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IMPATTO DEL CERVO SULLA RINNOVAZIONE FORESTALEE GESTIONE FAUNISTICA INTEGRATA

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– I.F.M. n. 1 anno 2006

ALESSANDRO BRUGNOLI (*)

IMPATTO DEL CERVO SULLA RINNOVAZIONE FORESTALE E GESTIONE FAUNISTICA INTEGRATA

L’impatto sulle foreste che le popolazioni di Cervo (Cervus elaphus L.), diffuse sul territorio nazionale dal secondo dopoguerra in seguito sia a ricolonizzazione spontanea che ad interventi di reintroduzione, sono in grado di determinare rappresenta un tema di crescente interesse per zoologi, forestali ed amministratori di aree protette. In particolare la selvicoltura naturalistica affronta oggi l’impatto degli Ungulati come uno dei suoi pro- blemi principali.

Tra le misure che possono ripristinare un equilibrio tra le due componenti dell’ecosi- stema si distinguono quelle relative alla gestione faunistico-venatoria e quelle di gestione forestale ed ambientale in senso lato: è comunque necessario che nell’applicazione pratica si pianifichi una integrazione tra i due gruppi di interventi. Ciò è reso possibile, come testimoniato dai primi esempi, nel contesto della pianificazione forestale regionale.

La riduzione numerica delle popolazioni di Cervo rappresenta ormai spesso anche in Italia un’azione preliminare all’attuazione di corrette pratiche selvicolturali. Un’altra misura consigliata di gestione faunistica è costituita da un adeguato svolgimento dell’azio- ne di prelievo in termini temporali e spaziali: sulle Alpi sono inoltre diffusi l’utilizzo dei recinti di svernamento e la pratica del foraggiamento in foresta. La mancanza di aree aperte a prato e/o di radure all’interno del bosco è d’altro canto riconosciuta come una delle cause predisponenti ad impatti insostenibili provocati dagli Ungulati. Le esperienze realizzate nell’ultimo decennio in Trentino e nel Parco Nazionale dello Stelvio sono illu- strate nel dettaglio.

Parole chiave: Cervo; rinnovazione forestale; gestione faunistica; impatto da brucamento.

Key words: red deer; forest regeneration; wildlife management; browsing impact.

P REMESSA

Il tema dell’impatto della fauna selvatica, e del Cervo (Cervus elaphus L.) in particolare, sul bosco, e sulla rinnovazione forestale nello specifico, è ormai diventato di attualità anche in ambito nazionale (C ARMI -

GNOLA e E RHARD , 1997; S CRINZI et al., 1997; A RMANI e F RANZOI , 1998;

(*) Associazione Cacciatori Trentini, Via Guardini 41, 38100 TRENTO – alessandro.brugno-

li@acp-tn.it

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M OTTA , 1999, 2003). Con qualche decennio di anticipo sull’argomento si è largamente dibattuto nel mondo forestale centroeuropeo, dove le esperien- ze accumulate sono sicuramente più significative e appunto di più lunga data, anche se non sempre facilmente esportabili negli ambienti forestali alpini ed appenninici italiani (R EIMOSER e G OSSOW , 1996; R EIMOSER , 2003;

W OTSCHIKOVSKY e S IMON , 2004). Analogamente, esiste ormai una vasta let- teratura sull’argomento per quanto riguarda la Scozia, dove il problema dell’impatto del Cervo sulle cosiddette foreste commerciali, ovvero ad indi- rizzo produttivo, è al centro delle preoccupazioni dei gestori del bosco come anche di chi si occupa di conservazione e gestione del Cervo (C LUT -

TON -B ROCK e A LBON , 1989). Recentemente P ACI (2004), in una disamina dei problemi attuali della selvicoltura naturalistica nazionale, ha sostenuto come non si possa fare a meno di sottolineare come «…nel nostro Paese, oggi, sostenibilità significa soprattutto fare i conti con la componente faunisti- ca dei sistemi forestali. Nell’ottica di una gestione su base naturalistica, - con- tinua Paci – il problema degli ungulati selvatici, che minacciano la rinnova- zione naturale di molti boschi italiani, è prioritario…». Più avanti lo stesso P ACI (ibidem) riconosce, citando R EIMOSER e G OSSOW (1996), come

«…d’altronde non si tratta solo di un problema selvicolturale: forestali, cac- ciatori, agronomi e autorità delegate alla gestione del turismo, sono tutti sog- getti da coinvolgere, visto che il problema va affrontato su scala territoriale…». In termini generali, probabilmente anche a causa della quasi completa estinzione delle popolazioni nazionali di Ungulati avvenuta tra XVIII e XIX secolo (P EDROTTI et al., 2001; M ATTIOLI , 2003), il mondo forestale italiano tende tuttora a considerare un processo innaturale quello in atto, ossia dello sviluppo, a volte impressionante, delle popolazioni di questo gruppo di specie e del Cervo in particolare in ambito sia alpino che appenninico. Già M ATTIOLI (1996), quasi un decennio fa, faceva notare come occorresse iniziare ad intervenire sulla struttura del bosco per favori- re gli Ungulati o perlomeno per metterli nelle condizioni di provocare meno danni: e la questione, sempre secondo M ATTIOLI (ibidem), «non è semplice, perché bisogna abituare zoologi e forestali italiani a parlare uno stes- so linguaggio e a lavorare insieme per obiettivi comuni». Dal punto di vista dell’inquadramento generale del problema sembra assolutamente condivisi- bile la posizione espressa sull’argomento da C ARMIGNOLA e E RHARD

(1997:59), che si riporta nel dettaglio: «…Da millenni gli ungulati sono un

elemento fondamentale dell’ecosistema bosco ed hanno un fondato diritto a

rimanere presenti nell’attuale ambiente trasformato dall’uomo. Una forte

decimazione o addirittura l’estinzione degli ungulati allo scopo di favorire il

bosco sarebbe certo una soluzione semplice, ma non sostenibile dal punto di

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vista ecologico ed etico. Nell’interesse pubblico si deve quindi mirare ad un equilibrio tra un bosco sano e la conservazione degli ungulati che ne sono caratteristici…».

