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INTRODUZIONE Crediti deteriorati, non

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Crediti deteriorati, non performing loan, bad bank, sono concetti che stanno diventando sempre più comuni, a dimostrazione di come il tema stia assumendo sempre maggiore importanza e sia ormai cruciale per una ripresa del sistema creditizio e, indirettamente, dell’economia reale in generale. Il presente lavoro ha avuto come obiettivo quello di analizzare come le banche affrontino la presenza dei non performing loans in portafoglio e quali strumenti di gestione del portafoglio prestiti abbiano a disposizione per poterli ridurre.

Nel Capitolo I si è analizzato l’attuale background economico-finanziario nel suo complesso che è alla base del problema in questione e i principali fattori che hanno contribuito allo sviluppo di una crisi che ha portato al presentarsi del problema dei non performing loans per le banche.

Si è analizzato attentamente l’inizio della crisi che si è avuta a partire dal 2007 a causa dei mutui subprime, che le banche di tutto il mondo hanno concesso a soggetti senza adeguate garanzie, la subprime mortgages financial crisis, e la conseguente crisi dei debiti sovrani, la sovereign debt crisis; tale crisi, partita dagli Stati Uniti, si è ripercossa in tutto il contesto internazionale.

I soggetti che hanno risentito di questa crisi sono stati in primis le stesse banche, nei cui bilanci erano e sono presenti crediti insoluti, i quali hanno danneggiato fortemente i patrimoni bancari. L’interconnessione del sistema bancario ha notevolmente incrementato la gravità della crisi, inoltre la sottocapitalizzazione delle banche più esposte ha contribuito al contagio. L’insieme di questi fattori ha portato ad un’inevitabile conseguenza: la perdita di fiducia nel settore bancario. Infine i salvataggi operati dagli stati nei confronti delle banche hanno causato un peggioramento delle finanze pubbliche, acuendo il rischio sovrano. Come effetto diretto, le aziende hanno visto diminuire l’elargizione del credito da parte del sistema bancario provocando, nel tempo, un elevato deterioramento dei rapporti tra banca e impresa.

Nel Capitolo II si è passati ad analizzare la ripercussione della crisi nel sistema dell’economia reale, il conseguente acuirsi del problema di prestiti deteriorati (NPLs) dandone una precisa definizione e analizzando quelli che sono le modalità per una loro possibile gestione.

Gli istituti bancari in situazioni di dissesto economico sono quelli che presentano nell’attivo di bilancio un’eccessiva quantità di attività deteriorate, prestiti concessi a soggetti che si rivelano incapaci di assolvere ai propri obblighi di restituzione. Quando la quantità dei non performing loans raggiunge livelli tali da compromettere l’efficienza operativa di una banca sono necessarie tempestive forme di intervento. Queste ultime sono inoltre finalizzate a impedire che casi di

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turbolenza individuali si trasformino in vere e proprie crisi di dimensioni sistemiche, possibilità data dalla connessione che caratterizza i vari sistemi bancari nazionali.

Sono stati descritti anche gli ultimi interventi da parte della vigilanza bancaria della BCE; le linee guida europee per le banche in materia di crediti deteriorati, segnano un importante passo avanti ai fini della gestione degli NPLs nell’intera area dell’euro ponendo l’accento sulla necessità di effettuare accantonamenti e cancellazioni per i crediti deterioratiin maniera tempestiva e il progetto di addendum alle linee guida che illustra invece le aspettative quantitative dell’autorità di vigilanza in merito ai livelli minimi di accantonamento prudenziale che ci si attende per le esposizioni deteriorate.

Nel Capitolo III si è analizzata l’attività di securitisation degli NPLs sulla gestione bancaria, i motivi per cui essa viene messa in atto e dei numerosi vantaggi che questa può offrire anche al sistema economico nel suo complesso.

La ragione principale dell’utilizzo di questa tecnica risiede nella possibilità di disinvestire assets di bassa qualità, come possono essere i crediti deteriorati, al fine di una loro rimozione dal bilancio della banca cedente. A differenza dei crediti in bonis, la cessione dei non performing loans è come vedremo molto più complessa ed effettuata per ragioni che considerano aspetti economici, finanziari e gestionali; trasferimento del rischio di credito, l’aumento delle risorse finanziarie e la riduzione dei costi di gestione.

Infine nel Capitolo IV si è analizzato uno degli strumenti di intervento maggiormente utilizzato che il sistema bancario ha posto in essere nel tempo per poter fronteggiare la crisi: la creazione di una bad bank; contenitore creati ad hoc dove trasferire tutti quei crediti ritenuti sicuramente inesigibili il quale avrà l’obiettivo di ristrutturarle e posizionarle sul mercato per ottenere profitto. Tale separazione consente alla banca madre (cedente) di sanificare i propri libri contabili e riacquisire quell’efficienza operativa con le permetterà di uscire dalla situazione di crisi.

Differenti sono i modelli di bad bank attuabili individuate in base alle specificità della crisi da correggere e del sistema in cui la banca opera, così come si nota dai casi di bad bank sviluppatesi negli ultimi anni. Ad esempio è possibile creare singole bad bank relative a ogni istituto bancario in difficoltà, oppure istituire un unico ente nel quale confluire le attività deteriorate di tutte le banche in crisi. Oltre a ciò, si possono avere sia bad bank a partecipazione pubblica sia enti esclusivamente privati.

Nella storia recente sono numerose le applicazioni di simili strumenti di risoluzione, alcune con risultati più che ottimi, tra le quali ricordiamo la svedese Securum e l’italiana Società per la Gestione di Attività.

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Una breve accenno è stato fatto sulla proposta fatta di recente dall’EBA, il progetto di una bad bank Europea, e sugli ultimi e innovativi strumenti che il governo Italiano ha proposto in considerazione delle linee guida presentate dall’International Monetary Fund per dar vita a un contesto più chiaro e snello per gli operatori del mercato degli NPLs; ci soffermeremo quindi sulla cartolarizzazione con attenzione alla recente garanzia statale (GACS) e il Fondo Atlante che, se riesce nel suo intento, potrebbe essere la soluzione a tutti i problemi ma in caso di fallimento potrebbe peggiorare la situazione nel mercato dei crediti deteriorati del nostro paese.

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Il sistema finanziario italiano

SOMMARIO: 1.1 Il ruolo delle banche – 1.2 Il sistema italiano banco-centrico – 1.3 Relazioni Banche-imprese-famiglie – 1.4 Le cause della crisi – 1.5 Credit crunch – 1.5 Unione bancaria e vigilanza unica

1.1 Il ruolo delle banche

Le banche sono il filo conduttore che unisce il mondo della finanza con quello dell’economia reale. L’attività di intermediazione svolta consiste nella raccolta fondi da parte di soggetti che dispongono di risorse finanziarie in eccesso, rispetto ai suoi bisogni del momento e il successivo trasferimento a chi, viceversa, ne necessita un ammontare maggiore rispetto a quelle che ha attualmente a disposizione prendendole a prestito. I primi soggetti, cioè coloro che risparmiano e danno a prestito fondi vengono definiti unità in surplus o creditori ed esprimono l’offerta, mentre i secondi, che prendono a prestito fondi, sono detti unità in deficit o debitori ed esprimono invece la domanda. Dal lato dell’offerta, tra i principali creditori si annoverano generalmente le famiglie, investitori privati – nazionali e/o esteri, ma talvolta anche le imprese o certe amministrazioni pubbliche (ad esempio i governi nazionali o esteri)1 possono disporre di eccedenze finanziarie rispetto ai propri effettivi bisogni mentre i principali debitori (unità in deficit) sono rappresentati dalle imprese private e Stato – nazionale e/o estero.

Le banche svolgono un ruolo essenziale nell’ambito dei mercati finanziari dal momento che proprio nel circuito indiretto in cui esse operano transita la parte relativamente più importante delle risorse finanziarie scambiate2. L’importanza del ruolo che le banche svolgono si comprende ancor più facilmente se si focalizza l’attenzione sugli aspetti legati ai costi di transazione, all’allocazione del rischio e alla presenza di asimmetrie informative che caratterizzano il circuito di intermediazione finanziaria e che costituiscono una delle cause principali e più diffuse di fallimento di mercato, in quanto la loro presenza può impedire la realizzazione concreta di transazioni mutualmente vantaggiose (cioè che potrebbero produrre un beneficio per tutti i soggetti in esse coinvolti).

