– I.F.M. n. 1 anno 2006
ALESSANDRO BRUGNOLI (*)
IMPATTO DEL CERVO SULLA RINNOVAZIONE FORESTALE E GESTIONE FAUNISTICA INTEGRATA
L’impatto sulle foreste che le popolazioni di Cervo (Cervus elaphus L.), diffuse sul territorio nazionale dal secondo dopoguerra in seguito sia a ricolonizzazione spontanea che ad interventi di reintroduzione, sono in grado di determinare rappresenta un tema di crescente interesse per zoologi, forestali ed amministratori di aree protette. In particolare la selvicoltura naturalistica affronta oggi l’impatto degli Ungulati come uno dei suoi pro- blemi principali.
Tra le misure che possono ripristinare un equilibrio tra le due componenti dell’ecosi- stema si distinguono quelle relative alla gestione faunistico-venatoria e quelle di gestione forestale ed ambientale in senso lato: è comunque necessario che nell’applicazione pratica si pianifichi una integrazione tra i due gruppi di interventi. Ciò è reso possibile, come testimoniato dai primi esempi, nel contesto della pianificazione forestale regionale.
La riduzione numerica delle popolazioni di Cervo rappresenta ormai spesso anche in Italia un’azione preliminare all’attuazione di corrette pratiche selvicolturali. Un’altra misura consigliata di gestione faunistica è costituita da un adeguato svolgimento dell’azio- ne di prelievo in termini temporali e spaziali: sulle Alpi sono inoltre diffusi l’utilizzo dei recinti di svernamento e la pratica del foraggiamento in foresta. La mancanza di aree aperte a prato e/o di radure all’interno del bosco è d’altro canto riconosciuta come una delle cause predisponenti ad impatti insostenibili provocati dagli Ungulati. Le esperienze realizzate nell’ultimo decennio in Trentino e nel Parco Nazionale dello Stelvio sono illu- strate nel dettaglio.
Parole chiave: Cervo; rinnovazione forestale; gestione faunistica; impatto da brucamento.
Key words: red deer; forest regeneration; wildlife management; browsing impact.
P REMESSA
Il tema dell’impatto della fauna selvatica, e del Cervo (Cervus elaphus L.) in particolare, sul bosco, e sulla rinnovazione forestale nello specifico, è ormai diventato di attualità anche in ambito nazionale (C ARMI -
GNOLA e E RHARD , 1997; S CRINZI et al., 1997; A RMANI e F RANZOI , 1998;
(*) Associazione Cacciatori Trentini, Via Guardini 41, 38100 TRENTO – alessandro.brugno-
li@acp-tn.it
M OTTA , 1999, 2003). Con qualche decennio di anticipo sull’argomento si è largamente dibattuto nel mondo forestale centroeuropeo, dove le esperien- ze accumulate sono sicuramente più significative e appunto di più lunga data, anche se non sempre facilmente esportabili negli ambienti forestali alpini ed appenninici italiani (R EIMOSER e G OSSOW , 1996; R EIMOSER , 2003;
W OTSCHIKOVSKY e S IMON , 2004). Analogamente, esiste ormai una vasta let- teratura sull’argomento per quanto riguarda la Scozia, dove il problema dell’impatto del Cervo sulle cosiddette foreste commerciali, ovvero ad indi- rizzo produttivo, è al centro delle preoccupazioni dei gestori del bosco come anche di chi si occupa di conservazione e gestione del Cervo (C LUT -
TON -B ROCK e A LBON , 1989). Recentemente P ACI (2004), in una disamina dei problemi attuali della selvicoltura naturalistica nazionale, ha sostenuto come non si possa fare a meno di sottolineare come «…nel nostro Paese, oggi, sostenibilità significa soprattutto fare i conti con la componente faunisti- ca dei sistemi forestali. Nell’ottica di una gestione su base naturalistica, - con- tinua Paci – il problema degli ungulati selvatici, che minacciano la rinnova- zione naturale di molti boschi italiani, è prioritario…». Più avanti lo stesso P ACI (ibidem) riconosce, citando R EIMOSER e G OSSOW (1996), come
