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1 “Come un pezzo di ferro freddo”.

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(1)

“Come un pezzo di ferro freddo”.

1

La costruzione europea della diversità: gli indios.

“.. la cruz, la espada, el hambre iban diezmando la familia salvaje”.

Pablo Neruda, Oda a la Araucaria araucana.

Già a partire dalla fine del Quattrocento giungono in Europa i primi resoconti e le prime

narrazioni di viaggiatori, soprattutto marinai, missionari ed esploratori, che, spintisi nelle

regioni più lontane ed esotiche, riportano le loro impressioni e le loro spesso fantasiose

descrizioni dei luoghi da loro visitati e degli abitanti e degli animali incontrati.

Come sottolinea Pupo-Walker infatti:

“Viste nell’insieme, le prime decadi del XVI° secolo ci richiamano alla mente un susseguirsi di

scoperte, di ogni tipo, che spesso sembrano comprensibili solo da parte della nostra immaginazione.

Inaspettatamente a questo ciclo di esplorazioni si aggiungeranno, in modo assai significativo, le

relazioni e gli scritti che confermavano l’allarmante scoperta di un mondo completamente nuovo

[...] Agli albori del XVI° secolo, nelle principali cancellerie europee si iniziavano a studiare mappe

sorprendenti e notizie cosmografiche che dichiaravano non solo nuove configurazioni terrestri, ma

anche l’esistenza provata di un nuovo mondo del cui controllo – con buona pace degli altri -

disponevano adesso le corone unificate di Castiglia e Aragona”.

2

Protagonisti indiscussi dell’espansione europea saranno proprio i regni di Spagna e Portogallo

che, interessati ad aprire nuove zone di traffici commerciali e forti delle loro potenti navi,

battono nuove rotte, solcando l’Oceano.

Entrambe le potenze iberiche vantano porti attrezzati, cantieri navali in continuo fermento e

strumentazioni avanzate che includono anche nuove carte geografiche, i portolani,

principalmente preparate sulle coste occidentali della Spagna.

3

Parallelamente alla scoperta del Nuovo Mondo, l’Occidente scopre anche popolazioni di cui

ignorava l’esistenza e con cui deve relazionarsi.

I popoli che abitano queste terre lontane sono molto diversi dagli europei: non sono bianchi,

parlano lingue strane e incomprensibili, non indossano abiti, non hanno leggi né ordine, sono

dei senza-dio, feroci e violenti. Semplicemente non sono europei.

E pagheranno duramente proprio questa differenza intollerabile: subiranno ogni sorta di

sopraffazione e tortura, saranno ridotti in schiavitù, vedranno le loro città e le loro vite stravolte

e distrutte.

1 L’espressione deriva da un passo di Gonzalo Fernández de Oviedo, Historia general y natural de las Indias,

libro V°, tomo I, p. 111.

2 Enrique Pupo-Walker, “El texto de Cabeza de Vaca y la narrativa de viajes : vestigios de codificaciones

literarias”, in Alvar Núñez Cabeza de Vaca, Los naufragios, (1555), Madrid, Editorial Castalia, 1992, pp. 17; 21-22. (Traduzione dallo spagnolo mia).

3 “I portolani del secolo XIV° vengono in grande misura redatti a Maiorca e in Catalogna, che divennero nel

Trecento le grandi officine cartografiche del Mediterraneo. (…) È bene ricordare che fino alla fine del secolo XV° le Baleari sono un grosso emporio commerciale del Mediterraneo occidentale (…)”. Giuseppe Papagno, “Le grandi scoperte geografiche”, in La storia, (a cura di Nicola Tranfaglia e Massimo Firpo, Torino, UTET, 1987, vol. III°, p. 607).

(2)

La loro identità sarà violata dall’etichetta di ‘selvaggi’ che porteranno cucita addosso per

secoli.

4

E saranno i numerosi diari di bordo, le relazioni di missionari e viaggiatori a contribuire a

formare l’immagine distorta degli indios del Nuovo Mondo.

Il tentativo attuato per ridefinire di queste terre rientra quindi in un più ampio progetto di

proiezioni che riflettono non solo le aspettative, ma anche le idee e le illusioni che gli

occidentali riversano nei loro possedimenti d’oltreoceano.

5

Come sottolinea John H. Elliot, “l’America era infatti un mondo nuovo e diverso, e della realtà

di tale differenza si convinsero senz’ombra di dubbio coloro che conobbero quel mondo. [...]

Ma come comunicare questo effettivo divario - l’unicità dell’America - a coloro che non

l’avevano mai vista? (…) Le differenze erano troppo profonde, e troppe erano le cose nuove da

descrivere (…)”.

