are no longer created and published by individuals, but instead are continuously modified by all users in a participatory and collaborative fashion” (Vernuccio, 2014,

p. 214)

Infatti, mentre nel Web 1.0 i contenuti erano prodotti da singoli individui, nella versione attuale, la 2.0, i contenuti possono essere modificati dagli utenti in forma collaborativa. Siamo di fronte ai cosiddetti UGC (“User Generated Content”). La comunicazione, quindi, da one-to-one diventa many-to-many.

Le nuove applicazioni Internet-based, costruite secondo i principi e le basi tecnologiche del Web 2.0, che quindi consentono lo scambio e la creazione di contenuti creati dagli utenti, sono chiamate social media.

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“Social media is a group of Internet-based applications that build on the ideological and technological foundations of Web 2.0, and that allow the creation and exchange of User Generated Content” (Kaplan e Haenlein, 2010)

I social media sono progettati per essere diffusi attraverso l’interazione sociale e sono creati usando strumenti e tecniche di pubblicazione accessibili. Sono stati ideati per supportare il bisogno umano di interazione sociale, sfruttando le tecnologie web e

internet based (Constantinides, 2014). Possiamo considerare i social media come un

prodotto dell’evoluzione delle tecnologie basate su internet, che va sempre più nell’ottica delle relazioni. Infatti, la differenza principale tra i social media e un broadcast, precedente a questi ultimi, è che non si ha più un monologo, ma si cerca di supportare un dialogo e una creazione di network tra pari. Attraverso i social media e la loro logica “peer-to-peer” si persegue la democratizzazione della conoscenza e dell’informazione, nel tentativo di trasformare gli individui da consumatori a produttori di contenuti (Constantinides, 2014).

Tale ambiente facilita comunicazione e collaborazione, sia per le aziende che per i consumatori, a un costo quasi nullo. I social media sono come un ambiente in continuo cambiamento, i cui confini mutano e dove gli utilizzatori sono in grado di controllare la comunicazione, dalla produzione del contenuto fino alla sua distribuzione (ed eventuale utilizzo).

Le caratteristiche unificanti di tutti i social media sono pertanto le relazioni two-way che vengono facilitate e il forte controllo che ogni utente può esercitare sulla creazione, diffusione e consumo di contenuti. Sono proprio queste caratteristiche che li rendono così appetibili agli occhi delle imprese.

“Social media refers to “online tools where content, opinions, perspectives, insights, and media can be shared … (and) at its core social media is about relationships and connections between people and organizations. These tools include blogs, widgets, discussion boards, wikis, vlogs (video logs), consumer product rating sites, chat rooms, and social network sites”. (Parsons, 2013)

(25)

19 I social media si stanno diffondendo molto rapidamente e stanno diventando sempre più popolari tra i consumatori3.

Riassumendo, quindi, i social media sono software che rendono possibile la condivisione di testi, immagini, file audio e video, permettendo sia alle aziende che agli utenti finali di raggiungere istantaneamente un pubblico (di potenziali customer oppure di “amici”) potenzialmente illimitato.

I social network, invece, sono piattaforme per la comunicazione che possono avere vari gradi di apertura. L’elemento dominante è la relazione, dal momento che queste piattaforme permettono a chi ne fa parte di accedere ai contenuti personali degli altri membri (detti “nodi) della rete e di entrare direttamente in contatto con loro.

Secondo l’Enciclopedia Treccani:

“Con l’espressione social network si identifica un servizio informatico online che permette la realizzazione di reti sociali virtuali […]. Generalmente i social network prevedono una registrazione mediante la creazione di un profilo personale [pubblico o semi-pubblico] protetto da password e la possibilità di effettuare ricerche nel database della struttura informatica per localizzare altri utenti e organizzarli in gruppi e liste di contatti. Le informazioni condivise variano da servizio a servizio e possono includere dati personali, sensibili (credo religioso, opinioni politiche, inclinazioni sessuali, ecc.) e professionali. Sui social network gli utenti non sono solo fruitori, ma anche creatori di contenuti”.

I Social Network Sites, quindi, permettono agli utenti di creare un proprio profilo, pubblicare informazioni, condividerle e comunicarle ad altri utenti della piattaforma che si ritengono amici o con cui si decide di avere una connessione. Tra i social network più conosciuti troviamo piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Google+, LinkedIn, Pinterest e Flickr.