1 Un esempio è costituito dai cosiddetti fondi sovrani che rappresentano speciali istituzioni di investimento pubbliche controllate direttamente dai governi dei relativi paesi per investire surplus fiscali o riserve di valuta estera. 2 Si definisce circuito indiretto invece quando attraverso l’emissione di titoli, i debitori prendono a prestito fondi direttamente dai creditori.

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Il processo di selezione degli affidamenti e l’assunzione dei rischi portano alla costituzione del portafoglio prestiti, il quale condiziona inevitabilmente la capacità di creazione del valore, l’equilibrio dei flussi finanziari, l’economicità , la dimensione e la qualità del patrimonio3.

A fronte della loro natura, qualunque trasformazione sostanziale del loro business deve avvenire nel rispetto e compatibilmente con il sistema creditizio in generale nel suo complesso. Proprio per queste ragioni viene prestata molta attenzione al tema attuale della grande mole di crediti deteriorati o inesigibili presente, come avremo modo di vedere, ormai da qualche anno negli attivi degli istituti di credito nazionali e non solo.

La notevole crescita delle sofferenze è legata ad una serie di debolezze del sistema economico/finanziario per cui prima di andare ad analizzare quali sono le strategie di gestione di questi assets è importante fare un accenno di quello che è il background economico attuale.

L’insieme di banche che operano in un determinato territorio configurano cosi il sistema bancario. Il processo di globalizzazione ha contribuito alla formazione di diversi “livelli”; si parte dalle banche localizzate a livello nazionale, oppure localizzate a livello continentale come il sistema bancario europeo fino al contesto internazionale del sistema bancario mondiale. L’inevitabile interconnessione presente tra le banche all’interno di un sistema è di fondamentale importanza perché rappresenta una delle principali cause di come una crisi finanziaria, inizialmente nata e circoscritta in un determinato territorio, possa nel lungo periodo ripercuotersi a livello globale. I sistemi finanziari sono formati da banche organizzate secondo due tipologie di modelli: da una parte abbiamo i modelli bank-based, in contrapposizione ai modelli market-based che sono tipici dei paesi Anglosassoni: Stati Uniti d’America e Inghilterra. I sostenitori del primo modello enfatizzano il ruolo chiave dell’intermediario nel raccogliere informazioni sui clienti, nel muovere capitali sfruttando economie di scala; nello stesso tempo sottolineano i difetti dell’altro sistema: i mercati eccessivamente sviluppati riducono gli incentivi per gli investitori ad acquisire informazioni; se eccessivamente liquidi rischiano di creare una visione miope agli investitori, i quali, potendo vendere le loro azioni in qualsiasi momento sul mercato, non sono incentivati ad esercitare un controllo rigoroso e continuo sull’impresa; le banche, inoltre se viste come un insieme coordinato di investitori, sono molto più efficienti di mercati indipendenti nel ridurre un possibile comportamento di moral hazard4; inoltre questi intermediari hanno maggior potere contrattuale sulle imprese.

3 Colombini F., Calabrò A., “ Crisi finanziarie.Banche e stati”, Utet, 2011.

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Al contrario, chi si mostra a favore del modello Anglosassone riconosce il ruolo che i mercati hanno nella gestione del rischio, nel garantire una migliore contendibilità delle imprese nel trasmettere informazioni sui prezzi dei titoli. Sin dal 19esimo secolo, diversi economisti hanno cercato di trovare una risposta a quale dei due modelli sia più consono a garantire un’adeguata crescita economica ma nessuna risposta univoca è stata trovata. Bensì i risultati emersi dimostrano i vantaggi ottenibili dall’uso comparato di entrambi: mentre le Banche sono più adatte e capaci di rilevare informazioni sulle imprese clienti, i Mercati garantiscono una migliore diversificazione e trasferimento dei rischi. Ai due schemi corrispondono, rispettivamente, due famiglie di attività bancarie, rispettivamente: commerciale e d’investimento. La prima, maggiormente diffusa nell’Europa Continentale, opera come banca tradizionale le cui caratteristiche sono già state analizzate, la seconda, prevale maggiormente negli USA e in UK ed è la struttura di banca d’investimento, vista la grande operatività dei mercati dei capitali: in questo caso, le unità in deficit raccolgono direttamente i fondi di cui necessitano emettendo titoli sul mercato, aiutate nel collocamento dalle investement banks. Questa distinzione, seppur necessaria, con il tempo sembra perdere la sua ragion d’essere. L’ingegnerizzazione finanziaria, le cartolarizzazioni in particolare, hanno reso più labile il confine tra le due entità, in quanto ha avvicinato la categoria dei prestiti a quella dei titoli, trasformando attività immobilizzate come i primi in qualcosa di liquido come i secondi.

1.2 Il sistema italiano banco-centrico

Il sistema finanziario italiano è caratterizzato da elementi specifici che hanno contraddistinto la via italiana allo sviluppo ma che oggi, in un contesto di tensioni nel mercato del credito bancario, riducono il potenziale di investimento e di sviluppo delle imprese.

Ciò che costituisce un freno alla ripresa delle imprese italiane è in primo luogo l’insufficiente raccolta diretta di fondi sui mercati.

In Italia, infatti, il sistema bancario riveste un ruolo preminente per il finanziamento delle imprese. Il debito bancario rappresenta oltre il 60% dei debiti finanziari, mentre rappresenta solo circa il 50% dell’indebitamento finanziario delle imprese tedesche, il 38% di quelle francesi e soprattutto il 30% di quelle dei paesi anglosassoni. Non solo, il rapporto tra debiti bancari e debiti finanziari si è ridotto rispetto al livello del 2007 in Francia, Germania e Regno Unito, mentre in Italia è rimasto costante. Il sistema finanziario italiano risulta dunque il più “banco-centrico”, in controtendenza

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rispetto agli altri maggiori paesi europei, dove gli investitori istituzionali rivestono un ruolo sempre più considerevole.

Banco-centrismo e frammentazione del sistema produttivo insieme determinano il sotto dimensionamento del mercato finanziario e il limitato ricorso delle imprese italiane al finanziamento sul mercato dei capitali. L’incidenza dei prestiti obbligazionari sul totale dei debiti delle aziende non finanziarie non raggiunge il 7%: solo poche aziende emettono obbligazioni sul mercato dei capitali, in media dieci all’anno nell’ultimo decennio. Pur mostrando una crescita significativa rispetto ai livelli del 2007, il rapporto tra obbligazioni e debiti finanziari delle imprese italiane è circa la metà di quello delle aziende francesi e anglosassoni. Analogamente, il ricorso al finanziamento con capitale di rischio in Borsa è circoscritto a poche grandi imprese. In Italia la capitalizzazione totale delle imprese non finanziarie è inferiore al 20% del Pil, mentre in Francia e in Germania raggiunge invece il 50% e 35% dei rispettivi Pil.

L’impresa italiana mediana capitalizza circa 90 milioni di euro, il doppio rispetto a quanto si osserva in Francia e Germania.

Il reperimento delle risorse finanziarie da destinare alle strategie di crescita e alla gestione dell’attività corrente è ancor più critico per le piccole e medie imprese, in considerazione della debolezza strutturale del loro profilo finanziario tipicamente banco-centrico, caratterizzato in genere da una ridotta patrimonializzazione accompagnata da una limitata propensione ad aprire il capitale a terzi e da un ampio ricorso a prestiti bancari e linee di credito con scarso utilizzo di strumenti finanziari complessi.

