Linee guida
TUMORI DEL COLON RETTO
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Coordinatore: Giordano Beretta
Segretario Scientifico: Lisa Salvatore
Estensori: Referee AIOM Francesco Di Costanzo
Ermenegildo Arnoldi, Carlo Aschele, Carlo Barone, Carlo Carnaghi, Maurizio Cosimelli, Roberto Faggiuolo Evaristo Maiello, Francesca Valvo
Alfredo Falcone Roberto Labianca Salvatore Pucciarelli Vincenzo Valentini Alberto Zaniboni Referee AIGO Renato Cannizzaro Referee AIRO Antonino De Paoli Referee SICO Francesco Tonelli Referee SIMG Maurizio Cancian Referee SIAPEC Mauro Risio
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Indice
1. Fasi dell’assistenza ... 4
1.1 Comunicazione col paziente ... 4
1.2 Consenso informato ... 4
2. Accesso al servizio ... 4
2.1 Tempestivita’ della diagnosi ... 4
2.2 Ruolo del medico di medicina generale ... 5
2.3 Criteri per l’invio ad accertamenti specialistici ... 5
2.4 Prospettive di screening ... 5
3. Gruppo multidisciplinare ... 8
4. Diagnosi ... 8
4.1
Diagnosi clinica ... 8
4.2 Esame istologico ... 9
5. Valutazione pretrattamento ... 9
5.1 Stadiazione, parametri “T” e “N” ... 9
5.2 Stadiazione, parametro M ... 10
5.3 Marcatori tumorali ... 11
5.4 Valutazione generale pretrattamento ... 11
6.
Chirurgia ... 12
6.1 Preparazione all’intervento ... 12
6.2 Tecnica chirurgica ... 13
7. Anatomia patologica ... 17
7.1 Stadiazione... 18
8. Terapia adiuvante ... 20
8.1 Tumori del colon ... 20
8.2 Tumori del retto ... 21
9. Terapia neoadiuvante ... 22
10.
Follow-Up ... 24
11. Trattamento della malattia avanzata ... 25
11.1 Terapia medica (chemioterapia e farmaci biologici) ... 26
11.2 Trattamento chirurgico della malattia avanzata ... 32
11.3 Terapie locoregionali ... 34
11.4 Radioterapia ... 34
12. Bibliografia ... 35
13. Algoritmi ... 43
14. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ... 50
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1. Fasi dell’assistenza
1.1 Comunicazione col paziente
Il paziente (ed i parenti autorizzati dal paziente stesso) deve ottenere una chiara, adeguata e sollecita informazione sulla malattia, sulle procedure diagnostiche, sulle opzioni terapeutiche e un giudizio ponderato sull’aspettativa e sulla qualità di vita.
Deve avere sufficiente tempo per riflettere sulle informazioni fornite, in alcuni casi può essere necessario un supporto psicologico che è in grado di migliorare la qualità della vita (Livello di evidenza 1++).
Il paziente deve ricevere dal medico adeguata informazione sulla malattia, sulle procedure diagnostiche, sulle opzioni terapeutiche e sulle loro conseguenze e un giudizio ponderato sull’aspettativa e qualità della vita.
Particolare attenzione va posta agli aspetti psicologici prevedendo, se necessario, un supporto specialistico.
In assenza di specifica formazione sono opportuni corsi educazionali per il personale medico ed infermieristico sugli aspetti metodologici e psicologici della comunicazione.
1.2 Consenso informato
Ogni paziente deve esprimere il proprio consenso informato.
Devono essere fornite informazioni su: aspetti tecnici riguardanti manovre e terapie proposte, effetti previsti e possibili complicanze.
Quando sono in gioco più opzioni terapeutiche il paziente deve essere coinvolto attivamente nella scelta.
La comunicazione deve avvenire in ogni momento del percorso, dalla prevenzione alla terapia.
Ciò comporta un aumento del tempo medico ed infermieristico dedicato alla comunicazione.
Il consenso non solo ha un valore di atto tecnico e legale, ma deve proporsi prima di tutto la finalità di fornire al paziente un’informazione completa, chiara e comprensibile, affinchè egli possa consapevolmente aderire o meno a quanto gli viene proposto. Possibilmente al paziente deve essere offerta la possibilità di dialogare con il team multidisciplinare nelle situazioni che venga prevista una successione terapeutica multimodale.
Ogni paziente deve fornire un consenso informato; il medico che lo richiede deve conoscere a fondo il problema, informare in modo chiaro ed esauriente il paziente ed essere in grado di rispondere ad ogni domanda.
2. Accesso al servizio
2.1 Tempestivita’ della diagnosi
Fra esordio dei sintomi e terapia chirurgica intercorrono in media 4 mesi (range 1-24) per le localizzazioni del colon sinistro e 7 mesi (range 2-28) per quelle del colon destro.
Alcuni studi suggeriscono una correlazione tra ritardo e peggioramento della prognosi.
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2.2 Ruolo del medico di medicina generale
Si può stimare che ad un MMG con 1.500 assistiti si presenti, in media, un caso all’anno di neoplasia colo- rettale e 15 casi sospetti per patologia neoplastica del colon-retto.
Ai MMG devono essere forniti: informazione sul funzionamento e sulle modalità di accesso delle strutture diagnostiche (in particolare Servizi di Endoscopia) e terapeutiche.
2.3 Criteri per l’invio ad accertamenti specialistici
I sintomi tipici delle neoplasie colorettali sono presenti solo nel 40% dei casi. I pazienti tendono a sottovalutare il sintomo con un ritardo tra comparsa ed accesso al MMG che può arrivare a diversi anni. La falsa negatività degli accertamenti o il dilazionamento dell’endoscopia possono ulteriormente aumentare il ritardo. (Livello di evidenza 2+).
Un sanguinamento rettale di recente insorgenza in pazienti > 50 anni non deve essere attribuito a patologia benigna senza aver escluso carcinomi o polipi adenomatosi del colon-retto.
Tutti i pazienti > 50 anni che si presentino al MMG con nuovi, significativi e/o persistenti sintomi riferibili a patologia colorettale (dolore addominale, alterazioni dell’alvo, mucorrea, rettorragia, dimagrimento, anemia sideropenica, ecc) devono ricevere un’accurata anamnesi (inclusa quella familiare) ed essere sottoposti ad esame obiettivo comprensivo di esplorazione rettale. Gli accertamenti diagnostici devono preferenzialmente essere realizzati entro 4 settimane.
Pazienti di età < 50 anni che si presentino con sintomi riferibili a patologia colorettale, in assenza di obiettività e di rischio familiare, possono essere sorvegliati per alcune settimane; se i sintomi persistono devono essere avviati ad accertamenti.
2.4 Prospettive di screening
L’evidenza disponibile indica che programmi di screening per il carcinoma del colon-retto, che utilizzano il test per la ricerca del sangue occulto fecale (SOF) o l’endoscopia, possono ridurre la mortalità. Le strategie devono considerare il rischio della popolazione da esaminare, il segmento di intestino a maggior rischio, il costo-efficacia, la “compliance” e la disponibilità delle tecnologie.
Ognuna delle strategie proposte presenta problemi che devono essere affrontati per poter avviare programmi di screening su larga scala, relativamente al livello di adesione, alla frequenza con cui proporre il test, all’età in cui iniziare lo screening. Per la determinazione del SOF il test immunologico sembra superiore al test al guaiaco per detection rate e valore predittivo positivo (VPP) (livello di evidenza 2+).
Le indicazioni sulla modalità di screening non sono univoche. Gli strumenti più aggressivi (come la colonscopia) avrebbero una maggiore sensibilità diagnostica a scapito della accettabilità del test, la sigmoidoscopia (meno aggressiva) avrebbe una migliore accettazione ma non identifica circa il 30%-40%
delle lesioni; il sangue occulto è più accettabile ma ha bassa sensibilità e deve essere ripetuto ogni due anni (come minimo) perchè lo screening risulti efficace.
Per lo screening l’uso dei marcatori fecali e della colonscopia virtuale sono ancora sperimentali e non codificati.