«…d’altronde non si tratta solo di un problema selvicolturale: forestali, cac- ciatori, agronomi e autorità delegate alla gestione del turismo, sono tutti sog- getti da coinvolgere, visto che il problema va affrontato su scala territoriale…». In termini generali, probabilmente anche a causa della quasi completa estinzione delle popolazioni nazionali di Ungulati avvenuta tra XVIII e XIX secolo (P EDROTTI et al., 2001; M ATTIOLI , 2003), il mondo forestale italiano tende tuttora a considerare un processo innaturale quello in atto, ossia dello sviluppo, a volte impressionante, delle popolazioni di questo gruppo di specie e del Cervo in particolare in ambito sia alpino che appenninico. Già M ATTIOLI (1996), quasi un decennio fa, faceva notare come occorresse iniziare ad intervenire sulla struttura del bosco per favori- re gli Ungulati o perlomeno per metterli nelle condizioni di provocare meno danni: e la questione, sempre secondo M ATTIOLI (ibidem), «non è semplice, perché bisogna abituare zoologi e forestali italiani a parlare uno stes- so linguaggio e a lavorare insieme per obiettivi comuni». Dal punto di vista dell’inquadramento generale del problema sembra assolutamente condivisi- bile la posizione espressa sull’argomento da C ARMIGNOLA e E RHARD
(1997:59), che si riporta nel dettaglio: «…Da millenni gli ungulati sono un
elemento fondamentale dell’ecosistema bosco ed hanno un fondato diritto a
rimanere presenti nell’attuale ambiente trasformato dall’uomo. Una forte
decimazione o addirittura l’estinzione degli ungulati allo scopo di favorire il
bosco sarebbe certo una soluzione semplice, ma non sostenibile dal punto di
vista ecologico ed etico. Nell’interesse pubblico si deve quindi mirare ad un equilibrio tra un bosco sano e la conservazione degli ungulati che ne sono caratteristici…».
In questa nota si prenderà quindi in esame l’impatto che il più grande degli Ungulati presenti nel nostro Paese, ossia il Cervo, è in grado di provo- care sugli ecosistemi forestali. Grandi dimensioni corporee, fabbisogni nutritivi piuttosto elevati, ampi spazi vitali con quartieri stagionali distinti, notevole mobilità e tendenza alla gregarietà fanno infatti del Cervo una spe- cie particolarmente impegnativa sotto questo profilo, anche considerando- ne la particolare flessibilità comportamentale. Si cercherà soprattutto di fare il punto su quali possano essere le misure di una corretta gestione fau- nistico-venatoria che, integrandosi con (corrispondentemente) corrette misure di gestione selvicolturale ed ambientale in senso lato, possano per- venire ad una diminuzione del citato impatto, o perlomeno ad un suo con- trollo consapevole. Verrà fatto particolare riferimento alla realtà territoriale della provincia di Trento, caratterizzata da condizioni «didattiche» riguar- do all’argomento considerata l’importanza del locale settore forestale e lo sviluppo della rispettiva popolazione di Cervo (quasi 8000 capi stimati pre- senti negli anni 2003-2005).
I L RITORNO DEL C ERVO
Il Cervo ha di recente ricolonizzato una buona parte del territorio alpino italiano ed è presente con tre principali popolazioni ormai pienamente affer- mate sulla catena appenninica, mentre progetti di reintroduzione sono stati avviati in numerose altre aree protette peninsulari. È da attendersi quindi un progressivo recupero degli areali precedentemente occupati dalla specie, dai quali la stessa è scomparsa tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo a causa, principalmente, delle modificazioni ambientali e della persecuzione diretta (M ATTIOLI , 2003). Gli unici nuclei autoctoni sopravvissuti al generale impoverimento faunistico di quel periodo storico sono rappresentati dalla popolazione della Mesola, nel Delta del Po in provincia di Ferrara, e (con buona probabilità) da un piccolo nucleo in Val Venosta, nel territorio di Glo- renza, in provincia di Bolzano (H ALLER , 2002). Il processo di ricolonizzazio- ne è stato documentato in particolare da M ATTIOLI et al. (2001) e da P EDROT -
TI et al. (2001). Sulle Alpi centro-orientali le popolazioni attuali derivano
principalmente da immigrazione naturale dai Paesi confinanti, Svizzera ed
Austria. Sulle Alpi occidentali invece il contributo di alcuni progetti di rein-
troduzione è prevalente. Sugli Appennini le popolazioni presenti derivano