Vista l’elevata presenza di piccole e medie imprese (PMI)5 nel nostro tessuto economico, le banche hanno assunto un ruolo centrale nel sistema produttivo italiano. Le PMI sono ancora “culturalmente” lontane dai mercati finanziari, come fonte alternativa di finanziamento rispetto al credito bancario: pesa la dimensione aziendale, la notorietà sul mercato dei capitali e ragioni legate al rating6 (molte non raggiungono l’investement grade). Fenomeno conseguentemente diffuso è la preferenza delle imprese di minori dimensioni ad operare con le piccole banche; data la natura di piccola impresa, infatti, molte delle informazioni necessarie ad una loro valutazione del merito di

5 Le Pmi (in inglese Small Medium Enterprises) all’interno dell’Unione Europea sono rappresentate da quelle imprese che possiedono i seguenti requisiti: occupati inferiore a 250 persone e il cui fatturato non superi i 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di euro.

6 Società che hanno il compito di attribuire un giudizio (rating) sulla solidità di uno strumento finanziario o sulla solvibilità di una società. A tale valutazione è inoltre accompagnata una specifica analisi che ne spiega le motivazioni.

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credito non sono standardizzate e pertanto, solo le banche più piccole hanno il vantaggio di reperire materiale utile riguardo società che operano nel loro stesso territorio.

L’industria bancaria Italiana è, inoltre per struttura, la meno concentrata in Europa insieme alla Germania7 .

La forte dipendenza dal credito bancario ed il modesto peso dei mercati come fonte di finanziamento, dipende principalmente da:

● fattori storici legati al processo di industrializzazione (dimensione del mercato, imprese familiari);

● fattori giuridici e regolamentari, in funzione dei vincoli posti dallo Stato all’attività sia dei mercati, sia degli intermediari;

● fattori culturali (gli imprenditori sono sostanzialmente restii a rinunciare al controllo totale sulla propria azienda che un’eventuale quotazione potrebbe determinare).

Un sistema bancario cosi strutturato come quello italiano, a causa del processo di globalizzazione e integrazione del sistema monetario, si è trovato cosi a competere con banche di grandissimo spessore presenti sul mercato mondiale enfatizzando le debolezze dei nostri istituti, caratterizzate ancora da una forte presenza del settore pubblico, dal punto di vista dimensionale e reddituale8. Ciò ha inevitabilmente dato il via ad una fase di ristrutturazione e di riassetto del sistema bancario sia a livello normativo che organizzativo.

Le banche italiane di maggior dimensione hanno iniziato ad adottare una strategia imprenditoriale basata sulle Merger&acquisition9 degli istituti piccoli o in crisi. Mentre gli interventi adottati a livello comunitario emanati dal Comitato di Basilea10 e dal SEBC11 mirano al raggiungimento di

7 Cesarini F., Gobbi G., le banche e l’economia italiana, il Mulino 2013.

8 Pannetta F., “ Il sistema bancario italiano negli anni Novanta: gli effetti di una trasformazione”, Il Mulino, 2004.

9 Con tale espressione si intendono tutte quelle operazioni di finanza straordinaria che portano alla fusione di due o più società.

10 Il comitato di Basilea è un’organizzazione internazionale istituita dalle banche centrali dei dieci paesi più industrializzati alla fine del 1974.

11 Il SEBC è il sistema Europeo delle Banche Centrali creato dal trattato di Maastricht, è costituito dalla Banca Centrale Europea e dalle banche centrali nazionali dei 28 stati membri dell’Unione Europea.

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una giusta concorrenza di mercato tra le banche e soprattutto omogeneizzare la normativa a livello comunitario.

A livello comunitario, la nascita della BCE nasce con lo scopo di far intraprendere una politica monetaria comune godendo di autonomia decisionale rispetto a tutti i diversi governi nazionali ed agli organi comunitari.

1.3 Relazioni Banche-imprese-famiglie

Banca-famiglia

In tutte le economie in cui gli intermediari hanno una posizione dominante rispetto ai mercati, le famiglie tendono a preferire le banche nelle loro scelte di investimento. Queste offrono loro diversi servizi, tra questi la categoria più rilevante è data dai finanziamenti (ad esempio l’acquisto di un’abitazione oppure per beni di consumo durevoli). Nonostante ciò, le famiglie italiane sono quelle meno indebitate nel confronto Europeo (non a caso saranno proprio i pacchetti rappresentativi del credito al consumo ad essere più facilmente vendibili nel mercato come vedremo in seguito). È prima di tutto un fatto culturale: le famiglie italiane sono maggiormente restie al ricorso al debito e tendono a non superare mai il loro vincolo di bilancio, dato dal reddito disponibile12.

Inoltre il debito si concentra principalmente nei nuclei familiari con più alto reddito perché maggiormente idonei a sopportarne gli oneri.

12 Cesarini F., Gobbi G., le banche e l’economia italiana, cap. 2: L’industria bancaria italiana: dimensioni e

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Figura 1: Indebitamento famiglie area euro 2015

Fonte: dai tratti dalla BCE,2016

La figura 1 mostra come nel 2016, soltanto una famiglia su quattro era indebitata nell’area euro; rapporto che scende a uno su dieci se si guarda ai soli debiti garantiti, ovvero i mutui per le abitazioni.

Banca-Impresa

Per quanto riguarda il segmento corporate, la forte dipendenza dal credito bancario, rappresenta un elemento di vulnerabilità per le imprese italiane. Il tessuto imprenditoriale italiano, rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, è composto principalmente da piccole e medie imprese che rappresentano circa il 98% dell’intera produzione e che producono il 60% del valore aggiunto dell’intero paese. Questa eccessiva esposizione si riflette in una debolezza dei bilanci bancari.

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Figura 2: Composizione passività finanziarie delle imprese

Fonte: Teoria dell'intermediazione finanziaria, Paolo Gualteri, EGEA, 2016

Guardando alla composizione delle passività finanziare delle imprese nelle principali realtà del mondo (Figura 2), quelle italiane sono quelle che hanno una dotazione di mezzi propri più bassa e la quota di debiti bancari più alta.

Sarebbe necessario dunque un segnale di fiducia da parte degli imprenditori nel potenziale delle loro aziende, aumentando l’apporto di capitale proprio e riequilibrandone il rapporto di leva.

Va comunque detto, che lo stretto legame tra Banca e impresa è anche fortemente dipendente dall’aspetto dimensionale di quest’ultima e alla vicinanza geografica con la banca con rapporti spesso gestiti prevalentemente in filiale.

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Figura 3: Composizione passività finanziarie delle imprese italiane per dimensione

Fonte:Elaborazione su dati Cerved, 2016

In primis, il tessuto di micro e piccole imprese che caratterizzano la realtà italiana, spiega il poco ricorso ai mercati (figura 3): gli standard di trasparenza richiesti comportano costi eccessivi e la volontà di mantenere il controllo sulla società disincentiva al ricorso del mercato.

Le imprese più piccole e più giovani che sono per natura più rischiose, ma sono anche quelle che creano più lavoro netto, stanno subendo una stretta creditizia più marcata rispetto a quelle di grandi dimensioni, anche per le minori possibilità di rendersi indipendenti dal canale bancario attraverso l’emissione di corporate bonds13 sul mercato. Man mano che si passa dalle micro alle grandi imprese la quota di capitale proprio aumenta e allo stesso tempo diminuisce il finanziamento bancario. Piccola eccezione la fanno le microimprese in cui emergono una quota significativa di finanziamenti soci (inclusi nella voce altri).

L’eccessivo riscorso al debito ha compresso la redditività delle imprese, che si sono mostrate più vulnerabili nelle due recessioni (prima finanziaria, e poi dei debiti sovrani) avvenute dal 2008, indebolendo allo stesso modo i bilanci delle banche e la loro capacità di concedere credito all’economia14.

13 I corporate bond sono dei titoli emessi da società private per ottenere liquidità. 14 Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n^6, 2015.

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Ad aggravare il tutto è stata la sottocapitalizzazione delle Banche stesse in rapporto ai rischi assunti nel loro attivo patrimoniale ed alla scarsa affermazione di strumenti finanziari di trasferimento dei rischi (cartolarizzazioni) rispetto ad altri paesi. Il sistema creditizio italiano è rimasto ancorato al modello tradizionale di banca: originate to hold, ovvero la maggior parte dei prestiti e dei rischi ad essi connessi sono rimasti nei bilanci delle banche che li hanno erogati.