In questa nota si prenderà quindi in esame l’impatto che il più grande degli Ungulati presenti nel nostro Paese, ossia il Cervo, è in grado di provo- care sugli ecosistemi forestali. Grandi dimensioni corporee, fabbisogni nutritivi piuttosto elevati, ampi spazi vitali con quartieri stagionali distinti, notevole mobilità e tendenza alla gregarietà fanno infatti del Cervo una spe- cie particolarmente impegnativa sotto questo profilo, anche considerando- ne la particolare flessibilità comportamentale. Si cercherà soprattutto di fare il punto su quali possano essere le misure di una corretta gestione fau- nistico-venatoria che, integrandosi con (corrispondentemente) corrette misure di gestione selvicolturale ed ambientale in senso lato, possano per- venire ad una diminuzione del citato impatto, o perlomeno ad un suo con- trollo consapevole. Verrà fatto particolare riferimento alla realtà territoriale della provincia di Trento, caratterizzata da condizioni «didattiche» riguar- do all’argomento considerata l’importanza del locale settore forestale e lo sviluppo della rispettiva popolazione di Cervo (quasi 8000 capi stimati pre- senti negli anni 2003-2005).

I L RITORNO DEL C ERVO

Il Cervo ha di recente ricolonizzato una buona parte del territorio alpino italiano ed è presente con tre principali popolazioni ormai pienamente affer- mate sulla catena appenninica, mentre progetti di reintroduzione sono stati avviati in numerose altre aree protette peninsulari. È da attendersi quindi un progressivo recupero degli areali precedentemente occupati dalla specie, dai quali la stessa è scomparsa tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo a causa, principalmente, delle modificazioni ambientali e della persecuzione diretta (M ATTIOLI , 2003). Gli unici nuclei autoctoni sopravvissuti al generale impoverimento faunistico di quel periodo storico sono rappresentati dalla popolazione della Mesola, nel Delta del Po in provincia di Ferrara, e (con buona probabilità) da un piccolo nucleo in Val Venosta, nel territorio di Glo- renza, in provincia di Bolzano (H ALLER , 2002). Il processo di ricolonizzazio- ne è stato documentato in particolare da M ATTIOLI et al. (2001) e da P EDROT -

TI et al. (2001). Sulle Alpi centro-orientali le popolazioni attuali derivano

principalmente da immigrazione naturale dai Paesi confinanti, Svizzera ed

Austria. Sulle Alpi occidentali invece il contributo di alcuni progetti di rein-

troduzione è prevalente. Sugli Appennini le popolazioni presenti derivano

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interamente da interventi di reintroduzione attiva condotti a partire dai primi anni Cinquanta: tra il 1950 ed il 1998 è stato possibile documentare nel com- plesso 45 diversi episodi di immissione di cervi in libertà sull’intero territorio nazionale (M ATTIOLI et al., 2001). Le motivazioni di questi interventi eviden- temente poggiavano e poggiano tuttora sull’esigenza di ripristinare una com- ponente fondamentale degli ecosistemi forestali scomparsa a causa dell’uo- mo. Purtroppo, come è già stato rilevato, si deve far notare che non sempre gli interventi di reintroduzione sono stati accompagnati da una adeguata proget- tazione delle operazioni. Alcuni progetti di reintroduzione in corso di attua- zione in Parchi Nazionali ed altre aree protette del Centro-Sud (Parchi Nazionali del Pollino, del Cilento e Vallo di Diano, della Maiella, dei Monti Sibillini, Parco Regionale Sirente-Velino) sono particolarmente promettenti ed importanti per colmare le ampie lacune che caratterizzano ancora la distri- buzione della specie nell’Italia peninsulare. Al 2000 l’areale distributivo della specie risultava quello rappresentato in Fig. 1 (M ATTIOLI , 2003), esteso per circa 38000 km

2

: d’altro canto la consistenza complessiva stimata a livello nazionale nel 1999-2000 era pari a circa 44000 capi (compresi circa 2700 della sottospecie sarda, P EDROTTI et al., 2001).

I TIPI DI IMPATTO E LA LORO ENTITÀ

Si possono distinguere tre tipi di impatto che gli Ungulati selvatici, ed in particolare il Cervo, possono arrecare alla componente forestale degli ecosistemi in funzione di differenti esigenze fisiologico-comportamentali (B ERRETTI e M OTTA , 2005):

1. sfregamento (ing. fraying): i palchi dei maschi del Cervo e del Capriolo (Capreolus capreolus L.) vengono sfregati sui fusti o sui rami degli alberi.

Gli sfregamenti vengono effettuati in tre periodi distinti del ciclo vitale delle due specie di Ungulati:

– la marcatura di tipo territoriale per il Capriolo e nel periodo del brami- to per il Cervo;

– la perdita del velluto al termine della crescita annuale dei palchi (marzo-giugno per il Capriolo, luglio-agosto per il Cervo);

– la caduta dei palchi (ottobre-dicembre per il Capriolo, marzo-giugno per il Cervo).

2. scortecciamento (ing. bark-peeling): si presenta quando i Cervi rosicchia-

no e rimuovono la sottile corteccia di alberi di giovane età, allo stadio di

perticaia, il cui tronco ha generalmente un diametro compreso tra i 10 ed

i 20 cm. Questo tipo di impatto è spesso da porre in relazione alla pratica

del foraggiamento invernale: la corteccia serve infatti per integrare la

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scarsa quantità di fibra presente nel foraggio. Lo scortecciamento deter- mina l’infiltrazione di agenti patogeni nel fusto dell’albero, con conse- guente degradazione della qualità del legno, diminuzione di stabilità di fronte agli eventi atmosferici e perdita di valore economico del tronco.

Gli alberi danneggiati sono molto meno longevi rispetto a quelli sani (C ARMIGNOLA , 2001). Accanto allo scortecciamento invernale viene descritto anche uno scortecciamento estivo, effettuato quando gli alberi sono in succhio, in un momento cioè in cui la corteccia è staccabile con maggior facilità dal legno sottostante.

