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Discrimen » I delitti di bancarotta al crocevia tra continuità e palingenesi

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Academic year: 2022

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I

DELITTI DI BANCAROTTA AL CROCEVIA TRA CONTINUITÀ E PALINGENESI

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Gherardo Minicucci

SOMMARIO 1.L’inizio (o la fine?): la continuità normativa dei delitti di bancarotta. — 2. Conti- nuità reali e continuità apparenti. — 3. Le novità del Codice della crisi: i controlli interni ed esterni.

— 4. La composizione assistita della crisi e i suoi riverberi processuali — 5. Il punto di equilibrio del sistema: la previsione delle misure premiali. — 6. Alcuni possibili approdi interpretativi. — 7. Testo e contesto normativo; continuità e palingenesi.

1. L’inizio (o la fine?): la continuità normativa dei delitti di bancarotta

Se esiste un profilo del c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs.

12 gennaio 2019, n. 14) che è certamente noto a tutti i penalisti è la sostanziale iden- tità delle norme incriminatrici previste nella legge fallimentare, la quale non accen- na a lasciare il campo al suo successore, anche in ragione delle contingenze legate all’attuale pandemia, che hanno decretato un sensibile allungamento del termine di vacatio già originariamente previsto (ora fissato al 1° settembre 2021 dall’art. 5 d.l. 8 aprile 2020, n. 23).

Pur vero che la continuità è stata espressamente desiderata dal Parlamento de- legante, e mantenuta dal legislatore delegato, occorre nondimeno chiedersi se vi sia, e quale sia, lo spazio per una complessiva rilettura del sistema di tutela penale, a pre- scindere dalla immutata formulazione del precetto, la quale potrebbe indurre a sot- tostimare il portato penalistico della riforma, per quanto implicito.

Il diritto penale dell’insolvenza, non dissimilmente da quanto è faticosamente emerso anche nel contesto del “tradizionale” diritto penale fallimentare, non può in- fatti permettersi di trascurare alcuni riflessi di ordine sistematico che cominciano a lumeggiarsi con sempre maggior nitore: in parte, dovuti alla modifica del contesto normativo; in parte, collocati sul piano esegetico.

La previsione dell’art. 349 c.c.i.i., evocante esplicitamente la continuità delle

*Il lavoro riprende e sviluppa alcune delle considerazioni già svolte nel contributo “La continuità normativa della bancarotta al tempo del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, di prossima pubblicazione sulla Rivista di diritto dell’impresa.

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fattispecie, mentre induce l’interprete a prescegliere letture che salvaguardino il nocciolo duro dell’apparato repressivo – non altra, del resto, pare la sua ragion d’essere1 – al contempo non può consentire la rimozione a tutto campo delle ulteriori modifiche normative intervenute, così come non può far dimenticare che la norma giuridica è un prodotto della storia, sicché “essa, immessa nel flusso del tempo, può finire anche per acquistare significati cangianti in considerazione del cambiamento del contesto in cui si inserisce”2. Ciò a maggior ragione ove si consideri che lo scon- certante immobilismo della tutela penale lascia poco spazio all’interprete: tale inerzia fa risalire l’impianto complessivo delle fattispecie incriminatrici alla codificazione napoleonica, poi transitata nei codici di commercio, e soltanto rivista con la legge fallimentare e le sue successive modificazioni3.

Del resto, pur essendo una presa di posizione che è chiaramente comprensibi- le, soprattutto avendo riguardo agli scenari legati ad una generalizzata abolitio cri- minis, un incidere interpretativo teso a minimizzare il mutamento del diritto ex- trapenale di riferimento sottende un rischio altrettanto grave, e compendiabile nel- la sovversione del rapporto tra diritto penale e diritto della crisi, con un triplice ef- fetto: (i) autonomizzare i delitti di bancarotta dalla loro sedes materiae, così por- tando ad una totale autoreferenzialità nel definire i relativi disvalori4; (ii) far dive- nire il diritto penale un criterio interpretativo del diritto della crisi; (iii) azzerare la sussidiarietà dello ius terribile.

2. Continuità reali e continuità apparenti

Come si è accennato, è un dato di fondo che non poche ipotesi di bancarotta hanno mantenuto del tutto inalterati i loro connotati. Un chiaro esempio, da questo

1 F. MUCCIARELLI, Risvolti penalistici del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: lineamenti generali, in Dir. pen. proc., 2019, p. 1190.

2 Così G. GUIZZI, Responsabilità degli amministratori e insolvenza: spunti per una comparazione tra esperienza giuridica italiana e spagnola, in Riv. dir. impresa, 2010, p. 242 e nota 29, riprendendo le suggestioni di G. HUSSERL, Recht und Zeit. Funf Rechtsphilosophische Essays, Frankfurt am Main, 1955 (trad. it. Diritto e tempo. Saggi di filosofia del diritto, a cura di R. Cristin, Milano, 1998, p. 35 ss.), in relazione alle ricadute penalistiche connesse al mutamento di paradigma già imposto alla legge fallimentare con le riforme degli anni Duemila.

3 Per questi rilievi, e per i necessari riferimenti bibliografici, sia consentito il rinvio a G.

MINICUCCI, Il dolo nella bancarotta, Firenze, 2018, p. 27 ss. (consultabile anche su disCrimen).

4 In questi termini, molto lucidamente, F.DI VIZIO, Nella crisi un passo indietro del diritto penale dell’economia, ne Il Sole 24 ore, 10 aprile 2020 (ora consultabile anche in disCrimen).

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punto di vista, è dato dalla perfetta simmetria normativa tra la “vecchia” fattispecie di bancarotta da reato societario (art. 223, comma 2, n. 1, l. fall.) e il “nuovo” art. 329 c.c.i.i., che sotto la medesima rubrica riporta un identico testo di legge, salva la sosti- tuzione della “liquidazione giudiziale” al “fallimento”, già ritenuta dalla Suprema Corte un maquillage in concreto ininfluente, risolvendosi in “una diversa distribu- zione di compiti e poteri” e in “diverse scansioni processuali” che coinvolgono il giu- dice, il curatore, il debitore e i creditori. A tale questione, ridotta in termini pura- mente nominalistici, la Cassazione contrappone l’esclusiva rilevanza dell’insolvenza, quale “presupposto” su cui si “fondano” le immutate norme penali, in entrambi i di- versi contesti normativi5.

