Capitolo 1
INTRODUZIONE
1.1. LA GESTIONE DEI RIFIUTI 1.1.1. Inquadramento legislativo
Nonostante siano numerose le norme emanate in materia, sia a livello comunitario che nazionale, dei singoli stati membri, la produzione di rifiuti in Europa è in costante crescita a causa dell’aumento dei consumi, dell’incremento della popolazione nelle aree urbane e del progredire dello sviluppo industriale.
Il problema della gestione dei rifiuti ha assunto negli anni un rilievo sempre maggiore all’interno dell’Unione Europea, tuttavia in questo settore si incontrano una serie di difficoltà legate all’impossibilità di prevedere esattamente l’evoluzione spazio-temporale della produzione dei rifiuti, e alla complessità degli aspetti tecnologici delle operazioni di smaltimento. La produzione di rifiuti, inoltre, è spesso considerata un “male inevitabile” e ciò porta a concentrare l’attenzione principalmente sul problema dello smaltimento; nella maggioranza degli stati membri, infatti, la discarica resta il metodo più utilizzato, anche perchè più semplice e più vantaggioso dal punto di vista economico.
Per un corretto orientamento delle scelte gestionali è necessaria invece una visione globale del sistema rifiuti, mettendo al centro del sistema non il problema dello smaltimento, ma le questioni della produzione e della differenziazione e quindi la possibilità di influenzarle.
L’interesse per il settore dei rifiuti si è sviluppato in Europa a partire dai primi anni 70 di pari passo con la politica per la tutela dell’ambiente; in particolare l’attenzione è stata rivolta proprio alla necessità di prevenirne la produzione e di ridurne la pericolosità, nonché di incentivare e agevolare il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero. Lo smaltimento in discarica resta quindi la soluzione più estrema, da adottare solo nel caso in cui non siano possibili tali operazioni.
Gli obiettivi sopra citati si ritrovano nella direttiva 75/442/CEE, il primo atto normativo comunitario in materia, in cui si definisce il rifiuto come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali vigenti”, senza tuttavia introdurre alcuna classificazione dei rifiuti stessi.
La direttiva impegna gli stati membri a regolamentare il settore della gestione dei rifiuti, inteso come l’insieme delle operazioni di raccolta, trasporto, cernita, trattamento, deposito sul o nel suolo, nonché delle operazioni necessarie al riutilizzo, al recupero e al riciclaggio, tenendo presente gli obiettivi dettati a livello comunitario.
Negli anni successivi sono stati necessari ulteriori interventi legislativi al fine di adeguarsi all’evolversi della situazione ambientale e agli sviluppi in campo tecnico e scientifico; il proliferare della normativa in materia ha però portato alla creazione di un sistema piuttosto complesso, che la direttiva 91/156/CEE si è proposta di riordinare. Tale direttiva individua, nella tutela della salute pubblica e dell’ambiente e nel recupero e riutilizzo dei rifiuti, le finalità che devono essere perseguite da ogni atto normativo riguardante il settore della gestione dei rifiuti. A tale scopo prescrive che le imprese che si occupano di rifiuti vengano sottoposte a procedure autorizzative, e che gli stati membri promuovano politiche per il riciclaggio e il recupero nonché per la riduzione della produzione dei rifiuti e per l’utilizzo di tecnologie pulite.
Viene data una nuova definizione di rifiuto, inteso come ”qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato 1 della direttiva e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi” (tuttavia l’elenco fornito non è tassativo ed è inclusa nella definizione anche “qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate”).
Si introduce poi il concetto di “gestione” con cui si intendono, oltre alle attività di raccolta, trasporto e smaltimento, anche i controlli sullo svolgimento di tali attività e delle discariche dopo la loro chiusura; viene inoltre ridimensionato il concetto di smaltimento, che non include più le operazioni di riutilizzo, recupero e riciclaggio (sottoposte ad una normativa a parte).
La direttiva impone agli stati membri la redazione di appositi piani di gestione, riguardanti tutto ciò che concerne i rifiuti da smaltire o recuperare, in cui vengano analizzate le singole attività coinvolte nel settore. Si deve quindi tendere al raggiungimento dell’autosufficienza, sia a livello comunitario che dei singoli stati membri, mediante la creazione di un sistema integrato di attività che tenga peraltro conto delle migliori tecnologie disponibili a costi ragionevoli (BAT).
Un altro aspetto molto importante introdotto da questa direttiva è relativo ai controlli cui periodicamente devono essere sottoposte le imprese operanti nel settore dei rifiuti da parte delle autorità competenti; le imprese sono inoltre obbligate a registrare tutte le informazioni relative all’origine, alla quantità, alla natura, al mezzo di trasporto e alle modalità di trattamento dei rifiuti.
Le prime disposizioni comunitarie in materia di rifiuti sono state recepite in Italia dal DPR 915/1982 e successive modifiche; il decreto col termine rifiuto intende “qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umana o da cicli naturali abbandonato o destinato all’abbandono” e gli obiettivi principali cui mirare nell’ attività di gestione dei rifiuti sono individuati nell’ evitare ogni danno o pericolo per la salute e la sicurezza, ogni rischio di inquinamento di aria, acqua, suolo e sottosuolo, ogni altra forma di degrado dell’ambiente o del paesaggio, ogni inconveniente derivato dall’emissione di rumori e odori nonché nell’assicurare la salvaguardia della flora e della fauna.
I rifiuti vengono classificati in urbani, speciali e tossici/nocivi (successivamente sono state introdotte altre categorie di rifiuti quali: urbani pericolosi, industriali e ospedalieri). Il decreto ribadisce l’obbligo di autorizzazione per le imprese coinvolte nel settore, che sono inoltre tenute alla compilazione di un registro di carico e scarico, e l’obbligo per i trasportatori di tenere un formulario di identificazione del rifiuto.
In attuazione alle direttive comunitarie 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio, il legislatore italiano è intervenuto con il decreto legislativo 22/1997, noto anche come decreto Ronchi, che a suo tempo ha rappresentato una novità importante per l’introduzione di concetti basilari che ancora oggi rappresentano il punto di riferimento per la “gestione dei rifiuti”.
Tale decreto si basa su tre principi: recupero, riutilizzo e riciclo; lo scopo finale è quello di ridurre al minimo la quantità di rifiuti da smaltire in discarica, mediante la prevenzione della loro produzione. Il perseguimento di tali obiettivi sarebbe possibile anche applicando una serie di indicazioni tecnico-economiche come lo sviluppo di tecnologie pulite, la valutazione dell’impatto di un prodotto durante l’intero ciclo di vita, l’introduzione sul mercato di prodotti che non contribuiscano ad aumentare la quantità e il volume dei rifiuti, la loro pericolosità e capacità di inquinamento e lo sviluppo di tecniche per l’eliminazione delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti.
Ai fini di una corretta gestione il decreto impegna quindi le autorità competenti a favorire la riduzione dello smaltimento finale attraverso: il riutilizzo, il riciclo e altre forme di recupero per ottenere materia prima seconda dai rifiuti; l’adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l’impiego di
materiali recuperati per favorire il mercato degli stessi; l’impiego dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia.
Lo smaltimento in discarica deve essere effettuato in condizioni di sicurezza; esso costituisce la fase residuale del ciclo e va attuato con ricorso ad una rete integrata e adeguata di impianti, al fine di:
• realizzare l’autosufficienza dello smaltimento entro Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), ovvero aree al cui interno si realizza una gestione unitaria dei rifiuti e che solitamente corrispondono al territorio provinciale;
• permettere lo smaltimento in uno degli impianti adatti più vicini, al fine di ridurre la movimentazione dei rifiuti;
• utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione
dell’ambiente e della salute pubblica che non comportino costi eccessivi.