interamente da interventi di reintroduzione attiva condotti a partire dai primi anni Cinquanta: tra il 1950 ed il 1998 è stato possibile documentare nel com- plesso 45 diversi episodi di immissione di cervi in libertà sull’intero territorio nazionale (M ATTIOLI et al., 2001). Le motivazioni di questi interventi eviden- temente poggiavano e poggiano tuttora sull’esigenza di ripristinare una com- ponente fondamentale degli ecosistemi forestali scomparsa a causa dell’uo- mo. Purtroppo, come è già stato rilevato, si deve far notare che non sempre gli interventi di reintroduzione sono stati accompagnati da una adeguata proget- tazione delle operazioni. Alcuni progetti di reintroduzione in corso di attua- zione in Parchi Nazionali ed altre aree protette del Centro-Sud (Parchi Nazionali del Pollino, del Cilento e Vallo di Diano, della Maiella, dei Monti Sibillini, Parco Regionale Sirente-Velino) sono particolarmente promettenti ed importanti per colmare le ampie lacune che caratterizzano ancora la distri- buzione della specie nell’Italia peninsulare. Al 2000 l’areale distributivo della specie risultava quello rappresentato in Fig. 1 (M ATTIOLI , 2003), esteso per circa 38000 km
2: d’altro canto la consistenza complessiva stimata a livello nazionale nel 1999-2000 era pari a circa 44000 capi (compresi circa 2700 della sottospecie sarda, P EDROTTI et al., 2001).
I TIPI DI IMPATTO E LA LORO ENTITÀ
Si possono distinguere tre tipi di impatto che gli Ungulati selvatici, ed in particolare il Cervo, possono arrecare alla componente forestale degli ecosistemi in funzione di differenti esigenze fisiologico-comportamentali (B ERRETTI e M OTTA , 2005):
1. sfregamento (ing. fraying): i palchi dei maschi del Cervo e del Capriolo (Capreolus capreolus L.) vengono sfregati sui fusti o sui rami degli alberi.
Gli sfregamenti vengono effettuati in tre periodi distinti del ciclo vitale delle due specie di Ungulati:
– la marcatura di tipo territoriale per il Capriolo e nel periodo del brami- to per il Cervo;
– la perdita del velluto al termine della crescita annuale dei palchi (marzo-giugno per il Capriolo, luglio-agosto per il Cervo);
– la caduta dei palchi (ottobre-dicembre per il Capriolo, marzo-giugno per il Cervo).
2. scortecciamento (ing. bark-peeling): si presenta quando i Cervi rosicchia-
no e rimuovono la sottile corteccia di alberi di giovane età, allo stadio di
perticaia, il cui tronco ha generalmente un diametro compreso tra i 10 ed
i 20 cm. Questo tipo di impatto è spesso da porre in relazione alla pratica
del foraggiamento invernale: la corteccia serve infatti per integrare la
scarsa quantità di fibra presente nel foraggio. Lo scortecciamento deter- mina l’infiltrazione di agenti patogeni nel fusto dell’albero, con conse- guente degradazione della qualità del legno, diminuzione di stabilità di fronte agli eventi atmosferici e perdita di valore economico del tronco.
Gli alberi danneggiati sono molto meno longevi rispetto a quelli sani (C ARMIGNOLA , 2001). Accanto allo scortecciamento invernale viene descritto anche uno scortecciamento estivo, effettuato quando gli alberi sono in succhio, in un momento cioè in cui la corteccia è staccabile con maggior facilità dal legno sottostante.
Figura 1 – Distribuzione del Cervo in Italia nel 1998 (da M
ATTIOLI, 2003).
– Red deer distribution in Italy in 1998 (after M
ATTIOLI, 2003).
3. brucamento (ing. browsing): consiste nel prelievo di parti di piante arbo- ree ed arbustive, ossia foglie, rametti e germogli, attuato dagli Ungulati per soddisfare il fabbisogno di fibra grezza richiesta dalla dieta quotidia- na. Il brucamento è effettuato principalmente nella stagione invernale, periodo nel quale le piante sono in riposo vegetativo. In inverno le dispo- nibilità alimentari alternative sono ridotte e, soprattutto nei periodi di innevamento, i getti o i germogli terminali che fuoriescono dal manto nevoso sono più soggetti al rischio di brucamento. Il brucamento che interessa gli apici vegetativi in modo ripetuto nel tempo è detto bruca- mento ripetuto, e si distingue dal brucamento semplice che interessa solo una volta l’apice vegetativo.