D’altra parte, però, è opportuno notare che il concetto di “continuità” dei delit- ti di bancarotta sconta una certa variabilità, dipendente essenzialmente da due fattori alternativi o cumulativi: da un lato, la modifica testuale di talune fattispecie;

dall’altra, la revisione di alcuni istituti del diritto della crisi, richiamati quali elemen- ti normativi dai singoli illeciti.

Nel primo insieme si colloca, a titolo esemplificativo, il “vecchio” art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., che trasmuta nel fatto di chi cagiona non più il “fallimento”, bensì il “dissesto” della società6. Com’è già stato ampiamente notato, il fallimento si lega alla sentenza dichiarativa quale dato processuale, laddove l’insolvenza si qualifi- ca come lo stato di incapacità dell’imprenditore di soddisfare le proprie obbligazioni con mezzi regolari di pagamento (art. 5 l. fall.). Proprio in quanto “stato”, essa deve raffigurare una situazione tendenzialmente permanente, in quanto legata a carenze economico-finanziarie strutturali, anche a prescindere da uno squilibrio patrimonia- le. Il “dissesto”, invece, evoca proprio una situazione di squilibrio patrimoniale, e dunque “un dato quantitativo, graduabile, suscettibile di essere cagionato sia nell’an

5 Così Cass. pen., Sez. V, 10 dicembre 2019, n. 4772/2020, in Penale – Diritto e procedura, 1° aprile 2020 (con osservazioni di A. PANTANELLA, La Corte di cassazione inizia a pronunciarsi in merito al nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ivi).

6 Circa la necessità di distinguere il “fallimento” dall’“insolvenza” e dal “dissesto”, già prima della riforma del codice della crisi, cfr. per tutti M. DONINI, Per uno statuto costituzionale dei reati falli- mentari. Le vie d’uscita da una condizione di perenne “specialità”, in Jus, 2011, p. 48; G. FLORA, Verso una “nuova stagione” del diritto penale fallimentare?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, p. 899 ss.

Contra, nel senso di un uso indifferenziato dei termini, G. MONTANARA, Fallimento (reati in materia di), in Enc. dir., Annali VI, Milano, 2013, p. 309; G. COCCO, Il ruolo delle procedure concorsuali e l’evento dannoso nella bancarotta, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 80.

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che nel quantum (aggravamento)”7. Peraltro, val la pena di sottolineare che la scelta del codice della crisi è diametralmente controtendente rispetto al passato, impe- gnandosi anche nella definizione della controversa nozione di “crisi” (art. 2, comma 1, lett. a)8, la cui perimetrazione ha affannato non poco anche la dottrina penalisti- ca9. È dunque ben possibile immaginare che la sostituzione del “dissesto” al “falli- mento”, nel caso della bancarotta “da operazioni dolose” non sia da ridurre ad una questione lessicale, ma celi ben più gravide conseguenze, soprattutto sul piano della successione tra norme incriminatrici10.

Nel secondo insieme, invece, possono inscriversi le fattispecie che coprono l’ambito relativo al concordato, in ragione della diversa conformazione assunta da quest’ultimo – ove la crisi oggi risulta essere una mera probabilità di insolvenza – il quale, come molti altri istituti “classici” del diritto della crisi si trovano ad essere in parte rivisti, ripensati e ricollocati, senza il minimo coordinamento con le disposizioni penali del codice della crisi11.

Infine, anche se non si tratta di ipotesi di bancarotta, vi sono norme che non sono state affatto riproposte – così l’art. 16, comma 1, lett. c, legge 27 gennaio 2012, n. 3, espunto dall’attuale formulazione dell’art. 344, comma 1, lett. b – o di nuovo conio, come quelle riferibili all’attività dell’OCRI (art. 345 c.c.i.i.).

3. Le novità del Codice della crisi: i controlli interni ed esterni

Il punto di maggiore interesse, tuttavia, concerne i riflessi che si dovranno pro- durre sul piano interpretativo, a prescindere dalla formulazione testuale degli illeciti.

7 C. PEDRAZZI, art. 223, in C. PEDRAZZI, F. SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito. Artt. 216 - 227, parte del Commentario Scialoja - Branca. Legge fallimenta- re, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1995, p. 316.

8 Per una critica alla definizione cfr. ANTONIO ROSSI, Dalla crisi tipica ex CCII alla resilienza della twilight zone, in Fall., 2019, in part. p. 292 ss.

9 Da ultimo cfr. S. CAVALLINI, La bancarotta patrimoniale tra legge fallimentare e codice dell’insolvenza, Padova, 2019, p. 299 ss.

10 Analogamente P. CHIARAVIGLIO, Le innovazioni penalistiche del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: alcuni rilievi critici, in Soc., 2019, p. 454.

11 Per una compiuta rassegna delle questioni cfr. ALESSANDRA ROSSI, I profili penalistici del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: luci ed ombre dei dati normativi, in un contesto programmatico. I

‘riflessi’ su alcune problematiche in campo societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019,p. 1159 ss. Sul tema connesso al rischio di eventuali fenomeni abolitivi legati alla eterogeneità diacronica tra le norme relati- ve alle procedure concorsuali cfr. M. GAMBARDELLA, Il codice della crisi di impresa: nei delitti di banca- rotta la liquidazione giudiziale prende il posto del fallimento, in Cass. pen., 2019, 494 ss.

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Nonostante l’identità – reale o apparente – delle fattispecie penali, il complessivo mu- tamento del sistema impone infatti di misurarsi con i suoi effetti indiretti, quantomeno in modo problematico. Per questa ragione, una sommaria rassegna delle principali modifiche operate con la riforma è un elemento imprescindibile per saggiare se vi pos- sa essere una carsica trasformazione interpretativa delle fattispecie di bancarotta.