Figura 1 – Distribuzione del Cervo in Italia nel 1998 (da M

ATTIOLI

, 2003).

– Red deer distribution in Italy in 1998 (after M

ATTIOLI

, 2003).

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3. brucamento (ing. browsing): consiste nel prelievo di parti di piante arbo- ree ed arbustive, ossia foglie, rametti e germogli, attuato dagli Ungulati per soddisfare il fabbisogno di fibra grezza richiesta dalla dieta quotidia- na. Il brucamento è effettuato principalmente nella stagione invernale, periodo nel quale le piante sono in riposo vegetativo. In inverno le dispo- nibilità alimentari alternative sono ridotte e, soprattutto nei periodi di innevamento, i getti o i germogli terminali che fuoriescono dal manto nevoso sono più soggetti al rischio di brucamento. Il brucamento che interessa gli apici vegetativi in modo ripetuto nel tempo è detto bruca- mento ripetuto, e si distingue dal brucamento semplice che interessa solo una volta l’apice vegetativo.

Con un impatto prolungato gli Ungulati possono modificare le comu- nità vegetali tra cui anche gli ecosistemi forestali: questo può avvenire ad esempio con la scomparsa delle specie più appetite quali Abete bianco (Abies alba Mill.) o Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.) (B ERRETTI

e M OTTA , 2005). Va ricordato come d’altro canto il brucamento del Cervo abbia provocato mediamente nel periodo 1917-1999 un raddoppio del numero di specie vegetali riscontrate negli ecosistemi di prateria subalpina del Parco Nazionale Svizzero: S CHÜTZ et al. (2003) hanno infatti evidenzia- to una correlazione altamente significativa tra i cambiamenti numerici delle specie vegetali e la presenza del Cervo, con la ricchezza di specie in aumen- to all’aumentare delle densità delle popolazioni di quest’ultimo.

A NGELI e M ALESANI (2001) hanno presentato i risultati preliminari di un interessante inventario dell’impatto degli Ungulati sulla rinnovazione naturale nelle foreste trentine, che possono essere posti a confronto (Tab. 1) con i dati dell’inventario condotto negli anni 1992-95 in Alto Adige (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997) e di quello condotto nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio nel 1998 (C ARMIGNOLA , 2001). M OTTA

(1999) ha inoltre presentato i risultati di alcuni inventari condotti a livello intensivo nel periodo 1987-1997 in diverse aree protette nazionali del setto- re alpino occidentale ed orientale (cfr. Tab. 2), dove tra gli Ungulati presen- ti vi è sempre il Cervo, fatta eccezione per l’Alta Valle Pesio.

M ISURE DI GESTIONE FAUNISTICA E VENATORIA

Nelle situazioni in cui si evidenzia uno squilibrio ormai avviato tra le

componenti del sistema fauna-foresta, va innanzitutto ricercata la stabilizza-

zione delle popolazioni del Cervo su livelli di consistenza che consentano

un impatto sostenibile dal punto di vista della gestione forestale. D’altra

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parte va tenuto conto di come la presenza di danni da selvaggina non dipenda unicamente dalla consistenza numerica dei selvatici, ma anche da molti altri fattori, in primo luogo dal tipo di habitat a loro disposizione (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997). R EIMOSER e G OSSOW (1996) hanno eviden- ziato come in Europa centrale i forestali siano stati per troppo tempo (e spesso ancora siano) convinti che i problemi tra fauna e foresta siano fon- damentalmente una questione di riduzione di densità della selvaggina.

Spesso, tuttavia, dove lo sforzo di caccia ed i prelievi sono stati fortemente intensificati, la riduzione dell’impatto dei selvatici non ha corrisposto alle aspettative. In ogni caso, qualora l’esigenza sia di una riduzione più o meno

Tabella 1 – Incidenza percentuale del brucamento in recenti inventari a livello estensivo (da C

ARMI

-

GNOLA

e E

RHARD

, 1997; C

ARMIGNOLA

, 2001; A

NGELI

e M

ALESANI

, 2001; M

ALESANI

, com. pers.; * spe- cie presente nella rinnovazione rilevata con valori inferiori all’1%).

– Percentage of browsing incidence in recent extensive surveys (after C

ARMIGNOLA

and E

RHARD

, 1997; C

ARMIGNOLA

, 2001; A

NGELI

and M

ALESANI

, 2001; M

ALESANI

, pers. com.; * species with less than 1% presence in regeneration).

A

LTO

A

DIGE

PNS T

RENTINO

Abete rosso 14 31 19

Abete bianco 37 * 68

Larice 27 38 24

Pino silvestre 12 19 11

Pino cembro 14 19 11

Conifere 16 31 27

Latifoglie 60 76 52

Tabella 2 – Incidenza percentuale del brucamento in inventari a livello intensivo 1987-1997 (da M

OTTA

, 1999, modificato: AVS Alta Valle di Susa, VSB Valle G.S. Bernardo, VCH Val Chisone, VPG Valli Pellice e Germanasca, OSS Ossola, AVP Alta Valle Pesio, CAD F.D. Cadino, PSM FF.DD. Pane- veggio e S.Martino, VAN Vanoi e Val Canali, ADB Adamello-Brenta).

– Percentage of browsing incidence in intensive surveys carried on in 1987-1997 (after M

OTTA

, 1999, modified: AVS Alta Valle di Susa, VSB Valle G.S. Bernardo, VCH Val Chisone, VPG Valli Pellice and Germanasca, OSS Ossola, AVP Alta Valle Pesio, CAD F.D. Cadino, PSM FF.DD. Paneveggio and S.Martino, VAN Vanoi and Val Canali, ADB Adamello-Brenta).