In un tale sistema, il relationship banking15, caratterizzato dal miglioramento delle relazioni banca-impresa attraverso l’adozione di profili di relationship lending16, rappresenta ancora uno dei principali obiettivi da parte del management bancario per il superamento delle asimmetrie informative che caratterizzano il mercato.

Le asimmetrie informative si dividono in:

1) Pre-contrattuale (ex ante): definita cosi perchè relativa ad una situazione in cui un soggetto dispone di informazioni private, che gli altri soggetti non hanno, già prima di stipulare un contratto. In questo caso, la disponibilità di informazioni riservate aiuta il management bancario a valutare il rischio di credito e ridurre cosi il noto problema di adverse selection;

2) Post-contrattuale (ex post): che riguarda, più specificatamente, certe azioni, scelte e/o comportamenti che un soggetto mette in essere in seguito all’accordo e che possono condizionare fortemente il risultato ottenuto dai soggetti coinvolti nell’ambito della transazione. In questo caso, invece, maggiori informazioni sono utili per evitare comportamenti di moral hazard.

Le informazioni rilevanti si riferiscono non solo al profilo e alle capacità dell’imprenditore (aspetto qualitativo) ma anche ai dati reddituali dell’impresa desumibili dai bilanci contabili (aspetto quantitativo).

Le PMI si rivolgono esclusivamente al canale bancario, ma rischiano di avere maggiori difficoltà ad ottenere fondi rispetto alle grandi imprese per dei validi motivi strutturali:

15 Pazzetti R., “Le strategie competitive nel corporate banking. Implicazioni gestionali e modelli organizzativi emergenti nelle banche italiane”, Giuffrè Editore 2006.

16 Forma di intermediazione bancaria in cui la banca fa credito ad un cliente in base a dei precedenti rapporti di prestito.

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● sono più “opache” e le loro capacità di fare impresa sono più difficili da valutare: i loro bilanci offrono meno informazioni e le loro storie di credito sono generalmente più brevi; ● i maggiori costi fissi di valutazione esterna e monitoraggio per le banche si traducono per le

PMI in costi di transazione più elevati, in particolare per quelli derivanti da asimmetrie informative.

La difficoltà nel reperire determinate informazioni unità alla scarsa capacità del management nelle valutazioni dei differenti profili di rischio, ha portato spesso le banche a rinunciare ad effettuare investimenti o concedere prestiti con evidenti riflessi negativi sui bilanci e al sistema economico in generale. Ciò ha aumentato la tendenza, da parte delle PMI, al pluriaffidamento che, da un lato, consente una ripartizione del rischio di credito tra gli istituti, con effetti positivi sulla mitigazione del rischio, dall’altro però potrebbe far accrescere il rischio di perdite qualora gli istituti non siano in grado si effettuare una corretta analisi quali/quantitativa dei richiedenti fondi.

1.4 Le cause della crisi

La recessione attuale dovuta alla crisi ha avuto le sue origini con la subprime mortgage financial crisis, iniziata negli Stati Uniti nell’agosto del 200717 e diffusa in tutto il resto del mondo, è stata provocata dall’adozione di irrazionali criteri nell’erogazione dei prestiti e dalla loro successiva cartolarizzazione insieme all’utilizzo degli strumenti derivati, i cui effetti sulle economie mondiali persistono in modo drammatico ancora oggi.

Il generale livello ridotto dei tassi di interesse nei primi anni del 2004 ha incentivato l’emissione di mutui a clientela di tipo subprime.

La crisi ha avuto ripercussioni in tutte le principali economie evidenziando in particolare il crollo nel commercio internazionale ed il peggioramento dei portafogli crediti delle banche che hanno

17 Tradizionalmente, lo scoppio della crisi viene fatta coincidere con il giorno del fallimento della banca d’affari

Lehman Brothers, lunedì 15 settembre 2008, che paradossalmente, come, il venerdì precedente vantava un rating

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continuato a deteriorarsi negli anni successivi18. Non meno importante è la sovereign debt crisis come conseguenza degli interventi pubblici che miravano alla soluzione della prima crisi19.

I fattori che maggiormente hanno contribuito alla crisi sono stati20:

- il boom del credito in diversi paesi industriali;

- il boom dei prezzi degli immobili residenziali e dei mercati azionari;

- la crescita della propensione al rischio, causata da un’eccessiva “illusione di liquidità”.

I prestiti a clienti di pessima qualità21 e la successiva applicazione della securitisation, unito all’andamento negativo del mercato immobiliare, hanno riprodotto ripetute insolvenze e, di conseguenza, perdite di valore nelle ABS22 strutturate con modalità inadeguate all’evolversi della situazione23. Ulteriori perdite sono poi derivate dal panic selling e dalla diffusione della crisi finanziaria. Gli intermediari finanziari con alti livelli di ABS in portafoglio sono stati colpiti da crisi di fiducia per le riduzioni di valore nell’attivo, sollevando problemi di ricapitalizzazione e fallimenti24.

Gli anni precedenti alla crisi sono stati caratterizzati da un lungo periodo di boom economico dove gli investitori e soprattutto le imprese, travolte da uno stato di euforia, hanno ridotto sempre più la porzione di attività liquide nel loro portafoglio e incrementato invece l’investimento in attività reali. A loro volta, le istituzioni finanziarie, prese dallo stesso stato di euforia, hanno ampliato il canale dei finanziamenti, concedendo prestiti anche a debitori che, in un clima di aspettative più moderato, avrebbero rifiutato. In particolare, solo una parte di questi fondi è stata utilizzata al fine di acquistare beni capitali perchè una parte consistente è stata destinata ad una attività di speculazione sui mercati finanziari, trainata da aspettative di un futuro aumento del corso dei titoli.

18 Beck R., Jakubik P., Piloiu A., “Non-performing loans: What matters in addition to the economic cycle?”, Working Paper Series, n. 1515, Febbraio 2013.

19 Colombini F., Calabrò A., “Crisi finanziarie. Banche e stati”, Utet, 2011.

20 Delli Gatti, La crisi dei mutui subprime, in Osservatorio monetario, ASSBB, n.1, 2008, p. 2. 21 Si pensi che vennero concessi mutui cosiddetti NINJA, ovvero “ NO income, NO job, NO assets”.

22 Le Asset backed securities (o ABS) sono strumenti finanziari, emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione, del tutto simili alle normali obbligazioni. L’argomento verrà nuovamente ripreso nel terzo capitolo. 23 L’argomento verrà analizzato nel dettaglio nei capitoli successivi.

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Con l’incremento dei prestiti, il delicato equilibrio, sia quantitativo che temporale, tra attività e passività si è ridotto, inducendo le banche ad incrementare sempre di più la raccolta mediante l’offerta di elevati tassi di interesse ai depositanti e il maggiore impiego delle operazioni di cartolarizzazione.

In questo contesto la securitisation ha rappresentato uno strumento indispensabile: sono stati concessi prestiti a soggetti che non presentavano un merito creditizio elevato (subprime), e, tali prestiti, sono stati cartolarizzati e posti sul mercato con tassi appetitosi per gli investitori.

Questa tecnica ha reso possibile un nuovo modello di intermediazione creditizia. Al modello di intermediazione classico, originate to hold, si è affiancato il nuovo, originate to distribuite, nel quale l’obiettivo principale era stato la massimizzazione del ricavo derivante dalla collocazione sul mercato dei finanziamenti concessi, con scarsa attenzione al merito di credito del creditore25.

Un’ampia quota del credito erogato dalle grandi banche è stato trasferito fuori bilancio tramite le cartolarizzazioni, ma la portata dell’effetto è stata amplificata dal fatto che anche soggetti non bancari, come società di leasing finanziario, emittenti di carte di credito ecc., hanno contribuito alla concessione di credito. La valutazione dei titoli cartolarizzati è diventata assai problematica e gli errori di valutazione, resi possibili dalla forte domanda per tale tipologia di titoli, hanno esposto il sistema finanziario a un elevato rischio sistemico26.