Tra gli obiettivi che si prefigge il decreto si trovano scadenze temporali ben precise, cosi come indicate in tabella 1.1:
Tabella 1.1 - Obiettivi da perseguire nello smaltimento dei rifiuti (decreto Ronchi)
dal 1 gennaio 1999: dal 1 gennaio 2000: entro il 3 marzo 2001: dal marzo 2003:
la realizzazione di nuovi impianti di incenerimento è autorizzata solo con recupero di energia
lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse è vietato salvo accordi
è soppressa la tassa per lo smaltimento dei rifiuti ed è sostituita dall’istituzione di una tariffa entro il 3 marzo 1999
deve essere assicurata in ogni ATO una raccolta differenziata di R.U. pari almeno al 15%
è consentito smaltire in discarica solo i rifiuti inerti e quelli che residuano da operazioni di recupero e riciclaggio
deve essere assicurata in ogni ATO una raccolta differenziata di R.U. pari almeno al 25%
deve essere assicurata in ogni ATO una raccolta differenziata di R.U. pari almeno al 35%
Al fine di incentivare la raccolta differenziata, il decreto sopprime la tassa per lo smaltimento dei rifiuti e istituisce una tariffa costituita da due quote, una determinata in relazione alle componenti fisse del costo del servizio e una in relazione alla quantità di rifiuti conferiti e al servizio fornito. Nella determinazione della tariffa vanno considerate delle agevolazioni per le utenze domestiche e per la raccolta differenziata.
Un concetto fondamentale introdotto dal decreto è quello di gestione integrata dei rifiuti, una nozione più ampia del semplice smaltimento, che distingue le seguenti attività coinvolte nel settore:
• raccolta: prelievo, cernita, raggruppamento per il trasporto;
• trasporto: per avviare i rifiuti al recupero o allo smaltimento;
• recupero: per rigenerare e riciclare i rifiuti, per produrre energia (operazioni previste nell’allegato C);
• smaltimento: incenerimento, conferimento in discarica (operazioni previste nell’allegato B);
• controllo delle discariche dopo la chiusura;
• controllo di tali operazioni.
Il decreto obbliga il produttore dei rifiuti e i soggetti che effettuano le operazioni di raccolta e trasporto o le operazioni di recupero e smaltimento, a tenere un registro di
carico e scarico su cui annotare l’origine e la destinazione dei rifiuti, le loro
caratteristiche quantitative e qualitative, i dati relativi al trasportatore, la data di carico e scarico e il tipo di trattamento impiegato.
Durante il trasporto i rifiuti devono essere accompagnati dal formulario di
identificazione, redatto in quattro copie dal produttore, il quale ne conserva una; le altre
tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario stesso e due dal trasportatore, quest’ultimo provvederà a riconsegnarne una al produttore. Nel formulario vanno annotati i dati relativi al produttore, al destinatario e al trasportatore, e i dati relativi all’origine, alla tipologia e alla quantità dei rifiuti trasportati. In base a quanto prescritto a livello comunitario il decreto impone che gli impianti che si occupano di recupero e smaltimento dei rifiuti vengano sottoposti a procedure autorizzative, in modo tale da individuare con precisione: i tipi e i quantitativi di rifiuti da conferire, il metodo di trattamento e i requisiti tecnici dell’impianto, le precauzioni per la sicurezza, i limiti di emissione in atmosfera e le garanzie finanziarie.
Il decreto Ronchi cerca quindi di integrare le politiche di tutela dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile e della salute dell’uomo con le regole del mercato, che vedono il rifiuto come una risorsa da reinserire, tal quale o trattata, nel ciclo economico e produttivo.
L’evoluzione successiva della normativa nazionale riguardante la gestione dei rifiuti ha portato a una serie di provvedimenti, estremamente complessi da razionalizzare.
Un tentativo di riordinare il corpo normativo ambientale italiano è stato fatto di recente mediante il decreto legislativo 152/2006 “Norme in materia ambientale”, emesso come testo unico di riferimento per l’intero settore. Alla sua entrata in vigore è seguita la pubblicazione di numerosi decreti attuativi al fine di abrogare la normativa precedente e permettere agli operatori del settore di riferirsi al solo testo unico e ai suoi decreti. (Diciassette decreti attuativi sono stati dichiarati giuridicamente non produttivi di effetti nel giugno 2006: a meno di due mesi dall’entrata in vigore del testo unico l’operazione di razionalizzazione sembra essere già naufragata essendosi di fatto complicato il quadro normativo ed essendo già in atto una discussione sulle modifiche da apportare al testo del decreto stesso.)
Lo schema a blocchi riportato in figura 1.1 riassume l’organizzazione di base del settore della gestione dei rifiuti:
Figura 1.1 – Organizzazione di base del settore del trattamento dei rifiuti
1.1.2. Definizione e classificazione dei rifiuti
La corretta identificazione di ciò che è compreso nella definizione di rifiuto è fondamentale per individuare cosa sia soggetto alla normativa in vigore.
Secondo i sostenitori della teoria oggettivistica “il rifiuto deve essere qualificato, sempre e in ogni caso, come il residuo derivante da un’attività d’impresa o da un ciclo di consumo, quando non sia più utilizzabile dal produttore (all’interno del suo ciclo tecnologico) o dal consumatore”, per cui, secondo tale definizione, anche le materie prime seconde vengono considerate rifiuti.
Per la teoria soggettivistica invece “la nozione di rifiuto è strettamente collegata alla volontà del produttore o del consumatore di abbandonare o destinare all’abbandono un determinato residuo”.
La definizione italiana di rifiuto si diversifica da quella europea; rispetto alla direttiva 75/442/CE, che ha un’ impostazione oggettivistica, il DPR 915/82 affianca a un criterio oggettivo di identificazione (abbandonato) un parametro soggettivo (destinato all’abbandono). Nella normativa italiana è stata introdotta quindi la definizione di “materie prime seconde” per i residui riutilizzabili, e la possibilità di applicare su questi procedure semplificate e/o alternative.
Secondo la definizione del decreto Ronchi, ripresa dal decreto legislativo 152/2006, è da considerarsi rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto nelle categorie riportate nell’ allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. E’ da intendere:
• si disfi: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C;
• abbia deciso: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento o di recupero sostanze, materiali o beni secondo gli allegati B e C;
Raccolta indifferenziata Raccolta ingombranti Raccolta differenziata SELEZIONE fraz. inerte CDR
fraz. umida COMPOSTAGGIO
compost grigio TERMOVALORIZZAZION E energia elettrica e calore DISCARICA organico carta e cartone multimateriale COMPOSTAGGIO compost verde SELEZIONE E TRATTAMENTO prodotti cellulosic SELEZIONE E
TRATTAMENTO vetro, plastica, alluminio, ecc.
PIATTAFORMA
DI SELEZIONE ferro, legno, ecc.
• abbia l’obbligo di disfarsi: l’obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell’ elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’allegato D.
Non ricorre la decisione di disfarsi per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo quando:
• gli stessi possono essere e sono effettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento di trattamento e senza recare pregiudizio sull’ambiente;
• gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allagato C.
In tabella 1.2 sono riportate le categorie di rifiuti così come specificate all’allegato A del decreto Ronchi:
Tabella 1.2 – Categorie di rifiuti (allegato A del decreto Ronchi) Q1 Residui di produzione o di consumo in appreso non specificati Q2 Prodotti fuori norma
Q3 Prodotti scaduti
Q4 Sostanze accidentalmente riversate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature,ecc. contaminanti in seguito all’incidente in questione
Q5 Sostanze contaminate o insudiciate in seguito ad attività volontarie (ad esempio residui di operazioni di pulizia, materiali da imballaggio, contenitori,ecc.)
Q6 Elementi inutilizzabili (ad esempio batterie fuori uso, catalizzatori esausti,ecc.)
Q7 Sostanze divenute inadatte all’impiego (ad esempio acidi contaminanti, solventi contaminanti, Sali da rinverdimenti esauriti, ecc.)