S

PECIE

AVS VSB VCH VPG OSS AVP CAD PSM VAN ADB

Larix decidua 46 17 20 2 7 1 17 16 5

Abies alba 95 89 22 9 27 6 51 44 28

Picea abies 34 11 14 5 0 9 14 10 10

Pinus sylvestris 28 15 0 12

Pinus cembra 20 13 4 0 3 11 33

Pinus uncinata e P. mugo 25 6 5 4

Fagus sylvatica 11 5 4 40 15

Sorbus aucuparia 87 27 27 13 19 71 47 74 46

Acer pseudoplatanus 74 18 69 26 18 12 23

Fraxinus ss.pp. 75 2 27 42 13 6 33

Altre latifoglie 73 3 12 10 5 31 80 71 29

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marcata della popolazione, occorre evidentemente concentrare il prelievo sulle femmine, componente riproduttiva principale. Inoltre, la strutturazio- ne sociale della popolazione deve garantire una adeguata rappresentanza alle varie classi di sesso ed età: in particolare, nel Cervo il ruolo delle tradi- zioni di utilizzo del territorio dei gruppi matrilineari va attentamente consi- derato, per evitare destrutturazioni pericolose e conseguenze indesiderate degli interventi di prelievo (W OTSCHIKOVSKY e S IMON , 2004).

In via preliminare occorre comunque non tanto o non solo determina- re con sufficiente attendibilità la consistenza assoluta della popolazione di riferimento, quanto verificare l’applicabilità di metodologie di censimento standardizzato che riescano a fornire informazioni di una certa precisione sul trend delle popolazioni. In proposito si segnala l’esperienza della trenti- na Val di Sole, dove nel decennio 1995-2004 il metodo principale è stato costituito dal conteggio notturno di cervi al faro, eseguito in periodo prima- verile, sul primo verde dei prati di fondovalle. Per inciso si sono succeduti in questo periodo due inverni particolarmente nevosi e duri per la locale popolazione di Cervo, che nel quinquennio precedente era già stata assog- gettata a livelli di prelievo via via crescenti, nel tentativo appunto di arre- starne l’accrescimento numerico.

L’intervento diretto alla riduzione numerica della locale popolazione di

Cervo come prima misura di una ricomposizione ecologica più generale è

stato sperimentato (per la prima volta nell’ambito delle aree protette nazio-

nali) nella Unità di Gestione Media Venosta-Martello, nel settore altoatesi-

no del Parco Nazionale dello Stelvio (P EDROTTI , 2004). Qui si è tentato di

ridurre la densità della popolazione, stimata mediante censimenti notturni

al faro, da 8,2 capi/100 ha a circa 4 capi/100 ha, attraverso un primo pro-

gramma triennale di intervento (2000-2002) mediante la realizzazione di

427 prelievi annui. È comunque fondamentale tenere ben presente che l’o-

biettivo del piano di gestione non era costituito dalla riduzione delle den-

sità delle popolazioni di per sé, quanto dalla riduzione dell’impatto che il

Cervo esercita sullo sviluppo del bosco e sulle attività antropiche di caratte-

re economico. L’obiettivo del piano deve quindi essere raggiunto attraverso

l’utilizzo complementare e parallelo di differenti tipi di intervento, sia diret-

to che indiretto: la limitazione dell’impatto sulla componente vegetale deve

essere raggiunta sia riducendo appunto la densità di popolazione del Cervo,

sia operando un progressivo miglioramento degli habitat forestali, in modo

da fornire un maggior apporto trofico invernale e ridurre il rischio di dan-

neggiamento (P EDROTTI , 2004). Il primo piano di controllo triennale non

ha raggiunto l’obiettivo prefissato di abbassamento delle consistenze attor-

no al valore soglia di 700 cervi (corrispondenti alla densità di circa 4

capi/100 ha), motivo per il quale si è deciso di proseguire con un secondo

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piano di gestione triennale (2003-2005) che prevede l’esecuzione di 380 prelievi annui, tenendo conto nella simulazione di dinamica della popola- zione delle informazioni acquisite sui tassi di accrescimento e sulla struttura di popolazione e sulle percentuali di sottostima dei censimenti primaverili.

Non è comunque sufficiente determinare un livello di consistenza (presumibilmente) compatibile con l’impatto conseguente: una volta rag- giuntolo, diventa fondamentale mantenerlo nel tempo, sottoponendo a monitoraggio i relativi effetti, ad esempio con rilievi vegetazionali di con- trollo ripetuti in periodi di tre anni (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997).

Va inoltre considerato come lo stesso disturbo causato dalla caccia possa complicare non poco il raggiungimento di adeguate densità, contri- buendo a rendere la fauna selvatica sempre più schiva e difficilmente avvi- cinabile. A questo riguardo viene suggerita l’adozione di una alternanza di periodi di sforzo di caccia intenso e di periodi di riposo (R EIMOSER , 1991).

Il problema della definizione di strategie ottimali di prelievo è riconosciu- to come meritevole di attività di ricerca maggiormente dettagliate. Una esigenza generale è quella di cercare di evitare di esercitare una pressione di caccia eccessiva: tra l’altro lo stress causato alla fauna selvatica dall’uo- mo, in seguito ad un disturbo (in questo caso collegato all’attività venato- ria), si riflette direttamente sul problema del danneggiamento a carico della vegetazione forestale a causa dell’incremento di energia richiesto dal- l’animale in fuga rispetto a quello tranquillo in fase di riposo (B ERRETTI e M OTTA , 2005).

Dal punto di vista delle ricadute pianificatorie in campo faunistico è

interessante rilevare come le risultanze della indagine sopracitata sul livello

di impatto del brucamento siano state utilizzate in Trentino quali fattori

guida nel determinare le consistenze di riferimento del primo Piano Fauni-

stico Provinciale per quanto concerne il Cervo. P EDROTTI et al. (2003),

infatti, hanno analizzato quantitativamente l’ammontare dell’impatto per

ciascuno dei 10 Distretti Forestali in cui è diviso il territorio della Provincia