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Fattori di rischio per il cancro del colon: Storia di cancro o di adenoma, familiarità (compresa ereditarietà), malattie infiammatorie intestinali, neoplasie dell’endometrio (se diagnosticate prima dei 60 anni), acromegalia, ureterosigmoidostomia, esposizione a radiazioni per neoplasie della prostata (segnalazioni sporadiche riguardanti terapie non conformazionali).
La maggior parte dei carcinomi del colon retto è però di tipo sporadico con incidenza in incremento con l’aumentare dell’età, con mediana di insorgenza di circa 70 anni ed a bassa probabilità di comparsa prima dei 50 anni. L’età superiore a 50 anni viene quindi considerata un fattore di rischio.
Storia familiare di neoplasia colorettale e sorveglianza
In caso di familiarità per neoplasie colorettali, il rischio dipende dal numero di familiari affetti dalla patologia, dall’età cui si sono ammalati e dal grado di parentela. Sulla base di queste considerazioni si configurano tre possibili “gradi” di sorveglianza.
1) Diagnosi di sindrome di Lynch o HNPCC: soddisfazione dei criteri di Amsterdam.
Sorveglianza: colonscopia ogni 12-24 mesi e visita ginecologica annuale per le donne, a partire dai 25 anni di età. Le altre neoplasie presenti che fanno parte dello spettro dei tumori della sindrome, vanno controllate solo se presenti nella famiglia.
2) Parente di I grado con CCR o adenoma avanzato in età < 60 anni, oppure almeno 2 parenti di grado con diagnosi di CCR (indipendentemente dall’ età di diagnosi). Sorveglianza: colonscopia all’ età di 40 anni oppure 10 anni prima dell’ età del parente più giovane affetto dal CCR, ripetuta ogni 5 anni
3) Parente di I grado (genitori, fratelli, figli) con CCR diagnosticato in età > 60 anni oppure 2 parenti di II grado (nonni, zii) con diagnosi di CCR. Sorveglianza: colonscopia a 40 anni e ripetuta ogni 5 anni.
In caso di Poliposi adenomatosa familiare, i soggetti portatori della mutazione su APC devono essere seguiti con retto-sigmoiscopie dalla pubertà e con colonscopie, quando compaiono i polipi. La colectomia profilattica deve essere programmata al termine dello sviluppo (intorno ad i 20 anni di età) se le colonscopie precedenti non hanno già posto il dubbio di trasformazione maligna di uno o più polipi.
I parenti di I° dei pazienti affetti da poliposi attenuata vanno sorvegliati con colonscopie a partire dai 18 anni di età, da ripetere ogni 1-2 anni.
Sorveglianza post-polipectomia:
La storia naturale post-polipectomia è molto meno grave di quanto pensato in precedenza. Il rischio di neoplasia metacrona, sulla cui base deve essere programmata la sorveglianza post-polipectomia, è variabile secondo le caratteristiche dei polipi asportati alla colonscopia indice. Il rischio di adenomi avanzati nella colonscopia di sorveglianza è tanto maggiore quanto maggiore è il numero degli adenomi asportati alla colonscopia indice e tanto maggiore è la loro dimensione. Gli studi pubblicati forniscono risultati contraddittori riguardo le caratteristiche istologiche (componente villosa e displasia ad alto grado) ed il rischio di neoplasia avanzata. Sono stati per questo identificati soggetti a basso rischio (1-2 adenomi di dimensioni inferiori a 1 cm, tubulari e con displasia di basso grado) per i quali è indicata colonscopia ogni 5-10 anni, soggetti a rischio intermedio (3-4 piccoli adenomi o almeno uno tra 10-20 mm o con architettura villosa o con displasia di alto grado) per il quali si consiglia follow up a tre anni e soggetti ad alto rischio (più di cinque piccoli adenomi o almeno 1 maggiore di 2 cm) per i quali è consigliato il follow up a tre anni.
In caso di pazienti con ampi adenomi sessili rimossi con tecnica piecemeal il controllo deve essere ravvicinato, entro due-sei mesi, per la verifica dell’asportazione completa e successivamente il follow up deve essere individualizzato. In linea di massima i tempi della sorveglianza devono essere individualizzati sulla base della accuratezza e completezza dell’esame indice, dell’età, della presenza di storia familiare e di comorbilità.
Carcinoma ereditario
In pazienti con familiarità per HNPCC la sorveglianza deve essere effettuata con colonscopia, deve iniziare all’età di 20-25 anni o 5 anni prima dell’età più precoce di comparsa di un tumore colorettale nella famiglia e deve essere ripetuta ogni 1-2 anni fino all’età di 75. Questi soggetti sono a rischio anche per altre neoplasie e devono quindi effettuare altri accertamenti preventivi (es. stomaco, utero, vie urinarie).
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In pazienti con familiarità per FAP la sigmoidoscopia dovrebbe essere offerta ogni 1-2 anni a partire dall’età di 10-12 anni, in particolare nei pazienti con accertata mutazione di APC 1309 la sigmoidoscopia deve iniziarsi intorno a 10 anni. Nei casi di FAP attenuata l’inzio della sorveglianza può cominciare verso i 18-20 anni, ma è preferibile la colonscopia totale piuttosto che la sigmoidoscopia. Nei casi di FAP attenuata è preferibile una colonscopia. Nei familiari a rischio di un probando nel quale non è stata identificata la mutazione, tali esami vanno ugualmente eseguiti con la stessa frequenza fino all’età di 40 anni e poi ogni 5 anni.
Indagine genetica: è indicata solo nel sospetto di forme ereditarie. Esse sono: la Poliposi colica familiare (FAP, FAP attenuate, poliposi associata al gene MUTYH/MAP, sindrome di Gardner e di Turcot), la HNPCC (cancro colorettale ereditario non poliposico), le poliposi amartomatose (Peutz-Jeghers, poliposi giovanili). Il test genetico dovrebbe essere offerto quando la sindrome è evidente clinicamente (allo scopo di identificare la mutazione e guidare lo screening nei familiari a rischio), ai familiari di soggetti con diagnosi genetica nota (sempre allo scopo di guidare i programmi di screening) e quando clinicamente la sindrome è sospetta ma non certa (esempio in soggetti con più di dieci adenomi). Deve essere ricordato che la mutazione è presente nello 80-90% dei soggetti con Poliposi colica familiare (FAP), nel 50-70% di quelli con HNPCC, nel 30-70% di quelli con Peutz-Jeghers.
Tutti i soggetti a rischio elevato devono essere sottoposti a sorveglianza.
Dall’età di 50 anni è consigliabile lo screening.
Lo screening deve essere effettuato con SOF ogni 12-24 mesi o sigmoidoscopia ogni 5 anni o colonscopia ogni 10 anni. Se il SOF è positivo, è obbligatoria la colonscopia.
I tempi della sorveglianza post-polipectomia devono essere individualizzati e variano secondo il rischio e secondo la storia del paziente (vedi sopra).
Nei pazienti con storia familiare lo screening dovrebbe essere più aggressivo (con colonscopia) a secondo della fascia di rischio (vedi sopra).
In caso di Malattia Infiammatoria Intestinale (colite ulcerosa e malattia di Crohn con interessamento colico) la sorveglianza prevede la colonscopia ogni 2-3 anni dopo 8-10 anni di pancolite e dopo 15 anni di colite sinistra. I tempi della sorveglianza sono più ravvicinati in caso di colite di lunga durata (oltre i 20 anni).
In pazienti con familiarità per HNPCC la sorveglianza deve essere effettuata con colonscopia, deve iniziare all’età di 25 anni e deve essere ripetuta ogni 1-2 anni fino all’età di 75. Questi soggetti sono a rischio anche per altre neoplasie e devono quindi effettuare altri accertamenti preventivi (es. stomaco, utero, vie urinarie).
In pazienti con familiarità per FAP la sigmoidoscopia dovrebbe essere offerta ogni 1-2 anni ai soggetti che non hanno la mutazione a partire dall’età di 13-15 anni fino all’età di 30 anni e poi ogni 5 anni.
