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Il disegno di legge intende colmare il vuoto legislativo creatosi a seguito della sentenza della Corte costituzionale 9 luglio 1996, n

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Nota in data 10 novembre 2006 del Ministro della giustizia con la quale trasmette, per il parere, copia del d.d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 ottobre 2006, recante

“Modifiche al codice di procedura penale per il compimento su persone viventi di prelievi di campioni biologici o accertamenti medici”.

(Deliberazione del 22 febbraio 2007)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 22 febbraio 2007, ha approvato il seguente parere:

«Con nota del 10 novembre 2006, il Ministro della giustizia trasmetteva per il parere il testo del disegno di legge approvato nella riunione del Consiglio dei Ministri in data 12 ottobre 2006, concernente “Modifiche al codice di procedura penale per il compimento su persone viventi di prelievi di campioni biologici o accertamenti medici”.

Il disegno di legge intende colmare il vuoto legislativo creatosi a seguito della sentenza della Corte costituzionale 9 luglio 1996, n. 238, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 224 comma 2 del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 13 comma 2 della Costituzione, nella parte in cui consentiva al giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, di disporre misure incidenti sulla libertà personale dell'indagato, dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste, nei casi e modi, dalla legge. Il disegno di legge, peraltro, si propone di risistemare l'intera disciplina dei prelievi coattivi di materiale biologico, sopprimendo l'ultima parte dell'attuale comma 3 dell'art. 354 del codice di procedura penale, che riguarda il potere della Polizia giudiziaria di procedere appunto a tali prelievi. Essa riguarda i prelievi non solo sull'indagato e sull'imputato, ma anche su qualsiasi altra persona sottoposta all'esame del perito.

In generale, appare assolutamente condivisibile l'intento di risistemazione di una materia che, mutilata a seguito dell'intervento della Corte costituzionale, attualmente è carente e presenta profonde contraddizioni. E' evidente che una qualsiasi disciplina del prelievo coattivo di materiale biologico a fini di indagini penali risponde ad un criterio di efficienza delle indagini stesse, ma al contempo incontra il limite del rispetto della libertà personale e del diritto alla riservatezza dei singoli soggetti. Tenuto conto dei limiti costituzionali sopra richiamati, spetta al legislatore stabilire il bilanciamento tra questi valori. Il Consiglio in questo parere si limiterà, pertanto, ad evidenziare gli aspetti tecnici ritenuti rilevanti ai fini della ricaduta sull'efficienza della giurisdizione.

Nello stabilire “i casi” in cui è possibile procedere al prelievo coattivo, il disegno di legge prevede che esso deve essere assolutamente indispensabile per l'accertamento del fatto, e che si proceda per un delitto punito con la pena dell'ergastolo o per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale è prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni. Quanto al primo requisito, esso richiama quello richiesto per le intercettazioni telefoniche (in quella sede, per il proseguimento delle indagini, in questa, per l'accertamento del fatto), e pare oggettivamente troppo restrittivo, in quanto dovrebbe logicamente presupporre l'impossibilità di ricorrere ad altri mezzi di prova, anche a fronte di una invasività del mezzo proposto di certo non paragonabile a quello delle intercettazioni. Sarebbe, inoltre, più opportuno fare riferimento alla responsabilità dell’indagato, piuttosto che all’accertamento del fatto. Considerato che il prelievo del materiale biologico si rivela spesso una prova decisiva ai fini dell'accertamento delle responsabilità, ed in questo senso consente di ridurre i tempi del procedimento penale, potrebbe essere opportuno sostituire il presupposto di ammissibilità con il richiamo ad altro requisito meno drastico. Analogo ragionamento può farsi quanto ai limiti edittali di pena previsti per i reati che consentono l'emissione del provvedimento coattivo, che richiamano, per i delitti dolosi, quelli previsti dall'art.

381 del codice di procedura penale per l'arresto facoltativo in flagranza, senza peraltro nemmeno prevedere le ipotesi di ampliamento catalogate al comma 2 di quella norma. Anche in questo caso,

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quindi, si potrebbe operare nel senso di un ampliamento dei casi in cui è possibile ricorrere alla misura in esame.

