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GABRIELE BUBOLA 11. I CONTRATTI DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA A PROGETTO (E NON) E LE COSIDDETTE PARTITE IVA

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11.

I CONTRATTI DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA A PROGETTO (E NON)

E LE COSIDDETTE PARTITE IVA GABRIELE BUBOLA

SOMMARIO: 1. Il “nuovo” contratto di collaborazione coordinata e continuativa… sempre meno a progetto. – 1.1. Gli elementi costitutivi del contratto. – 1.2. La ripetitività e l’esecutività dei compiti. – 1.3. La proroga automatica dei progetti attinenti a ricerche scientifiche. – 1.4. L’esenzione dal requisito del progetto per le attività di servizi. – 1.5. I vincoli in tema di recesso e di risoluzione consensuale. – 2. Le “partite IVA”: nessuna novità? – 3. Nota bibliografica.

Decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76

convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 Articolo 7, comma 2

(Modifiche alla disciplina introdotta dalla legge 28 giugno 2012, n. 92) [omissis]

c) all’articolo 61, comma 1, le parole: «esecutivi o ripetitivi» sono sostituite dalle seguenti: «esecutivi e ripetitivi»;

c-bis) all’articolo 61, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Se il contratto ha per oggetto un’attività di ricerca scientifica e questa

viene ampliata per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue au-tomaticamente»;

d) all’articolo 62 sono eliminate le seguenti parole: “, ai fini della prova”;

all’articolo 62, comma 1, alinea, le parole: «ai fini della prova» sono soppresse»;

[omissis]

2-bis. L’espressione «vendita diretta di beni e di servizi», contenuta nell’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso di ricomprendere sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi.

(2)

Articolo 7, comma 5

(Modifiche alla disciplina introdotta dalla legge 28 giugno 2012, n. 92) [omissis]

d) all’articolo 4:

1) dopo il comma 23, è inserito il seguente: «23-bis. Le disposizioni di cui ai commi da 16 a 23 trovano applicazione, in quanto compatibili, anche alle lavora-trici e ai lavoratori impegnati con contratti di collaborazione coordinata e conti-nuativa, anche a progetto, di cui all’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e con contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 2549, secondo comma, del codice civile»;

[omissis]

1. Il “nuovo” contratto di collaborazione coordinata e continuativa… sempre meno a progetto

Ancora una volta il contratto a progetto finisce sotto la lente di ingrandi-mento del legislatore.

Ormai dimenticato l’intervento sulle collaborazioni a progetto ricollegate, direttamente o indirettamente, all’Expo 2015, il Governo prima ed il Parla-mento poi, in sede di conversione del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, confermano la tendenza, già in atto fin dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. riforma Fornero), ad un “interventismo” in tema di collaborazioni a progetto, il cui risultato appare prima facie difficilmente decifrabile, considerato che au-mentano le restrizioni formali ma, d’altra parte, si ampliano di pari passo an-che le ipotesi di esclusione dal campo di applicazione di uno o più norme in materia.

Di seguito i profili degni di attenzione, anche tenuto conto della interpreta-zione fornita dal Ministero del lavoro per mezzo della circolare 29 agosto 2013, n. 35.

1.1. Gli elementi costitutivi del contratto

Con un primo intervento, non modificato nella sostanza in sede di conver-sione in legge del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (1), all’articolo 62 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 27, viene eliminata la specifica della norma in base alla quale gli elementi fondamentali del contratto a progetto

(1) Cfr. l’art. 7, comma 2, lett. d, del d.l. n. 76/2013. Nella versione originaria del decreto la

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(progetto, durata, corrispettivo e coordinamento) devono essere esplicitati «ai fini della prova».

Tale abrogazione sembrerebbe, tutto sommato, in linea con l’interpretazione autentica fornita dalla riforma Fornero in ordine alla assolu-tezza della presunzione di subordinazione per mancanza di progetto sancita all’interno dell’articolo 69, comma 1, decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

A ben vedere, però, la modifica operata impatta sulla considerazione circa la mancanza degli elementi costitutivi del contratto a progetto, esplicitati nel summenzionato articolo 62, quali la durata (determinata o determinabile), il progetto ed il connesso risultato finale, la disciplina sul corrispettivo e sul co-ordinamento.

La precedente formulazione, ricollegando la presenza di tali elementi nel documento contrattuale ai fini della prova, comportava, sostanzialmente, l’applicazione dell’articolo 2725 del codice civile, a mente del quale la prova deve essere fornita per iscritto, mentre la prova testimoniale è ammessa uni-camente nel caso di perdita senza colpa del documento fornente la prova (2).

Quali conseguenze determina, quindi, l’eliminazione dell’inciso? Non sembra potersi negare come tale abrogazione determini un “appesantimento” della norma, con la conseguenza che, all’interno del contratto a progetto, do-vranno necessariamente essere contemplati tutti gli elementi costitutivi.

Cosa accade, dunque, nel caso in cui anche uno solo di questi manchi? Nel caso di mancanza del progetto non sembrano esservi dubbi circa la conversio-ne del rapporto attuata per il tramite dell’articolo 69, comma 1, del decreto le-gislativo 10 settembre 2003, n. 276, con applicazione della presunzione asso-luta di subordinazione.

Più arduo sostenere la conversione nelle altre ipotesi, non sussistendo al-cuna norma specifica che la sancisca. Laddove però tali elementi siano consi-derati costitutivi non può non considerarsi il fatto che il contratto risulterebbe illegittimamente stipulato a progetto, così che la conseguenza non sembrereb-be poter essere diversa da una riconduzione del rapporto nell’alveo del lavoro subordinato.