3 Si veda, a tal proposito, il paragrafo 2.1.2 Utilizzo di Internet e dei social media in Italia

(26)

20 Inoltre, i social network stanno modificano il modo in cui le persone comunicano tra loro, a causa del (o grazie al) loro alto livello di interattività, consentendo alle persone di condividere tra loro informazioni. Stanno anche modificando come e dove le persone passano il loro tempo: le persone accedono ai social da una pluralità crescente di device (Pc, Laptop, Tablet, Smartphone, ecc.) e vi trascorrono una quantità di tempo crescente4.

I consumatori utilizzano i social network per rimanere in contatto con amici e parenti, ma anche per divertimento e, inevitabilmente, sono esposti alle pubblicità degli inserzionisti.

Con i social network, e con i social media in generale, gli inserzionisti possono solo controllare dove e quando posizionare l’inserto pubblicitario, ma non gli è poi possibile controllare come queste informazioni vengono utilizzate in rete. Per gli inserzionisti, i social media sono mezzi che danno la possibilità di parlare con i propri clienti; per i clienti sono un modo per parlare direttamente con le imprese ma anche, e soprattutto, con un numero illimitato di altri consumatori.

2.1.2 Utilizzo di Internet e dei social media in Italia

Panta rei per il marketing significa spostarsi da una visione tradizionale a una rivolta

alle relazioni. Ma “tutto cambia, tutto si trasforma, niente resta immutato” vale anche per i consumatori.

Il marketing relazionale avrà nel tempo un impatto di vasta portata anche grazie all’emergere di alcune forze che influenzeranno il mercato a livello globale. Tra queste, l’Information Technology.

L’IT si riferisce all’influenza della tecnologia informatica sui modi in cui i consumatori e le imprese interagiscono tra loro (Bejou, 1997).

Il più grande risvolto che l’avanzare della tecnologia informatica ha avuto sulle persone è quella della connessione a internet aperta a tutti. Molto importante è anche la

4 Gli italiani passano ogni giorno, mediamente, 2 ore e 19 minuti sui social – circa 9 minuti in più rispetto

all’anno precedente. Si veda, per un maggiore dettaglio, il report di We Are Social e Hootsuit (https://wearesocial.com/it/blog/2017/01/digital-in-2017-in-italia-e-nel-mondo)

(27)

21 disponibilità di molteplici device che permettono di essere sempre connessi. La sempre maggiore diffusione della connessione a internet, l’utilizzo di più device connessi e l’utilizzo che ne viene fatto è analizzabile grazie al report “Digital in 2017”5 di We Are

Social e Hootsuite.

Secondo i dati di tale report, il 2016 è stato un anno di crescita straordinaria a livello globale nell’utilizzo di internet:

• Più della metà della popolazione mondiale usa uno smartphone;

• Il 37% della popolazione mondiale fa utilizzo dei social media; di questi, il 34% vi accede attraverso dispositivi mobile;

• Più della metà del traffico internet è generato da telefoni;

• Più di una persona su cinque (22%) della popolazione mondiale ha effettuato almeno un acquisto online negli ultimi 30 giorni.

Inoltre, a livello globale, più di 2.8 miliardi di persone utilizzano i canali social almeno una volta al mese, e quasi tutti (91%) lo fanno attraverso dispositivi mobile. L’utilizzo di Facebook continua a crescere, così come il numero dei suoi iscritti. GlobalWebIndex fa notare che l’utente medio spende oltre due ore al giorno sulle piattaforme social e che solamente nell’ultimo anno gli utilizzatori di social media via telefono sono aumentati dell’8%: un nuovo utente ogni 18 secondi.

Vediamo ora nello specifico i dati riguardanti la popolazione italiana, cioè quella che verrà presa in considerazione in questo lavoro di ricerca.

Durante il 2016, il numero delle persone che si sono connesse a Internet è cresciuto del 4% (39.21 milioni di persone), mentre il numero di utilizzatori delle piattaforme di social media ha raggiunto 31 milioni (+11%). Di questi, il 90% vi accedono da dispositivi

mobile, che sono i più utilizzati per la connessione a internet in generale6. L’86% degli utilizzatori di Internet si connette tutti i giorni, il 10% almeno una volta a settimana, il 3% una volta al mese e solo l’1% meno di una volta al mese. Relativamente ai social media, gli utilizzatori sono 31milioni, oltre la metà della

5https://www.slideshare.net/wearesocialsg/digital-in-2017-southern-europe, 16/11/2017 6 Questo dato conferma la propensione alla fruizione dei contenuti in mobilità, così come l’ampia

diffusione di smartphone in Italia: siamo il terzo paese al mondo per penetrazione (85%), dopo Spagna e Singapore.