Quanto all'iter procedimentale, il disegno di legge prevede l'intervento del giudice per le indagini preliminari, stabilendo una serie di adempimenti, la cui violazione viene variamente sanzionata, e prevedendo la possibilità, in caso di ingiustificato rifiuto dell'interessato a presentarsi per il prelievo del campione, dell'accompagnamento coattivo. Opportunamente, l'art. 3 del disegno di legge, nell'introdurre l'art. 359 bis c.p.p., al comma due di tale norma prevede che nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero può disporre il prelievo con decreto motivato, che deve essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari entro termini ristrettissimi. In tal caso, la norma coerentemente prevede che, se il soggetto che deve essere sottoposto alle operazioni non si presenta all'invito rivoltogli senza addurre un legittimo impedimento, il pubblico ministero ne dispone l'accompagnamento, se occorre coattivamente, nel luogo, nel giorno e nell'ora stabiliti. Seppure la ratio della norma è chiara, la formulazione legislativa adottata potrebbe lasciare adito a qualche dubbio applicativo, nel senso che il pubblico ministero debba attendere che il soggetto interessato non si presenti all'invito, prima di poterne disporre l'accompagnamento coattivo. Ciò che sarebbe evidentemente incompatibile con l'urgenza di provvedere (si pensi al pericolo che il soggetto interessato si renda irreperibile, per cui è necessario acquisire il consenso e contestualmente, in caso di rifiuto, procedere all'accompagnamento). Al fine di evitare dubbi interpretativi, sarebbe, quindi, opportuno modificare la norma nel senso di chiarire che sin da quando dispone le operazioni il pubblico ministero può prevedere che il soggetto sottoposto ad esse, se non presta il suo consenso, può essere accompagnato coattivamente.

L'art. 6 del disegno di legge introduce un meccanismo per la prestazione del consenso nel caso in cui la persona da sottoporre alle operazioni sia un incapace, e prevede altresì (art. 72 quater disp. att. c.p.p.) che all'esito della perizia o della consulenza tecnica su campioni biologici, il giudice ne disponga l'immediata distruzione, se non ritenga la conservazione assolutamente indispensabile. E, comunque (comma 2), la distruzione viene disposta in ogni caso dopo la definizione del procedimento con archiviazione o con sentenza non più soggetta ad impugnazione.

Si deve dar conto che in altri progetti di legge all'esame del Parlamento (Atto Camera 782) è prevista, invece, la conservazione dei campioni prelevati e la costituzione di una banca dati del DNA. Nella relazione del disegno di legge, la scelta della distruzione dei campioni viene giustificata dal fatto che si tratta di operazioni ripetibili. Il che è vero in astratto, ma potrebbe rivelarsi impossibile in concreto, ad esempio in caso di sopravvenuta irreperibilità del soggetto da sottoporre al prelievo. Al riguardo della distruzione dei campioni prelevati, si pongono due distinti problemi: il primo attiene ai fini di prova, anche in funzione di difesa dell'indagato, in caso di riapertura delle indagini ai sensi dell'art. 414 c.p.p., di revoca della sentenza di non luogo a provvedere ai sensi degli artt. 434 e ssg. c.p.p, e perfino in caso di richiesta di revisione della sentenza di condanna (si pensi anche all'ipotesi in cui sopraggiungano nuove tecniche di indagine sul materiale biologico più sofisticate e precise, e non sia possibile procedere ad un nuovo prelievo).

Inoltre, la distruzione immediata del campione impedisce, ad esempio, l'utilizzazione dello stesso in un diverso procedimento. Questione distinta attiene, invece, alla eventuale costituzione di una banca dati del materiale prelevato, in relazione alla quale vengono in frizione in modo evidente le esigenze di efficienza delle indagini e quelle di riservatezza, e, come detto, il relativo bilanciamento deve esser fatto esclusivamente dal legislatore. Peraltro, si deve notare che non è espressamente previsto che i risultati delle indagini, e cioè il profilo del DNA ricavato, possa essere conservato in una banca dati a disposizione delle forze di polizia, ciò che sarebbe estremamente utile per dare impulso alle indagini. I pericoli di schedatura di massa, a fini diversi da quelli processuali, sarebbero facilmente fronteggiabili prevedendo che l'inserimento dei dati sia fatto in modo tale che l'utilizzo

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della banca dati non possa abilitare l'accesso all'eventuale campione del materiale prelevato e sia garantita l'assoluta riservatezza dei dati.»

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