Con un impatto prolungato gli Ungulati possono modificare le comu- nità vegetali tra cui anche gli ecosistemi forestali: questo può avvenire ad esempio con la scomparsa delle specie più appetite quali Abete bianco (Abies alba Mill.) o Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.) (B ERRETTI
e M OTTA , 2005). Va ricordato come d’altro canto il brucamento del Cervo abbia provocato mediamente nel periodo 1917-1999 un raddoppio del numero di specie vegetali riscontrate negli ecosistemi di prateria subalpina del Parco Nazionale Svizzero: S CHÜTZ et al. (2003) hanno infatti evidenzia- to una correlazione altamente significativa tra i cambiamenti numerici delle specie vegetali e la presenza del Cervo, con la ricchezza di specie in aumen- to all’aumentare delle densità delle popolazioni di quest’ultimo.
A NGELI e M ALESANI (2001) hanno presentato i risultati preliminari di un interessante inventario dell’impatto degli Ungulati sulla rinnovazione naturale nelle foreste trentine, che possono essere posti a confronto (Tab. 1) con i dati dell’inventario condotto negli anni 1992-95 in Alto Adige (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997) e di quello condotto nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio nel 1998 (C ARMIGNOLA , 2001). M OTTA
(1999) ha inoltre presentato i risultati di alcuni inventari condotti a livello intensivo nel periodo 1987-1997 in diverse aree protette nazionali del setto- re alpino occidentale ed orientale (cfr. Tab. 2), dove tra gli Ungulati presen- ti vi è sempre il Cervo, fatta eccezione per l’Alta Valle Pesio.
M ISURE DI GESTIONE FAUNISTICA E VENATORIA
Nelle situazioni in cui si evidenzia uno squilibrio ormai avviato tra le
componenti del sistema fauna-foresta, va innanzitutto ricercata la stabilizza-
zione delle popolazioni del Cervo su livelli di consistenza che consentano
un impatto sostenibile dal punto di vista della gestione forestale. D’altra
parte va tenuto conto di come la presenza di danni da selvaggina non dipenda unicamente dalla consistenza numerica dei selvatici, ma anche da molti altri fattori, in primo luogo dal tipo di habitat a loro disposizione (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997). R EIMOSER e G OSSOW (1996) hanno eviden- ziato come in Europa centrale i forestali siano stati per troppo tempo (e spesso ancora siano) convinti che i problemi tra fauna e foresta siano fon- damentalmente una questione di riduzione di densità della selvaggina.
Spesso, tuttavia, dove lo sforzo di caccia ed i prelievi sono stati fortemente intensificati, la riduzione dell’impatto dei selvatici non ha corrisposto alle aspettative. In ogni caso, qualora l’esigenza sia di una riduzione più o meno
Tabella 1 – Incidenza percentuale del brucamento in recenti inventari a livello estensivo (da C
ARMI-
GNOLA
e E
RHARD, 1997; C
ARMIGNOLA, 2001; A
NGELIe M
ALESANI, 2001; M
ALESANI, com. pers.; * spe- cie presente nella rinnovazione rilevata con valori inferiori all’1%).
– Percentage of browsing incidence in recent extensive surveys (after C
ARMIGNOLAand E
RHARD, 1997; C
ARMIGNOLA, 2001; A
NGELIand M
ALESANI, 2001; M
ALESANI, pers. com.; * species with less than 1% presence in regeneration).
A
LTOA
DIGEPNS T
RENTINOAbete rosso 14 31 19
Abete bianco 37 * 68
Larice 27 38 24
Pino silvestre 12 19 11
Pino cembro 14 19 11
Conifere 16 31 27
Latifoglie 60 76 52
Tabella 2 – Incidenza percentuale del brucamento in inventari a livello intensivo 1987-1997 (da M
OTTA, 1999, modificato: AVS Alta Valle di Susa, VSB Valle G.S. Bernardo, VCH Val Chisone, VPG Valli Pellice e Germanasca, OSS Ossola, AVP Alta Valle Pesio, CAD F.D. Cadino, PSM FF.DD. Pane- veggio e S.Martino, VAN Vanoi e Val Canali, ADB Adamello-Brenta).
