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Lavoro (rapporto di)

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Lavoro (rapporto di) - Lavoro a domicilio – Mancata possibilità del

lavoratore di rispettare i termini temporali rigidamente prefissati dal datore di lavoro - Conseguente rifiuto del lavoro commesso – Subordinazione - Configurabilità - Condizioni.

Corte di Cassazione – 15.12.1999, n. 14120/99 - Pres. Trezza - Est.

Dell'Anno - P.M. Nardi (parz. diff.) - INPS (Avv. Lironcurti) - Soc.

Logart (Avv. Milani).

La configurabilità della subordinazione, sia pure attenuata, che

caratterizza il rapporto di lavoro a domicilio non è esclusa quando il lavoratore benché inserito nel ciclo produttivo aziendale e disponibile ad una sicura esecuzione del lavoro programmato in relazione alle

esigenze e alle finalità dell'impresa sia costretto, in qualche caso, a rifiutare il lavoro commessogli per l'impossibilità di adempierlo nei termini temporali rigidamente prefissati dal datore di lavoro, restando da ciò anzi rafforzato il vincolo della subordinazione.

FATTO. - Con ricorso del 17 ottobre 1991, la società Longart propose opposizione avverso il decreto con il quale, su richiesta dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, il Pretore di Belluno le aveva ingiunto il pagamento della somma di lire 156.841.351 a titolo di contributi omessi, e relative sanzioni, ravvisando, ai sensi della legge 18 dicembre 1973 numero 877, rapporti di lavoro subordinato con lavoratori artigiani, che prestavano la loro opera a domicilio e che venivano per questa compensati contro emissione di fatture.

L'opposizione venne respinta dal Pretore con pronuncia resa il 3 marzo 1995, che, impugnata dalla stessa società, è stata riformata dal Tribunale di Belluno con la sentenza indicata in epigrafe.

Il giudice di secondo grado ha preliminarmente disatteso l'eccezione formulata dalla appellante attinente la incompetenza dell'ente previdenziale a sindacare le risultanze delle iscrizioni delle ditte artigianali nei relativi albi e allo svolgimento di attività ispettive di esclusiva competenza degli ispettorati del lavoro. Tanto premesso, ha rilevato che era rimasto accertato, in punto di fatto, che la società Longart era priva di strutture produttive e di personale interno addetto alle lavorazioni dei prodotti che poi poneva in commercio, che per tale ragione acquistava gli stessi semilavorati che venivano consegnati, per

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il loro definitivo confezionamento, ad artigiani lavoranti nei loro domicili, i quali provvedevano alle necessarie operazioni con proprie attrezzature, previ accordi sulla quantità del lavoro da svolgere, rifiutandolo nei casi in cui non ritenevano di potere portarlo a esaurimento nei tempi fissati dalla committente, eseguendo le lavorazioni sia per la società Longart che per altre imprese, sopportando il rischio di eventuali errori e danneggiamenti e senza che la committente ponesse in essere controlli nel corso di queste. Il Tribunale ha quindi osservato che dovevano assumere rilievo determinante, ai fini dell'inquadramento dei rapporti in questione tra quelli subordinati o di natura autonoma, le circostanze relative alla mancanza di continuità nelle prestazioni e alla assenza di controlli durante le lavorazioni, non essendo sufficienti direttive preliminari programmatiche, conseguendone che ciò consentiva di concludere che nella specie non era stata acquisita la prova che i lavoratori fossero legati al datore di lavoro da una vera e propria subordinazione, intesa quale vincolo di natura personale che assoggettasse i primi al potere organizzativo e disciplinare da parte del secondo.

Della decisione viene chiesta la cassazione dall'ente previdenziale con ricorso affidato a un motivo e illustrato con memoria.

La società Longart resiste con controricorso, con il quale propone anche ricorso incidentale.