(28)

22 popolazione italiana (52%7) e di questi 28 milioni accede da mobile. Il tempo di fruizione medio dei social media (attraverso qualsiasi tipo di device) è di due ore pro-capite.

Il social network più utilizzato nel 2016 è stato YouTube (57%), seguito a breve distanza da Facebook (55%), che perde il suo primato. Sull’ultimo gradino del podio troviamo Instagram (29%) che guadagna un paio di posizioni rispetto al 2015, seguito in quarta posizione da Twitter (25%).

Tra le app di messaggistica, la più utilizzata è Whatsapp (48%), seguita da Facebook-Messenger (33%).

Facebook in Italia conta 31milioni di utilizzatori attivi ogni mese: il 90% di questi accede via mobile, il 74% accede quotidianamente8. Gli utenti sono in prevalenza uomini (52%). I suoi utilizzatori sono per la maggior parte di sesso maschile e appartengono alla fascia di età tra 25 e 35 anni. Le donne, invece, sono in prevalenza concentrate in due fasce d’età: 25-34 e 35-44 anni.

È da notare come il 56% degli italiani dichiari di aver cercato online un prodotto/servizio che voleva acquistare e solo il 46% di questi abbia effettivamente concluso l’acquisto.

Alla luce di questi dati, è possibile concludere che i social network, e in particolare Facebook, possono essere un canale attraverso cui andare a intercettare buona parte della popolazione italiana. Le comunicazioni attraverso i social potrebbero essere fatte utilizzando dei video che, stando ai dati di We Are Social, sono i contenuti la cui fruizione denota un trend positivo.

I dati relativi all’e-commerce, invece, segnalano ancora un utilizzo di questo servizio che stenta a decollare – non ci sono infatti cambiamenti significativi rispetto all’anno precedente – ma che ci sono in tale ambito ancora possibilità di crescita.

7 Rispetto a una media globale del 37%.

8 Contro una media a livello globale di circa il 55%: gli italiani utilizzano meno piattaforme ma con una

(29)

23

2.2 I social media come strumento di coinvolgimento degli utenti

Un ulteriore cambiamento inesorabile – anche se non molto lento9 – è quello dell’avanzare delle tecnologie tra gli utilizzatori e di come questi ultimi vi si approccino. Oggi possiamo infatti parlare di “Generazione Y” o di “Nativi Digitali” in contrapposizione ai cosiddetti “Immigrati Digitali”.

I nativi digitali sono coloro che hanno passato l’intera vita circondati, ed utilizzando, da computer, videogames, mp3, telefoni cellulari e tutti gli altri strumenti dell’era digitale (Prensky, 2001). Possono ritenersi nativi digitali – detti anche Millennials – tutti coloro che sono nati tra il 1980 e il 2000. Queste persone pensano al processo di informazione in modo completamente diverso rispetto ai propri genitori e nonni. Per la generazione Y, l’utilizzo della tecnologia nella comunicazione e nelle proprie attività personali è del tutto normale. Internet è, per i Millennials, il principale canale attraverso cui raggiungere e instaurare relazioni, il principale canale di interazione con le persone e il mondo in generale (Carlson e Lee, 2015).

La generazione precedente, invece, è quella degli “Immigrati digitali”, cioè di coloro che non sono nati in un mondo già digitalizzato, ma che sono rimasti affascinati da tale mondo e hanno deciso di avvicinarsi alla tecnologia ed adottarla nelle proprie vite (Prensky, 2001). Ma nonostante gli immigrati digitali imparino ad adattarsi a questo nuovo mondo, mantengono sempre ben salde le loro radici nel passato. Questo comportamento e la differenza di visione e familiarità che le due generazioni hanno con le nuove tecnologie, portano a difficoltà di comunicazione, difficoltà di insegnamento e apprendimento – a causa dei diversi metodi di approccio all’insegnamento e allo studio – nelle scuole e anche di comprensione, dal momento che spesso parlano utilizzando linguaggi, almeno parzialmente, diversi (Prensky, 2001). Nonostante i diversi approcci nei confronti della tecnologia, sia i nativi che gli immigrati digitali utilizzano i social media10. I social media, infatti, sono diventati un importante strumento di interazione peer-to-peer, ma anche tra clienti e aziende o, più in generale, tra clienti e brand. Di fatto, molte aziende – e anche molte istituzioni

9 Basti pensare che la legge di Moore afferma che le prestazioni dei microprocessori raddoppiano ogni

18 mesi.