di Trento, ed hanno rilevato un gradiente ed una relazione significativa tra

l’entità dell’impatto sulla rinnovazione (sintetizzato in un indice relativo) e

lo scarto attuale esistente per ciascun Distretto tra consistenza reale e consi-

stenza potenziale (che può essere considerata secondo gli Autori prossima a

quella massima) nelle popolazioni di Cervo (Tab. 3, Fig. 2). In prima

approssimazione si è scelto quindi di considerare come accettabile da un

punto di vista strettamente «forestale» una situazione in cui gli impatti sulle

Conifere fossero inferiori o comunque non superiori ai valori medi provin-

ciali. Una tale situazione ha trovato riscontro in popolazioni con consisten-

ze non superiori al 30% delle consistenze potenziali stimate. La prima

opzione di consistenza di progetto (detta «opzione forestale») individua

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Tabella 3 – Relazione tra indice relativo di impatto sulla rinnovazione forestale e scarto percentuale tra consistenza reale e potenziale di Cervo nei Distretti Forestali della Provincia di Trento; l’indice di impatto di ciascun Distretto Forestale è pari alla somma degli impatti relativi per ciascuna essenza considerata. Ciascuno di questi ultimi valori è stato ricavato calcolando l’indice di Ivlev tra la percen- tuale di piante brucate nel singolo Distretto Forestale e il valore medio provinciale. Valori negativi indicano un impatto inferiore alla media, valori positivi indicano un impatto superiore alla media (da P

EDROTTI

et al., 2003, modificato).

– Relative index of impact on forest regeneration vs. percentage difference between red deer real and potential population size for the Forest Districts in province of Trento; index of impact of a Fore- st District is the sum resulting from the impacts of the single forest species considered. Each of these spe- cies-specific impacts is derived from Ivlev’s index relating to browsing percentage of the Forest District and the average value at the provincial scale. Negative values mean a below-average impact, positive values indicate an upon-average impact (after P

EDROTTI

et al., 2003, modified).

D

IST

. F

ORESTALE

I

NDICE RELATIVO

C

ONSISTENZA

C

ONSISTENZA

S

CARTO DI IMPATTO SULLA REALE POTENZIALE REALE

/

POTENZIALE

RINNOVAZIONE

Pergine -0,90 85 2.142 4%

Rovereto -0,71 90 2.601 3%

Trento -0,49 155 1.885 8%

Cles -0,38 965 3.134 31%

Cavalese -0,04 965 5.120 19%

Tione d/t 0,03 435 4.142 11%

Riva d/g 0,15 40 753 5%

Fiera di Primiero 0,39 840 2.785 30%

Borgo Valsugana 0,68 405 1.446 28%

Malè 1,14 3.200 3.997 80%

Figura 2 – Relazione tra scarto percentuale tra consistenza reale e potenziale di Cervo e indice relativo di impatto sulla rinnovazione forestale per ciascun Distretto Forestale in Provincia di Trento (da P

EDROTTI

et al., 2003).

– Percentage difference between red deer real and potential population size vs. relative index of

impact on forest regeneration for the Forest Districts in province of Trento (after P

EDROTTI

et al., 2003).

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quindi consistenze obiettivo della gestione pari al 30% delle consistenze potenziali, in modo da ridurre significativamente l’impatto sulla rinnovazio- ne forestale. Al di là dei livelli di consistenze obiettivo definiti (in effetti il ragionamento prosegue poi individuandone perlomeno altri due, P EDROTTI

et al., 2003), è sicuramente stimolante che nella pianificazione settoriale faunistica siano state considerate in forma quantitativa (forse per una delle prime volte a livello nazionale) le evidenze relative all’impatto sulla rinnova- zione forestale, realizzando così un primo tentativo di integrazione delle due visioni del fenomeno in atto, per una più efficace gestione complessiva dell’uso stesso del territorio.

Di pari importanza appare, anche alla luce delle esperienze trentine, la distribuzione spaziale degli abbattimenti realizzati. Proprio a causa degli alti tassi di prelievo applicati nell’ultimo decennio, quello che sembra esser- si verificato in Val di Sole è la creazione di una sorta di effetto rifugio, magnificato rispetto al passato, delle aree sottoposte a vincolo di protezione assoluta e costituite dal territorio ricompreso all’interno del Parco Naziona- le dello Stelvio. Queste aree sono le medesime sulle quali grava l’impatto maggiore, come rilevato dall’inventario dei danni realizzato a cura dell’Ente di gestione del Parco (C ARMIGNOLA , 2001). L’aumento dei prelievi realizzati solo all’esterno del Parco ha intensificato il comportamento stanziale della popolazione all’interno del Parco e l’effetto rifugio dell’area protetta, creando elevate concentrazioni e portando, nel tempo, ad un elevato gra- diente nella distribuzione delle densità progressivamente decrescente man mano che ci si allontana dal territorio del Parco. Conseguentemente, i piani di prelievo, tarati sull’intera popolazione, hanno causato una diminuzione delle consistenze solo nelle aree sottoposte a prelievo venatorio (P EDROTTI

et al., 2005).

Su scala diversa, C ARMIGNOLA e E RHARD (1997) suggeriscono come gli abbattimenti dovrebbero essere effettuati soprattutto nelle zone in cui la rinnovazione del bosco è minacciata o dove esistono situazioni problemati- che, ad esempio in boschi di protezione e zone di rimboschimento.

Alcune aberrazioni, considerate dal punto di vista di una gestione sia faunistica che forestale prossima alla naturalità, stanno caratterizzando i Paesi di tradizione venatoria centroeuropea (V ÖLK , 1997; R EIMOSER , 2003;

W OTSCHIKOVSKY e S IMON , 2004). I cosiddetti Wintergatter (recinti di sver-

namento, ing. winter enclosures) sono aree recintate, artificialmente e/o

naturalmente, in cui vengono fatti svernare i cervi proprio per prevenire il

loro impatto nei mesi invernali sulla vegetazione forestale al di fuori dei

recinti stessi. In queste vaste aree dalle condizioni seminaturali (general-

mente 10-50 ettari con 30-150 capi di Cervo, rispettivamente) i cervi vengo-

no foraggiati, evitando con cura di esercitare qualsiasi tipo di disturbo nei

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loro confronti durante il periodo di permanenza (a volte esteso dalle prime nevicate di fine ottobre-primi di novembre fino a primavera inoltrata, metà o addirittura fine giugno!). Nel 1996 erano attivi in Austria più di 150 Win- tergatter (V ÖLK , 1997), la maggiorparte dei quali (129) ubicati in Stiria.