La crescente richiesta di mutui residenziali e la conseguente ascesa del prezzo delle case che si era venuta a creare ha avuto termine quando il Federal Reserve System (Fed)27 ha deciso di adottare una politica monetaria restrittiva. A partire da quel momento, il mercato è entrato progressivamente in crisi: l’accesso ai finanziamenti è diventato più oneroso e restrittivo e di conseguenza la domanda d’immobili e il relativo prezzo, hanno iniziato a seguire un trend discendente. Il crollo del prezzo degli immobili ha ridotto il valore delle garanzie reali, con conseguenti perdite per le finanziarie specializzate in mutui, per le banche e sui titoli frutto della cartolarizzazione. Conseguentemente le agenzie di rating hanno declassato il grado di rischio di tali titoli che insieme all’insolvenza di alcuni debitori e al contemporaneo mutamento delle aspettative ha generato una corsa alla vendita di questi titoli, ormai privi di valore.

25 La degenerazione del modello OTD non è di esclusiva responsabilità degli istituti di credito poiché si deve riconoscere la parte svolta anche da agenzie di rating, autorità di vigilanza, un’allentata normativa prudenziale e una politica monetaria in quel momento molto accomodante.

26 Porteri A., La Crisi, Le Banche e i Mercati Finanziari, Paper numero 102, 2010, p. 5 e 6.

27 La Fed, conosciuta anche come Federal Reserve (it. Riserva federale) è la banca centrale degli Stati Uniti

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Inizialmente i responsabili politici hanno ritardato a percepire la gravità della situazione, pensando che si trattasse unicamente di un problema di liquidità e preoccupandosi solo per la solvibilità delle singole istituzioni finanziarie. Queste opinioni hanno subito un drastico cambiamento dalla seconda metà del 2008 quando la crisi si è estesa dall’area finanziaria all’economia reale e dagli Stati Uniti anche in Europa.

1.5 Credit crunch

Dalla crisi nel mondo finanziario sono scaturiti alcuni eventi che hanno portato alla rarefazione del funding con ripercussioni negative sull’economia reale quali la compromissione della qualità del credito e la compressione dei margini bancari.

Le quotazioni e i prezzi di praticamente tutte le categorie d’investimento (azioni, obbligazioni societarie e non, materie prime, ma anche il valore di alcune valute) hanno subito un netto crollo. Gli istituti bancari, in particolare, si sono trovati a fronteggiare le crescenti ondate di ribasso dei titoli sulle principali borse mondiali.

La crisi del 2007 iniziata sui mercati dei capitali è stata essenzialmente una vera e propria crisi di liquidità. Per ripristinare la liquidità necessaria allo svolgimento delle loro attività, le banche sono state costrette a svendere le loro attività, ritrovandosi spesso ad avere un passivo di gran lunga superiore a quanto possedevano.

Parallelamente, si è manifestato un crollo di fiducia nel mercato finanziario, in particolare in quello interbancario28: gli istituti bancari non erano più disponibili a fare affidamento sulle garanzie offerte da parte delle altre banche. I prestiti interbancari, che sono alla base della circolazione dei capitali nell'intero sistema, sono stati congelati perché le banche temevano di ricevere a garanzia titoli di bassa qualità e non vi era certezza circa la capacità dell’istituto prenditore di fondi di restituire quanto prestato. I meccanismi alla base del sistema finanziario hanno subito, dunque, un’inevitabile arresto29. In Europa, ad esempio, i tassi interbancari come l’Euribor sono cresciuti di circa 400 punti

28 Il mercato interbancario è quello su cui le banche si prestano denaro tra di loro. I prestiti su questo mercato avvengono su diverse scadenze:overnight (rimborso il giorno successivo),a due giorni, a una settimana, ad un mese e più. A seconda della scadenza viene applicato un tasso diverso: Overnight, Euribor etc.

29 Scajola, S., La crisi finanziaria e gli effetti sull’economia reale, Approfondimento del Rapporto Industria CISL 2008, Dipartimento Pubblico Impiego Industria Energia Artigianato, p. 5 e 6.

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base30 in nemmeno un mese per i prestiti a brevissima restituzione. Nella medesima difficoltosa situazione si sono ritrovate anche le imprese, in particolare quelle che reperivano le risorse finanziarie ricorrendo ai prestiti bancari o all’emissione di obbligazioni, dal momento che da un lato, il crollo della fiducia aveva scatenato una contrazione nell’offerta di credito e, dall’altro, i mercati obbligazionari societari risultavano di fatto paralizzati.

Inizialmente la contrazione del credito fu contenuta per due ordini di motivi: da un lato si ridusse anche la domanda di credito (da parte di imprese e famiglie) per effetto del clima di sfiducia, di incertezza economica e di inizio calo dell’attività produttive; dall’altro lato la maggior parte delle banche avevano depositi da clientela sufficienti a compensare una riduzione dei prestiti all’ingrosso. La seconda crisi, quella dei debiti sovrani 2009/2010, ha avuto effetti più gravi sul credito. Le banche investono una buona porzione dei propri assets in titoli di stato, in quanto sono una buona fonte di liquidità. Questi possono essere sia scambiati sui mercati secondari, sia possono essere usati come garanzia per i prestiti concessi dalla Banca Centrale Europea e per quelli raccolti sul mercato all’ingrosso. Con il calo dei prezzi dei titoli di stato, si sono ridotte le provviste di liquidità, in quanto il valore delle garanzie cedibili per ottenere finanziamenti è diminuito; la redditività della banca stessa si è ridotta ed in ultimo è aumentata la sua rischiosità. La capacità infatti dell’istituto di raccogliere fondi sul mercato è funzione anche del rating ad esso assegnato da agenzie specializzate che tengono conto nella valutazione ovviamente anche il rating del paese di appartenenza.

Le banche, preoccupate del loro capitale che veniva eroso dalle minusvalenze dovute alla crisi dei mutui, sono state costrette a frenare il credito con effetti negativi sull'attività economica. Tra quest’ultimi menzioniamo: la precarietà dei mercati creditizi e finanziari, la forte caduta della domanda aggregata e della fiducia dei consumatori, il ridimensionamento dei piani aziendali nonché il calo degli investimenti.

La crisi colpisce dunque quella che è l’economia reale abbattendosi principalmente sulla produttività la quale si contrae notevolmente, contemporaneamente alla caduta del commercio mondiale31.

Tali effetti, che nel corso degli anni sono progressivamente aumentati, hanno fatto sorgere a livello globale il rischio concreto di un “credit crunch”, ovvero una stretta creditizia da parte del sistema bancario.

30 Punti base o “bases point” sono dei centesimi di punto percentuale, ovvero la più piccola unità di misura adoperata in relazione a indici e tassi.

31 Caivano M., Rodano L., Siviero S., “La trasmissione della crisi finanziaria globale all’economia italiana. Un’indagine contro fattuale, 2008 – 2010”, Aprile 2010, n.64.

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È molto complesso riuscire a stabilire con certezza se il rallentamento creditizio accorso negli ultimi anni rifletta effettivamente una restrizione dell’offerta da parte delle banche o sia piuttosto riconducibile ad un calo della domanda da parte di famiglie e imprese, a fronte dei diversi fenomeni verificatasi con l’avvento della crisi (turbolenze dei mercati dei capitali, debolezza del comparto immobiliare, caduta della spesa per consumi e investimenti, peggioramento del merito di credito della clientela bancaria)32.

Tuttavia, riveste un ruolo sempre maggiore la limitazione del mercato del credito legata all’inasprimento delle condizioni imposte dalle banche: negli ultimi anni le banche hanno aumentato il costo del credito sia tramite strumenti diretti, aumento del tasso di interesse debitorio e spese di istruttoria e apertura pratica, sia indiretti, diminuzione dei tempi di restituzione del debito, richiesta di maggiori garanzie reali e personali. Così facendo, esse hanno tuttavia innescato una spirale che ha condotto ad un razionamento vertiginoso dell'offerta di credito, appunto il credit crunch. Dal punto di vista delle banche il razionamento del credito è stata una mossa necessaria per cercare di arginare il peggioramento dell’attivo di bilancio, tuttavia il flusso di fondi verso le imprese si è ridotto troppo bruscamente in coincidenza del peggioramento della situazione economica e tale strumento di protezione ha accelerato il deterioramento della situazione.