10 I dati sulla penetrazione dell’utilizzo dei social media possono essere trovati al paragrafo 2.1.2

(30)

24 bancarie e finanziarie – stanno utilizzando le piattaforme social per coinvolgere i propri affiliati, attrarre potenziali clienti e interagire con un vasto pubblico al fine di creare una maggiore affinità con il proprio brand (Miranda et al., 2013). Secondo Gummesson (2002), le relazioni “elettroniche” sono relazioni a distanza, che a volte possono diventare relazioni strette completamente nuove. Per questo le IT e Internet hanno un ruolo molto importante nel mondo contemporaneo. Allo stesso tempo, sempre secondo Gummesson (2002), le relazioni create attraverso i social media possono portare alla creazione di nuove forme di consumo che richiederanno alle aziende dei cambiamenti per relazionarsi al meglio con i propri clienti. Tali relazioni sono fondamentali, dato che “il coinvolgimento e la partecipazione del consumatore sono considerati antecedenti al coinvolgimento con il brand” (Nysveen e Pedersen, 2014) Dal canto loro, i consumatori hanno iniziato a utilizzare i social network come “modus

operandi” per cercare – e diffondere – informazioni riguardo ai brand, per imparare a

conoscerli così come utilizzano i siti istituzionali. Inoltre, alcuni studi mostrano che i social e il web site aziendale, se di buona qualità, influenzano l’intenzione di acquisto online dei consumatori che continueranno ad utilizzare il sito e i social collegati all’azienda (Miranda et al., 2013).

Le aziende, pertanto, devono curare i social media su cui operano e costruire, anche mediante questi nuovi strumenti, la propria immagine. Le piattaforme social possono essere utilizzate per:

• Coinvolgere nuovi opinion leaders online – si possono usare i social media già in essere inserendoli nei programmi di pubbliche relazioni;

• Ascoltare ciò che i vari stakeholder dicono relativamente ad argomenti di particolare interesse per l’azienda;

• Proporre iniziative interattive attraverso le piattaforme, utilizzando modalità di comunicazione sia one-to-one che many-to-many per stabilire, mantenere e rinforzare l’immagine e la reputazione del brand (Vernuccio, 2014).

In questo modo ogni stakeholder diventa un partecipante attivo nel processo di costruzione del brand. Il focus non deve però essere “il mondo del brand”, ma “il mondo di tutti coloro che interagiscono con il brand attraverso le piattaforme social”,

(31)

25 che parlano di sé stessi e dei propri interessi e non solo del brand o delle esperienze con esso. Tutti gli stakeholder devono divenire co-protagonisti (Vernuccio, 2014). I social media si compongono di quattro aree tra loro integrate: social community,

social publishing, social commerce e social entertainment (Tuten e Solomon, 2014).

Attraverso queste quattro aree le imprese possono instaurare un dialogo con gli utenti dei social, creare una relazione. Se opportunamente presidiate e utilizzate, possono portare al coinvolgimento attivo del consumatore.

Figura 3: Le quattro aree dei social media

Le social community hanno come obiettivo la condivisione e la conversazione. Il fine ultimo è quindi quello di creare relazioni, focalizzandosi sulle attività comuni a cui le persone partecipano, insieme ad altre che condividono lo steso interesse o fattore identitario. Nelle social community la costruzione e il mantenimento delle relazioni rappresentano il motivo principale per cui le persone si impegnano. La piattaforma per eccellenza di social community è Facebook, perché consente di condividere gli interessi, socializzare con le altre persone e creare conversazione. Rientrano in questa macro-area i siti di social network, le bacheche elettroniche e i forum, i wiki.

L’area del social publishing vede come obiettivo principale quello di pubblicare contenuti. I contenuti possono essere editoriali (istituzionali), commerciali

(32)

26 (promozione di prodotti), generati dagli utenti. È possibile quindi che questi media siano gestiti dall’azienda ma anche da utenti privati. Tra i canali di social publishing ci sono blog, siti di microsharing, di media sharing, di social bookrmarking e di news. Il social commerce prevede la possibilità di vendere tramite social media, per esempio attraverso Facebook. Tra i canali di social commerce rientrano siti di recensioni e valutazioni (ad esempio Yelp), siti di occasioni e aggregatori di occasioni (come Groupon), mercati di social shopping e vetrine social (negozi di rivendita online, come il Levi’s Friends Store).