DIRITTO. - Deve preliminarmente rilevarsi che la società resistente, pur non qualificando in tale senso il controricorso, ha espressamente dichiarato di proporre, con questo, anche impugnazione incidentale avverso la decisione di merito nella parte in cui si è disattesa la doglianza esposta nei confronti della decisione di primo grado relativamente alla eccepita incompetenza dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale a contestare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della natura artigiana in capo alle imprese iscritte nei relativi albi e l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a domicilio, appartenendo la stessa esclusivamente, per quanto concerne la prima delle questioni, alle competenti Commissioni provinciali o regionali, e, relativamente alla seconda, agli Ispettorati del lavoro,

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secondo quanto disposto dall'articolo 12 della legge 18 dicembre 1973 numero 877 (si confronti la pagina 13 del controricorso).

L'esame di queste doglianze - che si pone come logicamente pregiudiziale rispetto a quello delle ragioni svolte dall'ente previdenziale a sostegno della impugnazione principale – deve condurre a un giudizio di infondatezza delle stesse.

E invero, l'ente previdenziale, con il ritenere la sussistenza dei presupposti richiesti per la qualificazione dei rapporti intercorsi tra la società Longart e i lavoratori come di lavoro subordinato a domicilio, non ha in alcun modo contestato la natura artigiana delle imprese delle quali questi ultimi erano titolari, ma ha esclusivamente rilevato che le stesse espletavano anche attività lavorativa subordinata nei confronti della prima (intesa la subordinazione nel senso attenuato quale descritto nel comma secondo dell'articolo 1 della legge numero 877 del 1973), ben rendendosi possibile la copresenza delle due distinte attività di lavoro autonomo e di lavoro subordinato a domicilio a opera dello stesso soggetto, salvo che nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo 11 della stessa legge.

Né può darsi poi al disposto dell'articolo 12 della legge il significato che si pretende dalla resistente, non potendo confondersi il dovere di vigilanza sulla applicazione della normativa, che è affidato al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, da esercitarsi per il tramite degli Ispettorati del lavoro, con un divieto per qualsiasi interessato a contestare una simulazione della apparente natura del rapporto di lavoro tra committente e prestatore d'opera.

Con l'unica ragione di censura denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo 1 della legge 18 dicembre 1973 numero 877 e 2128 del codice civile anche in relazione all'articolo 2094, motivazione insufficiente circa un punto decisivo della controversia - l'Istituto ricorrente deduce che il Tribunale ha negato ai rapporti di lavoro in questione la natura della subordinazione, pur essendo rimasto accertata la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della tipica fattispecie del lavoro a domicilio connotato da una subordinazione esclusivamente tecnica, che era nella specie pienamente ravvisabile, come del resto sostanzialmente ritenuto dallo stesso giudice di merito.

Il motivo è fondato.

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Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - che il Collegio condivide - attraverso la disciplina della legge 18 dicembre 1973 numero 877, diretta a superare la distinzione tra lavoro a domicilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato, il lavoro a domicilio realizza una forma di decentramento produttivo caratterizzata dal fatto che l'oggetto della prestazione del lavoratore viene in rilievo non come risultato, ma come energie lavorative utilizzate in funzione complementare e sostitutiva del lavoro eseguito all'interno dell'azienda; peraltro, il vincolo della subordinazione è qualificato non tanto dall'elemento della collaborazione, intesa come svolgimento di attività per il conseguimento dei fini dell'impresa, quanto da quello, tipico, dell'inserimento dell’attività lavorativa nel ciclo produttivo della azienda, di cui il lavoratore a domicilio diviene elemento, ancorché esterno. E perché tale condizione si realizzi, è sufficiente che il lavoratore esegua lavorazioni analoghe ovvero complementari a quelle eseguite all'interno dell'azienda, sotto le direttive dell'imprenditore, le quali non devono necessariamente essere specifiche e reiterate, essendo sufficiente, secondo le circostanze, che esse siano inizialmente impartite una volta per tutte, mentre i controlli possono anche limitarsi alla verifica della buona riuscita della lavorazione. In questo quadro, è riscontrabile la diversa fattispecie del lavoro autonomo allorché sia presente, presso il soggetto cui l'imprenditore commette una determinata opera, una distinta organizzazione, a proprio rischio, dei mezzi produttivi e una struttura imprenditoriale, non essendo peraltro sufficiente, a tale fine, la mera iscrizione nell'albo delle imprese artigiane. Né vale a escludere la forma attenuata della subordinazione, come configurata dalla legge stessa come species derogatoria rispetto al genus delineato dall'articolo 2094 del codice civile, la mancanza di