Non esistono a tuttoggi risultati chiari riguardo all’effetto di questa pratica sull’impatto del Cervo sulla vegetazione forestale dei comprensori di riferi- mento delle locali popolazioni: un uso limitato e consapevole dei forti limiti di questo strumento appare tollerabile solamente in ambienti coltivati intensivamente. È inoltre oggetto di dibattito l’effetto di sostanziale dome- sticazione che viene a subire il Cervo stesso.

La pratica del foraggiamento, comunemente applicata in Centroeuro- pa, va usata correttamente, perché può causare concentrazioni di cervi in aree sensibili al danno (C LUTTON -B ROCK e A LBON , 1989; L EITNER e R EI -

MOSER , 2000; R EIMOSER e S CHULZE , 2000). Va prestata particolare attenzio- ne alla posizione delle strutture, alla composizione ed alla qualità del foraggio utilizzato, ai criteri adottati per la sua somministrazione. Sono indicate zone protette dai disturbi, con regolare assistenza e controllo delle mangiatoie. Il foraggiamento non dovrebbe essere praticato, se non viene garantita la necessaria competenza della sua esecuzione (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997).

M ISURE DI GESTIONE FORESTALE ED AMBIENTALE

In termini generali, si può affermare che il principio da considerare per tutti gli interventi forestali è di migliorare l’habitat delle popolazioni di Cervo e di ridurre la suscettibilità al danno delle foreste che ospitano que- ste ultime, gestendo nel modo migliore l’offerta alimentare e la struttura del bosco (C ARMIGNOLA e E RHARD , 1997). È infatti soprattutto una diffusa carenza di possibilità di alimentazione a determinare la concentrazione della fauna selvatica nelle poche aree che invece ne sono ricche (M AZZARO -

NE e M ATTIOLI , 1996). Occorre certo garantire alle popolazioni di Cervo un habitat che comprenda zone di alimentazione, zone di rifugio e rispettivi corridoi ecologici di passaggio: vi è quindi necessità di tratti od unità di foresta che garantiscano copertura, rifugio e tranquillità da disturbo non- ché protezione termica. Va perseguita nella gestione forestale una adeguata diversificazione spaziale degli stadi di sviluppo temporale: in particolare, è necessario tendere alla massima diversificazione strutturale in aree a volte anche di limitata estensione.

La mancanza di aree aperte a prato e/o di radure all’interno del bosco

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è generalmente riconosciuta come una delle principali cause predisponenti ad impatti insostenibili provocati dagli Ungulati. In questo senso andrà contenuta la pratica dei rimboschimenti di Conifere, che ha condotto in passato ad una sorta di «borealizzazione» di molti ambienti forestali nazio- nali, con necessità di proteggere in maniera intensiva i neoimpianti attraver- so recinzioni, repellenti chimici o protezioni individuali meccaniche, se non addirittura strumenti dissuasivi acustici od olfattivi indirizzati ad evitare la frequentazione da parte del Cervo delle aree soggette agli interventi.

U ECKERMANN e S CHULZ (1981) suggeriscono l’apertura capillare all’in- terno del bosco di radure vaste fino a mezzo ettaro: per ogni esemplare di Cervo censito dovrebbero essere garantiti in foresta 1000 mq di pascolo. È inoltre del tutto evidente che una efficacia prolungata dei prati interni ai complessi forestali richiede una loro manutenzione, con periodici sfalci, arature, risemine e concimazioni (M ATTIOLI , 1996). In molti ambienti appenninici ma anche alpini del nostro Paese può essere consigliabile prov- vedere ad un opportuno ripristino di ex coltivi, presenti in bosco ma spesso ridotti a causa dell’abbandono ormai prolungato nel corso dei decenni a felceti o ginestrai (cfr. l’area dell’Acquerino, a cavallo delle province di Bologna, Prato e Pistoia). Il miglioramento delle caratteristiche di offerta alimentare degli habitat frequentati dalle popolazioni di Cervo può arrivare a prevedere anche l’impianto di apposite colture a perdere, come è prassi comune in molte aree della Germania. Qui si coltivano appezzamenti speci- fici per la fauna selvatica, in generale utili nei periodi di minor offerta ali- mentare (cereali invernali, crucifere ecc.). Va citata al riguardo anche l’espe- rienza della Fattoria di Barbialla presso Montaione, in Val d’Egola (provin- cia di Firenze), dove la cosiddetta saggina viene coltivata nei terrazzi abban- donati degli oliveti, per aumentare l’offerta trofica destinata in particolare alla locale popolazione di Daino (Dama dama L.), caratterizzata da altissime densità (P ACI , com. pers.). Altra possibile misura è costituta dalla piantu- mazione di arbusti da bacca, con aumento della variabilità specifica: l’im- pianto di macchie arbustive, nel caso di formazioni tendenzialmente mono- specifiche come i cedui di castagno e soprattutto di faggio, può seguire al diradamento di alcune parti del ceduo per superfici di 100-200 mq, per un totale corrispondente allo 0,5% della superficie boscata (M AZZARONE e M ATTIOLI , 1996). La diversificazione quanto più ampia possibile dell’offer- ta alimentare rappresenta in sintesi una assoluta priorità nella gestione degli habitat interessati da una popolazione significativa di Cervo.

Superfici aperte già presenti e ben disperse sul territorio vanno eviden-

temente conservate e tutelate: le radure originatesi per fenomeni naturali

assumono un’importanza peculiare (M AZZARONE e M ATTIOLI , 1996; W OT -

(14)

SCHIKOVSKY e S IMON , 2004). Le chiarie naturali vanno tutelate controllando che l’evoluzione della vegetazione naturale non arrivi a ricostituire il bosco.

Andrà quindi valutata, caso per caso, l’opportunità di eseguire delle ripuli- ture sulla vegetazione arbustiva per tutelare la diffusione delle erbe. Anco- ra, si può pensare ad un ampliamento delle tagliate «costruito» sulle esigen- ze di alimentazione del Cervo.