Nel social entertainment, invece, rientrano le attività di gioco e intrattenimento che si possono fare attraverso app. Vi sono compresi tutti quei canali e veicoli che offrono opportunità di giocare e divertirsi – giochi social, mondi virtuali e comunità di social

entertainment.

2.3 Benefici e rischi dell’utilizzo dei social media in ambito business

Implementare una strategia social in ambito business richiede la presenza di un sito Web aziendale impeccabile: funzionale, efficiente, affidabile, integrato nell'organizzazione e orientato al cliente. La presenza online dell'azienda deve riflettere e comunicare il posizionamento aziendale, la qualità, l'orientamento al cliente e l'immagine. Avere un sito web ben progettato è una necessità, ma non è affatto una garanzia di successo; una seconda condizione importante è che l'organizzazione di marketing e il back office dell'azienda siano ben preparati per tale lavoro. L'orientamento al cliente non si riflette solo nell'online, ma anche nelle tradizionali attività di marketing e nelle attività di realizzazione che sono molto importanti. L'organizzazione di marketing deve essere orientata a offrire un alto valore ai clienti offrendo prodotti e servizi di alta qualità (Constantinides, 2014).

Gli approcci al social media marketing, secondo Constantinides (2014), appaiono essere essenzialmente due:

• Approccio attivo; • Approccio passivo.

(33)

27 L’approccio attivo utilizza i social media come strumenti di comunicazione, di vendita diretta, di acquisizione di clienti e di customer retention. Vi possono rientrare la distribuzione di contenuti utili, la stimolazione della scrittura di recensioni da parte degli utenti, lo sfruttamento di contenuti generati da questi e il loro coinvolgimento attraverso tattiche di “outsourcing” relative all’innovazione dei prodotti.

“People don’t have time to follow anything on social media that does not provide

value” (Cocheo, 2014). Pertanto, per coinvolgere gli utenti, sarà necessario che ogni

azienda, in base al proprio campo di attività, si concentri sulla pubblicazione di notizie e novità che possano essere utili al suo fan-follower.

Relativamente alle recensioni, l’azienda dovrebbe stimolare i propri utenti a scriverne in numero sempre maggiore. Le recensioni scritte dai clienti sono percepite come più credibili rispetto alle pubblicità dell’azienda e anche più credibili delle recensioni scritte dagli esperti del caso. Infatti:

“The trust of individuals on peer opinion stems from the perception that peer comments reflect sincere feelings and experiences. This sentiment reflects a general feeling of mistrust and increasing suspicion of mainstream media” (Constantinides, 2014).

Le recensioni, però, devono essere spontanee, nel bene o nel male. Gli utenti non devono mai essere obbligati o ricompensati per scriverle: tale comportamento potrebbe ritorcersi contro l’azienda stessa, dal momento che la sincerità e la trasparenza sono essenziali per i consumatori.

Un’altra tattica rientrante nell’approccio attivo dell’utilizzo dei social media è quello di utilizzare i contenuti generati dagli utenti (UGC) come pubblicità per i propri prodotti, servizi e attività.

“Utilizing customer advertising creativity is a new tactic in engaging customers with the brand in a very effective way. The advantage of commercials made by amateurs, next to their negligible cost in comparison to professionally made ones, is that they are perceived as interesting and attractive by customers.” (Constantinides, 2014)

(34)

28 Infine, un’ultima strategia secondo Constantinides (2014) è quella di dare in

outsourcing ai clienti l’innovazione del prodotto attraverso portali specializzati nel crowdsourcing, come Innocentive.com, Yet2.com and Innovationexchange.com.

Le aziende in cerca di soluzioni a problemi tecnici o commerciali possono pubblicare su questi portali una sorta di sfida, offrendo un premio a chi proporrà la soluzione migliore. Oltre a un vantaggio economico – questo processo di problem solving è meno costoso del tradizionale processo di ricerca e sviluppo – l’azienda coinvolgerà gli utenti, raccogliendo le loro idee (e quindi molti spunti per le proprie azioni sul mercato) e mettendoli in competizione, quasi fosse un gioco.