Tale lettura, però, non convince, non solo per la già ricordata previsione di cui all’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ma anche perché la conversione rischierebbe di risultare come “sanzione” ab-norme rispetto alla realtà di fatto.

Ritenendo assorbente la mancanza degli obiettivi nelle problematiche atti-nenti alla mancata o generica formulazione del progetto stesso, a ben vedere neppure la mancata indicazione della durata sembrerebbe poter essere, per ciò sola, foriera della conversione del rapporto. Infatti, come noto, la durata può essere determinata oppure determinabile. Se la durata è quantomeno determi-nabile, risultando anche indirettamente dalla disamina del progetto e/o

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dall’ambito temporale di realizzazione dello stesso, nulla quaestio. Se, vice-versa, la durata non dovesse emergere, neppure indirettamente, allora questa mancanza potrebbe riverberarsi negativamente sul progetto stesso, il quale, on-tologicamente, deve essere circoscritto nel tempo, con conseguente applica-zione, per via mediata, del summenzionato articolo 69.

Parzialmente diversa appare, invece, la problematica sottesa alla mancata specifica all’interno del documento contrattuale del coordinamento. È pur vero che anch’esso potrebbe emergere, quantomeno indirettamente, dalla stesura del progetto e dei relativi accordi tra le parti. D’altra parte, però, una completa mancanza della disciplina del coordinamento potrebbe non necessariamente significare, indirettamente, una carenza progettuale.

Nel caso di mancata determinazione del corrispettivo o, più verosimilmen-te, nelle ipotesi di mancata specifica dei criteri di determinazione dello stesso e dei tempi e modi di pagamento, la soluzione dovrebbe invece tenere conto dell’articolo 63 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che, secondo la nuova formulazione operata dalla riforma Fornero, prevede, nel caso di ero-gazioni “inidonee”, non già la messa in discussione della genuinità del rappor-to (con conseguente conversione dello stesso in quello subordinarappor-to), quanrappor-to, più semplicemente, una riparametrazione del compenso del collaboratore a progetto ai minimi tabellari della contrattazione collettiva di riferimento (del settore o, in mancanza, di altro analogo) (3).

1.2. La ripetitività e l’esecutività dei compiti

Con il secondo intervento, previsto all’articolo 7, comma 2, lettera c, della norma in commento, non oggetto di modifiche in sede Parlamentare, si modi-fica l’inciso di cui all’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settem-bre 2003, n. 276, relativamente ai compiti esecutivi o ripetitivi.

Tale specifica era stata introdotta dalla riforma Fornero per evidenziare che tali compiti non potevano essere svolti attraverso un contratto a progetto.

Sul punto, appare opportuno ricordare l’intervento operato da parte del Ministero del lavoro per mezzo della circolare interpretativa n. 29/2012, nella quale viene specificato che, per compiti meramente esecutivi, si intendono quelli «caratterizzati dalla mera attuazione di quanto impartito, anche di volta in volta, dal committente, senza alcun margine di autonomia anche operativa da parte del collaboratore», ovverossia, quei compiti per i quali «al collabora-tore non residua alcuna possibilità di autodeterminazione nelle modalità esecu-tive della attività». Diversamente, il Ministero interpreta il riferimento ai com-piti meramente ripetitivi nelle «attività rispetto alle quali non è necessaria

(3) La circ. Min. lav. n. 35/2013 non approfondisce particolarmente tale profilo, limitandosi

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cuna indicazione da parte del committente» per essere le medesime «elementa-ri, tali da non richiedere, per loro stessa natura nonché per il contenuto delle mansioni nelle quali si articolano, specifiche indicazioni di carattere operativo fornite di volta in volta dal committente» (4).

Con la norma in commento, la disgiunzione (compiti esecutivi o ripetitivi) diventa una congiunzione (compiti esecutivi e ripetitivi).

Ciò comporta, dunque, che non potranno essere redatti contratti a progetto che riguardino compiti esecutivi e (al contempo) ripetitivi, mentre potranno essere sottoscritti contratti a progetto che, rispetto alla previgente disciplina, pur comportando compiti esecutivi non siano ripetitivi, e viceversa, ampliando quindi lo spettro di utilizzabilità del contratto a progetto.

Ovviamente, a patto di rientrare all’interno del perimetro normativo deli-neato in tema di lavoro a progetto, ovverossia a condizione che venga esplici-tato un progetto che non costituisca una mera riproposizione dell’oggetto so-ciale (5) e che sia ricollegato ad un determinato risultato finale, da un lato, e che, dall’altro, sia gestito autonomamente dal collaboratore e realizzato dallo stesso avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione di parte commit-tente ed indipendentemente dal tempo impiegato. Più facile a dirsi che a farsi. Anche in considerazione del fatto che la circolare n. 29/2012 «a titolo mera-mente esemplificativo e non esaustivo, sulla base di orientamenti giurispru-denziali già esistenti», esplicita alcune figure che, anche alla luce della modifi-ca oggetto di disamina, risultano comunque difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di lavoro a progetto (6), con conseguente invito al personale ispettivo di adottare i conseguenti provvedimenti sul piano lavoristico e previdenziale (7).

(4) La circolare esemplifica le attività meramente ripetitive in quelle del cameriere e del

ba-rista.

(5) Tale vincolo, apparentemente stringente, è stato poi mitigato da parte del Ministero del

lavoro. Infatti, all’interno della circ. n. 29/2012 si ammette che il progetto può rientrare all’interno del ciclo produttivo dell’impresa ed «insistere in attività che rappresentino il c.d. core business aziendale». Per non parlare del fatto che tale limitazione è stata totalmente eliminata per le attività svolte all’interno dei call center c.d. outbound che svolgono attività di vendita di beni e di servizi (cfr. § 1.5).