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3. Gruppo multidisciplinare
In questa neoplasia, l’esigenza di coordinamento tra specialisti è particolarmente rilevante per il carattere multidisciplinare dell’iter terapeutico di molti casi. Si pone quindi la necessità della costituzione di un gruppo multidisciplinare al quale far afferire i pazienti per la diagnosi ed il trattamento. E’ consigliata laddove possibile la costituzione di tale gruppo con lo scopo di pianificare e verbalizzare le decisioni diagnostico-terapeutiche su ogni singolo paziente. In assenza di qualcuna delle figure coinvolte nella pianificazione terapeutica dovrebbe essere creata una consulenza sistematica con strutture dove tali competenze sono disponibili.
Le decisioni diagnostico-terapeutiche devono essere coerenti con le linee guida e qualora si verifichi uno scostamento è opportuno esplicitarne i motivi.
Terminata la fase diagnostico-terapeutica deve essere fornita documentazione adeguata al paziente, al MMG ed ai servizi di supporto e deve essere esplicitato lo schema di follow-up.
Diversi studi dimostrano un miglioramento dell’outcome in presenza di strutture a più elevato volume di casi trattati.
La qualità del trattamento migliora con l’aumentare del numero di pazienti gestiti. Un gruppo multidisciplinare ottimale dovrebbe trattare almeno 50 casi all’anno. Strutture con casistiche inferiori dovrebbero avere un rapporto di collaborazione sistematica con strutture di riferimento.
4. Diagnosi
4.1 Diagnosi clinica
La pancolonscopia è considerata l’esame più importante per la diagnosi delle neoplasie colon-rettali. Può essere condotta ambulatorialmente, preferibilmente con opportuna sedazione. In alcuni casi può essere considerata l’esecuzione dell’esame in narcosi. Occorre procedere fino a visualizzare il cieco.
E’ considerato di buon livello ottenere la visualizzazione di tutto il colon nell’ 85-90% dei casi con < 0.2% di perforazioni. Una revisione della letteratura evidenzia un rischio di perforazioni dello 0,1%, di emorragia di grado maggiore dello 0.3% ed una mortalità dello 0.01-0.03%. Il paziente deve essere informato di questi rischi. La sensibilità è del 96-97% e la specificità del 98%.
In alternativa alla pancolonscopia si può impiegare la rettosigmoidoscopia associata al clisma con doppio contrasto. Il 30% circa di questi pazienti deve poi essere comunque sottoposto a colonscopia. Sensibilità e specificità della rettosigmoidoscopia sono, limitatamente ai primi 60 cm, simili a quelli della colonscopia con minori rischi di perforazioni. La sensibilità del clisma opaco è del 55-95%. (Livello di evidenza 2++).
La colonscopia virtuale non può ancora essere proposta come metodica di screening mentre può essere utile per lo studio del colon in alternativa al clisma opaco nei soggetti che non hanno una colonscopia completa.
Nel sospetto di neoplasia del colon-retto i pazienti devono essere sottoposti a colonscopia totale.
In caso di stenosi che renda impossibile la colonscopia totale questa deve essere prevista entro 6-12 mesi dall’intervento chirugico.
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Qualora non sia possibile eseguire una colonscopia totale occorre far seguire all’esame endoscopico un RX clisma a doppio contrasto o una colonscopia virtuale a completamento dell’indagine.
Ogni Servizio di Endoscopia dovrebbe attivare un processo di “audit” sui principali indicatori di processo , come raggiungimento del cieco e complicanze.
Nei tumori del retto è inoltre fondamentale l’esecuzione dell’esplorazione rettale che consente valutare clinicamente neoplasie fino a 6-7 cm dal margine anale.
Nelle neoformazioni rettali alcune scelte terapeutiche presuppongono l’acquisizione di dati precisi sulla distanza della neoformazione dal margine anale, sul coinvolgimento endoluminale (grado di stenosi) e sull’estensione longitudinale e circonferenziale; questi dati sono acquisibili anche con una rettoscopia.
Nelle neoformazioni del retto devono essere valutati la distanza della neoformazione dal margine anale o dallo sfintere anale esterno, l’estensione longitudinale e circonferenziale, il grado di fissità.
4.2 Esame istologico
La conferma istologica dovrebbe essere sempre disponibile prima dell’intervento chirurgico ma può essere omessa in caso di neoformazioni coliche non facilmente raggiungibili con l’endoscopia e con iconografia inequivocabile.
Per le neoformazioni rettali la diagnosi istologica pretrattamento è obbligatoria.
5. Valutazione pretrattamento
5.1 Stadiazione, parametri “T” e “N”
5.1.1 Tumori del colon
Nelle neoformazioni del colon è raro che la conoscenza preoperatoria di T ed N modifichi l’approccio terapeutico.
Nelle neoformazioni del colon non è necessario l’utilizzo di routine della TAC per la definizione dei parametri T ed N.
5.1.2 Tumori del retto
Poiché il carcinoma del retto extraperitoneale presenta delle peculiarità sia dal punto di vista diagnostico sia dal punto di vista terapeutico, che lo distinguono nettamente dal carcinoma del colon (mentre l’approccio al carcinoma del retto intraperitoneale non si differenzia sostanzialmente da quello dei tumori del resto del colon) è fondamentale identificare la posizione del tumore rispetto alla riflessione peritoneale prima di impostare il percorso diagnostico e terapeutico.
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Questa distinzione è facile nel paziente già operato se il chirurgo annota questo dato nel report di descrizione dell’intervento (vd sotto). Nel paziente non ancora operato invece solo la RM può permettere di identificare con precisione il tumore e la riflessione peritoneale e quindi di definirne la reciproca posizione. In alternativa, viene utilizzata la misurazione della distanza del tumore dal margine anale, più accurata se eseguita con rettoscopio rigido rispetto ad un endoscopio flessibile, considerando che la riflessione è generalmente situata ad 11-12 cm (anche se occorre tener conto che questo non è affatto un valore assoluto ma è invece influenzato da diversi fattori inclusi altezza, sesso, obesità e parità).
Nel caso dei tumori del III medio ed inferiore del retto deve essere sempre valutata la penetrazione parietale, l’eventuale coinvolgimento della fascia mesorettale e la fissità del tumore.
Per le lesioni iniziali (cT1-2) è sufficiente l’esecuzione di ecografia transrettale (per le lesioni distali) o di ecoendoscopia e di una TAC spirale pelvica.
Per le lesioni iniziali (cT1-2) è sufficiente l’esecuzione di ecografia o di ecoendoscopia transrettale e di una TAC spirale pelvica. Nel caso dei tumori del III medio ed inferiore del retto deve essere sempre valutata la penetrazione parietale, l’eventuale coinvolgimento della fascia mesorettale e la fissità del tumore. La RM offre la migliore possibilità di identificare queste situazioni.
Per le lesioni localmente avanzate (cT3-4) è preferibile la RMN pelvica per la valutazione del coinvolgimento della fascia mesorettale e dell’estensione radiale della neoplasia e dell’ecoendoscopia per la stadiazione del T e dell’N. Oltre all’esplorazione rettale, nei tumori del retto la posizione del polo inferiore rispetto alla riflessione peritoneale dovrebbe essere definita con RM pelvica o stimata con rettoscopia con strumento rigido (valore cut-off generalmente intorno a 11-12 cm).
Importante è anche la definizione della distanza del polo inferiore della lesione rispetto ai riferimenti anatomici dello sfintere anale.
Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologiche a oggi disponibili presentano limitazioni, essendo la diagnosi basata su criteri dimensionali. L’accuratezza diagnostica diventa bassa quando i linfonodi hanno dimensioni inferiori agli 8 mm.
Per le lesioni iniziali (cT1-2) è sufficiente l’esecuzione di una ecografia o di ecoendoscopia transrettale e di una TAC spirale pelvica.
Per le lesioni localmente avanzate (cT3-4) del retto medio e basso, oltre all’esplorazione rettale e all’endoscopia è preferibile la RMN.
5.2 Stadiazione, parametro M
5.2.1 Tumori del colon
In linea generale la presenza di metastasi deve sempre essere ricercata preoperatoriamente.