– Percentage of browsing incidence in intensive surveys carried on in 1987-1997 (after M
OTTA, 1999, modified: AVS Alta Valle di Susa, VSB Valle G.S. Bernardo, VCH Val Chisone, VPG Valli Pellice and Germanasca, OSS Ossola, AVP Alta Valle Pesio, CAD F.D. Cadino, PSM FF.DD. Paneveggio and S.Martino, VAN Vanoi and Val Canali, ADB Adamello-Brenta).
S
PECIEAVS VSB VCH VPG OSS AVP CAD PSM VAN ADB
Larix decidua 46 17 20 2 7 1 17 16 5
Abies alba 95 89 22 9 27 6 51 44 28
Picea abies 34 11 14 5 0 9 14 10 10
Pinus sylvestris 28 15 0 12
Pinus cembra 20 13 4 0 3 11 33
Pinus uncinata e P. mugo 25 6 5 4
Fagus sylvatica 11 5 4 40 15
Sorbus aucuparia 87 27 27 13 19 71 47 74 46
Acer pseudoplatanus 74 18 69 26 18 12 23
Fraxinus ss.pp. 75 2 27 42 13 6 33
Altre latifoglie 73 3 12 10 5 31 80 71 29
marcata della popolazione, occorre evidentemente concentrare il prelievo sulle femmine, componente riproduttiva principale. Inoltre, la strutturazio- ne sociale della popolazione deve garantire una adeguata rappresentanza alle varie classi di sesso ed età: in particolare, nel Cervo il ruolo delle tradi- zioni di utilizzo del territorio dei gruppi matrilineari va attentamente consi- derato, per evitare destrutturazioni pericolose e conseguenze indesiderate degli interventi di prelievo (W OTSCHIKOVSKY e S IMON , 2004).
In via preliminare occorre comunque non tanto o non solo determina- re con sufficiente attendibilità la consistenza assoluta della popolazione di riferimento, quanto verificare l’applicabilità di metodologie di censimento standardizzato che riescano a fornire informazioni di una certa precisione sul trend delle popolazioni. In proposito si segnala l’esperienza della trenti- na Val di Sole, dove nel decennio 1995-2004 il metodo principale è stato costituito dal conteggio notturno di cervi al faro, eseguito in periodo prima- verile, sul primo verde dei prati di fondovalle. Per inciso si sono succeduti in questo periodo due inverni particolarmente nevosi e duri per la locale popolazione di Cervo, che nel quinquennio precedente era già stata assog- gettata a livelli di prelievo via via crescenti, nel tentativo appunto di arre- starne l’accrescimento numerico.
L’intervento diretto alla riduzione numerica della locale popolazione di
Cervo come prima misura di una ricomposizione ecologica più generale è
stato sperimentato (per la prima volta nell’ambito delle aree protette nazio-
nali) nella Unità di Gestione Media Venosta-Martello, nel settore altoatesi-
no del Parco Nazionale dello Stelvio (P EDROTTI , 2004). Qui si è tentato di
ridurre la densità della popolazione, stimata mediante censimenti notturni
al faro, da 8,2 capi/100 ha a circa 4 capi/100 ha, attraverso un primo pro-
gramma triennale di intervento (2000-2002) mediante la realizzazione di
427 prelievi annui. È comunque fondamentale tenere ben presente che l’o-
biettivo del piano di gestione non era costituito dalla riduzione delle den-
sità delle popolazioni di per sé, quanto dalla riduzione dell’impatto che il
Cervo esercita sullo sviluppo del bosco e sulle attività antropiche di caratte-
re economico. L’obiettivo del piano deve quindi essere raggiunto attraverso
l’utilizzo complementare e parallelo di differenti tipi di intervento, sia diret-
to che indiretto: la limitazione dell’impatto sulla componente vegetale deve
essere raggiunta sia riducendo appunto la densità di popolazione del Cervo,
sia operando un progressivo miglioramento degli habitat forestali, in modo
da fornire un maggior apporto trofico invernale e ridurre il rischio di dan-
neggiamento (P EDROTTI , 2004). Il primo piano di controllo triennale non
ha raggiunto l’obiettivo prefissato di abbassamento delle consistenze attor-
no al valore soglia di 700 cervi (corrispondenti alla densità di circa 4
capi/100 ha), motivo per il quale si è deciso di proseguire con un secondo
piano di gestione triennale (2003-2005) che prevede l’esecuzione di 380 prelievi annui, tenendo conto nella simulazione di dinamica della popola- zione delle informazioni acquisite sui tassi di accrescimento e sulla struttura di popolazione e sulle percentuali di sottostima dei censimenti primaverili.