Q8 Residui di processi industriali (ad esempio scorie, residui di distillazione,ecc.)
Q9 Residui di procedimenti antinquinamento (ad esempio fanghi di lavaggio di gas, polveri di filtri dell’ aria, filtri usati,ecc.)
Q10 Residui di lavorazione/sagomatura (ad esempio trucioli di tornitura o di fresatura, ecc.)
Q11 Residui provenienti dall’estrazione e dalla preparazione delle materie prime (ad esempio residui provenienti da attività minerarie o petrolifere, ecc.)
Q12 Sostanze contaminate (ad esempio olio contaminante da PCB, ecc.)
Q13 Qualunque materia, sostanza o prodotto la cui utilizzazione è giuridicamente vietata
Q14 Prodotti di cui il detentore non si serve più (ad esempio articoli messi fra gli scarti dell’agricoltura, dalle famiglie, dagli uffici, dai negozi, dalle officine, ecc.)
Q15 Materie, sostanze o prodotti contaminanti provenienti da attività di riadattamento di terreni Q16 Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate
Una volta definito il concetto di rifiuto è necessario procedere ad una classificazione, in quanto i sistemi specifici di recupero e/o di smaltimento sono definiti in relazione alla tipologia di rifiuto da trattare. Il decreto Ronchi abbandona la tripartizione tra rifiuti urbani, speciali e tossici/nocivi proposta dal DPR 915/82 e classifica i rifiuti in base alla loro origine in urbani e speciali, entrambe le categorie si dividono poi in rifiuti pericolosi e non pericolosi. (La classificazione è limitata a un numero ristretto di rifiuti; per casi particolari come i rifiuti radioattivi, le sostanze di origine animale, i fanghi di agricoltura, i fertilizzanti o i rifiuti sanitari e infettivi, bisogna fare riferimento ad altre normative).
In particolare, sono compresi nella definizione di rifiuti urbani:
• i rifiuti domestici (anche ingombranti,es. elettrodomestici e mobili);
• i rifiuti speciali assimilati agli urbani;
• i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
• i rifiuti giacenti sulle strade, sulle spiagge e sulle rive dei fiumi;
• i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi (es. giardini, parchi e aree cimiteriali);
• i rifiuti provenienti da attività cimiteriali (es. esumazioni ed estumulazioni). Sono invece rifiuti speciali:
• i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione e i rifiuti pericolosi da attività di scavo;
• i rifiuti provenienti da attività agricole e agro-industriali;
• i rifiuti da lavorazioni industriali, artigianali e commerciali;
• i rifiuti da attività di servizio;
• i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
• i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
• i veicoli a motore, i rimorchi o simili fuori uso e loro parti;
• i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti.
Per procedere alla classificazione in base alla pericolosità, oltre al criterio dell’origine del rifiuto, bisogna considerare anche quello del contenuto di sostanze pericolose; si fa quindi riferimento alla composizione dei rifiuti e ai valori di concentrazione di tali sostanze.
Con la decisione della commissione 94/3/CE è stato istituito il Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER) in cui questi sono catalogati in base alla loro origine; tuttavia “un rifiuto inserito nel CER può non essere considerato un rifiuto in tutte le circostanze ma soltanto quando soddisfa la definizione di rifiuto”.
Nel CER i rifiuti sono identificati da un codice di sei cifre, suddivise in gruppi di due e riferite all’attività produttiva che li ha generati. Il catalogo è suddiviso in sezioni (definite da codici a due cifre), ciascuna delle quali presenta delle sottosezioni (definite da codici a quattro cifre), a loro volta suddivise in categorie (codici a sei cifre); ogni categoria individua le diverse tipologie di rifiuti ed è riferita o a una sostanza specifica o a famiglie più ampie di rifiuti. Quelli pericolosi sono contrassegnati da un asterisco (*) posto alla fine dei sei numeri del codice, e sono stati considerati tali in base alle proprietà chimico-fisiche note e al processo produttivo che li ha generati.
In tabella 1.3 è riportato l’elenco delle sezioni in cui è suddiviso il CER (prime due cifre del codice):
Tabella 1.3 – Sezioni in cui è suddiviso il CER (allegato A del decreto Ronchi)
01 Rifiuti derivanti da prospezione, estrazione da miniera o cava, nonché dal trattamento chimico di minerali 02 Rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquicoltura, selvicoltura, caccia e pesca, trattamento e
preparazione da alimenti
03 Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di panelli, mobili, polpa, carta e cartone 04 Rifiuti della lavorazione di pelli e pellicce e dell’industria tessile
05 Rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone 06 Rifiuti dei processi chimici inorganici
07 Rifiuti dei processi chimici organici
08 Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso do rivestimenti (pitture, vernici e smalti vetrati), adesivi, sigillati e inchiostri per stampa
09 Rifiuti dell’industria fotografica 10 Rifiuti provenienti dai processi termici
11 Rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale a da rivestimento di metalli ed altri materiali; idrometallurgia non ferrosa
12 Rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e plastica 13 Oli esauriti e residui di combustibili liquidi (tranne oli commestibili 05 e 12)
14 Solventi organici, refrigeranti e propellenti di scarto (tranne le voci 07 e 08)
15 Rifiuti di imballaggio, assorbenti,stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi (non specificati altrimenti) 16 Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco
17 Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti contaminanti) 18 Rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate (tranne rifiuti di cucina e di
ristorazione che non derivino direttamente da trattamento terapeutico
19 Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione di uso industriale
20 Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata
1.2. DISCARICHE PER RIFIUTI 1.2.1. Inquadramento legislativo
Come precedentemente descritto, le strategie europee di gestione dei rifiuti hanno definito una gerarchia di priorità in quest’ordine:
• riduzione;
• riciclaggio di materia;
• recupero energetico;
• minimizzazione dello smaltimento.
La direttiva 442/75/CE non definisce in modo chiaro le priorità tra riciclaggio e recupero energetico; l’articolo 3 impone infatti agli stati membri di promuovere “prevenzione, riciclaggio, e trattamento del rifiuto al fine di ottenere materia ed energia”, tale formulazione sembrerebbe non dare alcuna preferenza al riciclaggio sul recupero energetico. Le risoluzioni successive, in modo esplicito, hanno invece dato priorità alla raccolta differenziata volta al riciclaggio rispetto al recupero energetico, che va adottato per i materiali non riciclabili, ed entrambe tali azioni devono essere privilegiate rispetto allo smaltimento in discarica.
Ciò nonostante in molti paesi europei la discarica resta largamente utilizzata; tale metodo prevede lo stoccaggio definitivo dei rifiuti per strati sovrapposti, allo scopo di facilitare la fermentazione della materia organica.
La direttiva 99/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti, prevede dei rigidi requisiti tecnico-operativi al fine di prevenire o ridurre al minimo gli impatti negativi sull’ambiente generati sia durante il periodo di attività che in fase di post-chiusura. Il principale
obiettivo che si pone la direttiva è la progressiva riduzione della quantità di rifiuti biodegradabili conferiti in discarica:
• entro il 2004, al 75% in peso del totale prodotto nel 1995;
• entro il 2007, al 50% in peso del totale prodotto nel 1995;
• entro il 2014, al 35% in peso del totale prodotto nel 1995.
Entro due anni dal recepimento della direttiva stessa gli stati membri sono tenuti ad elaborare specifiche strategie finalizzate a tali obiettivi e incentrate sul riciclaggio, sul trattamento biologico e sul recupero di materia e di energia. Un ulteriore elemento di rilievo introdotto da questa norma è l’obbligo che i rifiuti siano sottoposti a trattamento (anche semplice selezione) prima dello smaltimento in discarica, ciò allo scopo di ridurne il volume e la pericolosità.
Il decreto specifica altresì i requisiti generali validi per tutte le categorie di discariche (allegato 1), le procedure di ammissione dei rifiuti (allegato 2) e le procedure di sorveglianza e controllo nelle fasi operativa e post-operativa (allegato 3).