3.1. Anzitutto, la riforma impone una rivisitazione dello stesso nome di catego- ria delle fattispecie in esame, che dall’appartenere al “diritto penale fallimentare” si trovano ora a collocarsi nel diritto penale dell’insolvenza (o della crisi, o concorsua- le). Si perde il “fallimento”, in ogni sua variante terminologica, sostituito dalla “li- quidazione giudiziale”, che, lontana dalla storia della concorsualità (e riecheggiante gli ambiti tipici del diritto societario12), sembra voler oggettivare ulteriormente la crisi, sublimandola da una condizione dell’imprenditore ad un difetto dell’impresa13.

È quindi l’insolvenza l’elemento attorno al quale si coagulano le ipotesi di banca- rotta – in piena coerenza con la necessaria riconduzione dei delitti in parola al genus dei reati di pericolo concreto – secondo un percorso che, pur lentamente, è stato pro- gressivamente fatto proprio anche dalla più avvertita giurisprudenza di legittimità14.

3.2. Il cuore delle novità recate dal d.lgs. n. 14 del 2019, però, riguarda la fase di emersione della crisi, che verrà trattata in via confidenziale da un organismo di composizione (OCRI), individuando di concerto col debitore le misure migliori per porre rimedio alla situazione in funzione preventiva di infausti esiti economici.

Più in particolare, il codice della crisi immagina una serie di presidi di “concor- sualità preventiva” tesi a definire una catena procedimentale tendente a far aggallare le imprese in difficoltà. Così, agli organi gestori si è imposta la predisposizione – e la verifica – di adeguati assetti organizzativi come precondizione anche per la rileva-

12 In termini cfr. G.LO CASCIO, Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: considerazioni a prima lettura, in Fall., 2019, p. 264.

13 Così ANTONIO ROSSI, La legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa: una prima lettura, in Soc., 2017, p. 1376.

14 Da ultimo, cfr. Cass. pen., 24 marzo 2017, n. 17819, in CED, rv. 269562, con note di C. SANTO- RIELLO, Spunti per una delimitazione degli atti di gestione del patrimonio aziendale qualificabili come bancarotta fraudolenta, in Soc., 2017, p. 1030 ss., e M. POGGI D’ANGELO, Sul modello d’illecito e le sue conseguenze in tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, in Cass. pen., 2017, p. 3959 ss.; non- ché Cass. pen., 23 giugno 2017, n. 38396, in CED, rv. 270763, con note di F. BREMBATI, La bancarotta fraudolenta patrimoniale tra principi costituzionali e “indici di fraudolenza”, in Soc., 2018, p. 645 ss., e S. CAVALLINI, La bancarotta fraudolenta “in trasformazione”: verso il recupero della dimensione le- siva dell’archetipo prefallimentare?, in Giur. it., 2018, p. 187 ss.

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zione della crisi, sulla base di precisi indici (c.d. segnalazione interna). Il meccanismo di controllo interno si centra quindi sull’assoluta rilevanza di “indicatori della crisi”

(art. 13 c.c.i.i.), la cui individuazione è in parte operata dallo stesso legislatore (com- ma 1) ed in parte delegata al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esper- ti contabili, che dovrà elaborarne un elenco esaustivo con cadenza triennale (comma 2)15. Tuttavia, alla singola impresa è consentito discostarsi dalla tipicizzazione “dele- gata” – ma non da quella legislativa – specificandone le ragioni e individuando i cor- rettivi nella nota integrativa, con la relativa attestazione da parte di un professionista indipendente (comma 3).

Tale attività, come si è detto, è funzionale a garantire la tempestiva esternaliz- zazione delle difficoltà economiche, se del caso anche su impulso dei creditori pub- blici “qualificati” (c.d. segnalazione esterna)16. Questa forma di controllo esogeno si appunta anch’essa sulla rilevanza di soglie quantitative, relative stavolta all’esposizione debitoria con l’Agenzia delle entrate, con l’Istituto nazionale della previdenza sociale e con l’agente della riscossione delle imposte, il quali avranno l’obbligo – sotto pena di inefficacia del titolo di prelazione, i primi due, ovvero a pe- na di inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione, il terzo – di dare avviso al debitore che la sua esposizione ha superato le soglie previste (art. 15, com- mi 1 e 2). Qualora non si giunga in breve tempo all’estinzione del debito o ad un ac- cordo, questi creditori avranno quindi il dovere di segnalare la situazione agli organi di controllo societari, se presenti, ed in ogni caso all’OCRI.

3.3. La configurazione di questi obblighi organizzativi comporta significativi ri- flessi sul posizionamento e sui contenuti delle responsabilità degli organi di gestione e degli organi di controllo.

Quanto ai primi, come si è accennato, il novellato art. 2086 c.c. – già reso ope- rativo dalla riforma – estende oggi ad ogni forma di impresa la necessità di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle di- mensioni dell’impresa, funzionale anche alla rilevazione della crisi e della eventuale

15 La prima elaborazione degli indici, terminata il 20 ottobre 2019, è consultabile sul sito internet del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (https://commercialisti.it/documents/20182/123 6821/codice+crisi_definizioni+indici+%28ott+2019%29.pdf/2072f95c-22a2-41e1-bd2f-7e7c7153ed84).

16 La scansione è efficacemente descritta, sotto varie angolature, da A.GUIOTTO, I sistemi di allerta e l’emersione tempestiva della crisi, in Fall., 2019, p. 409 ss.; M. FERRO, Allerta e composizione assisti- ta della crisi nel D.Lgs. n. 14/2019: le istituzioni della concorsualità preventiva, in Fall., 2019, p. 419 ss.; M. BINI, Procedura di allerta: indicatori della crisi ed obbligo di segnalazione da parte degli organi di controllo, in Soc., 2019, p. 430 ss.

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perdita della continuità aziendale. La predisposizione di tali assetti, quindi, entra nel nucleo essenziale della funzione gestoria, comprendendovi pure il dovere di attivarsi per l’adozione di strumenti di composizione e recupero della crisi medesima17.