(6) Ed in particolare: addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste

ed elenchi telefonici; addetti alle agenzie ippiche; addetti alle pulizie; autisti e autotrasportatori; baristi e camerieri; commessi e addetti alle vendite; custodi e portieri; estetiste e parrucchieri; facchini; istruttori di autoscuola; letturisti di contatori; magazzinieri; manutentori; muratori e qualifiche operaie dell’edilizia; piloti e assistenti di volo; prestatori di manodopera nel settore agricolo; addetti alle attività di segreteria e terminalisti; addetti alla somministrazione di cibi o bevande; prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi c.d. inbound.

(7) L’attualità della circ. n. 29/2012 e, in particolare, delle esemplificazioni presenti nella

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«complessi-1.3. La proroga automatica dei progetti attinenti a ricerche scientifi-che

La legge 9 agosto 2013, n. 99, introduce, emendando il decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, un comma 2, lettera c-bis, all’interno dell’articolo 7 che a sua volta introduce un comma 2-bis all’interno dell’articolo 61 del decreto le-gislativo 10 settembre 2003, n. 276, prevedendo che «Se il contratto ha per oggetto un’attività di ricerca scientifica e questa viene ampliata per temi con-nessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automaticamente».

Tale norma appare interessante sotto diversi profili.

Anzitutto, per la prima volta e sebbene nessuno lo avesse messo in dubbio nel silenzio della legge, la proroga dei contratti a progetto viene espressamente prevista.

Altro aspetto interessante è costituito dalle ipotesi alle quali è ricollegata l’automaticità della proroga. La continuazione del contratto a progetto, infatti, oltre ad aver luogo nella “canonica” ipotesi, ossia quella ricollegata alla proro-ga dell’attività di ricerca, è possibile anche relativamente al caso di amplia-mento della stessa a «temi connessi». In sostanza, mentre nel primo caso si in-serisce in una ipotesi di continuatività della (medesima) ricerca, in conseguen-za di fatti sopravvenuti, ovvero non preventivati o prevedibili in sede di stipu-lazione del contratto (8), nel secondo caso, invece, si assiste all’ampliamento della stessa e dunque del progetto originariamente previsto. In sostanza, pare di vedere in questa seconda ipotesi un caso di eccezione alla ordinaria deter-minazione ex ante del progetto nonché del contenuto della prestazione del col-laboratore a progetto (9).

Inoltre, la norma appare volta a legittimare, ex lege oltre che ex ante, le proroghe di tali contratti a progetto. In altri termini, l’ambito di indagine nella fattispecie risulterebbe limitato alla effettiva sussistenza della proroga o am-pliamento della attività di ricerca scientifica, alle quali consegue la proroga del contratto a progetto a valle.

Peraltro, tale specifica potrebbe essere interpretata in modo da far ritenere non necessaria una proroga scritta del contratto a progetto, risultando bastevo-le la sola prova relativa alla proroga dell’attività di ricerca a monte. Pur tutta-via e nonostante tale interpretazione sembri coerente con la ratio normativa, si ravvisa comunque l’opportunità della sottoscrizione di un apposito accordo di proroga. Ove tale interpretazione dovesse risultare corretta, si ammetterebbe la possibilità di provare altrimenti (ovvero per mezzo di documento diverso dal

vamente non coerenti con l’impianto e le finalità della legge Biagi» all’interno della direttiva del Ministro 18 settembre 2008 (c.d. direttiva Sacconi).

(8) Il caso potrebbe essere quello di una ricerca scientifica nel corso della quale vengono

ef-fettuate ulteriori scoperte che determinano, pertanto e conseguentemente, la necessità di aggior-nare la ricerca.

(9) Non pare essere dello stesso avviso il Ministero del lavoro, il quale, all’interno della

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contratto o dall’accordo di proroga o elementi di fatto) la proroga del termine originario (10). Tale aspetto appare rilevante nella misura in cui la modifica o-perata venga valutata in una ricostruzione sistematica dell’istituto, conseguen-te anche alla restrizione operata in conseguen-termini di elementi costitutivi per effetto della modifica di cui all’articolo 62, comma 1, alinea, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. In effetti, è pur vero che la lettera a di tale comma prevede che il contratto a progetto debba avere durata determinata oppure de-terminabile, ma, d’altra parte, tale determinabilità si riferisce comunque alla prevedibilità del termine nel momento della sottoscrizione del contratto e non in quello successivo, non previsto oppure non prevedibile (11).

Tale emendamento, inserito nelle ultime fasi di approvazione delle norme in commento, denota ancora una volta un interventismo di carattere settoriale e con effetti limitati che non può non far sentire la necessità di sollevare, quanto meno, una critica circa la mancanza di portata generale della norma, da un la-to, aggravata dalla possibile conseguenza di stimolare, dall’altro, richieste di ulteriori interventi correttivi – o almeno interpretativi – volti, inevitabilmente, ad estendere il dettato normativo ad altre ipotesi analoghe o assimilabili.

1.4. L’esenzione dal requisito del progetto per le attività di servizi La norma in commento introduce, emendando anche in questo caso il de-creto-legge 28 giugno 2013, n. 76, un comma 2-bis con finalità precipuamente interpretativa. Infatti, tale norma chiarisce che «L’espressione “vendita diretta di beni e di servizi”, contenuta nell’articolo 61, comma 1, del decreto legislati-vo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso di ricomprendere sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi».