Il Governo Italiano ha recepito le disposizioni europee con il decreto legislativo 36/2003, la cui entrata in vigore ha rappresentato un completamento delle novità introdotte dal decreto Ronchi. Anche questo decreto è infatti orientato alla riduzione della quantità di rifiuti destinati alle discariche e stabilisce nuovi requisiti tecnico-operativi per le discariche al fine prevenire e ridurre al minimo le ripercussioni negative sull'ambiente, con particolare attenzione all'inquinamento delle acque superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell'atmosfera, nonché ai possibili rischi per la salute umana.
In merito all’aspetto della riduzione quantitativa dei rifiuti conferibili in discarica ed alla loro composizione fisica è ribadita la necessità dell’iter di selezione-cernita e inertizzazione. Riguardo invece alla frazione biodegradabile dei rifiuti urbani conferiti in discarica, il decreto fissa obiettivi specifici di progressiva riduzione da raggiungersi a livello di ogni ATO:
• entro il 2008, inferiore a 173 kg/anno per abitante;
• entro il 2011, inferiore a 115 kg/anno per abitante;
• entro il 2018, inferiore a 81 kg/anno per abitante.
La discarica viene definita come “un’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno”.
In precedenza, gli impianti di discarica venivano classificati in base a quanto stabilito dalla deliberazione interministeriale del 27 luglio 1984, che prevedeva una distinzione delle discariche in tre categorie sulla base della classificazione dei rifiuti previsti dal DPR 915/1982, come riportato in tabella 1.4:
Tabella 1.4 – Classificazione delle discariche (deliberazione interministeriale del 27 luglio 1984) CATEGORIA
DISCARICA TIPOLOGIE DI RIFIUTI CONFERIBILI
I Rifiuti urbani (RSU) e tutti i rifiuti che ad essi possono essere assimilati (RSAU)
II
• tipo A: rifiuti speciali inerti quali vetri, ceramiche cotte, rifiuti da costruzione e smaltimento, ecc.
• tipo B: rifiuti speciali prevalentemente non pericolosi a basso rilascio di sostanze inquinanti
• tipo C: rifiuti speciali,prevalentemente pericolosi, a maggior rilascio di sostanze inquinanti
III Rifiuti particolarmente pericolosi per l’alta concentrazione di determinate sostanze
inquinanti
Il decreto 36/2003 modifica tali categorie adeguandosi alla classificazione proposta a livello europeo, distingue quindi:
• discarica per rifiuti inerti;
• discarica per rifiuti non pericolosi;
• discarica per rifiuti pericolosi.
Rientrano tra i rifiuti inerti i materiali solidi che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa.
1.2.2. Criteri di ammissibilità
Secondo il decreto 36/2003 non tutti i rifiuti sono ammessi in discarica, in particolare:
• i rifiuti allo stato liquido;
• i rifiuti classificati come Esplosivi (H1), Comburenti (H2) e Infiammabili (A e
H3-B), ai sensi dell'allegato 1 al decreto legislativo 22/1997;
• i rifiuti che contengono una o più sostanze corrosive, classificate come R35 in concentrazione totale maggiore o uguale a 1%;
• i rifiuti che contengono una o più sostanze corrosive, classificate come R34 in concentrazione totale >5%;
• i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, categoria di rischio H9 ai sensi dell'allegato 1 del decreto legislativo 22/1997 ed ai sensi del decreto del Ministro dell'ambiente 219/2000;
• i rifiuti che rientrano nella categoria 14 dell'allegato G1 del decreto legislativo 22/1997;
• i rifiuti della produzione di principi attivi per biocidi, come definiti ai sensi del decreto legislativo 174/2000, e per prodotti fitosanitari come definiti dal decreto legislativo 194/1995;
• materiale specifico a rischio di cui al decreto del Ministro della sanità in data 29 settembre 2000, e successive modificazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 263 del 10 novembre 2000, e materiali ad alto rischio disciplinati dal decreto legislativo 508/1992, comprese le proteine animali e i grassi fusi da essi derivati;
• i rifiuti che contengono o sono contaminati da PCB come definiti dal decreto legislativo 209/1999, in quantità superiore a 50 ppm;
• i rifiuti che contengono o sono contaminati da diossine e furani in quantità superiore
• i rifiuti che contengono fluidi refrigeranti costituiti da CFC e HCFC, o rifiuti contaminati da CFC e HCFC in quantità superiore al 0,5% in peso riferito al materiale di supporto;
• i rifiuti che contengono sostanze chimiche non identificate o nuove provenienti da attività di ricerca, di sviluppo o di insegnamento, i cui effetti sull'uomo e sull'ambiente non siano noti;
• pneumatici interi fuori uso a partire dal 16 luglio 2003, esclusi i pneumatici usati come materiale di ingegneria ed i pneumatici fuori uso triturati a partire da tre anni da tale data, esclusi in entrambi i casi quelli per biciclette e quelli con un diametro esterno superiore a 1400 mm;
• i rifiuti con PCI (potere calorifico inferiore) > 13.000 kJ/kg a partire dal 1 gennaio 2009.
Il decreto vieta peraltro di diluire o miscelare rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità sopra descritti.
I rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento, tranne che:
• i rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile;
• i rifiuti il cui trattamento non contribuisca al raggiungimento delle finalità del decreto, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non risulti indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa.
Nelle discariche per rifiuti inerti possono essere ammessi esclusivamente i rifiuti inerti che soddisfano i criteri di legge, nelle discariche per i rifiuti non pericolosi possono essere ammessi i seguenti rifiuti:
• rifiuti urbani;
• rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine che soddisfano i criteri di ammissione dei rifiuti previsti dalla normativa;
• rifiuti pericolosi stabili e non reattivi che soddisfano i criteri di ammissione precedentemente descritti.
Nelle discariche per rifiuti pericolosi possono invece essere ammessi solo rifiuti pericolosi che soddisfano i criteri fissati dalla normativa.
Le disposizioni appena descritte costituiscono solo una direttiva generale per definire le tipologie di rifiuti ammissibili in discarica, la definizione puntuale dei parametri di ammissibilità è demandata a successivi decreti attuativi.
Il primo di tali decreti è stato il DM 13/2003, dove si fa riferimento al criterio dell’eluibilità da parte del rifiuto di sostanze potenzialmente pericolose, esso tuttavia non è mai entrato in vigore perché il periodo transitorio è stato più volte prorogato e nel frattempo è stato sostituito dal decreto del 3 agosto 2005. Quest’ultimo rappresenta quindi l’attuale punto di riferimento per la definizione della destinazione finale dei rifiuti in base alle tipologie di discariche e, a meno di ulteriori proroghe, sarà operativo dal 1 gennaio 2008.
Tra le novità più rilevanti apportate dal decreto va sottolineata l’introduzione di nuovi parametri, sistemi di analisi e limiti di concentrazione diversi in funzione delle diverse categorie di discariche. Il campionamento e le determinazioni analitiche devono essere effettuate presso laboratori indipendenti e da personale qualificato; deve essere inoltre assicurato un efficace sistema di controllo della qualità. Il decreto introduce tecniche statistiche elaborate per l’effettuazione del campionamento, e sostituisce il test di cessione (e la conseguente analisi degli eluati) in acido acetico con un nuovo test,
effettuato in acqua, che implica una diversa metodologia di preparazione del campione e modalità diverse di esecuzione, introduce inoltre la valutazione di nuovi parametri. Per ogni tipo di impianto previsto vengono definiti i parametri di accettabilità dei rifiuti; di seguito viene riportato integralmente quanto previsto per le discariche per rifiuti non pericolosi, dove è consentito lo smaltimento, senza caratterizzazione analitica, dei seguenti rifiuti:
• i rifiuti urbani di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 36/2003, classificanti come non pericolosi nel capitolo 20 dell’elenco europeo dei rifiuti, le frazioni non pericolose dei rifiuti domestici raccolti separatamente e i rifiuti non pericolosi assimilati per qualità e quantità ai rifiuti urbani;
• i rifiuti non pericolosi individuati in linea positiva definita con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e della salute, sentito il parere della conferenza Stato–Regioni. I rifiuti sono ammessi in questa tipologia di discarica se risultano conformi a quanto previsto dall’ articolo 7 del decreto legislativo 36/2003; non sono ammessi se risultano contaminati a un livello tale che il rischio associato al rifiuto giustifica il loro smaltimento in altri impianti. Detti rifiuti non possono essere ammessi in aree in cui sono ammessi rifiuti pericolosi stabili e non reattivi.