Dal canto loro, gli organi di controllo societari e i revisori avranno l’obbligo di ve- rificare che l’organo amministrativo valuti costantemente l’idoneità dell’assetto organiz- zativo dell’impresa e l’equilibrio economico-finanziario, segnalando senza indugio l’esistenza di fondati indizi della crisi. La spinta alla segnalazione è assistita dalla previ- sione di una clausola premiale di esonero dalla responsabilità solidale “per le conseguen- ze pregiudizievoli delle omissioni o delle azioni successivamente attuate dall’organo amministrativo in difformità dalle prescrizioni ricevute, che non siano conseguenza di- retta di decisioni assunte prima della segnalazione”, a condizione che, in caso di omessa o inadeguata risposta o di misure idonee a fronteggiare lo stato di crisi, gli organi di con- trollo e i revisori informino “senza indugio” l’OCRI (art. 14, comma 2)18.

Quest’ultima statuizione, in ossequio al principio di non contraddizione dell’ordinamento, deve essere intesa nel senso dell’esclusione a fortiori di ogni forma di responsabilità penale, soprattutto con riferimento alla valutazione – ex ante, si in- tende – dell’“adeguatezza” dell’assetto organizzativo in relazione alla dimensione e alle caratteristiche proprie della singola impresa, anche con riguardo alla stessa rile- vazione dello stato di crisi19.

Tuttavia, mentre essa ribadisce un dato obiettivamente incontestabile – non si vede, invero, cosa aggiunga la previsione rispetto alle comuni regole di ascrizione dell’illecito – al contempo concorre a fondare in capo ai soggetti individuati un obbli- go di garanzia, rispetto al quale, tuttavia, permangono non modeste criticità con rife- rimento all’individuazione dei poteri impeditivi richiesti dall’art. 40, comma 2, c.p.20.

17 Così N.ABRIANI,ANTONIO ROSSI, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codi- ce civile: prime letture, in Soc., 2019, p. 395.

18Amplius, sul versante civilistico, cfr. S. ADDAMO, Responsabilità del collegio sindacale nella crisi di impresa, in Nuove leggi civ. comm., 2019, p. 913 ss., e, sul versante penalistico, cfr. ALESSANDRA ROSSI, I profili penalistici, cit., p. 1179 ss.

19 In termini analoghi cfr. F. MUCCIARELLI, Risvolti penalistici, cit., p. 1193 e 1195.

20 Sulla posizione degli organi di controllo sotto la disciplina previgente cfr. C. PAONESSA, Obbligo di impedire l’evento e fisiognomica del potere impeditivo, in Criminalia, 2012,p. 660 ss. e p. 665 ss.

(consultabile anche su disCrimen); sulla posizione dei revisori cfr. le sempreverdi osservazioni di A.

CRESPI, La pretesa posizione di garanzia del revisore contabile, in Riv. soc., 2006, p. 373 ss.

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4. La composizione assistita della crisi e i suoi riverberi processuali

La discovery che culmina nell’interessamento dell’OCRI costituisce un presidio intermedio che, se ben gestito, può certamente imporsi come strumento preventivo sia dell’insolvenza, sia dei delitti che abitualmente vi allignano (ivi inclusi, a titolo meramente esemplificativo, i reati di omesso versamento delle imposte o delle rite- nute previdenziali), ovvero come avamposto per la loro tempestiva rilevazione. Ciò si desume anche dall’intimo legame che la nuova procedura disegna tra l’OCRI e il pubblico ministero, che verrà interessato ogniqualvolta il debitore non acceda, su sollecitazione dell’organismo di composizione, ad una procedura concorsuale.

Sono almeno tre le conseguenze che potranno prodursi, tra loro interferenti e con indubitabili effetti sul contenzioso penale.

In primo luogo, la previsione dell’esonero della responsabilità degli organi di controllo, pur in sé certamente coerente, rischia di condurre a ben immaginabili precauzionismi, ad oggi tipici, ad esempio, della c.d. “medicina difensiva”.

In secondo luogo, e significativamente, la riforma consegna nelle mani del pubblico ministero una “iniziativa concorsuale” che non è più del tutto residuale ri- spetto agli interessi (patrimoniali) dei creditori21, bensì funzionale – in chiave gene- ral-preventiva, si direbbe – alla tenuta del sistema della emersione anticipata della crisi, nella quale assume rilevanza, quale interesse protetto, il bene della gestione della fibrillazione dell’impresa.

Infine, e correlativamente, il nuovo meccanismo probabilmente indurrà ad uno spiccato interventismo del pubblico ministero anche nel merito della fase anticipata della crisi, complice anche la sfiducia maturata negli ultimi decenni verso la regola- mentazione privata22 e la circostanza che, in questa sede, si giocherà anche la partita relativa alla non punibilità, sulla quale si tornerà compiutamente nel paragrafo se- guente. Col corollario che molte delle valutazioni che generalmente costituiscono il perno dell’accertamento dei fatti di bancarotta si troveranno ad essere definite al di fuori del processo: tanto per l’invocata auto-regolamentazione degli operatori giuri- dico-economici, rispetto alla quale sarà decisivo un preciso apporto tecnico- professionale; quanto per l’ampliamento del ruolo del pubblico ministero, che pro-

21 In tema cfr. S. DE FLAMMINEIS, Il “nuovo” ruolo del P.M. tra crisi e perdita della continuità aziendale, in Dir. pen. cont., 2/2019, in part. p. 7 ss.

22 ANTONIO ROSSI, La legge delega, cit., p. 1385.

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durrà un parallelo impegno delle difese nella partecipazione alle scelte per la compo- sizione della crisi23.

5. Il punto di equilibrio del sistema: la previsione delle misure premiali

La scelta della composizione stragiudiziale è dunque intessuta di numerosissi- me cautele, corredate di sanzioni civili (e penali: si veda l’art. 345 c.c.i.i., Falso nelle attestazioni dei componenti dell’OCRI), ed è ispirata ad una procedimentalizzazione che, se inosservata o inefficace, porta all’iniziativa del pubblico ministero. Il che, a tutta evidenza, può comportare un elevatissimo rischio penale, in forza di automati- smi che potrebbero, in astratto, far ripiombare la bancarotta nella sfera dei reati di pericolo presunto.