6

Qual è, dunque, l’immagine dell’altro che gli Europei si trovano di fronte?

I diari di bordo, le lettere e le descrizioni dei viaggiatori forniscono preziose informazioni al

riguardo e contribuiscono a chiarire l’idea che gli occidentali hanno di uomini così diversi da

loro. Così Colombo tratteggia i popoli delle isole del centro-America:

“Gli abitanti di quest’isola [Hispaniola] e di tutte le altre che ho scoperto o di cui ho avuto notizia vanno

tutti nudi, uomini e donne, così come le loro madri li mettono al mondo, anche se alcune donne si

coprono una sola parte del corpo con una foglia o una pezzuola di cotone che preparano a tale scopo.

Non hanno ferro, né acciaio, né armi, e non vi sono tagliati, non già perché non siano gente robusta e di

bella statura, ma per il fatto che sono incredibilmente paurosi. [...]

La verità è che, dopo che si sono rassicurati e hanno deposto questo timore, sono tanto privi di malizia e

tanto liberali di quanto posseggono, che non lo può credere chi non l’ha visto.

Qualunque sia la cosa in loro mano che venga ad essi richiesta, non dicono mai di no; (…) e si tratti di

valore, oppure di cosa di poco prezzo, la cedono in cambio di un oggettino qualsiasi e se ne tengono

paghi”.

7

Apparentemente l’atteggiamento del navigatore genovese nei confronti degli indios sembra

benevolo; addirittura ne sottolinea la mitezza e la generosità, ma poche righe più avanti il suo

pensiero cambia radicalmente:

“Prendevano persino i pezzi degli archi rotti e dei barili e davano quello che avevano, senza

discernimento

, come bestie: tanto che mi parve male e lo proibii, e io stesso donavo loro mille

oggetti graziosi e utili che avevo portato con me, perché si affezionino e di conseguenza si

facciano cristiani

, e siano inclini alla devozione e al servizio delle Loro Altezze e di tutta la

4 Infatti, come nota Sergio Landucci, “i ‘selvaggi’ saranno poi (…) prevalentemente gli Indiani d’Occidente (…)

per tutti i pensatori dell’età moderna”. [Sergio Landucci, I filosofi e i selvaggi, Bari, Laterza, 1972, p. 9].

5 Infatti “l’attenzione per l’altro è sempre funzionale al dibattito europeo, un inserire il ‘nuovo’ nel ‘vecchio’,

come fa Pietro Martire d’Angheria quando scrive che il suo ‘prefetto marino’ deve verificare Aristotele, Seneca e Tolomeo; come fanno quelli che in America credono di vedere le amazzoni e i ciclopi dei miti europei (…)”.

[

STEFANO CURCI, “Il selvaggio tra mito e filosofia. Da Las Casas a Rousseau”, art.cit., p. 4

]

.

6 John H. Elliot, The Old World and the New. 1492-1650, Cambridge, Cambridge University Press, 1970, (trad.it.

di Daniela Taddei, Il Vecchio e il Nuovo Mondo. 1492-1650, Milano, Il Saggiatore, 1985, pp. 32-33).

7 Cristoforo Colombo, Lettera a Luís de Santángel e a Gabriel Sánchez, (15 febbraio-4marzo 1493), in Colombo,

(3)

nazione castigliana, e procurino di raccogliere e di consegnarci i prodotti di cui abbondano e

che ci sono necessari

”.

8

Come sottolinea Todorov, “da un lato, dunque, Colombo vuole che gli indiani siano come lui e

come gli spagnoli (…)” e “la sua simpatia per gli indiani si traduce «naturalmente» nel

desiderio di vederli adottare le sue stesse usanze. [...]

Questo desiderio di far adottare dagli indiani i costumi degli spagnoli non viene mai

giustificato: è una cosa che va da sé”.

9

È ovvio che gli indios imparino un’altra lingua e si convertano: i valori dell’occidente non sono

messi in discussione. Colombo è un europeo e, come tale, il suo scopo è la conquista: cerca di

blandire gli abitanti del posto, per piegarli più facilmente ai suoi propositi: accettare la

religione cristiana e servire il regno di Spagna, senza risparmiare cospicue donazioni di metalli

preziosi e di qualsiasi altra cosa si renda necessaria.

Le distinzioni sono sempre molto nette e superficiali: mostruoso-gradevole, feroce-mite,

coraggioso-timoroso.

10

Questi selvaggi, seppur deboli e sciocchi, possono essere sfruttati e

dominati, dal momento che sembrano avere un’indole particolarmente adatta.