Non è comunque sufficiente determinare un livello di consistenza (presumibilmente) compatibile con l’impatto conseguente: una volta rag- giuntolo, diventa fondamentale mantenerlo nel tempo, sottoponendo a monitoraggio i relativi effetti, ad esempio con rilievi vegetazionali di con- trollo ripetuti in periodi di tre anni (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997).
Va inoltre considerato come lo stesso disturbo causato dalla caccia possa complicare non poco il raggiungimento di adeguate densità, contri- buendo a rendere la fauna selvatica sempre più schiva e difficilmente avvi- cinabile. A questo riguardo viene suggerita l’adozione di una alternanza di periodi di sforzo di caccia intenso e di periodi di riposo (R EIMOSER , 1991).
Il problema della definizione di strategie ottimali di prelievo è riconosciu- to come meritevole di attività di ricerca maggiormente dettagliate. Una esigenza generale è quella di cercare di evitare di esercitare una pressione di caccia eccessiva: tra l’altro lo stress causato alla fauna selvatica dall’uo- mo, in seguito ad un disturbo (in questo caso collegato all’attività venato- ria), si riflette direttamente sul problema del danneggiamento a carico della vegetazione forestale a causa dell’incremento di energia richiesto dal- l’animale in fuga rispetto a quello tranquillo in fase di riposo (B ERRETTI e M OTTA , 2005).
Dal punto di vista delle ricadute pianificatorie in campo faunistico è
interessante rilevare come le risultanze della indagine sopracitata sul livello
di impatto del brucamento siano state utilizzate in Trentino quali fattori
guida nel determinare le consistenze di riferimento del primo Piano Fauni-
stico Provinciale per quanto concerne il Cervo. P EDROTTI et al. (2003),
infatti, hanno analizzato quantitativamente l’ammontare dell’impatto per
ciascuno dei 10 Distretti Forestali in cui è diviso il territorio della Provincia
di Trento, ed hanno rilevato un gradiente ed una relazione significativa tra
l’entità dell’impatto sulla rinnovazione (sintetizzato in un indice relativo) e
lo scarto attuale esistente per ciascun Distretto tra consistenza reale e consi-
stenza potenziale (che può essere considerata secondo gli Autori prossima a
quella massima) nelle popolazioni di Cervo (Tab. 3, Fig. 2). In prima
approssimazione si è scelto quindi di considerare come accettabile da un
punto di vista strettamente «forestale» una situazione in cui gli impatti sulle
Conifere fossero inferiori o comunque non superiori ai valori medi provin-
ciali. Una tale situazione ha trovato riscontro in popolazioni con consisten-
ze non superiori al 30% delle consistenze potenziali stimate. La prima
opzione di consistenza di progetto (detta «opzione forestale») individua
Tabella 3 – Relazione tra indice relativo di impatto sulla rinnovazione forestale e scarto percentuale tra consistenza reale e potenziale di Cervo nei Distretti Forestali della Provincia di Trento; l’indice di impatto di ciascun Distretto Forestale è pari alla somma degli impatti relativi per ciascuna essenza considerata. Ciascuno di questi ultimi valori è stato ricavato calcolando l’indice di Ivlev tra la percen- tuale di piante brucate nel singolo Distretto Forestale e il valore medio provinciale. Valori negativi indicano un impatto inferiore alla media, valori positivi indicano un impatto superiore alla media (da P
EDROTTIet al., 2003, modificato).
– Relative index of impact on forest regeneration vs. percentage difference between red deer real and potential population size for the Forest Districts in province of Trento; index of impact of a Fore- st District is the sum resulting from the impacts of the single forest species considered. Each of these spe- cies-specific impacts is derived from Ivlev’s index relating to browsing percentage of the Forest District and the average value at the provincial scale. Negative values mean a below-average impact, positive values indicate an upon-average impact (after P
EDROTTIet al., 2003, modified).
D
IST. F
ORESTALEI
NDICE RELATIVOC
ONSISTENZAC
ONSISTENZAS
CARTO DI IMPATTO SULLA REALE POTENZIALE REALE/
POTENZIALERINNOVAZIONE