In queste discariche sono smaltiti rifiuti non pericolosi che hanno una concentrazione di sostanza secca non inferiore al 25% e che sottoposti a test di cessione presentano un eluato conforme alle concentrazioni fissate in tabella (tabella 1.5):
Tabella 1.5 – Lmiti di concentrazione dell’eluato (discarica per rifiuti non pericolosi)
COMPONENTE L/S=10 l/kg mg/l COMPONENTE L/S=10 l/kg mg/l COMPONENTE L/S=10 l/kg mg/l
As 0,2 Pb 1 Solv. org. azotati (*) 0,2
Ba 10 Sb 0,07 Solv. org. non fosforati
(*)
2
Cd 0,02 Se 0,05 Pesticidi tot. non
fosforati (*)
0,05 Cr totale 1 Zn 5 Pesticidi totali fosforiti
(*)
0,1
Cu 5 Cloruri 1500 Solfati 2000
Hg 0,005 Floruri 15 DOC (**) 80
Mo 1 Cianuri 0,5
Ni 1 Solv. org. aromatici (*) 0,4 TDS (***) 6000
(*) le analisi di tali parametri sono disposte dall’autorità territorialmente competente esclusivamente qualora la provenienza del rifiuto possa determinare il fondato sospetto di un eventuale superamento dei limiti.
(**) nel caso in cui i rifiuti non rispettino i valori riportati per il DOC al proprio valore di pH, possono essere sottoposti ai test con una proporzione L/S = 10 l/kg e con un pH compreso tra 7,5 e 8. I rifiuti possono essere considerati conformi ai criteri di ammissibilità per il carbonio organico disciolto se il risultato della prova non supera 80 mg/l.
(***) è possibile servirsi dei valori per il TDS (solidi disciolti totali) in alternativa ai valori per il solfato e per il cloruro.
Inoltre possono essere smaltiti rifiuti pericolosi stabili non reattivi (ad esempio, sottoposti a processo di solidificazione/ stabilizzazione, vetrificati) che:
-sottoposti al test di cessione presentano un eluato conforme alle concentrazioni fissate in tabella
-hanno una concentrazione in carbonio organico totale (TOC) non superiore al 5 % con riferimento a sostanze organiche chimicamente attive, in grado di interferire con l’ambiente, con esclusione, quindi di resine e polimeri od altri composti non biodegradabili
-hanno il pH non inferiore a 6 e le concentrazione di sostanza secca non inferiore al 25 %; tali rifiuti non devono essere smaltiti in aree destinate ai rifiuti non pericolosi biodegradabili.
In discarica per rifiuti non pericolosi è vietato il conferimento di rifiuti che:
• contengono PCB come definiti dal decreto legislativo 209/1999, in concentrazione superiore a 10 mg/kg;
• contengono diossine o furani calcolati secondo i fattori di equivalenza, con
concentrazioni superiori a 0,002 mg/kg;
• contengono le sostanze cancerogene previste dalla tabella 1, allegato 1 dei DM 471/1999, in concentrazioni superiori a 1/10 delle rispettive concentrazioni limite. Possono inoltre essere smaltiti in discarica per rifiuti non pericolosi i seguenti rifiuti:
• i rifiuti costituiti da fibre minerali artificiali, indipendentemente dalla loro classificazione come pericolosi o non pericolosi. Il deposito dei rifiuti contenenti fibre minerali artificiali deve avvenire direttamente all’interno della discarica in celle appositamente ed esclusivamente dedicate ed effettuato i modo tale da evitare la frantumazione dei materiali;
• i materiali non pericolosi a base di gesso, tali rifiuti non devono essere depositati in aree destinate ai rifiuti non pericolosi biodegradabili;
• i materiali edili contenenti amianto legato in matrici cementizie o resinoidi in conformità con l’art. 7, comma 3, lettera c) del decreto legislativo 36/2003, senza essere sottoposti a prove.
Nel rispetto dei principi stabiliti dal decreto legislativo 36/2003, le autorità territorialmente competenti possono autorizzare, anche per settori confinanti, le seguenti sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi:
• discariche per rifiuti inorganici a basso contenuto organico o biodegradabile;
• discariche per rifiuti in gran parte organici da suddividersi in discariche considerate bireattori con recupero di biogas e discariche con rifiuti organici protrattati;
• discariche per rifiuti misti non pericolosi con elevato contenuto sia di rifiuti organici o biodegradabili che di rifiuti inorganici, con recupero di biogas.
I criteri di ammissibilità per le sottocategorie di discariche vengono individuati dalle autorità territorialmente competenti in sede di rilascio dell’autorizzazione.
I criteri sono stabiliti, caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche dei rifiuti, della valutazione del rischio con riguardo alle emissioni della discarica e dell’idoneità del sito e prevenendo deroghe per specifici parametri. Le autorità territorialmente competenti possono, altresì, autorizzare monodiscariche per rifiuti non pericolosi derivanti da operazioni di messa in sicurezza d’emergenza e da operazioni di bonifica dei siti inquinati ai sensi del decreto del DM 471/1999.
1.2.3. Procedure di ammissione
Il decreto legislativo 36/2003 stabilisce che per la collocazione dei rifiuti in discarica il produttore è tenuto a fornire indicazioni sulla loro composizione, sulla capacità di produrre percolato, sul comportamento a lungo termine e sulle caratteristiche generali. D’altra parte il gestore dell’impianto deve:
• caratterizzare il rifiuto in ingresso mediante la raccolta di tutte le informazioni necessarie ad effettuarne lo smaltimento in condizioni di sicurezza;
• controllare ad ogni conferimento la documentazione relativa ai rifiuto, compreso il formulario di identificazione;
• verificare la conformità di ogni carico alle caratteristiche riportate nel formulario di identificazione mediante ispezione visiva dei rifiuti prima e dopo lo scarico;
• effettuare periodicamente verifiche analitiche della conformità del rifiuto conferito ai criteri di ammissibilità;
• tenere il registro di carico e scarico;
• sottoscrivere le copie del formulario di identificazione.
1.2.4. Criteri costruttivi e gestionali
Conformemente a quanto previsto dalla direttiva 99/31/CE il decreto legislativo 36/2003, all’allegato 1, definisce i requisiti generali, per le diverse tipologie di discarica, riguardanti i criteri di ubicazione, le modalità di protezione delle matrici ambientali, le misure di mitigazione dei disturbi e dei rischi connessi alla gestione dell’impianto, la dotazione di attrezzature e personale, le modalità e i criteri di coltivazione. Il decreto fissa inoltre specifici criteri da seguire nella gestione del percolato e del biogas prodotti dalla fermentazione della frazione organica dei rifiuti.