Tale precisazione è stata ritenuta opportuna in considerazione delle diver-genze interpretative conseguenti all’introduzione di tale inciso per effetto del c.d. decreto sviluppo (d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 134/2012), nel quale si era precisato che sono salvi dalla necessaria specifica-zione di un progetto, oltre agli agenti e rappresentanti di commercio, anche «le attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center “outbound” per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento» (12).

(10) In questo senso anche l’interpretazione ministeriale di cui alla circ. n. 35/2013, nella

quale si legge, tra l’altro, che «il Legislatore ha previsto un automatico “ampliamento” dello stesso progetto, legittimando la prosecuzione dell’attività del collaboratore senza particolari formalità».

(11) Tale valutazione potrebbe essere diversa laddove le parti abbiano previsto, sin da subito

ed all’interno del documento contrattuale, la presumibile o probabile proroga o allargamento dell’attività di ricerca.

(12) Cfr., in particolare, il comma 7 dell’art. 24-bis, relativo a Misure a sostegno della tutela

(8)

Infatti, i commentatori che, sin dall’emanazione della legge di conversione del decreto sviluppo, si erano arrovellati nel tentativo di dare un senso ad una norma a dir poco contorta, faticavano non poco nell’interpretazione della locu-zione “attività di vendita diretta di beni e di servizi”. In sostanza, il dubbio era il seguente: all’interno dell’esenzione possono rientrare soltanto le attività di vendita diretta (di beni e di servizi) oppure devono rientrarvi sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi?

L’interpretazione autentica propende, dunque, nel senso estensivo dell’espressione, legittimando dunque alla stipulazione dei contratti (non) a progetto un ampio settore, quasi che l’eccezione alla necessaria determinazio-ne del progetto, in realtà, sia diventata una regola.

Non c’è dubbio che tale interpretazione sia corretta da un punto di vista sostanziale, posto che, diversamente opinando, si sarebbe arrivati a una irra-gionevole disparità di trattamento tra situazioni identiche quale effetto della mera differente finalità dell’attività posta in essere dal collaboratore (vendita telefonica, telemarketing, fissazione di appuntamenti, sondaggistica, recupero crediti, ecc.).

Al tempo stesso, però, non si può non rilevare come la riforma Fornero in tema di lavoro a progetto, a forza di erosioni (13), sia divenuta irriconoscibile rispetto alle intenzioni di partenza manifestate nella Relazione di accompa-gnamento al disegno di legge governativo.

Così che, nei fatti, la riforma del lavoro a progetto, smontata pezzo dopo pezzo, anche per via della presa di coscienza circa la sua astrattezza e mancan-za di collegamento con la realtà economica, ha finito, dal punto di vista della qualificazione del contratto, per fare potenzialmente un passo indietro lungo

svolte da call center. Tale misura prevede, nei sei commi precedenti, quanto segue: «1. Le misu-re del pmisu-resente articolo si applicano alle attività svolte da call center con almeno venti dipenden-ti. 2. Qualora un’azienda decida di spostare l’attività di call center fuori dal territorio nazionale deve darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti. Inoltre deve darne comunicazio-ne all’Autorità garante per la proteziocomunicazio-ne dei dati personali, indicando quali misure vengono a-dottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di prote-zione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del registro delle opposizioni. Analoga informativa deve essere fornita dalle aziende che già oggi operano in Pae-si esteri. 3. In attesa di procedere alla ridefinizione del Pae-sistema degli incentivi all’occupazione nel settore dei call center, i benefici previsti dalla legge 29 dicembre 1990, n. 407, non possono essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri. 4. Quando un cittadino effet-tua una chiamata ad un call center deve essere informato preliminarmente sul Paese estero in cui l’operatore con cui parla è fisicamente collocato e deve, al fine di poter essere garantito rispetto alla protezione dei suoi dati personali, poter scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato nel territorio nazionale. 5. Quando un cittadino è destinatario di una chiama-ta da un call center deve essere preliminarmente informato sul Paese estero in cui l’operatore è fisicamente collocato. 6. Il mancato rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo com-porta la sanzione amministrativa pecuniaria di 10.000 euro per ogni giornata di violazione».

(13) Prima con la legge di conversione del decreto sviluppo che ha introdotto l’eccezione di

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dieci anni, ossia addirittura a prima della riforma Biagi, la quale prevedeva un numero certamente più limitato di eccezioni ed obbligava, nella generalità dei contratti (incluse le attività svolte all’interno dei call center), all’obbligo di specificare una volta per tutte, rendendolo non modificabile, il progetto o il programma di lavoro.

L’intervento legislativo non fa altro che confermare, peraltro, l’interpretazione fornita per ben due volte dal parte del Ministero del lavoro, che appare opportuno di seguito riportare posto che pur, non costituendo ov-viamente fonte normativa, nei fatti (ed a maggior ragione a seguito dell’avallo da parte del legislatore), finirà per orientare gli operatori economici ed inevita-bilmente anche gli organi giudiziari.

La problematica era stata infatti affrontata, una prima volta ed in modo fu-gace, all’interno della circolare 2 aprile 2013, n. 14, nella quale veniva precisa-to, en passant, come l’esenzione in oggetto riguardasse «sia le attività di ven-dita di beni, sia le attività di servizi» (14).