Il malfunzionamento del canale credito può portare a diverse conseguenze negative per l’economia reale. Per i mutuatari delle economie più deboli, il processo di deflazione dovuto al continuo calo dei prezzi relativi, oltre all’aumento dei tassi di interesse nominali, sta causando un aumento dei tassi di interesse reali che fa così salire il costo reale del servizio del debito.

Il credit crunch, dunque, colpisce duramente le imprese dell’area euro con particolare rilevanza per quelle di piccole e medie dimensionie con forti differenze tra un paese e l’altro: quelle dei paesi “periferici”, tra cui il nostro, accedono al credito bancario con difficoltà e costi nettamente più alti rispetto a quelle dei paesi “core”, in particolare quelle tedesche.

32 Panetta F., Signoretti F.M., Domanda e l'offerta di credito in Italia durante la crisi finanziaria, Questioni di

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1.6 Unione bancaria e vigilanza unica

Unione bancaria

È opportuno, per chiudere l’analisi del contesto economico e normativo in cui inquadrare il problema della gestione dei non performing loans, tener conto della dimensione europea del problema. L’Italia è uno Stato membro dell’Unione Europea e come tale è entrato automaticamente a fare parte della recente Unione Bancaria.

L’Unione Bancaria colma quelle carenze normative e di vigilanza che permettono di completare l’Unione Economia e Monetaria (UEM). Possiamo definirla come una risposta alle molteplici crisi, come quella del sovreign debt, che ha reso le banche legate all’andamento dei rendimenti dei titoli di Stato. La finalità è quella di creare una maggiore stabilità del sistema bancario dell’area Euro: allentando il legame tra banche e gli emittenti sovrani, e promuovendo delle norme, identiche per tutte le Banche dell’Eurozona, in merito alla vigilanza prudenziale degli enti creditizi avviando un importante cambiamento per il settore bancario.

L’unione Bancaria si compone di tre pilastri33:

1) un Meccanismo di Vigilanza Unico (SSM);

2) uno schema comune di risoluzione delle crisi bancarie (SRM); 3) uno schema integrato di garanzie dei depositi (DGS).

Tutti e tre le componenti poggiano su due pacchetti di norme orizzontale:

 CRD IV, la direttiva europea che recepisce e rende applicabile i vincoli patrimoniali previsti nella normativa di Basilea III34;

 BRRD, la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche; ovvero la nuova disciplina che regola il fallimento degli istituti di credito senza richiedere il salvataggio ai contribuenti (bail-in).

Grazie all’introduzione di queste nuove norme, adottate tra il 2013 ed il 2014, si è fatto un grandissimo passo in avanti verso una maggiore armonizzazione europea in materia bancaria.

33 Santoro V., Chiti M., “L’unione bancaria europea” Pacini Editore, 2016, pag. 55-61.

34 Il pacchetto è entrato in vigore il 1 Gennaio 2014, garantendo uniformità di condizioni per tutte le 8200 banche dell’Unione Europea.

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21 Il Meccanismo di vigilanza unico (SSM)

Il nuovo assetto di vigilanza prudenziale, il Meccanismo di vigilanza unico35, nasce per assicurare che la Politica di vigilanza prudenziale dell’Unione venga attuata in maniera omogenea ed efficace su tutti gli enti creditizi dei paesi partecipanti.

Tre sono dunque le finalità:

1. una maggiore stabilità del sistema bancario europeo; 2. una maggiore integrazione del sistema finanziario; 3. una maggiore armonizzazione delle regole di vigilanza.

Ancor prima che il rafforzamento del ruolo della BCE (la cui vigilanza sarà accentrata principalmente sulle banche more significant), si può dire che uno degli elementi fondamentali del Meccanismo di vigilanza unico sia l’azione dell’European Banking Authority (EBA)36. L’Autorità bancaria europea, infatti, riveste un ruolo insostituibile nella definizione di quel single rulebook ottenuto armonizzando le normative nazionali e ponendo in capo agli istituti di supervisione dei singoli Stati la c.d. peer review nei confronti degli enti creditizi, verso i quali è applicato l’approccio comply or explain («adèguati o spiega»), tipico del diritto europeo, cui soggiace, in quanto organismo che riunisce le banche centrali di alcuni Paesi UE, anche la BCE. Nello specifico, il ruolo dell’EBA nel nuovo assetto di vigilanza si estende alla supervisione degli intermediari cross-border, all’effettuazione di stress test, alla garanzia di una «risposta coordinata in situazioni di crisi, col potere di porre in essere azioni in casi di emergenza, coordinando le risposte dei supervisori nazionali».

Il Meccanismo unico si fonda sulla stretta collaborazione tra la BCE e le autorità nazionali competenti (ANC) dei paesi membri37. Il ruolo della prima è quello di fornire le sue competenze e risorse in materia di stabilità macroeconomica, mentre le seconde offrono le loro conoscenze

35 L’SSM (Single Supervisory Mechanism ) ha richiesto ben ventotto mesi di preparazione: dal 29 Giugno 2012 sino alla sua adozione.

36 L’ European Banking Authority, da è un organismo dell'Unione europea che dal 1º gennaio 2011 ha il compito di sorvegliare il mercato bancario europeo. Ad essa partecipano tutte le autorità di vigilanza bancaria dell'Unione europea. L'Autorità sostituisce il Committee of European Banking Supervisors (CEBS) e ha sede a Londra con Presidente l'italiano Andrea Enria.

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quantitative e qualitative, nonché la loro consolidata esperienza in tema di vigilanza, sugli enti creditizi nelle rispettive giurisdizioni. Questa strutturazione permette principalmente di adottare le migliori prassi (best practices) internazionali in merito. Inoltre evita disparità di trattamento, perché le prassi di vigilanza saranno commisurate all’importanza sistemica dell’ente (principio di proporzionalità) e l’intensità della supervisione sarà anche in funzione dei rischi valutati dall’SSM, sottoponendo dunque un ente o un gruppo di enti creditizi ad un controllo maggiore fino al raggiungimento di un livello di rischio accettabile.

Il sistema unico di vigilanza, fa capo alle BCE, che avrà sotto il suo controllo diretto le principali banche dell’Eurozona, mentre controllerà indirettamente, tramite le ANC, le altre banche o gruppi meno significativi (Figura 4).

Figura 4: La ripartizione dei compiti nell’ambito dell’SSM

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Nel suo complesso, il primo pillar dell’Unione Bancaria, vigila su 4.700 enti degli stati membri: di questi 120 gruppi bancari (85% delle attività bancarie complessive della zona euro), che rappresentano circa 1.200 enti creditizi, sono considerati significant institutions, e pertanto sono sottoposti alla vigilanza diretta della BCE, coadiuvata dalle ANC all’interno dei Gruppi di Vigilanza Congiunti (GVC)38. Gli enti meno significativi, i restanti 3.500, rimangono alle dipendenze delle diverse autorità nazionali e sotto la responsabilità ultima della Banca Centrale, la quale potrà assumere una vigilanza diretta anche su questi ultimi qualora ve ne fossero le necessità39.

L’appartenenza di un istituto di credito ad una classe piuttosto che ad un'altra viene eseguita mediante una verifica periodica. Un ente viene classificato come “significativo” se presenta almeno uno dei seguenti requisiti:

 il valore totale delle attività supera i 30 miliardi di euro o, nel caso in cui il totale degli assets sia inferiore ai 5 miliardi di euro, superi il 20% del PIL nazionale;

 è uno dei tre enti creditizi più rilevanti all’interno del proprio Stato;  ha l’assistenza diretta del meccanismo europeo di stabilità;

il totale degli assets è superiore ai 5 miliardi di euro e il rapporto tra le attività transfrontaliere in un altro Stato membro partecipante e le attività totali supera il 20%, oppure il rapporto tra le passività transfrontaliere in un altro Stato membro partecipante e le passività totali è superiore al 20%40.