Il primo passo verso la realizzazione di una discarica è l’ubicazione, la discarica deve entrare a far parte del disegno complessivo dell’area ove è sita mediante una corretta pianificazione territoriale, integrandosi completamente nel territorio, sia in fase di esercizio che di post-esercizio. La scelta del sito deve avvenire tra le diverse ipotesi individuate dal piano territoriale di coordinamento e dal piano di gestione dei rifiuti, risultanti dalla fase di pianificazione gestita dalle Province. Per quanto riguarda in particolare le discariche per rifiuti non pericolosi, la localizzazione non si può effettuare, oltre che nelle aree di rispetto e sottoposte a tutela, anche:
• in aree interessate da fenomeni quali faglie attive, aree a rischio sismico e in aree interessate da attività vulcanica;
• in corrispondenza di doline, inghiottitoi o altre forme di carsismo superficiale;
• in aree dove processi geologici superficiali quali l’erosione accelerata, le frane, l’instabilità dei pendii, le migrazioni degli alvei fluviali potrebbero compromettere l’integrità della discarica;
• in aree soggette ad attività idrotermale;
• in aree esondabili, instabili e alluvionabili.
Inoltre per ciascun sito devono essere valutate le condizioni locali di accettabilità, quali:
• la distanza dai centri abitati;
• la collocazione in aree di produzione di prodotti agricoli e alimentari definiti a indicazione geografica tipica o a denominazione di origine controllata;
• la presenza di beni storici, artistici e archeologici.
Nella gestione di una discarica è di fondamentale importanza adottare tutte le misure atte a ridurre il flusso incontrollato di contaminanti verso l’ambiente, come rappresentato nello schema riportato in figura 1.2 (tratto dagli atti del seminario “chiusura e post-chiusura delle discariche controllate”, Castelfranco Veneto, 24-25 sett. 1998).
Figura 1.2 – Flussi in entrata e in uscita in una discarica
E’ necessario quindi evitare la contaminazione del suolo e delle acque, sia superficiali che sotterranee, isolando il corpo della discarica dall’ambiente circostante; la protezione dei vari comparti ambientali va quindi garantita attraverso la combinazione:
• di un sistema per la regimazione delle acque di ruscellamento superficiale, al fine di
minimizzare le infiltrazioni di acqua meteorica all’interno del corpo rifiuti e di conseguenza la produzione di percolato;
• della barriera geologica, ovvero la formazione geologica naturale che costituisce il substrato della discarica; nel caso di discarica per rifiuti non pericolosi deve avere spessore di almeno 1 m e coefficiente di permeabilità idraulica minore di 10-9 m/s (qualora non soddisfi tali requisiti può essere completata artificialmente per garantire una protezione equivalente);
• del sistema di impermeabilizzazione, realizzato mediante il rivestimento del fondo e
delle pareti della discarica con geomembrane artificiali aventi caratteristiche idonee a resistere alle sollecitazioni meccaniche e chimiche presenti; queste vengono solitamente accoppiate a materiale minerale compattato, dello spessore di almeno 1 m e conducibilità idraulica minore di 10-9 m/s, depositato per strati compattati di 20 cm. Tale barriera va posta al di sopra del tetto dell’acquifero sottostante, di almeno 1,5 m nel caso di falda confinata e di almeno 2 m nel caso di falda freatica;
• del sistema di drenaggio del percolato realizzato sul fondo della discarica, al di sopra del telo di impermeabilizzazione, mediante la posa in opera di uno spessore di almeno 0,5 m di materiale ghiaioso drenante (il fondo vasca deve avere una pendenza tale da favorire il deflusso del percolato verso i sistemi di raccolta).
Il percolato e le acque di discarica devono essere captati, raccolti e smaltiti per tutto il tempo di vita della discarica, secondo quanto stabilito nell’autorizzazione, e comunque per un tempo non inferiore a 30 anni dalla data di chiusura definitiva dell’impianto. Inoltre, in fase post-operativa, la realizzazione della copertura superficiale finale permetterà l’isolamento dei rifiuti, la minimizzazione delle infiltrazioni di acqua e dei fenomeni di erosione e la resistenza agli assestamenti del corpo rifiuti. Tale copertura è una struttura multistrato costituita, procedendo dal basso verso l’alto, da:
• uno strato di regolarizzazione, con la funzione di permettere la corretta posa in opera degli strati sovrastanti,
• uno strato di drenaggio superficiale del biogas, dello spessore di almeno 0,5 m;
ACCUMULO RIFIUTI PERCOLATO BIOGAS ACQUA (pioggia,infiltrazioni) EMISSIONI NELL’AMBIENTE ARIA RIFIUTI BARRIERE
• uno strato minerale compattato, dello spessore di almeno 0,5 m e conducibilità idraulica maggiore di 10-8 m/s, con la funzione di barriere di sconfinamento;
• uno strato di drenaggio delle acque di infiltrazione, in grado di impedire la formazione di un battente idraulico sopra le barriere sottostanti, dello spessore pari ad almeno 0,5 m;
• uno strato superficiale di copertura, dello spessore di almeno 1 m, che favorisca lo
sviluppo di specie vegetali ai fini del ripristino ambientale e che protegga dall’erosione.
Il decreto impone peraltro la realizzazione di impianti per il trattamento e per il recupero energetico del biogas prodotto; la sua componente principale è infatti il metano, che può essere sfruttato per la produzione di energia. Il metano è uno dei principali gas serra, va quindi evitata la sua dispersione in atmosfera.
Per minimizzare l’impatto dell’attività di discarica sull’ambiente, il gestore è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie a ridurre al minimo i disturbi e i rischi causati da:
• emissione di odori;
• produzione di polveri;
• formazione di aerosol;
• trasportato eolico dei materiali;
• rumore;
• traffico;
• uccelli, parassiti e insetti;
• incendi.
Durante la fase di coltivazione della discarica i rifiuti devono essere deposti in strati sovrapposti, di spessore preferibilmente inferiore a 2,5 m, compattati con mezzi
meccanici al fine di ottenere una densità di circa 0,7-0,8 t/m3. Una buona
compattazione permette infatti di limitare i fenomeni di instabilità legati agli assestamenti del corpo rifiuti nonché le infiltrazioni di acqua.
Quotidianamente occorre ricoprire i rifiuti con uno strato di materiale inerte (naturale o sintetico) di almeno 15 cm e caratteristiche tali da evitare la dispersione eolica, l’emissione di odori e l’accesso di animali.
Nello schema a blocchi riportato in figura 1.3 è riassunto l’intero ciclo di vita di una discarica:
Figura 1.3 – Schema a blocchi del ciclo di vita di una discarica Scarico rifiuti Progettazione discarica Preparazione lotto Coltivazione rifiuti Recupero del sito BIOGAS PERCOLATO Aspirazione Raccolta e stoccaggio Trattamento Combustione Trattamento e cogenerazione Gestione post-chiusura
All’allegato 2, il decreto 36/2003 specifica che l’autorizzazione all’esercizio della discarica deve contenere una descrizione dettagliata delle fasi di gestione operativa, post-operativa e di ripristino ambientale nonché delle misure di sorveglianza e controllo adottate.
Il piano di gestione operativa, in particolare, descrive le procedure necessarie a garantire che le attività svolte in discarica siano conformi alle prescrizioni di legge, identifica quindi:
• le operazioni di conferimento (modalità, tipo di automezzi impiegati, sistemi per il contenimento delle emissioni);
• le procedure di accettazione dei rifiuti;
• le modalità di coltivazione delle singole celle;
• le procedure di chiusura;
• il piano di intervento in situazioni straordinarie.
Il piano di gestione post-operativa individua invece le attività che devono essere poste in essere durante tale fase al fine di garantire i requisiti di sicurezza ambientale previsti, in particolare fa riferimento:
• alla manutenzione delle varie opere;
• alla rete di raccolta e smaltimento del percolato e delle acque meteoriche;
• alla rete di captazione e combustione del biogas;
• alla copertura superficiale definitiva;
• ai pozzi per il campionamento delle acque sotterranee;
• alla viabilità interna ed esterna.
Il piano di ripristino ambientale definisce gli interventi finalizzati al recupero dell’area al momento della chiusura della discarica, questi devono prevedere i fenomeni di assestamento del corpo rifiuti e permettere il monitoraggio delle matrici ambientali e delle emissioni; tra i contenuti essenziali del piano rientrano:
• la caratterizzazione completa del sito;
• tempi e modalità del recupero ambientale.
