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Crisi studio professionale: è legittimo il licenziamento?

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Crisi studio professionale: è legittimo il licenziamento?

Autore: Salvatore Cirilla | 27/07/2021

È possibile contestare il provvedimento risolutorio adottato dal datore di lavoro? Esiste una differenza tra imprese e professionisti?

Tra le tematiche maggiormente trattate in tribunale, l’impugnazione dei licenziamenti la fa sicuramente da padrona. Le ragioni di questa serrata presenza

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di contenzioso lavorativo è di facile intuizione: da un lato c’è il lavoratore che, disperato per la perdita del lavoro, cerca giustizia, dall’altro esiste una normativa generica sulla validità o meno dei licenziamenti, ideata per essere applicata e interpretata dagli addetti ai lavori a seconda della fattispecie. In questo articolo, dopo aver individuato i casi principali trattati dalla legge e dalla giurisprudenza di legittimità del licenziamento, analizzeremo un caso diffusosi in questo periodo di emergenza pandemica e, cioè, quello della crisi studio professionale: è legittimo il licenziamento? La risposta ci verrà data da un provvedimento della Cassazione di recente emanazione.

Il licenziamento

Il licenziamento è il provvedimento più estremo che il datore di lavoro può assumere nei confronti del proprio dipendente, a seguito di un evento grave accaduto nelle dinamiche lavorative.

I casi per poter procedere al licenziamento sono ben definiti dalla legge, anche al fine di tutelare gli interessi del lavoratore. Per tali motivi, ogni qualvolta si subisce un provvedimento di questo tipo, il lavoratore verifica, con l’aiuto di un legale, o del sindacato di riferimento, l’esistenza dei requisiti previsti dalla legge.

Se, in passato, il lavoratore, in caso di licenziamento illegittimo, era titolare di una serie di diritti finalizzati alla conservazione del posto di lavoro, oggi la tutela è stata di molto attenuata, fondandosi, in linea generale, su un ristoro economico, sotto forma di indennità.

Vediamo di seguito i casi di licenziamento ammessi dalla legge.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’evento grave riguarda un fattore estraneo alla sfera di condotta del lavoratore: si parla di una crisi economica, o produttiva, dell’imprenditore che non permette a quest’ultimo di sostenere le spese di manodopera finora previste, costringendolo a massimizzare i costi.

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Questa tipologia di licenziamento è considerata legittima, ma in caso di impugnazione giudiziale del lavoratore, il datore dovrà dimostrare la veridicità dei fatti addotti nel provvedimento, ad esempio allegando i bilanci societari dai quali risalire alla crisi economica.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovrà essere preceduto da un preavviso, con il quale il datore anticipa al lavoratore il provvedimento e gli permette di cercare lavoro altrove.

Licenziamento per giusta causa

Nel licenziamento per giusta causa parliamo di un evento grave riguardante la condotta del lavoratore, poiché rilevante dal punto di vista disciplinare. La condotta deve essere talmente grave da prevedere la sanzione estrema della risoluzione contrattuale, e non un provvedimento intermedio, quale l’ammonizione, o la sospensione per un determinato periodo.

Richiamando esempi frequenti accaduti in ambito lavorativo, immaginiamo casi di condanne penali in capo al lavoratore, di comportamenti di concorrenza sleale all’interno dell’azienda, di molestie sessuali tra colleghi, insubordinazione con i propri superiori. Proprio per questo, a differenza del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quello per giusta causa non prevede preavviso: è un licenziamento in tronco.

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo

Nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la condotta è sempre grave, magari perché reiterata nel tempo, ma non così rilevante da legittimare un licenziamento in tronco: per tali motivi, questo licenziamento dovrà essere anticipato da un preavviso al lavoratore.

La valutazione della condotta del lavoratore, sia in questo caso, che nel licenziamento per giusta causa, non è tipizzata dal legislatore, ma è posta al giudizio del tribunale che baserà la propria decisione a seconda della gravità e della proporzionalità del provvedimento.

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Durante il preavviso, il lavoratore continuerà a lavorare e a ricevere lo stipendio e, nei casi previsti dalla legge, potrà difendersi presentando delle memorie e, così, giustificando la condotta tenuta e lamentata dal datore di lavoro.

Licenziamento per malattia

Altro caso di licenziamento legittimo riguarda il superamento del periodo di comporto: trattasi di un arco temporale all’interno del quale l’assenza del lavoratore è giustificata da problemi di salute, o da un’intervenuta invalidità, che non gli permettono di svolgere le mansioni per le quali era stato assunto.

Se i giorni previsti in questo periodo vengono superati dal lavoratore, allora il datore sarà autorizzato a risolvere il rapporto; questa previsione è volta a tutelare gli interessi del datore di lavoro, il quale si ritroverebbe a pagare lo stipendio di un dipendente, quasi mai presente a lavoro.

Da ultimo, la Cassazione ha mitigato la tutela del datore stabilendo che il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa [1].

Crisi economica: è legittimo il licenziamento?

Ti stai chiedendo se le tipologie di licenziamento legittimo appena elencate possono essere applicate anche agli studi professionali? In particolare, è possibile invocare la crisi economica per queste tipologie di organizzazione imprenditoriale?

Ebbene, lo studio professionale è considerato alla stessa stregua di un piccolo imprenditore. Anzi, se caratterizzato da una complessa struttura organizzativa, occupante oltre quindici dipendenti, lo studio sarà, a tutti gli effetti, paragonato all’impresa in senso tecnico, con le dovute conseguenze in tema di tutela crescente per i lavoratori.

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In un caso portato davanti ai giudici della Corte di Cassazione, si è discusso della legittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo al lavoratore di uno studio dentistico.

Il lavoratore aveva adito il tribunale per ottenere il risarcimento dei danni, nonché la condanna alla reintegrazione e al pagamento delle retribuzioni maturate. In particolare, il lavoratore aveva lamentato il mancato utilizzo dell’istituto del

“repêchage”, con il quale è possibile collocare il lavoratore in un’altra posizione lavorativa.

In questi casi, spetterebbe al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di riutilizzo del dipendente licenziato.

Tuttavia, la Cassazione [2] ha rigettato le richieste del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento; secondo i giudici, infatti, il datore di lavoro ha provato la contrazione degli incassi dello studio, tale da giustificare il provvedimento risolutorio.

Inoltre, spiega la Cassazione, l’istituto del “repêchage” non poteva essere applicato al caso di specie, in quanto il lavoratore risultava l’unico dipendente dello studio e, dunque, non poteva essere adibito in altre postazioni vacanti.

Note

[1] Cass. Civ., sez. lav., n.19062/2020 del 14.09.2020 [2] Cass. Civ., sez. VI, ord.

7676/2021 del 18.03.2021

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