Nel momento in cui viene soddisfatto per la prima volta almeno uno dei requisiti precedentemente elencati, la competenza trasla dalle ANC alla BCE. Affinché il passaggio da una categoria all’altra non diventi troppo frequente (cioè può avvenire anche a seguito di operazioni straordinarie) è necessario, per sottrarsi alla supervisione diretta della BCE, rispettare tutti i criteri per almeno tre anni consecutivi41.

38 I GVC sono costituiti per ciascun ente significativo e si occupa della sua vigilanza giornaliera. È composto da personale BCE e ANC del paese residente, e fa capo ad un coordinatore della Banca Centrale.

39 Da notare che un peggioramento delle condizioni finanziarie o l’avvio di un processo di gestione delle crisi, non sono ragioni sufficienti a giustificare l’intervento della BCE.

40 Il riquadro: Classificazione degli enti come significativi o meno significativi, in Guida alla vigilanza bancaria, Novembre 2016.

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Sulla base di questa ripartizione, sono 15 i gruppi bancari italiani sotto la vigilanza diretta della BCE: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mediobanca, Ubi Banca, Popolare dell’Emila Romagna, Popolare di Milano, Popolare di Sondrio, Popolare di Vicenza, Banco Popolare, Credito Emiliano, Credito Valtellinese, Iccrea Holding, Veneto Banca, Banca Carige e Monte dei Paschi di Siena (queste ultime due le uniche Banche italiane bocciate agli stress test).

Il regolamento dell’SSM definisce lo schema di vigilanza come un “meccanismo realmente integrato”: una costante collaborazione tra Banca Centrale e le varie ANC, in cui le politiche di vigilanza e regolamentazione fanno da base per l’attività stessa di vigilanza.

Figura 5: Ciclo di Vigilanza

Fonte: : Guida alla vigilanza bancaria, BCE-Eurosistema, 2014

Da un lato (Figura 5) la Divisione Politiche di vigilanza, sulla base degli accordi di Basilea armonizzati attraverso un corpo unico di norme (Sigle Rule Book), definisce i requisiti prudenziali per le due categorie di istituti. Dall’altro lato le metodologie di supervisione sono elaborate

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dall’apposita Divisione di Metodologia e Standard di Vigilanza. Entrambi gli aspetti saranno il fondamento della vigilanza giornaliera sui singoli enti. La pianificazione successiva incorporerà tutti i margini di miglioramento individuati nell’esercizio appena concluso. I poteri della BCE riguardano quelli che fino a qualche tempo fa’ erano di singola competenza delle autorità nazionali. Congiuntamente con le ANC, può concedere o revocare la licenza bancaria ed anche decidere se autorizzare l’acquisizione di partecipazioni di altri enti creditizi nell’eurozona, esegue un’analisi sui modelli interni di valutazione del rischio adottati dalle banche ed, eventualmente, può richiedere dei rafforzamenti patrimoniali. L’SSM può compiere ispezioni, sempre “proporzionate”, per una valutazione approfondita sulla gestione dei rischi e sulla governance. Infine, in caso di irregolarità, violazioni di obblighi normativi, può imporre sanzioni pecuniarie, fino al doppio degli utili o delle perdite evitate con la violazione42.

42 Se non fosse possibile determinare i profitti, la sanzione potrà essere massimo il 10% del fatturato annuo dell’esercizio appena concluso.

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I non performing loans

SOMMARIO: 2.1 Nascita degli NPLs – 2.2 Definizione – 2.3 Valutazione dei non performing loans in portafoglio – 2.4

NPLs e coverage ratios – 2.4.1 Asset Quality Review BCE (AQR) – 2.4.2 Risultati AQR BCE – 2.5 Le linee guida BCE

in materia di crediti deteriorati – 2.5.1 Addendum – 2.5.2 Possibili conseguenze dell’addendum sulle cartolarizzazioni – 2.6 Modalità di gestione dei crediti deteriorati

2.1 Nascita degli NPLs

La crisi descritta nel capitolo precedente ha colpito le banche anche attraverso il calo dell’attività produttiva per le imprese. Le banche commerciali sono costrette, dal punto di vista della gestione del rischio, in un periodo di recessione come quello attuale ad adottare un approccio più selettivo nella fornitura di credito per preservare la qualità degli assets dei loro bilanci.

Nei periodi di crisi le banche tendono a contenere i rischi, riducendo l’esposizione verso clienti potenzialmente pericolosi con una limitata storia professionale e bancaria alle spalle e minori garanzie reali e/o personali. Tutti elementi che si riscontrano in maniera più ampia e diffusa nelle PMI, considerate per questi motivi a più alta probabilità di insolvenza rispetto alle grandi imprese ostacolando in misura maggiore le loro attività e i loro investimenti.

Questo è effettivamente avvenuto durante la crisi dell’eurozona: il merito creditizio e la salute finanziaria delle PMI sono peggiorati in modo più marcato rispetto a quelli delle grandi imprese e il lungo periodo di debolezza economica ha inasprito i loro problemi di asimmetria informativa43. La difficoltà di ottenere credito, che influenza la loro ordinaria amministrazione, ma anche la loro capacità di crescere, può facilmente trasformare i problemi di liquidità in rischio di insolvenza . Questo ha significato non solo una riduzione della domanda di credito e quindi del fatturato per la banca, ma un incremento notevole, che ancora oggi continua, dei crediti deteriorati.

I crediti deteriorati, che possono anche essere indicati con il termine non performing loans (NPLs) nel linguaggio anglosassone, rappresentano una determinata categoria di crediti di difficile riscossione.

43 Discorso di Benoît Coeuré, membro del Comitato esecutivo della ECB, Eurofi High Level Seminar, Dublino, 11 aprile 2013.

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Non si è fatto altro che alimentare un circolo vizioso: le due recessioni hanno portato crisi di liquidità per le banche e riduzioni dei fatturati per le imprese; le prime hanno reagito con una riduzione degli impieghi e tramite un aumento dei tassi sui prestiti e questo non ha fatto altro che peggiorare la situazione dei debitori, sempre più in difficoltà nel far fronte al servizio del debito. È seguito cosi un peggioramento del portafoglio crediti delle banche (sono aumentate l’esposizioni non performing, ovvero quelle per cui è incerta la riscossione sia in termini di rispetto delle scadenze, sia dell’ammontare dell’esposizione), che ancora di più incentiva queste a ridurre i loro impieghi per poter meglio gestire i rischi assunti, così come la nuova normativa richiede, o meglio ad essere maggiormente selettive con le aziende clienti, rifiutando richieste da chi fosse già eccessivamente indebitato.

Figura 6: Circolo vizioso

Fonte: GSFR, October 2013

Questo circolo vizioso (Figura 6) che si è instaurato spiega il continuo aumentare degli NPLs nei portafogli bancari, e di come essi siano un freno all’operatività dell’istituto.

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2.2 Definizione

Per la banca, l’attività di lending è un processo complesso, che è incentrato sul concetto di credito: obbligo per il concessionario di ripagare la quota capitale e le relative quote interessi alla banca creditrice. Gli assets non performing, sono invece legati al concetto di Credit Risk: la probabilità, che il debitore diventi insolvente prima della scadenza del prestito e non sia in grado di ripagare capitale ed interessi.

Il continuo peggiorare della qualità del credito, anche a seguito della crisi finanziaria, ha fatto aumentare la necessità di prima prevenire, gestire e successivamente attivare un mercato ad hoc degli NPLs.

Nel linguaggio bancario i non performing loans sono anche denominati crediti deteriorati in contrapposizione ai crediti detti in bonis, ovvero quelli che non presentano alcun tipo di criticità. La distinzione risulta utile alla banca per monitorare le proprie posizioni di rischio ed eventualmente assumere le adeguate precauzioni.

Per esso si intende un credito caratterizzato da pagamenti irregolari dovuti ad uno stato di insolvenza della controparte, che rende necessaria l’escussione delle garanzie (reali e/o personali) e fa ritenere probabile la perdita di una quota significativa del capitale complessivamente erogato o del corrispettivo della prestazione eseguita. Il fatto che la perdita sia ritenuta probabile non significa però che una volta emersa l’insolvenza non sia poi possibile recuperare parte dei finanziamenti concessi44.

Come accennato nel primo capitolo, non si può non tenere in considerazione il contesto europeo di riferimento.