Anche in vista di tali eventualità, il legislatore delegato ha interpretato estensi- vamente l’art. 4, lett. h, della legge-delega, laddove imponeva la previsione di misure premiali per l’imprenditore che tempestivamente si rivolge all’OCRI, tra cui una

“causa di non punibilità per il delitto di bancarotta semplice e per gli altri reati pre- visti dalla legge fallimentare, quando abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità ai sensi dell’art. 219, terzo comma”.

Per l’effetto, l’art. 25, comma 2, primo periodo, c.c.i.i. dispone la non punibilità di chi abbia commesso fatti di bancarotta, fraudolenta o semplice (artt. 322, 323, 328, 329, 330, 333 e 341, comma 2, lett. a e b) e di ricorso abusivo al credito (artt. 325 e 331) alla triplice condizione che (i) la condotta sia stata posta in essere prima dell’apertura della procedura concorsuale, (ii) il danno sia di speciale tenuità, e so- prattutto (iii) sia stata tempestivamente presentata l’istanza all’OCRI o una domanda di accesso ad una procedura concorsuale, se, in seguito, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un ac- cordo di ristrutturazione dei debiti.

Il secondo periodo dell’art. 25, comma 2, poi, prevede una circostanza atte- nuante ad effetto speciale che impone – non facoltizza, giova sottolinearlo – la ridu- zione della pena fino alla metà quando, non ricorrendo un danno di speciale tenuità, alla data di apertura della procedura concorsuale il valore dell’attivo inventariato o

23 Sul tema, volendo, cfr. G.MINICUCCI, La consulenza tecnica della difesa nel processo penale:

un focus sul diritto penale della crisi d’impresa, in Giust. pen., 2019, III, c. 549 ss. (consultabile anche su disCrimen).

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offerto ai creditori assicuri il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non superi i due milioni di euro.

V’è subito da osservare che l’applicazione dell’art. 25, comma 2, si impernia, in positivo o in negativo, sulla ricorrenza della speciale tenuità del danno patrimoniale.

Formulazione infelice, poiché foriera di non pochi problemi applicativi: alcuni anti- chi, quali la difficoltà di raccordo con illeciti penali strutturati sul modello dei reati di pericolo concreto (la bancarotta patrimoniale) ovvero la problematica relazione con i delitti di matrice documentale; altri nuovi, in considerazione del fatto che la nozione di “speciale tenuità” trova oggi un contraltare nella statuizione di valore del secondo periodo, nonché nel suo elevarsi da elemento costitutivo di una circostanza attenuante (art. 219, comma 3, l. fall. – art. 326, comma 3, c.c.i.i.) a vera e propria porta di accesso per la non punibilità.

6. Alcuni possibili approdi interpretativi

L’art. 25, comma 2, c.c.i.i. è un indice inequivoco del mutamento di policy che regge la nuova cornice normativa che lo accoglie, il che consente di non arrestarsi sul- la sua mera enunciazione, provando a saggiarne le possibili implicazioni ermeneuti- che. Appare del tutto condivisibile la scelta, pur non esplicita, di tenere separate so- prattutto in tempi di crisi le responsabilità penali dalle soluzioni di recupero dell’impresa, atteso che quest’ultima può mantenere un elevato valore economico an- che in presenza di condotte censurabili o penalmente rilevanti24.

Del pari, è condivisibile la scelta di fondo del legislatore delegato, del tutto pola- rizzata sulla chiara enunciazione degli effetti delle condotte virtuose, più che sulla loro sistematizzazione rispetto al comparto penale, sottratto al suo intervento. Ciò, nondi- meno, non elimina, né potrebbe, la possibilità di conferire un diverso valore alle clau- sole sopra esaminate, che tenga conto tanto del contesto normativo nel quale esse si troveranno ad operare, quanto delle caratteristiche, intrinseche ed estrinseche, dei de-

24 Restano del tutto insuperate, sul punto, le considerazioni di A. PAGLIARO, Problemi attuali del diritto penale fallimentare, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1988, p. 520: “Debiti insoluti ve ne è in ogni tipo di economia; e, nella stessa economia capitalistica, vi sono debiti insoluti al di fuori del circuito di finanziamento delle imprese: ma essi non danno luogo al delitto di bancarotta. D’altra parte, il requi- sito dell’apertura della procedura concorsuale è l’indice che al di sopra di tutto resta l’impresa: un va- lore economico che, fino a quando ha un segno positivo, è meglio evitare di disperdere anche in pre- senza di fatti dolosi o colposi in danno dei creditori”.

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litti di bancarotta. Dal punto di vista penalistico, più in particolare, la clausola dell’art.

25, comma 2, primo periodo, può essere alternativamente ricondotta agli ambiti della punibilità, dell’antigiuridicità o della tipicità.

6.1. La formulazione testuale della disposizione lascia invero propendere per la configurazione di una causa di non punibilità25, attesa la sua finalizzazione all’obiettivo dell’incentivazione dell’emersione della crisi, pur connotata dall’elemento valutativo costituito dalla tenuità del danno.

In questo senso si esprime anche la Relazione illustrativa al codice della crisi, che esplicitamente accosta l’art. 25, comma 2, primo periodo alla previsione dell’art.

131-bis c.p., del quale si derogherebbero alcuni requisiti essenziali nell’ottica di una lettura intensiva delle fattispecie di bancarotta. Queste ultime dovrebbero conse- guentemente ridurre il loro campo di operatività rinunciando a punire (i) condotte di scorretta destinazione dei beni imprenditoriali, le quali (ii) abbiano modesti effetti depauperativi, con incidenza minima sugli interessi dei creditori, e che (iii) siano po- ste in essere in epoca risalente rispetto all’apertura della procedura; lasciando aperta, quindi, la (iv) possibilità di escludere la punibilità anche nei casi di bancarotta “semi- riparata”26.

La conseguenza di una consimile qualificazione giuridica, agganciata alla pro- cedimentalizzazione della crisi – intesa come mera sequenza di atti preordinati alla esternalizzazione delle criticità economico-finanziarie – comporta inevitabilmente l’effetto di delimitarne pro futuro l’efficacia27.