Dal punto di vista delle corrette pratiche selvicolturali va sottolineato come in generale i tagli di legname, dando luce al terreno, permettono la crescita di erbe, arbusti ed alberelli che rappresentano la principale fonte alimentare della fauna selvatica ungulata. Se ben distribuiti spazialmente questi interventi assicurano un miglioramento decisivo delle condizioni di pascolabilità dei rispettivi sistemi forestali. Occorre chiaramente armoniz- zare i provvedimenti forestali con quelli faunistici, in un processo di inte- grazione: la rinnovazione naturale del bosco, dopo questi tagli, può avveni- re solo se il carico di Ungulati è adeguato (C ASANOVA et al., 1982). Ancora, il diradamento tempestivo dei boschi giovani oltre a migliorare l’offerta ali- mentare (consentendo di ridurre la copertura arborea si favorisce la diffu- sione del sottobosco) diminuisce l’attrattiva che essi esercitano sul Cervo, in termini di copertura-rifugio sia termico che da disturbo antropico. In tal modo si riduce il pericolo di scortecciamento cui in particolare perticaie e a volte spessine sono soggette: i boschi già soggetti a danno da scorteccia- mento da Cervo invece non devono essere diradati, per evitare, con il con- seguente allontanamento dei cervi, lo scortecciamento di altri settori. Con i diradamenti non solo diminuisce la predisposizione al danneggiamento, ma aumentano anche la stabilità del bosco e lo stesso valore del legname: que- sti interventi hanno quindi dal punto di vista produttivo grande importanza per lo sviluppo del bosco. Analoga importanza (alla luce delle stesse consi- derazioni) ha il taglio regolare del ceduo (M ATTIOLI e N ICOLOSO , 2002).

M AZZARONE e M ATTIOLI (1996) hanno fornito, per gli ambienti appen-

ninici, interessanti e dettagliate linee di gestione forestale (in parte anticipa-

te nel corso della esposizione precedente) per una efficace prevenzione

degli impatti del Cervo, distinguendo coltivazioni forestali di tipo intensivo

(ivi comprese le colture vivaistiche) dalle aree boscate. Per queste ultime

vengono descritti i singoli tipi di intervento previsti per ciascuna tipologia

fisionomica, tenendo presente come gli indirizzi di gestione hanno come

comuni finalità l’aumento ed il miglioramento qualitativo delle aree aperte

esistenti, l’aumento dello sviluppo delle fasce di transizione tra bosco ed

aree aperte (ecotoni), il miglioramento delle condizioni di pascolo per il

Cervo nelle aree boscate ed una maggiore distribuzione sul territorio delle

fonti alimentari per gli erbivori. Similmente S IMONETTA et al. (s.d.) hanno

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indicato, in termini più generali, gli interventi colturali, integrativi ed inno- vativi per un miglioramento puntuale degli habitat a fini faunistici, con rife- rimenti applicativi interessanti anche per quanto riguarda il Cervo.

Secondo gli Autori di tradizione germanica (per tutti R EIMOSER e G OS -

SOW , 1996) nella strutturazione spaziale del mosaico forestale vanno evitati bordi netti, che possono avere una elevata attrattiva per gli Ungulati (in particolare per il Capriolo) provocando così concentrazioni locali di densità non adeguate alla rispettiva offerta alimentare.

Un aspetto spesso sottovalutato è costituito dall’esigenza di modellare la stessa struttura spaziale delle varie unità di foresta per facilitare anche l’applicazione dei piani di controllo delle popolazioni di Cervo di cui si è parlato più sopra: alcuni interventi forestali in altri termini devono essere funzionali alla applicabilità delle misure di gestione venatoria delle popola- zioni animali. In alcuni ambiti appenninici, la chiusura della compagine forestale può in effetti rappresentare un fattore limitante per lo stesso eser- cizio venatorio alla specie.

In questo contesto sembra utile ricordare la recente redazione di due documenti di pianificazione forestale intesa nel senso più ampio che inte- grano il problema della presenza degli Ungulati in ambito forestale tra i fat- tori dei quali occorre tener conto. Da un lato il documento che individua gli standard di buona gestione forestale per i boschi Appenninici e Medi- terranei, edito dall’Accademia Italiana di Scienze Forestali e coordinato da M ARCHETTI (2004), che relativamente alle interazioni della gestione foresta- le con la fauna selvatica prevede, tra l’altro, la opportunità che «vengano mantenuti e diffusi gli alberi e arbusti da bacca e da frutto (ciliegio, corniolo, melo, nocciolo, sorbi) rilevanti per l’alimentazione della fauna»; si prevede inoltre di favorire «la presenza di formazioni erbacee ed arbustive articolate, fitte e varie sotto il profilo compositivo, in corrispondenza di radure interne o perimetrali (ad es. attraverso sfalci periodici ogni 6-7 anni)». Ancora, si sug- gerisce di realizzare, «in presenza di aree forestali con margini netti e lineari (es. rimboschimenti), una risagomatura delle fasce marginali per aumentarne lo sviluppo lineare attraverso interventi di diradamento che favoriscano la creazione di una fascia ecotonale con struttura diversificata».

Dall’altro lato, per quanto concerne gli ambienti forestali più propria- mente alpini, va ricordato il recente Programma forestale svizzero (SAEFL, 2004), un programma d’azione che definisce le attività della Confederazio- ne svizzera in ambito forestale e coordina la collaborazione con altri settori.