Le metastasi epatiche vanno di regola ricercate con una ecografia epatica o preferibilmente con una TAC addome. Se l’ecografia è positiva o dubbia vi è indicazione all’esecuzione di una TAC spirale o di una RMN addome.
Le metastasi polmonari vanno escluse con una Rx Torace o preferenzialmente con una TAC Torace.
L’impiego di metodiche diverse quali RMN e PET scan va riservato a casi particolari. In particolare la PET può essere considerata nei pazienti candidabili a resezione chirurgica di secondarismi epatici
o polmonari.
Le metastasi epatiche devono, di regola, essere ricercate con l’ecografia epatica o preferenzialmente con una TAC addome.
La presenza di metastasi polmonari va indagata almeno con una Rx Torace o preferenzialmente con una TAC torace.
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Non vi è indicazione all’uso routinario della scintigrafia ossea e della PET.
La PET può essere considerata in caso di lesioni metastatiche metacrone potenzialmente suscettibili di resezione chirurgica.
5.2.2 Tumori del retto
In linea generale per le metastasi epatiche valgono le stesse considerazioni dei tumori del colon.
La presenza di metastasi polmonari va indagata con una TAC torace, che è indispensabile nella stadiazione dei tumori del retto medio o inferiore.
L’impiego di metodiche diverse quali RMN e PET scan va riservato a casi particolari.
Le metastasi epatiche devono, di regola, essere ricercate con una TAC.
La presenza di metastasi polmonari va indagata con una TAC torace, indispensabile nella stadiazione dei tumori del retto medio o inferiore.
Non vi è indicazione all’uso routinario della scintigrafia ossea e della PET.
5.3 Marcatori tumorali
Vi è indicazione ad effettuare la determinazione del CEA preoperatorio dato il suo ruolo prognostico e il suo possibile utilizzo nel follow-up. E’ diffusamente impiegato anche il Ca 19.9 il cui uso non è tuttavia sostenuto da uguali evidenze.
La determinazione del CEA va effettuata al momento della diagnosi.
5.4 Valutazione generale pretrattamento
La strategia terapeutica da impiegare va definita in funzione delle condizioni generali del paziente che rappresentano un fattore prognostico rilevante al pari di altre caratteristiche quali età, occlusione intestinale, durata dei sintomi, sede di malattia, etc.
In presenza di condizioni generali scadute o di altri fattori prognostici sfavorevoli possono essere impiegate strategie terapeutiche individualizzate.
Il paziente deve essere coinvolto nelle scelte di trattamento.
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6. Chirurgia
La chirurgia rappresenta la principale opzione terapeutica con intento curativo delle neoplasie colorettali e dovrebbe essere effettuata in tempi ragionevolmente brevi.
(Livello di evidenza 2+).
Il tempo di attesa tra diagnosi e ricovero non dovrebbe superare le 4 settimane.
Il ricovero dovrebbe avvenire subito prima dell’intervento chirurgico per ridurre i costi e le infezioni.
Devono essere eseguiti i comuni esami preoperatori secondo le pratiche consolidate, verificate in collaborazione con l’anestesista.
6.1 Preparazione all’intervento
Preparazione intestinale
Nonostante non ci siano evidenze conclusive sulla sua utilità, la maggior parte dei chirurghi continua tuttavia ad utilizzare la preparazione meccanica per la chirurgia del retto.
Esistono dati sull’uso di PEG o catartici a base di fosfato di sodio presi per via orale, che tuttavia devono ancora essere validati definitivamente.
Profilassi TVP-Embolia Polmonare
I pazienti operati per neoplasia colo-rettale hanno un rischio aumentato di TVP in conseguenza della malattia neoplastica, dell’età spesso avanzata e del possibile allettamento.
In questi pazienti è stata dimostrata l’efficacia della profilassi con eparina calcica; le eparine a basso peso molecolare sembrano avere la stessa efficacia con minor rischio di sanguinamento. Il trattamento deve essere effettuato per 30 giorni. (Livello di evidenza 1++).
Profilassi antibiotica
E’ stata definitivamente dimostrata l’efficacia della profilassi antibiotica di breve durata nel ridurre le infezioni dal 30-50% all’11% o meno. (Livello di evidenza 1++).
Preparazione per eventuale stomia
Se il paziente è anche solo potenzialmente candidato ad una stomia deve essere informato prima dell’intervento. La sede della stomia deve essere segnata precedentemente all’intervento sulla cute del paziente. La scelta tra colostomia (destra) ed ileostomia rimane in funzione del tipo e sede di resezione chirurgica, durata della stomia (se cautelativa) e variabili cliniche (età, equilibrio idro-elettrolitico, eventuale trattamento adiuvante ecc.).
La preparazione intestinale meccanica può essere utile nella chirurgia colorettale.
In assenza di specifiche controindicazioni, si raccomanda di utilizzare l’eparina a basso peso molecolare come profilassi della TVP-EP.
Per la profilassi antibiotica preintervento si raccomanda l’impiego di una cefalosporina di I o II generazione, somministrata in dose unica subito prima dell’inizio dell’intervento. La somministrazione dell’antibiotico potrà essere prolungata per 24-48 ore in funzione dell’entità della contaminazione dell’intervento.
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Il sito della stomia deve essere marcato sulla cute del paziente prima dell’intervento.
La scelta tra ileostomia e colostomia (temporanea) e la sua durata è funzione di variabili cliniche ed intraoperatorie.
Nella fase postoperatoria tardiva il paziente deve essere educato alla gestione della stomia e deve essere seguito da un centro specializzato per la gestione della stessa.
6.2 Tecnica chirurgica
La tecnica chirurgica delle neoplasie del colon e del retto si fonda su considerazioni anatomiche ed oncologiche.
6.2.1 Considerazioni generali
La terapia chirurgica delle neoplasie del colon-retto deve portare all’exeresi del segmento di grosso intestino sede del tumore con adeguati margini liberi da malattia e all’asportazione completa delle rispettive stazioni linfonodali regionali.
In base a questi presupposti si possono sottolineare alcune problematiche inerenti alla chirurgia oncologica colorettale:
1. Il margine prossimale e distale di resezione. Questo aspetto è soprattutto importante nel carcinoma del retto in quanto può modificare il tipo di intervento chirurgico. C’è sufficiente unanimità nel definire i 2 cm come limite minimo accettabile di margine libero, distalmente al margine inferiore della neoplasia, tranne nei casi radiochemiotrattati, che possono usufruire di un margine anche subcentimetrico in caso di risposta completa o quasi completa al trattamento neoadiuvante.
2. Legatura dei vasi colici principali all’origine. Per quanto riguarda le resezioni di colon prossimale, la legatura all’origine di vasi ileocolici, colici destri e colici medi non costituisce un problema tecnico ed è routinariamente effettuata. Nelle resezioni del colon distale e del retto la legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’origine può determinare deficit di vascolarizzazione del moncone colico prossimale, specialmente nei pazienti anziani e in quei casi in cui l’arcata di Riolano è interrotta a livello della flessura sinistra.
3. Escissione totale del mesoretto o total mesorectal excision (TME). Si intende l’asportazione sotto visione di tutto il mesoretto fino al piano degli elevatori. Essa è al momento considerata il gold standard della chirurgia del retto medio e basso.
4. Linfadenectomia. Per le neoplasie del colon prossimale la linfadenectomia standard deve comprendere i linfonodi principali posti alla radice dei vasi ileo-colici, colici destri ed, eventualmente, colici medi (dipendentemente dalla sede della neoplasia). Per le neoplasie del colon distale, la linfadenectomia standard deve comprendere i linfonodi vicini alla radice dell’arteria mesenterica inferiore.
5. La resezione in blocco degli organi adiacenti infiltrati. L’interessamento di organi adiacenti si presenta in circa il 3-5% dei carcinomi colorettali. Mortalità a 5 anni e tasso di recidiva locale sono significativamente più alti quando la resezione non viene eseguita in blocco.
6. Perforazione della neoplasia. La frequenza va dal 7,7 al 25%. Numerosi studi retrospettivi hanno documentato l’impatto negativo che una perforazione del retto, e ancor di più della neoplasia rettale, ha su recidiva locale e sopravvivenza a 5 anni. Attualmente una perforazione involontaria della neoplasia viene riportata fra le cause di non radicalità chirurgica.