continuità delle prestazioni e lo svolgimento di attività per più committenti (per tutte, e tra le più recenti, Cass., 18 giugno 1999, n.

6150; Cass., 23 settembre 1998, n. 9516). Nella concreta fattispecie, è rimasto accertato in punto di fatto, per quanto risulta dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, che la Longart era priva di strutture proprie e di personale interno destinati alla produzione, a questa provvedendo i lavoratori a domicilio, i quali - ricevuti gli elementi di occhiali (prodotto semilavorato) che la Longart aveva

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acquistato dai suoi fornitori ed eseguite, secondo le istruzioni che erano state loro preliminarmente impartite, le lavorazioni di pulizia, montaggio e quanto altro, attraverso operazioni manuali semplici e avvalendosi di proprie e semplici attrezzature - consegnavano alla committente gli occhiali, costituenti il prodotto finito, che venivano quindi distribuiti per il commercio.

Il giudice di merito ha osservato che in una tale situazione di fatto i rapporti in questione dovevano configurarsi come di natura autonoma e non subordinata, in quanto era emersa che i lavoratori avevano la facoltà di rifiutare l'espletamento delle prestazioni loro richieste dalla società Longart e che questa non esercitava controlli nella fase delle lavorazioni, limitandosi a impartire direttive programmatiche.

Occorre ribadire che è esatto che, per la costante giurisprudenza di questa Corte, del Collegio condivisa (per tutte, Cass., 3 giugno 1998, n. 5464), in tema di qualificazione di rapporti di lavoro come autonomi o subordinati, è suscettibile di sindacato di legittimità la sola individuazione, operata dal giudice di merito, dei criteri generali e astratti che presiedono alla differenziazione delle due distinte figure, mentre è questione di fatto - e come tale affidata esclusivamente al giudice di merito e incensurabile nella sede della legittimità, se immune da vizi logici e da errori giuridici - l'accertamento in concreto della effettiva natura del rapporto. Ma è altrettanto vero che nella specie la sentenza impugnata ha errato proprio nella individuazione dei criteri in base ai quali verificare la concreta fattispecie di lavoro a domicilio.

A tale proposito deve osservarsi che il Tribunale ha fatto riferimento essenzialmente al non riscontrato requisito della "subordinazione", quale richiesto dall'articolo 2094 del codice civile per la configurazione del rapporto di lavoro subordinato, trascurando totalmente di tenere conto del contenuto del secondo comma dell'articolo 1 della legge 18 dicembre 1973 numero 877, che, espressamente derogando alla previsione codicistica, ritiene sufficiente, per la ricorrenza della "subordinazione" nel lavoro a domicilio, che il lavoratore sia tenuto alla osservanza delle direttive emanate dall'imprenditore "circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere", e quindi una mera subordinazione tecnica, che, del resto,

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si rende come l'unica possibile in questo particolare tipo di rapporto per la stessa dislocazione topografica delle prestazioni lavorative che, andando eseguite nel domicilio del prestatore d'opera e non presso la sede dell'impresa, evidentemente si sottraggono alla possibilità di diretto e costante controllo da parte dell'imprenditore.

Per tale ragione, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che, al fine di ravvisare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a domicilio, non occorre che il datore di lavoro impartisca prescrizioni analitiche circa la attività da svolgersi da parte del lavoratore, bastando che vengano date direttive anche solo iniziali, restando sottoposto il prestatore di lavoro a un più penetrante controllo del datore di lavoro al momento della consegna del prodotto finito (tra le altre, Cass. 15 febbraio 1997, n. 1433).