Infine, il piano di sorveglianza e controllo, relativo alle fasi di realizzazione, gestione e post-chiusura, definisce: le matrici ambientali e i parametri da analizzare, i criteri e i metodi di prelievo, trasporto e analisi dei campioni, la frequenza dei monitoraggi e le modalità di presentazione dei risultati. I prelievi e le analisi devono essere effettuati da laboratori competenti, preferibilmente indipendenti, secondo le metodiche ufficiali.
In particolare devono essere monitorati i seguenti aspetti (riassunti in tabella 1.7):
• le acque sotterranee; a tal fine è necessario realizzare dei pozzi di monitoraggio rappresentativi, di cui almeno uno posto idraulicamente a monte della discarica e due a valle. Il piano di monitoraggio deve comprendere almeno i parametri fondamentali, contrassegnati dall’asterisco, e una volta l'anno tutti i parametri riportati in tabella 1.6; il livello di controllo dipende dalle variazioni locali della qualità delle acque freatiche;
Tabella 1.6 – Parametri per il monitoraggio delle acque sotterranee
*pH *Temperatura *Conducibilità elettrica
*Ossidabilità Kübel BOD5 TOC Ca, Na, K *Cloruri *Solfati Fluoruri IPA *Metalli: Fe, Mn, As, Cu,
Cd, Cr totale, Cr VI, Hg, Ni, Pb, Mg, Zn Cianuri *Azoto ammoniacale, nitroso e nitrico Comp. organoalogenati (compreso cloruro di vinile)
Fenoli Pesticidi fosforati e totali Solv. org. aromatici
Solv. org. azotati Solv. clorurati
• le acque meteoriche di ruscellamento; il piano di monitoraggio dovrà individuare i parametri e la frequenza delle analisi in situazioni di particolare vulnerabilità ambientale;
• il percolato e le acque superficiali; anche in questo caso i campioni devono essere
prelevati in punti rappresentativi e per le acque superficiali il campionamento deve essere fatto in almeno due punti, di cui uno a monte e uno a valle della discarica. I parametri da analizzare variano a seconda della tipologia dei rifiuti depositati in discarica;
• le emissioni gassose e la qualità dell'aria; a tal proposito il piano definisce i livelli di guardia relativi alla presenza di biogas all'esterno della discarica, anche nel suolo e nel sottosuolo, e un piano d'intervento in caso di superamento degli stessi. Le concentrazioni di CH4, CO2 e O2 vanno monitorate mensilmente, mentre altri parametri quali H2, H2S, polveri totali, NH3, mercaptani e composti volatili, in relazione alla composizione dei rifiuti. Il numero e l'ubicazione dei punti di campionamento dipendono dalla topografia dell'area, è comunque opportuno identificare almeno due punti di prelievo lungo la direttrice principale del vento dominante nel momento del campionamento, a monte e a valle della discarica;
• i parametri meteoclimatici; mediante l’installazione in discarica di una centralina per la rilevazione di tali dati;
• la morfologia della discarica; mediante rilevazioni topografiche almeno semestrali che tengano conto della riduzione di volume dovuta all'assestamento dei rifiuti e alla loro trasformazione in biogas.
Tabella 1.7 – Monitoraggi ambientali (decreto legislativo 36/2003) COMPARTO AMBIENTALE PARAMETRO FREQ. GEST. OPERATIVA FREQ.GEST. POST-OPERATIVA
Livello di falda mensile semestrale
acque sotterranee
Composizione trimestrale semestrale
Volume mensile semestrale
percolato
Composizione trimestrale semestrale
acque di drenaggio
sup. Composizione trimestrale semestrale
qualità dell’aria Immissioni gassose potenziali e
pressione atmosferica mensile semestrale
gas di discarica Composizione mensile semestrale
Precipitazioni giornaliera giornaliera sommata ai valori mensili
Temperatura (min, max, 14 h
CET) giornaliera media mensile
Direzione e velocità del vento giornaliera non richiesta
Evaporazione giornaliera giornaliera sommati ai valori mensili
dati meteoclimatici
Umidità atmosferica (14 h CET) giornaliera media mensile Struttura e composizione
discarica annualmente non richiesta
topografia
dell’area Comportamento d’assestamento
del corpo della discarica semestrale
semestrale per i primi 3 anni quindi annuale
1.2.5. Il percolato
Una delle maggiori cause di impatto ambientale degli impianti di interramento controllato di rifiuti è la produzione di percolato, prodotto in seguito ai processi di infiltrazione e lisciviazione che avvengono all’interno dell’ammasso di rifiuti stoccati. L’acqua di origine meteorica si carica così di un numero estremamente vario di sostanze organiche ed inorganiche trasformandosi in un refluo, la cui composizione varia in funzione dei rifiuti stoccati, caratterizzato principalmente da:
• combinazioni di composti organici;
• azoto ammoniacale in elevate concentrazioni;
• elevati valori di COD;
• forti concentrazioni saline;
• presenza di metalli pesanti.
Il processo che porta alla formazione del percolato è la biostabilizzazione della frazione organica dei rifiuti da parte di batteri, aerobici e anaerobici, che si sviluppano con una velocità di reazione che è funzione delle condizioni ambientali presenti in discarica (temperatura, umidità, pH, concentrazione di nutrienti). Tale processo è sintetizzabile in quattro stadi:
1. Stadio aerobico, durante il quale avvengono le trasformazioni riportate nello
schema in figura 1.4, che portano principalmente alla riduzione delle dimensioni delle molecole organiche:
Figura 1.4 – Stadio aerobico
2. Stadio anaerobico non metanigeno; inizia quando tutto l’ossigeno è stato
consumato e avviene ad opera di diverse popolazioni batteriche, ciascuna delle quali ossida parzialmente una determinata classe di composti (figura 1.5):
ANIDRIDE CARBONICA, ACQUA, NITRATI, SOLFATI PROTEINE AMMINOACIDI CARBOIDRATI ANIDRIDE CARBONICA, ACQUA GRASSI (solidi) ACIDI GRASSI, GLICEROLO (liquidi) CELLULOSA GLUCOSIO Reazione di idrolisi: (C6H10O5)n + H2O n C6H12O6 raggiungimento di T elevate (60-70°C); aumento PCO2 diminuzione pH. CARATTERISTICHE DEL PERCOLATO:
bassa produzione;
pH leggermente acido;
Figura 1.5 – Stadio anaerobico non metanigeno
3. Stadio anaerobico metanigeno instabile; in cui intervengono i batteri metanigeni che operano le trasformazioni riportate in figura 1.6:
Figura 1.6 – Stadio anaerobico metanigeno instabile
4. Stadio anaerobico metanigeno stabile, quando il processo di degradazione della materia organica raggiunge l’equilibrio e si ha una produzione costante di metano (45-65%) e anidride carbonica secondo le reazioni:
CH3COOH CH4 + CO2
4 H2 + CO2 CH4 + H2O NITRATI,
SOLFATI
fonte di O2
GLUCOSIO PROPIONICO, BUTIRRICO ACIDO ACETICO,
Reazione di acidogenesi: C6H12O6 CH3(CH2)2COOH + 2 H2 + 2 CO2 C6H12O6 + 2 H2 2 CH3CH2COOH + 2 H2O C6H12O6 + 2 H2O 2 CH3COOH + 4 H2 + 2 CO2 formazione di acidi; aumento PCO2 diminuzione pH. CARATTERISTICHE DEL PERCOLATO:
pH tra 5,5 e 6,5. SOSTANZA ORGANICA PARZIALMENTE DEGRADATA CH4, CO2 ACIDO ACETICO ACIDI GRASSI VOLATILI Reazione di acetogenesi: CH3(CH2)2COOH + 2 H2O 2 CH3COOH + 2 H2 CH3CH2COOH + 2 H2O CH3COOH + 3 H2 + CO2
consumo di acidi organici;
aumento PCH4
diminuzione PCO2.