Pur costituendo un percorso interpretativo certamente percorribile, ed anzi ca- ratterizzato dal più nitido cammino, la classificazione come causa di non punibilità dell’art. 25, comma 2, primo periodo, sconta alcuni profili critici.

In prima battuta, volendo ammettere che si tratti di un’ipotesi – invero specia- lissima – di non punibilità per particolare tenuità del fatto, anche a prescindere dall’elisione de facto di ogni altro requisito costitutivo dell’istituto, occorrerebbe

25 Così la maggior parte della dottrina: cfr. F. MUCCIARELLI, Risvolti penalistici, cit., p. 1197; R.

BRICCHETTI, Codice della crisi d’impresa: rassegna delle disposizioni penali e raffronto con quelle della legge fallimentare, in Dir. pen. cont., 7-8/2019, p. 97; M. GAMBARDELLA, Il codice della crisi, cit., p.

494 ss.; ALESSANDRA ROSSI, I profili penalistici, cit., p. 1177; P. CHIARAVIGLIO, Le innovazioni penali- stiche, cit., p. 452.

26 La Relazione illustrativa al d.lgs. n. 14 del 2019 (p. 46) è consultabile sul sito della Camera dei Deputati (http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?file=00 53_F001.pdf&leg=XVIII#pagemode=none).

27 Così R. BRICCHETTI, Codice della crisi, cit., p. 98.

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comunque misurarsi col principio di proporzione e con le istanze della ragionevolez- za, atteso che il massimo dell’edittale per i delitti di bancarotta fraudolenta è fissato in dieci anni, ovverosia nel doppio del massimo individuato nell’art. 131-bis28.

In secondo luogo, pur vero che è qualificata come tale dalla Relazione illustra- tiva, quest’ultima, nel metterne a fuoco le ragioni di fondo, non sembra affatto muo- versi sul piano dell’opportunità del punire, quanto sul più significativo crinale dell’offensività delle condotte ivi fotografate. Sviluppando le premesse del discorso, al netto delle etichette, sembrerebbe infatti che l’art. 25, comma 2, primo periodo, abbia finito col normativizzare quelle posizioni dottrinali che la giurisprudenza ha solo da ultimo recepito29, tendenti al ripensamento delle fattispecie di bancarotta nel solco dei reati di pericolo concreto per il bene della tutela dei creditori.

Infine, pare doveroso mettere in relazione il primo periodo dell’art. 25, comma 2, con il secondo, nel quale è contenuta la circostanza attenuante, che costituisce una vera e propria rarità. Si tratta, infatti, di una circostanza attenuante obbligatoria ad effetto speciale, che, come tale, si pone assai vicino alla zona di confine che separa gli accidentalia dalla configurazione di vere e proprie fattispecie autonome di reato; del resto, la struttura è del tutto analoga a quella dell’art. 2621-bis c.c., resa chiaramente fattispecie autonoma grazie all’introduzione della clausola di riserva.

In altri termini, si può fondatamente sostenere che tale circostanza non sia mu- ta circa la definizione dei connotati del Tatbestand dei delitti di bancarotta. Più in particolare, ove si consideri che, al netto delle soglie quantitative ivi previste, il dif- ferenziale tra il primo periodo e il secondo si pone sulla integrazione della speciale tenuità, occorrerebbe interrogarsi – ma l’economia del contributo non lo consente – su come sia possibile allocare nella sfera della punibilità una clausola che ricalca tutti gli elementi di un’attenuante ad effetto speciale, ancorata saldamente alla categoria del fatto.

Gli effetti sembrano invero paradossali: mentre il primo periodo sarebbe irrile- vante circa essenza dei fatti di reato, occupandosi unicamente di stabilire una regola eccezionale motivata da profili di opportunità, il secondo periodo si porrebbe quasi

28 In termini cfr. G. L. PERDONÒ, Brevi spunti di riflessione sull’evoluzione giurisprudenziale e normativa dei rapporti strutturali tra fatti di bancarotta prefallimentare e sentenza di fallimento, in Arch. pen. - Online, 1/2019, p. 18. Amplius cfr. F. PALAZZO, Il principio di proporzione e i vincoli so- stanziali del diritto penale, in Principi, regole, interpretazione. Contratti e obbligazioni, famiglie e successioni. Scritti in onore di Giovanni Furgiuele, a cura di G. Conte e S. Landini, I, Mantova, 2017, in part. p. 322 ss.

29 Per una rassegna ragionata cfr. L. MESSORI, Il pericolo concreto nella bancarotta prefallimentare:

nulla poena sine crimine…et condicione?, in Cass. pen., 2018, p. 3528 ss. e p. 3531.

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al confine tra la configurazione di una fattispecie attenuata ed un vero e proprio au- tonomo delitto.

6.2. Una seconda linea interpretativa riconosce che l’art. 25, comma 2, primo pe- riodo, esprime ben più di quanto non dica la sua formulazione testuale, desumendone una valenza sistematica dal suo raffronto con il mutato quadro del diritto della crisi.

Per queste ragioni, ritiene di individuare nella previsione in esame un’autonoma causa di giustificazione – in virtù di un bilanciamento tra gli interessi in gioco – “speciale” o

“relativa”, poiché limitata al diritto penale dell’insolvenza30, come già teorizzato da una parte della dottrina con riguardo all’art. 217-bis l. fall. (ora art. 324 c.c.i.i.)31.

La tesi in esame si misura senz’altro con l’imperativo che le due lenti con cui leggere il fenomeno della crisi d’impresa siano il più possibile sintoniche: in questa prospettiva, ciò che assume particolare rilievo è, appunto, la ridefinizione degli inte- ressi in gioco in forza della preminenza della salvezza dei valori aziendali che, fino alla decozione, deve ritenersi del tutto prevalente rispetto agli altri. La procedimen- talizzazione e la “non punibilità”, quindi, danno corpo a tale valore mediante la pre- coce esteriorizzazione della crisi e la correlativa individuazione di strumenti di sal- vataggio di concerto con i creditori, in vista della continuità, assistita da attestazioni indipendenti e sotto una rafforzata valutazione giurisdizionale.