Il 9 gennaio 2015 l’EBA ha pubblicato gli Implementing Technical Standards45 fornendo gli standard tecnici in materia di esposizioni deteriorate (non-performing exposures, NPE) e di forbearance, da utilizzare nell’ambito delle segnalazioni finanziarie di vigilanza armonizzate a livello europeo (Finrep).

Una volta adottati con regolamento UE, tali standard saranno direttamente applicabili nei diversi Stati membri.

44 I crediti insoluti possono comportare tassi di perdita inferiori al 100%, o nulli se il valore di realizzo delle garanzie risulta più capiente rispetto all’importo del debito.

45 Gli ITS non sono altro che degli Standard generali per poter definire in maniera universale i crediti deteriorati e semplificare così il lavoro di analisi.

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Gli standard sono stati sviluppati con l’obiettivo di non modificare le attuali definizioni contabili e prudenziali applicate nei diversi paesi, ma di integrarle in modo da ridurre i margini di discrezionalità esistenti e di agevolare la confrontabilità dei dati.

L’EBA chiarisce, che il principio alla base dell’esistenza degli NPLs è l’unlikely to pay. Indipendentemente dalle garanzie rilasciate, e delle quote scadute, l’esposizione entra nella categoria degli NPLs nel momento in cui il debitore versi in una situazione tale da far temere alla banca che il prestito non possa essere più onorato. Si definiscono pertanto attività finanziarie “deteriorate” le attività per cassa (finanziamenti e titoli di debito) e “fuori bilancio” (garanzie rilasciate, impegni irrevocabili e revocabili a erogare fondi, ecc.) verso debitori che ricadono nella categoria di NPE (exposures non performing )46 ovvero come la caratteristica che presentano attività scadute da oltre 90 giorni, o comunque facenti capo a soggetti il cui rimborso delle obbligazioni risulta essere assai improbabile. Sono sempre considerate NPE, le posizioni dette inadempienze probabili e in sofferenza secondo quanto previsto dalla normativa contabile (IAS 39) e prudenziale (CRR).

Si definiscono sofferenze il complesso delle esposizioni per cassa e fuori bilancio nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca.

Sono considerate inadempienze probabili le esposizioni creditizie per le quali la banca giudichi improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie.

Le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate sono esposizioni, diverse da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili, che sono scadute e/o sconfinanti da oltre 90 giorni e superano una prefissata soglia di materialità.

Con l’EBA viene fornita un’indicazione anche per le partite cosiddette ristrutturate, le forbearance, indicata come una nuova classe di NPE, specificando47:

Forbearance non performing: corrisponde all’italiano credito ristrutturato. Compare con questa dicitura a fronte della “concessione” data dalla banca

46 NPE rappresenta il totale delle esposizioni non performanti, tra cui anche i prestiti.

47 Il riquadro: La definizione di esposizioni deteriorate (non‐performing) e oggetto di concessioni (forbearance) nelle regole EBA nell’Asset Quality Review, in Rapporto sulla Stabilità finanziaria, n^1, 2014.

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creditrice e per poter passare alla categoria che segue deve trascorrere almeno un anno (cosiddetto cure period);

Forbearance performing: sono quei crediti usciti dalla categoria precedente, ma per poter essere completamente considerati senza rischio e quindi trasferirsi nella categoria in bonis, devono trascorrere almeno due anni (probation period).

Quindi da un punto di vista contabile, dopo l’accordo di ristrutturazione, per il primo anno la partita creditizia comparirà come non performing della categoria forbearance; al termine, se è venuto meno il rischio di insolvenza può uscire da questa sottocategoria ed essere considerata performing, ma sempre come forbearance. Al termine del probation period, se sussistono tutte le condizioni, l’esposizione verrà classificata come performing (questa volta in bonis), senza richiedere alcune riserve a fronte.

Vengono inoltre previsti due approcci per le esposizioni scadute in funzione della natura della controparte. Per la componente al dettaglio, retail (famiglie e PMI), si può procedere con il criterio per transazione o per debitore; per tutte le altre categorie di clientela, quindi nel caso in cui il borrower sia un Istitutions o Corporate di grande dimensioni si applica sempre il secondo criterio:

I. Per “transazione” vuol dire classificare come NPE solo il singolo credito;

II. Per “debitore” si intende considerare come non performing tutte le linee di credito verso lo stesso debitore.

Sarà obbligatorio passare all’approccio per debitore qualora l’esposizione scaduta superi il 20% del totale delle esposizioni per cassa verso la stessa controparte. In Italia vigeva una normativa meno rigida: la soglia da superare era il 10%, ma nel calcolo entrava solo la quota scaduta e non l’intero affidamento.

Altra differenza riguardava il fatto che sempre in Italia, i bad loans (escluse le sofferenze) continuavano a maturare interessi, contribuendo ad accrescere il totale degli NPLs, al contrario del resto del continente in cui l’impairment48 delle attività finanziarie fa cessare di produrli.

48 L'impairment test è un procedimento che ha l'obiettivo di verificare che le attività siano iscritte in bilancio a un valore non superiore a quello recuperabile.

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La definizione di NPE dell’EBA è sostanzialmente allineata a quella di attività deteriorate utilizzata in Italia. Quest’ultima infatti:

 prescinde dalla presenza di garanzie;

comprende già le esposizioni ristrutturate (che confluiranno nella categoria forbearance dell’EBA);

 si basa in larga misura su un approccio per debitore;

stabilisce un meccanismo di pulling (diverso da quello dell’EBA) in caso di approccio per transazione.

In alcuni casi la definizione italiana è più ampia di quella dell’EBA; include ad esempio le esposizioni in derivati creditizi e finanziari e quelle classificate nel trading book. Prevede inoltre meccanismi generalmente più stringenti per l’uscita dalla categoria dei crediti ristrutturati: le posizioni ristrutturate rimangono tali fino alla loro estinzione salvo delibera motivata dei competenti organi aziendali che attesti il ritorno alla solvibilità del debitore, adottabile non prima di due anni; nell’approccio dell’EBA invece l’uscita dalla categoria forbearance non-performing può avvenire dopo un anno dagli accordi di ristrutturazione senza una specifica richiesta di delibera aziendale, qualora venga meno il rischio di mancato rimborso delle esposizioni ristrutturate.

Tabella 1: Sofferenze (in miliardi)in Italia.

Fonte: Sistema bancario. Comparazione di dati quantitativi degli anni 2007-2016, M. Novelli.

La tabella 1 evidenzia come la crescita delle sofferenze in Italia siano esplose dal 2007 al 2016 in particolare destano molta attenzione quelle bancarie cresciute di oltre il 300 %, passando dai 47,5 miliardi ai 191,436.

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Figura 7:la 25 Banche italiane con elevato Texas Ratio

Fonte: Fonte: R&S Mediobanca su dati di bilancio 2015

Particolarmente interessante è il Texas Ratio49, l’indicatore che segnala la rischiosità della banca

dato dal rapporto tra debiti netti deteriorati e patrimonio netto tangibile, compresi gli accantonamenti.

La figura 7 rappresenta una top 25 basata sui dati di uno studio di Mediobanca che ha messo sotto la lente di ingrandimento i bilanci del 2015 di 114 banche italiane classificandole in relazione al loro Texas ratio. Se l’indice è sotto il 100% la banca è sana. Sopra i cento cominciano i problemi che peggiorano col crescere della forbice.

In base a questo rapporto la banca peggiore d’Italia, nel 2015 risulta essere la Bcc di Teramo che aveva un Texas ratio di 777,2. L’istituto è stato salvato dall’intervento della Bcc di Castiglione Messer Raimondo e Pianella con l’aiuto del Fondo di garanzia del credito cooperativo. Al terzo posto della lista figura Unipol Banca con un i del 380,3% ma il gruppo Unipol è ancora alla ricerca

49 Il Texas Ratio è un indice – relativamente semplice, peraltro – messo a punto dagli analisti di RBC Capital Markets ed in particolare da Gerard Cassidy per analizzare la crisi delle banche del Texas (da cui il nome) durante la recessione degli anni '80.

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