Né può assumere rilievo il fatto che nella specie mancasse la

"continuità” nelle prestazioni.

E invero, a prescindere dalla considerazione che un tale requisito non è richiesto come indispensabile nei rapporti in questione (Cass., 23 settembre 1998, n. 9516), bisogna sottolineare che a tale affermazione il giudice di merito è pervenuto sulla base delle dichiarazioni rese da uno dei lavoratori, avendo lo stesso "riferito di avere anche rifiutato il lavoro quando non gli era possibile consegnarlo nei tempi richiesti dalla Longart e ciò anche perché prestava tale tipo di attività anche per altre ditte".

Orbene, è indubbiamente vero che lo stesso concetto di subordinazione è concettualmente incompatibile con la ampia facoltà che abbia il lavoratore di opporre un rifiuto ad accettare la attività richiestagli, e ciò perché, come da questa Corte esposto nella decisione richiamata nella sentenza impugnata (Cass., 14 novembre 1995, n. 11796), la necessità di utilizzare le energie lavorative in funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all'interno dell'azienda e, quindi, l'inserimento del prestatore di lavoro (a domicilio) nel ciclo produttivo aziendale postulano la disponibilità del medesimo per una sicura esecuzione del lavoro programmato in relazione alle esigenze e alle finalità dell'impresa; restando altresì escluso, per considerazioni analoghe, che la stessa subordinazione sia configurabile nel caso di

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mera discrezionalità del prestatore in ordine alla scelta dei tempi di consegna del lavoro.

Ma, nella specie, va osservato che, proprio per quanto in punto di fatto accertato dal giudice di merito, doveva escludersi che potesse farsi applicazione di un tale principio, non essendo affatto concessa al lavoratore di scegliere tra accettazione e rifiuto del lavoro che gli veniva commesso, essendo lo stesso invece costretto al rifiuto per la impossibilità di un adempimento nei termini temporali che erano rigidamente prefissati dal datore di lavoro, restando da ciò anzi rafforzato il vincolo della subordinazione.

Non può poi interessare che i lavoratori potessero prestare la loro attività anche per altri datori diversi dalla società Longart, testualmente prevedendo il secondo comma dell'articolo 12 della legge numero 877 del 1973 che "il lavoratore a domicilio non può eseguire lavoro per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore, quando questi gli affida una quantità di lavoro atto a procurargli una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro ...

".

In conclusione è restato provato che nella specie la società Longart non si limitava ad acquistare e rivendere il materiale nello stato in cui originariamente si trovava ma provvedeva a trasformarlo, sia pure attraverso lavorazioni semplici ed elementari che venivano affidate ai lavoratori a domicilio che le eseguivano nel rispetto delle direttive loro impartite e dei tempi predeterminati dalla committente, sfruttando le proprie energie nella esecuzione di mansioni semplici e con l'utilizzo di strumenti altrettanto semplici, venendo a costituire una catena di montaggio all'esterno della sede dell'impresa ma collegata, coordinata e unificata all'interno di quella, che aveva in tale maniera creato la necessaria catena di produzione di assemblaggio degli elementi di occhiali attraverso la utilizzazione di lavoratori di domicilio retribuiti a cottimo e legati a essa da vincolo di subordinazione

"tecnica", inserendosi i lavoratori nel ciclo produttivo della azienda della quale costituivano meri strumenti tecnico - economici.

Le ragioni sopra esposte impongono la cassazione della sentenza. Non si fa luogo a rinvio in quanto, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si rende possibile alla Corte di decidere

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direttamente nel merito ai sensi dell'ultima parte del primo comma dell'articolo 384 del codice di procedura civile e, quindi, di dichiarare la infondatezza delle doglianze proposte dalla società intimata nei confronti della pronuncia di primo grado.

Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell'intero processo.

(Omissis)

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