In questo senso, sembrerebbe configurarsi una vera e propria scriminante “pro- cedurale”32: assai diversamente dal bilanciamento tipico della giustificazione “sostan- ziale”, nella categoria in esame ciò che assume decisivo rilievo è la consecuzione di atti, normativamente predeterminati, diretti a legittimare un determinato risultato lesivo in vista di un altro interesse, i quali, ove non oggetto di regolamentazione, sa- rebbero impediti proprio in virtù della tutela delle altre oggettività giuridiche. Per- tanto, la lesione degli altri interessi è autorizzata sin dal suo inizio, a patto che si mantenga nel perimetro conchiuso delle norme di riferimento, e generalmente sotto

30 S. CAVALLINI, Il diritto della crisi e il codice “dimezzato”: nuovi assetti di tutela per il sistema penale dell’insolvenza?, in Dir. proc. pen, 2019, p. 1336.

31 Così M. SCOLETTA, La “specialità” della causa di esenzione da reati di bancarotta: funzionalità e limiti scriminanti dell’art. 217 bis l. fall., in Crisi dell’impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell’insolvenza, a cura di R. Borsari, Padova, 2015, p. 393 (consultabile anche su discrimen.it); F. CON- SULICH, Lo statuto penale delle scriminanti. Principio di legalità e cause di giustificazione: necessità e limiti, Torino, 2018, p. 190 ss. (consultabile anche su discrimen.it); A. INGRASSIA, Rischio di impresa come rischio penale? Il sindacato giudiziale sulle scelte di gestione della crisi, Pavia, 2018, p. 168.

32 Da ultimo, cfr. A. SESSA, Le giustificazioni procedurali nella teoria del reato, Napoli, 2018, in part.

p. 153 ss. e p. 252 ss.; da una diversa prospettiva, cfr. F. CONSULICH, Lo statuto penale, cit., p. 41 ss.

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una procedura di controllo pubblico (come accade nella rinnovata disciplina della gestione anticipata della crisi). La giustificazione procedurale, quindi, non afferma un diritto, ma consacra una struttura giuridica nella quale si riconosce una facoltà di movimento secondo il diritto sulla base di rigide precondizioni (si pensi, ad esempio, alle questioni di inizio e fine vita), scongiurando ab initio il rischio connaturato a ve- rifiche di proporzione ex post affidate all’accertamento giudiziale.

Sennonché, è proprio sotto questo specifico profilo che non pare possibile chiudere la ricostruzione: la speciale tenuità del danno patrimoniale costituisce un elemento che è sicuramente soggetto ad un accertamento ex post, anche se non ne- cessariamente del giudice penale.

6.3. V’è, infine, un ulteriore percorso esegetico, teso anch’esso a valorizzare i contenuti assiologici sottesi alla riforma del diritto concorsuale, e che si muove nel solco già tracciato dall’orientamento or ora esaminato.

Più in particolare, sembra possibile sostenere che, al ricorrere delle condizioni enucleate dall’art. 25, comma 2, primo periodo, non vi sia alcun rischio illecito, in considerazione del fatto che al pari o al di sopra della par condicio creditorum si po- ne l’interesse al mantenimento del valore aziendale, peraltro antecedente logico del- la prima.

È pur vero, infatti, che l’interesse dei creditori riveste ancora un ruolo prota- gonistico, ma il modello della tutela dell’esecuzione concorsuale ha oramai ceduto il passo a quello della tutela della gestione concorsuale, nella quale si inseriscono a pieno titolo anche ulteriori valori, di rango equivalente se non paritario. Più nel det- taglio, vi sono ragioni che non sono e non possono essere affidate ad un puro con- trollo creditorio: la “comunità di pericolo” dell’insolvenza dell’impresa, com’è stato persuasivamente affermato, si deve estendere ai lavoratori, ai consumatori dei beni e dei servizi, ai partner commerciali e al c.d. indotto, all’Erario e alla previdenza socia- le. In breve: si deve passare dal piano dell’obbligazione insoluta al piano, assai più complesso, della valutazione dell’attività33.

La riforma sembra aver imposto un netto cambiamento all’assetto di tutela, come dimostra l’importanza assunta dal falso in attestazione e dal nuovo falso ideo- logico per i componenti dell’OCRI (art. 345 c.c.i.i.)34, che si inserisce in uno spazio che non era affatto lacunoso, ma anzi del tutto compatto, il quale deve quindi riasse-

33 F. DI MARZIO, Fallimento. Storia di un’idea, Milano, 2018, p. 16 e p. 225.

34 S. CAVALLINI, Il diritto della crisi, cit., p. 1338 ss.

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starsi su nuovi pilastri; soprattutto ove si abbia riguardo al fatto che le fattispecie di bancarotta nascono come la tipizzazione delle prove del fallimento-reato, in momen- ti storici in cui la connessione tra il risvolto civilistico del fallimento – l’insolvenza – e quello penalistico – la frode per i creditori e la preordinazione della decozione – imponeva la classica equiparazione tra decoctor e fraudator, con una perfetta sovrap- posizione tra economia ed etica.

Oggi – o, meglio, domani – l’imprenditore che “gestisce” la crisi “procedimen- talizzandola” non integra il fatto di bancarotta – impregiudicato il giudizio circa altri illeciti penali (quali, ad esempio, i reati societari o tributari) – poiché, ove si propon- ga di attivare tempestivamente l’OCRI o una procedura concorsuale, coglie i segnali della crisi e li trasforma in un percorso di per sé virtuoso: non in quanto sicuramente destinato alla piena soddisfazione dei creditori, ma in quanto esternalizzante le criti- cità che mettono a repentaglio la salvezza dell’impresa.