7. Resezioni laparoscopiche. Il principale vantaggio della chirurgia video-laparoscopica è la minor invasività dell’atto chirurgico rispetto alla chirurgia ad addome aperto, con conseguente minor dolore postoperatorio, precoce ripresa dell’alimentazione e delle normali attività quotidiane, unitamente ad un ovvio vantaggio estetico. Per il colon la tecnica laparoscopica e quella laparotomica sono equivalenti in relazione agli outcomes oncologici. Nel carcinoma del retto, sebbene manchino ancora dati a lungo termine di trial randomizzati che giustifichino l’uso della laparoscopia nella pratica clinica essa è già ampiamente utilizzata in molti centri. E’ tuttavia opinione diffusa che l’uso della laparoscopia per il carcinoma del retto dovrebbe essere riservato a chirurghi con più ampia esperienza e in centri qualificati.
C
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La tecnica robotica si è affiancata negli ultimi anni a quella laparoscopica. I risultati a distanza sono ancora da valutare anche se i costi restano elevati.
8. Una stomia di protezione è fortemente consigliata in associazione alla TME.
9. Il chirurgo come fattore prognostico. Il volume operatorio del singolo chirurgo e dell’equipe in cui lavora è un fattore collegato non solo alla mortalità chirurgica ed alla percentuale di complicanze peri-operatorie, ma anche alla prognosi dei pazienti.
E’ raccomandato che le neoplasie colorettali siano trattate da chirurghi con adeguato training ed esperienza.
(Livello di evidenza 2+)
Il tumore deve essere rimosso integro con una sezione ad almeno 2 cm dai margini macroscopici prossimale e distale del tumore. Il peduncolo vascolare deve essere legato alla sua origine.
Nel III inferiore del retto con risposta clinica completa alla radiochemioterapia neoadiuvante può essere accettabile un margine di 1 cm di resezione distale.
Nelle neoplasie del retto medio-basso l’escissione totale del mesoretto (TME) è da considerarsi la tecnica standard.
Deve essere eseguita la completa dissezione linfonodale regionale.
Sull’eventuale tumore residuo e/o sulle metastasi deve essere eseguita una biopsia.
La radicalità della resezione deve essere confermata sia dal giudizio intraoperatorio (assenza di residui evidenti macroscopicamente) che dal successivo esame istologico (margini liberi da neoplasia).
La chirurgia laparoscopica nel carcinoma del colon rappresenta una corretta alternativa alla chirurgia aperta se eseguita da chirurghi con adeguato training in questa specifica procedura.
6.2.2 Adenomi cancerizzati
Sono definiti adenomi cancerizzati quelli in cui si può accertare l’infiltrazione neoplastica della sottomucosa in assenza di interessamento della tonaca muscolare propria (pT1). Il referto istologico di un adenoma cancerizzato deve riportare i parametri che definiscono il rischio metastatico (basso rischio: 8-18%; alto rischio: 20-40%):
Grado di differenziazione del carcinoma (G1-G2 vs G3-G4)
Presenza o assenza di invasione linfovascolare
Stato del margine di resezione endoscopica (cellule carcinomatose a meno di 1 mm e/o comprese nella banda di dia termocoagulazione)
Sarebbe consigliabile disporre anche del “budding” tumorale (assente o presente; basso vs alto grado).
La presenza di anche uno solo dei parametri di rischio indica un alto potenziale metastatico della lesione e costituisce indicazione al trattamento chirurgico.
Si raccomanda che l’endoscopista provveda a marcare con inchiostro di china il punto di escissione del polipo.
B
A
B A A B A
A
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L’eventuale trattamento chirurgico è sostanzialmente rappresentato dalla resezione segmentaria, preferenzialmente laparoscopica.
Adenomi con focolaio di cancerizzazione ben differenziato, che non presentino segni di invasione vascolare, linfatica e con margine indenne, possono ragionevolmente ritenersi trattati radicalmente con la sola escissione endoscopica.
(Livello di evidenza 2+) 6.2.3 Neoplasie del colon
L’intervento per i tumori colici può consistere in:
emicolectomia destra con legatura delle arterie ileocolica, colica destra e del ramo destro della colica media; può essere allargata o meno al trasverso, con legatura dei vasi colici medi,
resezione del colon trasverso, con legatura del ramo superiore della colica destra e della colica media; in alternativa c’è un crescente consenso (anche in assenza di trials clinici randomizzati) ad eseguire non una resezione segmentaria ma un’emicolectomia destra estesa,
emicolectomia sinistra, con legatura all’origine dell’arteria mesenterica inferiore ed anastomosi colorettale intraperitoneale,
resezione di sigma con legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’origine oppure oltre l’emergenza della colica sinistra ed anastomosi colorettale appena al disotto della riflessione peritoneale,
resezione colica segmentaria a scopo palliativo, in caso di neoplasia colorettale con metastasi a distanza non resecabili.
6.2.4 Neoplasie del retto
Dal punto di vista diagnostico e terapeutico, il carcinoma del retto medio e basso, cioè extraperitoneale (fino a 11-12 cm dal margine anale) presenta delle peculiarità che lo distinguono nettamente dal carcinoma del colon, mentre l’approccio al carcinoma del retto alto non si differenzia sostanzialmente da quello del giunto retto-sigma e sigma. La chirurgia del carcinoma del retto medio-basso presenta delle difficoltà tecniche al punto che in alcuni paesi essa viene demandata a centri specialistici.
I cardini di questa chirurgia, al momento attuale, riguardano:
a) l’escissione totale del mesoretto, nota come total mesorectal excision (TME),
b) nei limiti del possibile la conservazione della innervazione simpatica e parasimpatica, detta anche nerve-sparing technique,
c) il margine di sezione distale libero da neoplasia,
d) nelle forme localmente avanzate (T3-T4 e/o con metastasi linfonodali regionali) l’uso delle terapie neoadiuvanti.
Escissione totale del mesoretto (total mesorectal excision, TME)
Il mesoretto è costituito dal tessuto cellulo-linfatico che circonda il retto ed è sviluppato posteriormente e lateralmente delimitato dalla fascia pelvica presacrale, o fascia propria del retto, separata da un piano avascolare e virtuale dalla fascia presacrale. Questo è lo spazio che il chirurgo, sotto visione diretta, deve seguire nella dissezione del retto, evitando l’effrazione di entrambe le fasce descritte e dei rami simpatici e parasimpatici, la cui lesione comporta gravi sequele di tipo urinario (vescica neurogena) e sessuale (eiaculazione retrograda, impotenza). Per i carcinomi localizzati oltre i 12 cm dal margine anale, è sufficiente asportare il mesoretto per almeno 5 cm a valle della neoplasia, mentre per i carcinomi del retto extraperitoneale è bene asportare tutto il mesoretto fino al piano degli elevatori.
Margine di resezione distale
Per i carcinomi del terzo inferiore del retto trattati con terapia neoadiuvante e valutati come responsivi è accettabile anche un margine di 1 cm, a meno che non vi siano caratteristiche morfologiche e istologiche sfavorevoli (neoplasie voluminose, carcinomi poco differenziati). Deve essere comunque sempre eseguita
A
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una resezione del mesoretto completa. Può essere utile eseguire un esame istologico intraoperatorio al congelatore per escludere l’infiltrazione della trancia di sezione distale.
Margine di resezione circonferenziale (CRM).
Il CRM indica il margine di tessuto sano compreso fra qualsiasi struttura neoplastica (tumore primitivo o linfonodo) presente nel mesoretto ed il margine di resezione mesorettale stesso.
La presenza di neoplasia entro 1 mm dal CRM è correlata non solo ad una alta probabilità di recidiva locale, ma anche ad una minor sopravvivenza globale e libera da malattia e la resezione è da ritenersi non radicale se la fascia propria del retto non è integra.
Trattamento chirurgico per i carcinomi del retto extraperitoneale.