Nel Programma vengono in particolare fissati dodici obiettivi quantificati

entro il 2015, una strategia ed i relativi strumenti per il loro raggiungimento

nonché cento misure da adottare. L’obiettivo definito per il rapporto fauna

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selvatica - foresta è che quest’ultima «…fornisca uno spazio vitale adeguato e tranquillo per la fauna selvatica. Le popolazioni di fauna selvatica sono adat- tate [numericamente] ai loro habitat e caratterizzate da una distribuzione naturale in classi di sesso ed età. La rinnovazione forestale naturale non è impedita dagli Ungulati…». E ancora: «…la fauna selvatica verrà gestita a livello sovraregionale. La rinnovazione naturale delle foreste verrà garantita grazie all’adattamento delle forme di caccia alle varie specie di selvaggina, ad una gestione forestale che tenga in considerazione le esigenze della fauna sel- vatica e ad un’attenta gestione degli spazi aperti vicini alla foresta». Le otto misure suggerite vanno dalla zonizzazione su base sovraregionale per la gestione della fauna selvatica all’adattamento dei piani di abbattimento can- tonali alle stesse aree sovraregionali ed alle esigenze della selvicoltura; dalla definizione dei requisiti delle pratiche venatorie in relazione alla biologia della selvaggina e da una gestione forestale che tenga conto delle esigenze della fauna selvatica (come precondizione per l’assicurazione di finanzia- menti, in alternativa all’utilizzo di altri mezzi di persuasione) all’effettiva regolazione della selvaggina allorquando una soglia minima di rinnovazione forestale naturale non sia assicurata; dallo sviluppo di una strategia fauna- foresta (in particolare per le foreste di protezione) per la regolazione regio- nale delle popolazioni selvatiche alla manutenzione dei margini forestali delle aree pascolive aperte confinanti tenendo conto delle esigenze della fauna selvatica; infine, dalla definizione delle aree di particolare importanza ecologica per la fauna e dalla valutazione di queste aree nei piani di svilup- po forestale all’evitare ogni tipo di disturbo in aree di particolare importan- za ecologica relativamente alla fauna selvatica (vale a dire tutela di ambiti tranquilli, senza disturbo antropico per la fauna) (SAEFL 2004:105).

Anche W OTSCHIKOVSKY e S IMON (2004), nel delineare le linee guida da loro recentemente proposte per la gestione del Cervo in Germania, a pro- posito del rapporto tra Cervo e gestione forestale sottolineano come prima e più importante raccomandazione che il Cervo deve essere accettato dalla gestione forestale come fattore naturale locale.

Un apposito capitolo della gestione ambientale integrata è infine costi- tuito dalla regolamentazione del turismo, che deve garantire una concentra- zione dei flussi in aree idonee e la rinuncia allo sfruttamento di nuove zone, con la creazione di aree di rispetto per la fauna selvatica (J EPPESEN , 1987;

P ETRAK , 1999): in ambito alpino assume particolare importanza la necessità

di limitare, in periodo invernale, la pratica dello sci alpinismo in bosco e

dello sci fuori pista.

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C ONCLUSIONI

M ATTIOLI (1996) concludeva la sua breve nota con un interrogativo che potrebbe definirsi inquietante: «Riusciremo a uscire dalla fase delle buone intenzioni e a imboccare concretamente la strada della stretta collabo- razione tra zoologi e forestali per l’avvio di una selvicoltura più compatibile con la fauna?». È indubbio non solo che la strada deve ancora essere indivi- duata con precisione, ma soprattutto che il dialogo tra gli esperti delle due discipline stenta a trovare anche solo occasioni di sviluppo: si tratta ancora oggi di mondi che parlano linguaggi tecnici diversi. R EIMOSER (2003) ha recentemente posto l’accento sul tradizionale scollamento esistente in molti Paesi (compreso purtroppo il nostro) tra la gestione forestale e quella fauni- stico-venatoria, potente fonte di conflitti tra forestali e cacciatori e/o tecnici faunistico-venatori. Questo scollamento deriva da separate (ovvero non comunicanti…) normative di ambito forestale e venatorio, nonché dagli stessi corsi di istruzione e di formazione separati per gli operatori coinvolti nella gestione delle componenti vegetali od animali degli ecosistemi foresta- li. Fatta eccezione per quanto concerne la gestione dei Parchi Nazionali, non c’è alcuna tradizione che connetta i due gruppi di interesse. R EIMOSER

(ibidem) conclude facendo rilevare come in assenza di un mutuo scambio di informazioni tecnicamente corrette riguardanti i problemi e le possibilità della «controparte», spesso purtroppo viene coltivata una prospettiva di antagonismo piuttosto che di ricerca delle opportune sinergie.

Tuttavia vanno apprezzati i primi tentativi di integrazione che a livello nazionale iniziano a strutturarsi: più volte si è accennato all’esperienza (prima in ambito italiano) del controllo del Cervo in alcuni settori del Parco Nazionale dello Stelvio, dove zoologi e forestali hanno iniziato un processo di conoscenza dei rispettivi punti di vista e delle reciproche aspet- tative. Purché il confronto prosegua sicuramente non mancheranno frutti nel prossimo futuro.

R INGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare Luca Pedrotti, Sandro Nicoloso, Stefano Mattioli

e Giorgio Carmignola per i proficui scambi di opinione e le costruttive

discussioni; Paolo Casanova e Marco Paci per lo spunto iniziale di

approfondimento del problema e per una revisione critica del testo; Frie-

drich Reimoser per avermi gentilmente fornito alcuni suoi lavori di difficile

reperimento.

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SUMMARY

Red deer impact on forest regeneration and integrated wildlife management Red deer (Cervus elaphus L.) populations in Italy are steadily increasing since second world war, due to both natural recolonization and active reintroduction. Their browsing impact on forest regeneration is becoming an issue of growing interest for people concerned in forest, wildlife and protected areas management. Close-to-nature silviculture is facing ungulates impact as one of its most relevant problems.

To get a balance between these two components of the ecosystems some measu- res of good practice in wildlife management and some others referring to forest mana- gement are available: nevertheless all the measures have to be correctly integrated and implemented. Some first experiences are being developed in regional forest planning.

Culling of red deer populations is often considered a pre-requisite for implemen- ting correct forestry practices. A careful planning of culling, both in space and time, is recommended: winter enclosures and artificial foraging are common practices in the Alps, too. Lacking of open areas, meadows and/or pastures inside the forest is conside- red one of the major causes of unsustainable impact to forest regeneration provoked by ungulates. Experiences carried on during the last ten years in Trentino province and in Stelvio National Park are discussed in detail.

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Riferimenti

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