Il Ministero, poi, è intervenuto ulteriormente, tra l’approvazione del decre-to-legge e la legge in commento, per mezzo della nota 12 luglio 2013, nella quale ha preso posizione esplicitamente. Infatti, dietro sollecitazioni e richieste di chiarimenti pervenute in tema di applicazione della disciplina sui call center di cui al decreto sviluppo, il Ministero del lavoro ha evidenziato come l’esclusione riguardi anche le attività di servizi realizzate attraverso call center

outbound, relativamente ai quali scaturisce, dunque, «la non applicazione dei

requisiti dell’articolo 61, comma 1 […] primo tra i quali la sussistenza di uno specifico progetto». Tale esenzione, che riguarderebbe «una molteplicità di at-tività di servizi» viene considerata applicabile a mero titolo esemplificativo al-le attività di «ricerche di mercato, statistiche e scientifiche, indipendentemente da una contestuale vendita di prodotti o di servizi», alla quale comunque pos-sono essere accomunate anche altre attività, come quelle volte al recupero del credito mediante contatto telefonico del debitore.

A dir la verità, qualche insidia (il tempo ci dirà poi se soltanto potenziale o se invece concreta) per gli operatori economici dei call center rimane.

Infatti, se è vero che l’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 10 set-tembre 2003, n. 276, non trova applicazione diretta, è altrettanto vero che tale norma seguiterà a trovare applicazione in tutti i casi nei quali, sebbene errone-amente, sia stato sottoscritto un contratto come da deroga ma in mancanza del presupposto (a questo punto legale).

Tra l’altro, tale deroga, oltre a contemplare il tipo di attività (contatto della clientela per via telefonica attraverso call center), richiede, quale altro elemen-to qualificante, l’erogazione di un corrispettivo sulla base della contrattazione collettiva nazionale di riferimento.

Sul punto, entrambi gli interventi Ministeriali appaiono chiari: la contrat-tazione in tali casi assume valenza “autorizzatoria” (forse sarebbe stato

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giormente appropriato riconoscerle valenza integrativa del dettato normativo). A dire il vero, poi, il Ministero si spinge “oltre”, affermando che, comunque, anche in mancanza di accordi collettivi, la stipulazione della collaborazione coordinata e continuativa (non) a progetto è possibile attraverso il richiamo dell’articolo 63, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (15).

L’interpretazione permette sin da subito l’operatività della deroga, che, al-trimenti, sarebbe rimasta sulla carta sino all’adozione di un contratto collettivo nazionale di riferimento (16).

La mancata pattuizione di corrispettivi “equi” (17) determina quella che la circolare 2013, n. 14, definisce come violazione di una «norma inderogabile di natura autorizzatoria», con conseguente riconduzione del rapporto «nella for-ma comune di rapporto di lavoro», ossia subordinato a tempo indeterminato. E tale riconduzione non può che avvenire (questo è il punto giuridico bypassato dalla circolare) per il tramite dell’applicazione del summenzionato articolo 69, comma 1, per mancanza di progetto, posto che il contratto si assume essere stato sottoscritto al di fuori dell’esenzione.

In definitiva, l’asse della verifica è stato spostato dalla mancanza del pro-getto al mancato rispetto dei minimi “retributivi”, al fine di evitare forme di

dumping economico ricollegate all’utilizzo di una collaborazione coordinata e

continuativa ex deroga call center. Peraltro, deve altresì osservarsi che la san-zione della ricondusan-zione del rapporto nell’alveo del lavoro subordinato ricol-legata all’incongruità del corrispettivo costituisce ipotesi eccezionale di tale fattispecie, considerato che, invece, nel caso di contratto a progetto “standard”, una erogazione economica non in linea con la contrattazione collettiva non de-termina alcuna conversione del rapporto ma, come correttamente sottolineato

(15) Tale norma prevede che «in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso

non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel setto-re di riferimento alle figusetto-re professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto».

(16) Sul punto può peraltro richiamarsi l’accordo UNIREC (Unione Nazionale imprese a

tu-tela del credito) e Fisascat-Cisl, Filcams-Cgil e Uiltucs-Uil sottoscritto in data 3 dicembre 2012 (in Boll. ADAPT, 2013, n. 13) relativo al comparto del recupero dei crediti stragiudiziale. Tale protocollo dimostra, da un lato, la possibilità di accordi collettivi nell’ambito del contratto a progetto e, dall’altro, come, nel dubbio interpretativo (che ora la norma in commento ha chiari-to), il comparto del recupero crediti, cautelativamente, avesse ritenuto di non rientrare nell’esenzione. Infatti, sebbene all’interno del protocollo si trovi un richiamo dell’art. 24-bis del decreto sviluppo 2012 nonché la specifica secondo la quale «le attività di vendita si perfeziona-no nel momento del pagamento del corrispettivo che le società di recupero, in caso di inadem-pimento dell’obbligazione pecuniaria, provvedono a recuperare, con modalità di contatto ou-tbound dei debitori» (la quale non può avere altro senso che il voler affermare che, tutto somma-to, la deroga avrebbe potuto trovare applicazione in via mediata al comparsomma-to, ossia tramite un collegamento dell’attività di recupero crediti con quella, precedente, di vendita), le parti sociali hanno poi provveduto alla individuazione di un progetto.

(17) Ossia come da contrattazione collettiva di riferimento o, in mancanza, rispettando la

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dalla circolare, solamente un diritto del collaboratore al riconoscimento di un “differenziale economico”.

Circa l’ambito applicativo, poi, deve ritenersi che l’operatore economico che svolge l’attività di call center non sia obbligato ad approfittare della dero-ga di legge, per quanto vantaggiosa, e che, dunque, potrebbe anche decidere di non avvalersene stipulando un ordinario contratto a progetto, pur con tutti gli oneri e rischi che ne conseguono.

Definiti i soggetti che possono usufruire dell’eccezione, di non secondaria importanza è poi la definizione del perimetro normativo delle collaborazioni coordinate e continuative (non) a progetto nei call center, che viene ricostruito da parte del Ministero sempre all’interno della circolare n. 14/2013 a seguito dell’infelice formulazione dell’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il quale prevede l’obbligo del progetto «ferma restan-do la disciplina […] delle attività di vendita diretta di beni e servizi».