Gli interventi chirurgici per il carcinoma del retto medio-basso sono:
- resezione anteriore: il retto viene asportato
fino
al di sotto del polo caudale della neoplasia con tutto il mesoretto. La continuità digestiva viene ripristinata mediante una anastomosi colo-rettale usando generalmente una suturatrice meccanica.- resezione del retto con colo-ano anastomosi: il retto viene asportato completamente con tutto il mesoretto. La continuità digestiva viene ripristinata mediante una anastomosi colo-anale, manuale.
Per entrambi gli interventi precedenti la ricostruzione della continuità digestiva può essere diretta oppure prevedere il confezionamento di una neompolla a J (detta anche J-pouch) utilizzando il colon prossimale
La costruzione di una neoampolla, si correla con un beneficio funzionale nei soli primi 12-18 mesi postoperatori.- resezione di retto per via addomino-perineale (intervento di Miles): in questo intervento vengono asportati in blocco per via combinata addominale e perineale il retto con il mesoretto, canale anale ed ano, con colostomia definitiva. Le indicazioni a questo intervento sono oggi limitate alle neoplasie che infiltrano il canale anale e l’apparato sfinterico.
- escissione locale.
Indicazioni:
1. chirurgia palliativa in cui l’intervento di chirurgia radicale (resezione del retto per via addominale o combinata addomino-perineale) è controindicato per le condizioni generali
2. rifiuto del paziente a sottoporsi ad una chirurgia radicale.
In elezione l’escissione locale va ritenuta un trattamento adeguato qualora ricorrano queste condizioni:
a. le dimensioni del tumore non superano 3 cm b. il grading istologico è 1-2
c. carcinoma in situ o con infiltrazione confinata agli strati iniziali della sottomucosa (T1 sm1 e sm2) d. non vi è invasione linfatica o vascolare
e. l’escissione è ritenuta completa sia dal chirurgo che dall’anatomo-patologo f. l’asportazione è stata eseguita fino al grasso perirettale
g. la distanza del tumore rispetto al margine anale consente una escissione transanale tecnicamente fattibile
h. il margine di escissione chirurgico è circonferenzialmente negativo.
Il rischio di metastasi linfonodali, per carcinomi T1 con le caratteristiche prima elencate (low-risk), è nell’ordine del 2%. Nei T1 con pattern di infiltrazione sm3 il rischio è pari a quello dei T2 e pertanto è richiesto un trattamento analogo ai T2.
Escissione locale o follow-up (wait-and-see policy) dopo radiochemioterapia preoperatoria
Dopo radiochemioterapia neoadiuvante, nel 15-20% dei casi si assiste a una risposta patologica completa (pCR). I pazienti con pCR mostrano outcomes oncologici significativamente migliori rispetto ai pazienti in cui la risposta non è completa. Inoltre la chirurgia radicale del retto comporta tassi di complicanze e sequele funzionali, sessuali e urinarie a breve e lungo termine non irrilevanti che impattano negativamente sulla qualità di vita dei pazienti.
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Sulla base di queste considerazioni sono state considerate due alternative terapeutiche nei pazienti che mostrano una risposta clinica completa dopo radiochemioterapia: il semplice follow-up detto anche "wait- and-see policy" o l’escissione locale transanale.
Tuttavia entrambe queste opzioni si basano su studi retrospettivi, con numerosità esigua, monoistituzionali, con trattamenti eterogenei.
Pertanto, al momento attuale, queste opzioni devono essere considerate come sperimentali. Una migliore selezione dei pazienti è fondamentale perchè queste strategie possano affermarsi in futuro.
Il chirurgo deve riportare nella descrizione dell’intervento la sede intra o extra peritoneale del margine inferiore del tumore.
La confezione di una stomia temporanea è sempre consigliata nelle anastomosi colo- anali e colorettali basse con escissione totale del mesoretto (TME).
Nei tumori del retto medio-inferiore deve essere eseguita una TME, mentre nei tumori del III superiore il mesoretto va asportato sino a 5 cm distalmente al tumore; i nervi e plessi autonomici devono essere conservati.
Il margine circonferenziale deve essere libero da tumore per almeno 1 mm.
(Livello di evidenza 2+)
Per i tumori del retto basso in relazione al grado di risposta ottenuto dopo il trattamento preoperatorio il margine distale di resezione può essere inferiore ai 2 cm.
Deve essere comunque eseguita una escissione del mesoretto completa.
7. Anatomia patologica
Sono da considerarsi criteri diagnostici minimi (da riportare obbligatoriamente nel referto): istotipo, grado di differenziazione, profondità di invasione tumorale, invasione linfo-vascolare intramurale, invasione venosa extramurale, invasione perineurale, margini di resezione (distale, prossimale, circonferenziale e mesocolico), numero di linfonodi esaminati (almeno 12) e numero di linfonodi metastatici.
Nei tumori del retto deve essere indicata anche l’integrità della fascia mesorettale e la distanza del margine di resezione radiale.
Nei pazienti trattati con terapia neo-adiuvante dovrebbe essere riportato il grado di regressione tumorale (TRG).
A B
B
B
C
A
A
C
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7.1 Stadiazione
La classificazione secondo Dukes modificata secondo Astler-Coller è ormai desueta. Si raccomanda di utilizzare la classificazione TNM-UICC 2009.
Classificazione TNM-UICC 2009
CLASSE DESCRIZIONE
TX Tumore primitivo non definibile T0 Tumore primitivo non evidenziabile Tis
Carcinoma in situ: intraepiteliale o invasione della lamina propria [comprende cellule tumorali confinate all’interno della membrana basale ghiandolare (intraepiteliale) o della lamina propria (intramucosa) che non raggiungono la sottomucosa]
T1 Tumore che invade la sottomucosa T2 Tumore che invade la muscolare propria
T3 Tumore con invasione attraverso la muscolare propria nella sottosierosa o nei tessuti pericolici e perirettali non ricoperti da peritoneo
T4 Tumore che invade direttamente altri organi o strutture e/o perfora il peritoneo viscerale T4a Tumore che perfora il peritoneo viscerale
T4b Tumore che invade direttamente altri organi o strutture NX Linfonodi regionali non valutabili
N0 Non metastasi nei linfonodi regionali N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali
N1a Metastasi in 1 linfonodo N1b Metastasi in 2-3 linfonodi
N1c Depositi tumorali satelliti nella sottosierosa o nei tessuti non peritonealizzati pericolici e perirettali senza evidenza di metastasi linfonodali regionali
N2 Metastasi in 4 o più linfonodi regionali N2a Metastasi in 4-6 linfonodi
N2b Metastasi in 7 o più linfonodi MX Metastasi a distanza non accertabili
M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Metastasi a distanza
M1a Metastasi confinate ad un organo (fegato, polmone, ovaio, linfonodi extraregionali) M1b Metastasi in più di un organo o nel peritoneo
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Suddivisione in stadi
STADIO DESCRIZIONE
Stadio 0 Tis N0M0
Stadio I
T1N0M0 T2N0M0
Stadio IIa T3N0M0
Stadio IIb T4aN0M0
Stadio IIc T4bN0M0
Stadio IIIa
T1-2, N1a-c, M0 T1, N2a, M0
Stadio IIIb
T3, T4a, N1a-c,M0 T2-3, N2a, M0 T1-2, N2b, M0
Stadio IIIc
T4a, N2a-b, M0 T3, N2b, M0 T4b, N1-2, M0
Stadio IVa Ogni T, ogni N, M1a
Stadio IVb Ogni T, ogni N, M1b
Note
cTNM: classificazione clinica.
pTNM: classificazione patologica.
Prefisso “y”: tumori colorettali classificati dopo trattamento neoadiuvante.
Prefisso “r”: tumori colorettali recidivati dopo un intervallo libero da malattia.
Definizione del TRG (Tumor Regression Grade)
Esistono 2 classificazioni speculari. E’ quindi importante definire a quale ci si riferisce.