L’approccio passivo, invece, è basato sull’utilizzo dei social media come potenziale fonte di informazioni sui clienti, sulle necessità del mercato, sulla customer experience e sui movimenti dei competitors. Fanno parte di questo approccio a pieno titolo le ricerche di marketing e l’ascolto dei clienti:

“Organizations can also monitor markets, competition, and answer customers via social networks. This allows companies to become more proactive about the changing needs of customers, and to come closer to moves by competition” (Rocha et al., 2013)

I siti di social networking sono sempre più utilizzati dagli utenti per raccogliere informazioni rilasciate da amici o altri utenti come loro.

Quindi, dal punto di vista delle imprese, le piattaforme di social networking sono un ottimo punto di partenza per esplorare il passaparola elettronico degli utenti (il cosiddetto e-WOM) e di altri comportamenti, come la soddisfazione del cliente e la fedeltà. Infatti, molte aziende considerano i social network come miniere piene di una quantità infinita di informazioni (Okazaki et al., 2014).

Tra i motivi per cui un’azienda potrebbe esplorare e analizzare le opinioni dei consumatori, c’è il fatto che semplici commenti, post o tweet potrebbero compromettere l’immagine del brand, proprio a causa di quel passaparola che – quando positivo – le stesse aziende ricercano.

(35)

29 Tramite i social possono essere fatte anche delle ricerche di marketing allo scopo di analizzare le “conversazioni” che avvengono sui social media stessi. C’è la possibilità di immagazzinare grandi quantità di dati e analizzarle attraverso vari strumenti (analisi dei contenuti, sentiment analysis, dialogo, ecc.). I social media sono, tra le altre cose, nuovi strumenti attraverso i quali ascoltare i clienti mentre discutono delle proprie vite, dei propri interessi, bisogni e desideri (Tuten e Solomon, 2014)

Quei dati chiamati “dati secondari” sono quelli immediatamente disponibili a costo zero per le imprese che scelgono di estrarre informazioni degli ambienti social del web. Tuttavia, l’utilizzo di dati residuali non è l’unico approccio che gli operatori di marketing possono adottare per la ricerca sui social media. Negli spazi social, le organizzazioni possono raccogliere anche dati primari. I possibili approcci comprendono l’utilizzo dei diari dei consumatori, interviste e focus group, sondaggi ed esperimenti, tutti condotti all’interno dei canali social. La scelta dell’approccio dipenderà dal ricercatore, dal tipo di ricerca, dalla finalità, dal tempo e dalle risorse a disposizione.

A tali benefici, fanno però da contraltare alcuni rischi solo parzialmente controllabili dalle aziende.

Il primo rischio a cui si va incontro operando sui social network è quello dell’empowerment dei consumatori. In realtà tale rischio è presente anche qualora l’azienda non presidi i social media, in quanto ognuno è libero di scrivere e postare la propria opinione anche relativamente a chi non è un utente iscritto. In ogni caso, gli operatori di mercato devono confrontarsi con il fatto che il loro dominio sulle informazioni e sulle comunicazioni veicolate tramite i mass-media viene intaccato dagli utenti del web.

“Although recent research has described how social media platforms are increasingly used to promote brands, research also indicates that brand owners are losing control of their content and the reach, frequency, and timing of the distribution of their messages” (Fournier & Avery, 2011). “Stakeholders increasingly interact with firms and with each other,

(36)

30

challenging the company’s dominant role in the corporate brand-creation process”. (Vernuccio, 2014)

Precedentemente abbiamo parlato dei contenuti generati dagli utenti (UGC) come un fattore positivo da sfruttare a proprio favore. Ma questi contenuti sono anche potenzialmente dannosi per le aziende.

“People are not afraid to speak their mind, and will communicate in any way about the products and services they receive. […] Through word of mouth via social media, marketing by consumer has become a major influence” (Carlson e Lee, 2015)

Le persone non hanno paura di dire quello che pensano, in positivo ma anche in negativo. Tradizionalmente, un cliente scontento scriveva una lettera o una e-mail all’azienda, trasmetteva il proprio dispiacere ad amici e parenti, o si arrabbiava con uno sfortunato rappresentante del servizio clienti. L’onda di propagazione del malcontento era quindi minima. La situazione odierna, con l’utilizzo intensivo dei social da parte dei clienti, è ben diversa:

“[…] unhappy customers lead to tweets, retweets, more retweets, and viral videos with half a million views. These interactions create negative awareness and influence the way consumers make decisions.” (Vemuri,

2010)

Si rivelano quindi essenziali il monitoraggio e l’ascolto continuo dei social media, ma soprattutto un tempestivo ed efficiente servizio di recovery.