CARATTERISTICHE DEL PERCOLATO:
diminuzione del COD;
aumento del pH fino alla neutralità;
La quantità di percolato prodotto dipenderà dalle precipitazioni e dall’evapotraspirazione; sono inoltre fattori importanti anche il grado di compattazione dei rifiuti, il materiale utilizzato per la copertura e la struttura stessa della discarica. Col procedere della biostabilizzazione si assiste ad una riduzione del carico organico del percolato e dei metalli pesanti in soluzione, che precipitano come idrossidi o carbonati a causa dell’aumento di pH. La qualità del percolato, dipendendo da fattori quali la tipologia dei rifiuti, l’età della discarica e il bilancio idrico, subisce quindi delle variazioni rilevanti da caso a caso e nel tempo (ad esempio, a seguito di precipitazioni intense si osserva una diminuzione della temperatura e della conducibilità elettrica del percolato prodotto). In tabella 1.8 vengono riportati gli intervalli di variabilità dei principali parametri chimico-fisici ottenuti dall’esame dei dati di letteratura di oltre 70 discariche di RSU in Europa e negli USA (Andreottola et al., 1989):
Tabella 1.8 – Intervalli di variabilità dei principali parametri chimico-fisici del percolato
PARAMETRO Udm min max PARAMETRO Udm min max
Alcalinità mg CaCO3/l 300 11500 Fenolo mg/l 0,04 44
AOX g Cl/l 320 3500 Ferro mg/l 0,4 2200
Arsenico g/l 5 1600 Fosfati mg/l 0,3 25
Azoto ammoniacale mg/l 1 1500 Fosforo tot mg/l 0,1 30 Azoto nitrico mg/l 0,1 50 Magnesio mg/l 50 1150 Azoto nitroso mg/l 0,1 25 Manganese mg/l 0,4 50 Azoto organico mg/l 1 2000 Mercurio g/l 0,2 170
Azoto tot mg/l 50 5000 Nichel g/l 20 2050
BOD 5 mg/l 100 90000 pH 5,3 8,5 Cadmio g/l 0,5 140 Piombo g/l 8 1020 Calcio mg/l 10 2500 Potassio mg/l 10 2500 Cianuri mg/l 0,04 90 Rame g/l 4 1400 Cloruri mg/l 30 4000 Sodio mg/l 50 4000 Cobalto g/l 4 950 Solfati mg/l 10 1200 COD mg/l 150 100000 Cromo g/l 30 1600 Zinco mg/l 0,05 170 1.2.6. Il biogas
La formazione di percolato e di biogas è contestuale, quest’ultimo è il prodotto finale della decomposizione anaerobica della cellulosa e delle proteine presenti nei rifiuti; come visto precedentemente, tali composti vengono inizialmente convertiti in zuccheri, poi in acido acetico ed infine in CH4 e in CO2. Il biogas è costituito da:
• metano per il 50 - 65%;
• anidride carbonica per il 30 – 45%;
• altro (O2, N2, H2O, H2S, NH3, mercaptani, organici in traccia) per il restante 5 – 10%.
Come si evince dal grafico riportato in figura 1.7, durante la fase aerobica del processo si sviluppa principalmente CO2, è inoltre elevato il contenuto di N2. La seconda fase è
caratterizzata da una forte diminuzione dell’ossigeno disponibile, si ha una grande
produzione di CO2 e, in misura minore di H2; in questa fase si assiste ad una notevole
riduzione del contenuto di N2, la cui concentrazione continua a diminuire anche durante
il terzo stadio, quando inizia la produzione di CH4 accompagnata dalla riduzione della
quantità di CO2. Nella quarta fase la produzione di biogas raggiunge condizioni
Figura 1.7 – Variazione della composizione del biogas durante il processo di biostabilizzazione dei rifiuti
La durata delle varie fasi dipende dalle condizioni ambientali presenti in discarica, tra cui: precipitazioni, pH, temperatura, composizione, pezzatura media e contenuto d’acqua dei rifiuti, presenza e distribuzione dei microrganismi, concentrazione dei nutrienti, caratteristiche del materiale di copertura, schema progettuale.
Il biogas ha un elevato potere calorifico inferiore (4000 – 5000 kcal/m3), è quindi possibile il recupero energetico dello stesso utilizzando turbine a gas, motori a combustione interna o sistemi per la cogenerazione di calore ed energia; tuttavia è necessario, prima della combustione, purificare il gas da vapore acqueo, CO2 e
componenti organici non metanici.
Quello del recupero energetico del biogas è un aspetto molto importante nell’ambito della gestione dei rifiuti, in quanto porta ad una maggiore sostenibilità della realizzazione di una discarica controllata.
1.3. BREF RELATIVO AGLI IMPIANTI DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI
Il documento di riferimento sulle BAT riguardante gli impianti per il trattamento dei rifiuti (elencati all’allegato 1, punto 5, della direttiva IPPC), è stato pubblicato nell’agosto 2006; esso delinea un quadro della situazione nel settore, in particolare analizza le varie attività implicate nel trattamento dei rifiuti e stima il livello di emissione/consumo ad esse legato.
In totale vengono analizzate 940 tecniche, suddivise in 6 gruppi:
• tecniche generiche per la gestione degli impianti;
• tecniche per il trattamento chimico-fisico;
• tecniche per il recupero di materiali;
• tecniche per la preparazione di combustibile dai rifiuti;
• tecniche “a valle” per l’abbattimento delle emissioni.
La tabella 1.9, tratta dal documento in questione, mostra per ogni tipologia di trattamento dei rifiuti identificata il numero di tecniche applicabili descritte, suddivise in quattro categorie: la prima comprende le tecniche per migliorare l’efficienza ambientale del trattamento stesso, le altre tre quelle per l’abbattimento delle emissioni in aria e in acqua e per il trattamento dei residui prodotti.
Tabella 1.9 – Tecniche descritte per ogni tipologia di trattamento dei rifiuti
Numero di tecniche applicabili Tipo di trattamento Trattamento dei rifiuti,
prevenzione e gestione Emissioni in aria Acque di rifiuto Residui solidi TOTALE Tecniche generiche 296 26 16 31 369 Trattamento biologico 41 58 3 4 106 Trattamentio fisico-chimico 133 17 4 6 160 Recupero di materiali 44 44 19 7 114 Preparazione di combustibile da rifiuti 39 16 0 0 55 Abattimento delle emissioni 57 57 Trattamento delle acque di rifiuto 52 52
Gestione dei residui 27 27
TOTALE 553 218 94 75 940
Da quanto riportato si osserva come più della metà delle tecniche appartengano alla prima categoria, le restanti sono invece principalmente impiegate per l’abbattimento delle emissioni in aria; dall’altro lato si può notare come più di un terzo delle tecniche venga considerato tra le tecniche comuni.
Il documento in oggetto è strutturato nel modo seguente:
• prefazione: il cui testo è uguale per tutti i BREF, descrive il contesto IPPC, la struttura del documento, il suo scopo e il suo utilizzo;
• informazioni generali: un primo capitolo fornisce una descrizione generale del settore del trattamento dei rifiuti;
• processi e tecniche utilizzate: nel secondo capitolo è riportata la descrizione delle tecniche impiegate tipicamente nel settore;
• attuali consumi/livelli di emissione: questa sezione (terzo capitolo) contiene
informazioni sugli attuali livelli di consumo di energia, materie prime e acqua come pure sulla produzione di rifiuti;
• tecniche da prendere in considerazione per la determinazione delle BAT: con
riferimento alla definizione riportata nella direttiva IPPC, nei capitoli 4 e 5 si prendono in considerazione tutte le tecniche attualmente disponibili per la prevenzione e la riduzione delle emissioni e dei rifiuti, come pure per la riduzione dei consumi di energia e di materie prime.