Grado (sec. Mandard)
1 non cellule tumorali residue
2 occasionali cellule tumorali residue con marcata fibrosi 3 marcata fibrosi con cellule tumorali sparse o in gruppi 4 abbondanti cellule tumorali con scarsa fibrosi
5 non regressione tumorale Grado (sec. Dworack)
TRG 0: assenza di regressione
TRG 1: regressione minore: massa tumorale con fibrosi inferiore al 25% della massa TRG 2: Regressione moderata: fibrosi nel 26-50% della massa tumorale residua TRG 3: Buona regressione: fibrosi superiore al 50% della massa tumorale TRG 4: Regressione completa
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8. Terapia adiuvante
8.1 Tumori del colon
Circa l’80% dei pazienti con cancro del colon si presenta alla diagnosi con malattia operabile radicalmente. Il 35% di questi sviluppa una ripresa di malattia che nella maggioranza dei casi (80%) si verifica entro i primi 2 o 3 anni dall’intervento chirurgico e, solitamente, entro i primi 5 anni. A otto anni di distanza dalla diagnosi le recidive avvengono in meno dello 0.5% dei casi. Le recidive locali sono rare nel cancro del colon. Le sedi più frequenti di ripresa di malattia sono fegato, linfonodi addominali, peritoneo e polmone.
La prognosi varia a seconda dello stadio della malattia alla diagnosi: Stadio I 90%, Stadio II 70-80%, Stadio III 40-65% di sopravvivenza a 5 anni. Recenti dati evidenziano come lo stadio T influenza la prognosi in misura maggiore rispetto allo stadio N e come sia importante nel definire la prognosi il rapporto tra linfonodi positivi e linfonodi analizzati.
L’uso della chemioterapia sistemica adiuvante in stadio I non trova evidenza in letteratura. L’indicazione terapeutica nello stadio II è controversa. Il trattamento adiuvante può essere considerato nel singolo paziente in presenza di fattori prognostici sfavorevoli [occlusione, perforazione, infiltrazione per contiguità degli organi viciniori (T4b), Grading G3,
(ad eccezione dei tumori MSI-H),
inadeguato numero di linfonodi analizzati (<12), presenza di invasione vascolare, linfatica e/o perineurale, più incerto è il valore elevato del CEA pre-operatorio]. Non vi sono ancora elementi sufficienti per impiegare, nella pratica clinica, criteri di stratificazione in base alle caratteristiche biologiche e molecolari anche se la presenza della Instabilità Microsatellitare (MSI) sembra poter individuare pazienti a migliore prognosi e con diverso effetto della terapia adiuvante (dati ancora controversi sulla possibile resistenza alla terapia con Fluorouracile).Tutti i pazienti in stadio III sono candidati alla chemioterapia adiuvante, che ha dimostrato una riduzione del rischio relativo di morte del 33%, con un beneficio assoluto in sopravvivenza del 10-15%. Tali risultati sono stati ottenuti mediante l’impiego di schemi contenenti 5-Fluoruracile e acido folinico somministrati con schedula mensile o settimanale per almeno 6 mesi. Dati di equiattività sono disponibili anche con terapie infusionali. Va evidenziato che l’impiego del 5-fluorouracile in bolo è legato a maggiore tossicità. Un singolo studio randomizzato di ampie dimensioni in pazienti in stadio III ha dimostrato che il trattamento con Capecitabina è dotato almeno di pari efficacia e migliore tollerabilità rispetto ai regimi con acido folinico e fluorouracile bolo e può essere considerato una valida alternativa.
Negli stadi III l’impiego di combinazioni di 5-fluorouracile, acido folinico e oxaliplatino sia con regimi infusionali (
tra cui il regime FOLFOX4, validato nello studio registrativo
) che bolo (FLOX) ha consentito di ottenere, rispetto all’associazione 5-fluorouracile acido folinico, un significativo vantaggio in termini di intervallo libero da malattia a 3 e 5 anni e di sopravvivenza a 6 anni con il regimeFOLFOX4 (si presume che non ci siano differenze di attività ed efficacia anche con il FOLFOX6, regime di più facile somministrazione, utilizzato come braccio di controllo in studi clinici randomizzati).
I dati dello studio XELOXA confermano un beneficio in intervallo libero da malattia anche per la combinazione tra Capecitabina ed Oxaliplatino, beneficio che appare sovrapponibile a quello ottenuto con le combinazioni endovenose. Per tale combinazione non vi è ancora dimostrazione di un beneficio in sopravvivenza.Le evidenze disponibili orientano verso l’impiego del trattamento con la combinazione di 5-fluorouracile, acido folinico e oxaliplatino o di Capecitabina e oxaliplatino come prima scelta (Livello di evidenza 1++). Il trattamento con fluoropirimidine in monochemioterapia, sia per via orale (capecitabina) che endovenosa, può essere ancora considerato una valida alternativa in caso di malattia a migliore prognosi (IIIa), soprattutto nei pazienti con ridotto performance status In considerazione della negatività di 3 studi randomizzati, in cui non si è evidenziato nessun vantaggio in DFS e OS a fronte di un aumento della tossicità, le combinazioni contenenti Irinotecan non devono al momento essere impiegate nella pratica clinica.
Gli studi di terapia adiuvante con farmaci biologici fino ad ora disponibili hanno escluso l’utilità di tali farmaci nel trattamento adiuvante del carcinoma del colon. In particolare i dati con Bevacizumab non evidenziano vantaggi ed i dati con Cetuximab sembrano suggerire un effetto detrimentale, presente nei pazienti K-Ras mutati ma anche, seppure in misura non statisticamente significativa, nei pazienti K-Ras WT.
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La chemioterapia deve essere iniziata preferenzialmente entro 6-8 settimane dall’intervento chirurgico. Inizi più tardivi riducono il potenziale beneficio. In casi ad elevato rischio, in cui per complicazioni post- chirugiche si sia superato tale tempistica, il trattamento deve comunque essere considerato discutendo rischi e benefici.
Al di fuori di studi clinici la durata ottimale del trattamento adiuvante è attualmente di 6 mesi.
In base all’evidenza disponibile, la radioterapia adiuvante postoperatoria nel carcinoma del colon non deve essere prescritta (Livello di Evidenza 1++).
L’uso della chemioterapia adiuvante sistemica non è indicato nello stadio.
L’indicazione alla chemioterapia adiuvante nel carcinoma del colon nello stadio II è tuttora controversa.
Ai pazienti in stadio II con fattori prognostici sfavorevoli (occlusione, perforazione, T4, G3-4, inadeguato numero di linfonodi esaminati, invasione vascolare e/o linfatica e/o perineurale) è corretto proporre una terapia adiuvante anche al di fuori di studi controllati (fluoropirimidine +/- oxaliplatino).
Raccomandazione: nei pazienti con tumore del colon-retto in stadio II senza fattori di rischio con instabilità microsatellitare può essere ragionevole eseguire esclusivo follow-up, data la miglior prognosi di questo sottogruppo e la possibile resistenza alla terapia con sole fluororpirimidine.
Al contrario, in quelli con stabilità microsatellitare può essere valutata una chemioterapia adiuvante con fluoropirimidine.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: POSITIVA DEBOLE
Tutti i pazienti in stadio III (ogni T, N1-2, M0) sono candidati a chemioterapia adiuvante che deve essere iniziata entro 6-8 settimane dall’intervento chirurgico radicale.
(Livello di Evidenza 1++)
I regimi di prima scelta negli stadi III sono lo schema FOLFOX4 (infusionale), lo schema XELOX(capecitabina). In pazienti con buona prognosi e/o con ridotto performance status sono valide alternative: Capecitabina, 5Fluorouracile+acido folinico in regime infusionale e bolo.
La durata ottimale del trattamento è di 6 mesi.
Allo stato delle conoscenze attuali non devono essere impiegati in terapia adiuvante farmaci biologici al di fuori di studi clinici.
La chemioterapia deve essere iniziata preferenzialmente entro 6-8 settimane dall’intervento chirurgico radicale.
8.2 Tumori del retto
Per il trattamento pre-operatorio dei tumori del retto si rimanda al paragrafo successivo.
Nel cancro del retto, a differenza di quello del colon, le recidive locali, nonostante il miglioramento della tecnica chirurgica, sono frequenti.
L’uso della terapia adiuvante in stadio I non trova evidenza in letteratura.