(37)

31

3. LE BANCHE NELL’ERA DIGITALE

3.1 Banche: da Brick and Mortar a Click and Mortar

“Retail banking has already become a digital business, spurred by the rapid spread of broadband access and affordable smart mobile devices. Globally, an average of more than half of consumers’ banking interactions took place through online or mobile channels. […] Add the use of ATMs, which increasingly connect to the Internet, and the share of digital interactions exceeds 85% for the most advanced countries today and is heading to more than 95% in the near future.” (Baxter e Vater, 2014)

Il settore bancario è un settore information-intensive ed è tra i pionieri nell’adozione delle IT. Negli ultimi 15 anni si è assistito a una sempre maggiore virtualizzazione delle operazioni bancarie: siamo passati dalla moneta fisica ai pagamenti elettronici; i libretti di risparmio, i certificati di deposito e perfino parte dei consulenti di servizio nelle filiali sono stati sostituiti con alternative digitali disponibili online (Bons et al., 2012).

Per sopravvivere in un ambiente molto competitivo, le banche devono basare il loro sviluppo sull’applicazione delle IT. Sotto questo punto di vista, Bons et al. (2012) hanno individuato tre flussi di sviluppo.

In primo luogo, le banche sono adottatrici precoci di nuove tecnologie informatiche. Dal momento che questo richiede grandi investimenti di risorse, le banche cercano allo stesso tempo di contenere i budget per l’IT, ricorrendo spesso all’outsourcing e all’introduzione di software preconfezionati.

Un secondo sviluppo è quello legato all’applicazione di tecnologie internet che necessitano una rete interna per poter funzionare, che necessitano di una “connettività inter-organizzativa”. Si tratta di quelle reti utilizzate da più attori, a volte anche in concorrenza tra loro, del settore finanziario, come la rete degli ATM.

Il terzo sviluppo, invece, si riferisce alla sostituzione dei piani di trading fisico con mercati elettronici, per la maggior parte dei principali strumenti derivati e di borsa. L’adozione delle IT nel settore bancario ha portato a nuove opportunità e soprattutto a nuovi modelli di business. Sono nati i cosiddetti “banking mobile” e “online banking”,

(38)

32 cioè canali specifici che vengono offerti ai clienti per interagire con le proprie banche senza doversi recare in filiale. Questi canali sembrano essere una naturale estensione dell’era digitale che vive di smartphone, app e accesso “from anywhere, anytime”. Tali strumenti, però, non sono visti come sostituti delle banche e delle filiali tradizionali, ma come completamento dell’offerta:

“Digital channels will not fully replace physical channles. Branches, for

example, will not disappear, but their role will change” (Baxter e Vater,

2014)

Di fatto, al giorno d’oggi quasi tutte le banche offrono un servizio internet dove i clienti possono accedere ai propri conti, cambiare i propri dati e fare operazioni bancarie più o meno complicate in autonomia (Bons et al., 2012).

L’adozione delle IT e la trasformazione delle banche da un modello che potremmo descrivere come “Brick&Mortar” a uno ibrido, di tipo “Click&Mortar”, non è stata immediata.

Dopo un primo tentativo fallimentare nel Regno Unito nel 1983 a carico della Nottingham Building Society, che offriva servizi bancari online da casa, alla fine degli anni ’90 le banche online hanno iniziato a proliferare. Il cambiamento è stato graduale: inizialmente le banche hanno spostato parte dei loro servizi tradizionali sui portali online per avere dei risparmi sui costi, “per rendere la banca più conveniente” e solo le banche più coraggiose hanno osato andare più avanti, inventando un nuovo tipo di

customer experience e cercando di fornire nuovi modi di coinvolgere i consumatori e

portargli un nuovo valore aggiunto. E sono poi state seguite da tutte le altre (Baxter e Vater, 2014).

Ne è un chiaro esempio l’olandese ING che, invece di istituire una rete di filiali, opera principalmente attraverso canali digitali (web, app e mobile, social network), call center, bankshop e agenti nei più importanti centri commerciali degli oltre 40 Paesi in cui è presente. Per le transazioni è sufficiente collegarsi al sito web, per la gestione del denaro, invece, basta recarsi ad una qualsiasi macchina ATM.

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