Lo speculare penalistico, a tutta evidenza, sta nel fatto che le condotte prima poste in essere, a meno che non abbiano potuto di per sé cagionare una crisi prima insussistente – ma ciò è scongiurato dalla richiesta “tenuità” del danno, che in questo senso potrebbe essere correttamente valorizzata e messa a sistema – si collocano in un momento in cui non c’è rischio illecito, perché l’impresa si trova ancora in bo- nis35. Manca, quindi, l’elemento tipico implicito dello stato di insolvenza, oramai unanimemente ritenuto fondativo per l’ascrizione dei delitti di bancarotta.

Un’ulteriore conferma si trae dalla limitazione della clausola alla fase pre- concorsuale, che evidentemente non consente di assegnare un “credito” penalistico a chi, pur essendosi inserito in una prospettiva virtuosa, commette i delitti previsti nel codice della crisi.

Detto altrimenti: ammettendo che con l’art. 25, comma 2, primo periodo, il legi- slatore delegato abbia tipicizzato un rischio lecito – e dunque penalmente atipico – si deve parallelamente ammettere che la tipicità delle fattispecie di bancarotta e di ricorso abusivo al credito viene a sua volta “ritagliata” in forza di una lettura sistematica delle disposizioni. La modifica non è quindi sul piano strutturale, ma altrettanto incisiva.

Anche la tesi in esame non è esente da critiche, che tuttavia non paiono insu- perabili. Si è osservato, in particolare, che l’ipotesi di consegnare all’atipicità le con- dotte antecedenti alla richiesta produrrebbe l’effetto di depotenziare la funzione

35 Così, pur da prospettive assai diverse, già P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle procedure concorsuali, Milano, 1955, p. 196 ss., e C. PEDRAZZI, Riflessioni sulla lesività della banca- rotta, in Studi in memoria di Giacomo Delitala, II, Milano, 1984, p. 1111 ss.

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preventiva dei delitti di bancarotta, soprattutto ove ciò dovesse raccordarsi ad indul- genzialismi nella lettura giurisprudenziale della “tenuità”, eventualmente sorretti da ricostruzioni eticizzanti della clausola, volte a privilegiare l’aspetto “morale” del rav- vedimento a fronte della doverosa parametrazione obiettiva del danno36.

Tali considerazioni, tuttavia, sembrano più appuntarsi sul merito della scelta legislativa, piuttosto che sulla opzione per una particolare qualificazione della clau- sola esentativa: non si vede, infatti, quale minore efficacia depotenziante del sistema repressivo dipenda dalla riconduzione dell’art. 25, comma 2, primo periodo, all’alveo della punibilità; nella quale, al contrario, possono trovare piena libertà – sicuramente ben più che nella cornice del fatto tipico – le più ampie e diverse valutazioni in ordi- ne alla esenzione dalla pena. Senza contare che l’applicazione della clausola in esame è del tutto orientata dalla nozione di “tenuità” che la giurisprudenza vorrà adottare, circa la quale è ben difficile immaginare ogni forma di indulgenzialismo37.

7. Testo e contesto normativo; continuità e palingenesi

A conclusione di questa rapsodica carrellata, sembra potersi dire che i delitti di bancarotta, anche a fronte del loro – parziale – immobilismo testuale, possono essere comprimari del percorso di trasformazione che sta coinvolgendo il diritto della crisi d’impresa. Un rinnovamento che passa attraverso la progressiva modificazione, at- traverso diverse “incarnazioni” di sé che sono perfettamente note: la bancarotta co- me reato di pericolo presunto e il fallimento quale elemento (innominato) del fatto;

la bancarotta come reato di evento; la bancarotta come reato di pericolo concreto, col fallimento ricondotto alle condizioni obiettive di punibilità.

Incarnazioni diverse di una fattispecie testualmente invariata.

Il codice della crisi muove dalla convinzione che l’emersione della crisi sia il principale interesse da tutelare. Tuttavia, nel perseguire tale obiettivo, non ha rinun- ciato a mantenere, e ad estendere, il perimetro del controllo giudiziale – e, per con- seguenza, del pubblico ministero – sugli strumenti di composizione della crisi; i cui costi, economici e non – si pensi soprattutto all’onere documentale loro associato, e alle responsabilità che gravano sugli attestatori – rischiano di ridurre di molto il loro

36 G. L. PERDONÒ, Brevi spunti, cit., p. 21.

37 Cfr. P. CHIARAVIGLIO, Le innovazioni penalistiche, cit., p. 452, nota 42, per una rassegna della più recente giurisprudenza in materia.

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campo di operatività effettivo, in favore della liquidazione giudiziale38. Più in parti- colare, le condizioni descritte nella clausola dell’art. 25 c.c.i.i. lasciano intravedere che, sopra a tutto, il legislatore intende perseguire non più soltanto il bene “comune”

della soddisfazione dei creditori, bensì il bene (non privato, ma) pubblico della con- servazione dei valori aziendali, nei quali si inseriscono, per limitarsi a due macro- esempi, anche la tutela del lavoro e degli interessi erariali.

L’abbandono della natura puramente liquidatoria del diritto dell’insolvenza, oramai indiscutibile, comporta il passaggio dal modello della esecuzione a quello del- la gestione concorsuale, con ogni ricaduta anche sul piano del diverso atteggiarsi del giudice civile39; il che, ovviamente, impone una correlativa riflessione sul ruolo della giurisdizione penale, che deve definitivamente rinunciare ad attrarre nell’ambito della bancarotta fraudolenta tutte le operazioni espressive di una scelta imprendito- riale, per quanto errata o dannosa. Del resto, se la bancarotta si viene a inserire nella tutela anticipata della crisi d’impresa, in vista della prevenzione dell’insolvenza o della sua migliore gestione, essa finisce col collidere con l’idea stessa che regge tutto l’impianto della riforma.

Il dialogo col mutato contesto normativo, invero, lascia presumere che le fatti- specie dovranno quindi affrontare una nuova, radicale, palingenesi.

38 Così L. STANGHELLINI, Il codice della crisi di impresa: una primissima lettura (con qualche criti- ca), in Corr. giur., 2019, p. 452 e p. 454 ss.

39 C. CAVALLINI, Regolamentazione dell’insolvenza e iurisdictio, in Riv. dir. proc., 2019, p. 1004 ss.

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