A A
B
A
A
B
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La radioterapia post-operatoria da sola è in grado di ridurre le recidive locali ma non esiste evidenza di chiaro aumento di sopravvivenza.
Per il trattamento radiante della pelvi devono essere impiegate radiazioni X di elevato voltaggio prodotte da acceleratori lineari di energia > a 6 MV. Non è consentito l’uso di apparecchiature di cobaltoterapia.
L’ottimizzazione del trattamento radioterapico è volta a minimizzare sia i danni acuti che quelli cronici all’intestino tenue. Devono essere utilizzati particolari accorgimenti tecnici di protezione delle anse intestinali che consistono nell’uso di campi pelvici multipli, nell’assunzione, se possibile, della posizione prona, nel ricorso a sistemi di device personalizzati, previa visualizzazione dell’intestino tenue con mezzo di contrasto orale, nella pianificazione ed esecuzione del trattamento con distensione vescicale, nella esecuzione di piani di cura 3D o comparabili.
La dose totale di radioterapia consigliata è di 45-50 Gy con frazionamento giornaliero di 1.8- 2 Gy.
Nei carcinomi del retto in stadio II o III l’efficacia della radioterapia in combinazione con 5-fluorouracile + acido folinico con regimi bolo o infusionali nella prevenzione delle recidive locali e nell’incremento della sopravvivenza è dimostrata da più studi randomizzati (Livello di evidenza 1 ++). Qualora vi fossero controindicazioni all’impiego di catetere venoso centrale (CVC) può essere considerato l’uso di Capecitabina.
La chemioterapia deve essere iniziata entro 6-8 settimane dall’intervento chirurgico radicale.
L’uso della chemioradioterapia, della chemioterapia adiuvante sistemica e della radioterapia non è indicato nello stadio I.
Il trattamento preoperatorio è da considerarsi standard in tutti gli stadi cT3-4 e/o N+
(vedi capitolo successivo).
I pazienti in stadio II, III che non abbiano effettuato trattamento preoperatorio sono candidati a chemio-radioterapia adiuvante. (Livello di Evidenza 1 ++).
Il trattamento adiuvante combinato chemio-radioterapico dovrebbe comprendere non più di 2 mesi con 5-fluorouracile, preferibilmente infusionale, e acido folinico (4 cicli De Gramont) eventualmente associati ad oxaliplatino nei pazienti ad alto rischio, seguito da radioterapia contemporanea a 5-fluorouracile, somministrato preferibilmente in infusione continua per tutta la sua durata.
Il trattamento va completato con ulteriori cicli della stessa terapia con 5-fluorouracile e acido folinico +/- oxaliplatino (per una durata complessiva del trattamento di 6 mesi).
Il fluorouracile può essere sostituito dalla capecitabina.
9. Terapia neoadiuvante
Una percentuale considerevole di pazienti affetti da carcinoma rettale può presentarsi in forma localmente avanzata (T3-T4) o con malattia linfonodale alla diagnosi. Il trattamento chirurgico tradizionale è associato ad un alto rischio di ripresa di malattia a livello pelvico.
L’evidenza disponibile indica che la radioterapia preoperatoria nel cancro del retto extraperitoneale è associata ad una significativa riduzione delle recidive locali. Non vi è evidenza di differenza tra un regime ipofrazionato ed un regime convenzionale quando la neoplasia non coinvolga la fascia mesorettale (distanza
< 1 mm). Quando la radioterapia è stata eseguita con frazionamento tradizionale in associazione con chemioterapia concomitante e con dosi superiori ai 30 Gy si è rilevata una riduzione statisticamente significativa dell’incidenza di recidive locali ed un verosimile aumento degli interventi chirurgici conservativi dello sfintere.
A
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Anche quando la radioterapia è stata eseguita con ipofrazionamento della dose (short-course) utilizzando 5 frazioni da 5 Gy ciascuna seguite a breve distanza dalla chirurgia, si è ottenuto un vantaggio statisticamente significativo in termini di riduzione delle recidive locali (Livello di evidenza 1++) ed in uno studio anche di aumento della sopravvivenza.
Questa tecnica è risultata vantaggiosa nel controllo delle recidive locali anche quando comparata alla sola chirurgia con Total Mesorectal Excision. Si sottolinea che la radioterapia ipofrazionata non prevede l’associazione con la chemioterapia che può invece essere impiegata con i regimi di frazionamento convenzionale. Inoltre la radioterapia short-course ha dimostrato un maggiore rischio di positività di infiltrazione del margine circonferenzile negli stadi localmente avanzati T3 c-d rispetto alla radioterapia con frazionamento convenzionale e in particolare rispetto alla radioterapia con frazionamento convenzionale associata a chemioterapia concomitante.
Uno studio in corso sta valutando la possibilità di effettuare una chirurgia ritardata in pazienti selezionati dopo radioterapia short-course.
Recenti studi randomizzati europei hanno evidenziato un ulteriore miglioramento dei risultati, con evidenza di migliore controllo locale e sopravvivenza in una recente pooled-analysis, nei pazienti trattati con radiochemioterapia preoperatoria, con l’impiego di 5-fluorouracile e acido folinico in associazione alla radioterapia, rispetto a quelli trattati con sola radioterapia preoperatoria convenzionale.
Nonostante studi di fase II di associazione tra radioterapia e chemioterapia con l’impiego di 5-fluorouracile e di nuovi farmaci abbiano mostrato una ottima tolleranza e una elevata percentuale di successivi interventi radicali con preservazione dello sfintere (60-90%) con completa negativizzazione del pezzo operatorio in percentuali variabili dal 10 al 25% (livello di evidenza 2+) i dati degli studi randomizzati fino ad ora disponibili, relativi ad associazioni con oxaliplatino, non hanno mostrato vantaggi effettivi in termini di risposte patologiche complete evidenziando invece aumento di tossicità con l’impiego della polichemioterapia rispetto al solo 5-fluorouracile/acido folinico. L’associazione tra radioterapia e polichemioterapia deve pertanto al momento essere limitata a protocolli di ricerca. Un ruolo può avere l’impiego della capecitabina in sostituzione dell’infusione di fluorouracile in pazienti con controindicazioni al posizionamento di CVC (livello di evidenza 2+).
Poiché la radio-chemioterapia preoperatoria è in grado di determinare downstaging della neoplasia rettale che può consentire la riduzione degli interventi di resezione addomino-perineale, il suo impiego deve essere considerato in tutti i pazienti con lesioni del retto basso non candidabili a escissione locale.
Tra il termine del trattamento chemio-radiante e la chirurgia devono intercorrere non meno di 6 settimane e non più di 8-10 settimane.
Non vi sono ancora dati certi sul ruolo della chemioterapia adiuvante post-operatoria nei pazienti sottoposti a chemio-radioterapia prima della chirurgia. I dati degli studi sul trattamento postoperatorio (anche se datati e provenienti da studi relativamente piccoli) e i dati dello studio di confronto tra chemioradioterapia pre e post- operatoria tuttavia indicano che un trattamento chemioterapico della durata complessiva di 6 mesi dovrebbe poter far parte del programma di trattamento integrato per il carcinoma del retto localmente avanzato. L’uso di nomogrammi potrebbe favorire la quantificazione del benefico della chemioterapia adiuvante e aiutare la decisione clinica, come proposto recentemente da una pooled analysis dei recenti studi randomizzati europei.
Estrapolando dai dati sul carcinoma del colon lo schema preferibile per il trattamento post-op comprende una fluoropirimidina associata ad oxaliplatino, particolarmente nei pazienti con positività linfonodale alla stadiazione clinica iniziale e/o alla stadiazione patologica. L’impiego e la scelta del regime di chemioterapia post-operatoria nei pz chemioradiotrattati deve essere preferibilmente oggetto di valutazione multidisciplinare considerando l’imaging iniziale e la risposta patologica.
Ulteriore supporto a questa strategia viene da uno studio sul trattamento adiuvante di pazienti con carcinoma del colon e del retto a basso rischio che non evidenzia differenze nel beneficio ottenuto tra le due sedi.
Ancora più complessa è la definizione dell’utilità della chemioterapia post-opeartoria sulla base del grado di risposta al trattamento preoperatorio.