Siccome non esiste una disciplina per tali attività (diversamente dalle altre ipotesi parimenti escluse, agenti e rappresentanti di commercio), il Ministero effettua uno sforzo interpretativo ritenendo applicabili tutti gli articoli di cui al capo del contratto a progetto del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ove e nella parte in cui risultino compatibili con la disciplina speciale per i call center. Per tale motivo risultano, conseguentemente, non applicabili solamente le già ricordate norme ricollegate al progetto. In questo senso, quindi, l’articolo 62, nella parte in cui prevede il riferimento alla descrizione del pro-getto e del risultato finale, l’articolo 63, comma 1, in tema di corrispettivo del collaboratore e l’articolo 69, comma 1, in tema di presunzione assoluta di su-bordinazione per mancanza di progetto. Viceversa, troveranno applicazione tutte le altre disposizioni, tra le quali meritano particolare menzione quelle re-lative agli altri diritti del collaboratore a progetto (art. 66), la disciplina in tema di estinzione del contratto e preavviso (art. 67) e quella relativa all’indagine in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (commi 2 e 3 dell’art. 69). Tale interpretazione appare convincente nell’ottica sostanziale di tutela dei lavoratori e pare in effetti coerente con la ratio dell’intervento opera-to nell’agosopera-to 2012 e volopera-to, nella sostanza, a rendere utilizzabile tale forma di collaborazione per le attività nei call center, semplicemente scollegandola dal-la necessaria indicazione di uno specifico progetto.

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In definitiva, la norma interpretativa apre ampi spazi all’utilizzo delle col-laborazioni coordinate e continuative senza progetto, ma gli aspetti costitutivi della sussistenza dei presupposti e della congruità del corrispettivo erogato po-trebbero comunque rendere opportuna la certificazione dei contratti, attraverso l’utilizzo della procedura prevista agli articoli 75 e seguenti del decreto legi-slativo 10 settembre 2003, n. 276.

1.5. I vincoli in tema di recesso e di risoluzione consensuale

La norma in commento contiene, infine, un aggiustamento in tema di re-cesso o risoluzione consensuale del rapporto.

In particolare, l’articolo 7, comma 5, lettera d, punto 1, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, non modificato in sede di conversione, prevede l’introduzione di un comma 23-bis nell’articolo 4 della riforma Fornero, che ha la finalità di estendere l’applicazione dei commi precedenti (da 16 a 23) al contratto a progetto (18).

La norma prevede dunque l’estensione delle tutele approntate per la lavo-ratrice in gravidanza (o per la lavolavo-ratrice o il lavoratore nel caso di minore a-dottato o affidato) (19) volte alla convalida delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto, cui è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro, nonché quelle di cui ai successivi commi 17-23, disciplinanti, in via generale, la convalida delle dimissioni e della riso-luzione del rapporto (20).

Pur riconoscendo l’appesantimento “burocratico” che tale strumento com-porta, si condivide l’estensione operata, in quanto finalizzata a tutelare i

(18) La circ. n. 35/2013, visto l’esplicito richiamo, contenuto nella norma, ai soli contratti di

cui all’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, evidenzia la non applicabilità della stessa alle altre ipotesi di collaborazione previste ai commi 2 e 3. Le prime concernono prestazioni occasionali (ovvero rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare o non superiori a 240 ore – se nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona – con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno so-lare sia superiore a 5 mila euro). Le seconde, invece, includono: le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; i rapporti e le attivi-tà di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive na-zionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI, come individuate e disciplinate dall’art. 90 della l. n. 289/2002; i componenti degli orga-ni di ammiorga-nistrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioorga-ni; coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.

(19) Cfr. l’art. 55, comma 4, d.lgs. n. 151/2001, modificato proprio dal comma 16 della

ri-forma Fornero.

(20) In ordine alla disciplina approntata dalla riforma Fornero in tema di “dimissioni in

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ratori, a prescindere dalla qualificazione formale del rapporto. Se è innegabile che ciò comporta un sempre maggiore “appiattimento” della disciplina in tema di lavoro a progetto su quella del rapporto di lavoro subordinato (21), allonta-nandola sempre più dai principi che presiedono alla regolazione del lavoro au-tonomo, all’interno dei quali oramai la collaborazione a progetto (e non) sem-bra trovarsi per lo più solo formalmente, la novità normativa appare opportuna considerato che, a seguito della riforma Fornero (ed in particolare della rifor-mulata disciplina del recesso di cui all’art. 67, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003), è astrattamente aumentato il rischio di recessi o risoluzioni “in bianco”, posto che parte committente può – in astratto – legittimamente rece-dere in corso di rapporto unicamente nel caso di oggettiva inidoneità profes-sionale del lavoratore.

2. Le “partite IVA”: nessuna novità?

La disciplina in tema lavoro autonomo non ha subito interventi da parte della norma in commento, se non indirettamente per effetto della modifica o-perata in tema di solidarietà negli appalti, ora allargata anche alle partite IVA (22).

Non viene quindi ritoccato l’articolo 69-bis del decreto legislativo 10 set-tembre 2003, n. 276, introdotta con la riforma Fornero.

L’occasione è però opportuna per fare il punto sull’istituto, anche in con-siderazione degli interventi operati da parte del Ministero, che è intervenuto direttamente, in ossequio a quanto previsto dall’articolo 69-bis, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, emanando un proprio decreto (23) volto alla ricognizione delle attività professionali per le quali non opera la presunzione relativa di collaborazione coordinata e continuativa e, dall’altro lato, fornendo, con la circolare n. 32/2012, una propria interpretazione circa la nuova normativa in materia di partite IVA, per come introdotta dalla riforma Fornero e subito dopo ritoccata dall’articolo 46-bis, comma 1, lettera c, del de-creto-legge 22 giugno 2012, n. 83, poi convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

Appare quindi opportuno in questa sede richiamare i chiarimenti forniti di maggior rilievo, tutti relativi all’ambito di operatività della presunzione intro-dotta dal summenzionato articolo 69-bis.

Premesso che in chiusura della circolare n. 32/2012 il Dicastero evidenzia come, logicamente, l’introduzione della presunzione relativa di collaborazione a progetto introdotta dalla riforma Fornero per le partite IVA (che comporterà,

(21) Destando forte il sentore che il legislatore abbia una sostanziale sfiducia nelle parti e,

soprattutto, nella parte committente circa il corretto utilizzo della tipologia contrattuale.

(22) Su tale aspetto si rimanda al contributo di G.GAMBERINI, La responsabilità solidale

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quasi sempre, la successiva conversione in rapporto di lavoro subordinato per mancanza del progetto) non impedisca comunque di operare una riconduzione diretta del rapporto nell’alveo di quello subordinato, di particolare interesse appaiono le precisazioni in tema di sussistenza dei requisiti per l’applicazione della presunzione relativa, già oggetto delle modifiche di cui al c.d. decreto crescita e sviluppo (con il quale si è aumentato da uno a 2 anni il periodo all’interno del quale verificare i requisiti della durata del rapporto e della so-stanziale monocommittenza).

Sulla durata del rapporto, nella circolare si precisa che l’ambito temporale di riferimento, essendo scomparso il precedente riferimento all’anno solare, sia da identificarsi nell’anno civile, ossia dal 1o gennaio al 31 dicembre, ritenendo per tale via integrato il presupposto di legge nel caso di svolgimento della col-laborazione in misura superiore a 8 mesi o (e questa è l’interpretazione mini-steriale) 241 giorni, anche non consecutivi. Ne consegue che, a parere del Mi-nistero e sebbene la norma sia operativa sin dal 18 luglio 2012, di fatto la con-dizione potrà verificarsi solo a partire dal primo gennaio 2013, così che occor-rerà attendere il completamento del 2014 per poter verificare – e quindi utiliz-zare – tale criterio. Essendo a quanto pare consapevole che il criterio è alquan-to sfuggente, anche in considerazione del fatalquan-to che il contratalquan-to di lavoro aualquan-to- auto-nomo potrebbe ben essere stipulato in forma orale, il Ministero chiarisce poi come la verifica di tale criterio possa essere effettuata tanto su base documen-tale (ossia verificando gli eventuali documenti contrattuali presenti, le specifi-che contenute all’interno delle fatture o altri documenti specifi-che comunque attesti-no la continuità del rapporto), quanto su base testimoniale.

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pos-sano che avere un unico ambito temporale di riferimento, costituito dall’anno civile, così che il criterio della durata attrarrebbe quello reddituale. L’interpretazione è certamente interessante ed indubbiamente ha una logica di fondo, sebbene questa lettura paia cozzare con la lettera della legge (la quale espressamente prevede, per il fatturato ed differentemente dalla durata, il rife-rimento all’anno solare), andando a determinare, altresì, una valutazione mobi-le del presupposto, che certamente non va nella direzione della certezza del di-ritto.

Quanto, infine, alla «postazione fissa di lavoro» il Ministero ne fornisce una interpretazione che appare eccessivamente estensiva. Infatti, ad avviso del Dicastero, tale criterio risulta integrato dalla mera possibilità di usufruire di una postazione ubicata in locali nella disponibilità del committente, senza ne-cessità che tale postazione sia ad uso esclusivo del collaboratore. Tale interpre-tazione, però, non pare cogliere il fatto che l’impresa possa ragionevolmente essere titolare di genuini rapporti di lavoro autonomo, pur avendo nei propri locali una o più postazioni fisse (ossia non mobili) a disposizione dei fornitori e che dunque sarebbe risultato verosimilmente più appropriato interpretare il riferimento di legge nel senso di postazione “normalmente dedicata” all’utilizzo sostanzialmente esclusivo di quel determinato lavoratore.

Interessante appare la presa di posizione del Dicastero circa il possesso di competenze di grado elevato o di capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze. Infatti, la circolare, in attesa della definizione del sistema di certificazione di competenze introdotto dalla riforma Fornero, ritiene sussi-stente il criterio nel caso in cui il lavoratore sia in possesso, tra l’altro, di un titolo rilasciato al termine del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione o al conseguimento di qualifiche o diplomi al termine di una qualsiasi tipologia di apprendistato, mentre prevede che occorrano ben dieci anni per poter far valere la qualifica o la specializzazione rilasciate dal datore di lavoro in forza di apposita disciplina di cui al Ccnl o conseguenti allo svol-gimento dell’attività in forma autonoma. Il tutto a condizione, ovviamente, che tali certificati, diplomi o titoli siano attinenti con l’attività svolta dal lavoratore ed oggetto di indagine. Sul punto, appare opportuno ricordare come tale preci-sazione impatti anche sull’attività ispettiva relativa alle associazioni in parte-cipazione, posto che, per effetto della riforma Fornero, la mancata sussistenza di tali competenze o capacità tecnico pratiche vale a configurare una presun-zione relativa di subordinapresun-zione del contratto di associapresun-zione in partecipazio-ne.

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o meno del limite minimo appare operazione complessa e difficilmente verifi-cabile da parte del committente, soprattutto nelle ipotesi di erogazioni vicino alla soglia di legge, posto che tale elemento emergerà solamente a posteriori ed a seguito dell’apposita valutazione degli elementi, positivi (fatturato) e ne-gativi (costi) di reddito del collaboratore, tenuto conto, tra l’altro, dell’opzione fiscale operata da parte di quest’ultimo.

Quanto alla presunzione di cui all’articolo 69-bis, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, riguardante le attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad ordini professionali, albi, regi-stri, elenchi professionali, non si può non rilevare, anzitutto, la peculiarità del coordinamento tra i due atti amministrativi. Infatti, il decreto reca la data del 20 dicembre 2012 e la circolare quella del 27 dicembre 2012. D’altra parte, pe-rò, nella suddetta circolare si dà dapprima per come emanato il decreto (ivi si afferma, infatti, che tramite decreto «si è provveduto ad una ricognizione», ma poi all’interno della medesima circolare si fornisce una interpretazione circa il possesso di specifici requisiti e condizioni per l’applicazione o meno della pre-sunzione che in realtà sono già stati statuiti proprio dall’emanato decreto che, in tale parte della circolare, viene definito «di prossima emanazione».

Nel merito, può osservarsi, in particolare, come il decreto riporti un elenco (al quale si rimanda) «meramente esemplificativo», precisando che la semplice iscrizione al registro delle imprese, essendo meramente finalizzata alla pubbli-cità dichiarativa, non sia idonea ad escludere la presunzione introdotta dall’articolo 69-bis del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, anche in considerazione del fatto che tale iscrizione non è preceduta da alcun controllo circa i requisiti e le condizioni di accesso, e stabilisca un monitoraggio su tali tipologie di contratti attraverso l’introduzione di un onere a carico delle com-missioni di certificazione di rendicontazione semestrale circa i contratti di in-carico professionale certificati. Tale sistema di monitoraggio, dunque, confida nell’operato e nella diligenza delle commissioni di certificazione (per le quali, stante il numero – almeno finora – relativamente esiguo di istanze relative alle collaborazioni professionali, la relazione periodica non dovrebbe risultare un adempimento particolarmente oneroso) e può essere valutato favorevolmente posto che, per tale via, si potrà avere maggiore cognizione circa l’effettivo im-patto della riforma sul mercato del lavoro. Anzi, a ben vedere l’onere, al mo-mento parziale (o, meglio, “di nicchia”, concernendo nemmeno tutte le colla-borazioni a partita IVA, ma soltanto quelle professionali) rispetto alle impor-tanti e discusse modifiche operate con la legge 28 giugno 2012, n. 92, potrebbe essere esteso anche alle ulteriori tipologie contrattuali di più recente regolazio-ne.

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previ-sione contenuta nella circolare con cui si esclude l’operatività della presunzio-ne per i lavoratori autonomi iscritti all’Albo degli artigiani, escludendo però questa possibilità a chi è semplicemente iscritto al Registro delle imprese: la differenza tra le due situazioni concrete, almeno sotto il profilo della valuta-zione pubblica degli «specifici requisiti e condizioni» posseduti dal lavoratore autonomo, appare più formale che sostanziale. Quanto al secondo aspetto, co-me sopra ricordato, il Ministero interpreta la norma nel senso di riconoscere una dilazione al 2015 dell’operatività della presunzione con riferimento al primo criterio presuntivo (quello degli 8 mesi nel biennio), dilazione che però finisce per coinvolgere anche l’operatività del secondo criterio (quello della sostanziale monocommittenza), quando questo sia invocato unitamente al pri-mo. Sembra, insomma, che, almeno per gran parte delle situazioni concrete, ci sia ancora tempo prima di dover (o poter) “presumere”, e che, in sede di con-versione del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, si sia sprecata una buona oc-casione per riordinare la materia.

3. Nota bibliografica

Per una ricostruzione dell’istituto delle collaborazioni coordinate e continuative a pro-getto e delle divergenze dottrinali su vari aspetti della disciplina (dalla riconducibilità del contratto a progetto nell’alveo del lavoro autonomo alla sua considerazione come nuova tipologia contrattuale, alla natura della presunzione prevista all’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003) si leggano, tra i tanti, C.ENRICO, Considerazioni sul lavoro a

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Per un commento sul tema a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 92/2012 si rimanda al contributo di G.BUBOLA, F.PASQUINI, D.VENTURI, Il lavoro a progetto, in

(18)

alla legge 28 giugno 2012, n. 92 recante disposizioni in materia di riforma del merca-to del lavoro in una prospettiva di crescita, Giuffrè, 2012, 154.

Sulle collaborazioni a progetto ricollegate, direttamente o indirettamente, all’Expo 2015 sia consentito rinviare al § 3 del contributo di G.BUBOLA, Il lavoro

parasubor-dinato nel Pacchetto Lavoro, in M.TIRABOSCHI (a cura di), Interventi urgenti per la

promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, e della coesione sociale. Primo commento al decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, ADAPT University Press, 2013, 219.

Sul lavoro autonomo cfr. invece G.BUBOLA, F.PASQUINI, D.VENTURI, Le partite iva,

in M.MAGNANI, M.TIRABOSCHI (a cura di) op. cit., 168, oltre a G.BUBOLA, Partite

IVA: tra presunzioni normative ed interpretazioni ministeriali, in DRI, 2013, n. 1, 207. Per un inquadramento del lavoro autonomo e parasubordinato nell’ambito della c.d. riforma Fornero cfr. A.PERULLI, Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma

Monti, in LD, 2012, n. 3-4, 541, G.SANTORO PASSARELLI, Lavoro a progetto e partite

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