Inoltre, è possibile addomesticarli in qualche modo e farli vestire come gli europei:

“Essi non hanno armi e sono tutto nudi e di nessun ingegno nelle armi e molto codardi, che mille [di

loro] non attenderebbero [a piè fermo] tre [dei nostri] e pertanto sono adatti perché loro si comandi e si

facciano lavorare e seminare e fare tutto l’altro di cui ci sia in futuro di bisogno, e che costruiscano città

e che si insegni loro ad andar vestiti e secondo i nostri costumi”.

11

Alla fine anche gli indios rivelano la loro utilità.

Ma a Colombo, in realtà, importa ben poco dei popoli che incontra e che, per lui, sono tutti

uguali, a parte il fatto che alcuni sono feroci e cannibali mentre altri arrendevoli e vili.

“Colombo parla degli uomini che vede solo perché, dopotutto, fanno parte anch’essi del

paesaggio

.

8 Ivi, p. 37.

9 T. Todorov, La conquista dell’America, op.cit., pp. 51-52.

10 “In queste isole finora non ho trovato uomini mostruosi, come molti pensavano: anzi è tutta gente di gradevole

aspetto, e non sono negri come in Guinea, e hanno capelli fluenti (…). [...]

Mostri dunque non ne ho trovati, e neppure ne ho sentito parlare, tranne che a proposito di un’isola «Quaris», la seconda all’entrata delle Indie, che è abitata da gente molto feroce, la quale si ciba di carne umana.

Costoro possiedono molte canoe, con le quali compiono scorrerie in tutte le isole dell’India, rubando e depredando quanto possono (…).

Sono feroci rispetto a queste altre popolazioni, che sono codarde oltre ogni dire, ma io non li tengo in maggior conto di altri”. [Ivi, p. 43. Corsivo mio.] Colombo, sebbene avvalori la tesi della presenza di cannibali in alcune

isole, rassicura circa il fatto di non aver visto mostri, confermando, in questo modo, quanto siano ancora ben presenti e saldamente radicate le favolose idee medievali su strane e terribili creature che popolano gli angoli estremi del mondo.

11 C. Colombo, Diario di bordo. Libro della prima navigazione e scoperta delle Indie, 16 dicembre 1492, (a cura

(4)

I suoi accenni agli abitanti delle isole sono sempre inframmezzati alle sue notazioni sulla

natura: fra gli uccelli e gli alberi vi sono anche gli uomini”.

12

Qualsiasi manifestazione della presenza di manufatti e prodotti di artigianato sono per lui del

tutto irrilevanti e non destano affatto la sua curiosità:

“Essi portavano delle balle di cotone filato, pappagalli, lance e altre cosette, che sarebbe noioso mettere

per iscritto”.

13

Il palese disinteresse di Colombo nei confronti degli uomini che incontra, di cui non conosce la

lingua e che, peraltro, sono “nello stesso modo nudi e dipinti”

14

, mostra l’incapacità degli

europei di relazionarsi con l’alterità e soprattutto l’incapacità di riconoscere l’uomo

nell’altro.

15

La spersonalizzazione, rapida ed efficace, uniforma e massifica le varie

popolazioni in un gruppo omogeneo di selvaggi, sommariamente rappresentati con pochi tratti,

approssimativi e sbiaditi.

16

12 T. Todorov, La conquista dell’America, op.cit., p. 41. Corsivo mio.

13 C. Colombo, Diario di bordo, 13 ottobre 1492, cit. in T. Todorov, La conquista dell’America, op.cit., p. 43.

Corsivo mio.

14 C. Colombo, Diario di bordo, 22 ottobre 1492, cit. in T. Todorov, La conquista dell’America, op.cit., p. 43.

A conferma di quanto detto sulla ricezione che gli Europei hanno degli indios è interessante osservare il racconto di Michele da Cuneo: “Li Camballi e i dicti Indiani, ancora che siano innumerabili e abbino immenso paese e molto distante e intra loro mal frequentato, niente di manco hanno tuti uno linguagio e tuti viveno a uno modo e pareno a lo aspecto una propria nazione, salvo che dicti Camballi sonno òmini più feroci e più acuti che non sonno dicti Indiani.

Li quali Camballi, quando prendono de dicti Indiani, li mangiano come noi li capreti, (…). E di tal carne umana sono ghiottissimi, per ciò che, per mangiare di tal carne, stanno alcuni fora de loro paese sei, octo e dece anni inanti che repatriano, e tanto stanno dove vanno, che consumano le isole (…).

La rasone è per ciò che, como sono apena de età de ingenerare, ingenerano, non reservando che le sorelle; tutto il resto è comune. [...] Il loro dormire, ut plurimum, è in terra, como da bestie (…)”. [M. DA CUNEO, Lettera a Gerolamo Annari, 15-28 ottobre 1495, in Colombo, Vespucci, Verrazzano, op.cit., pp. 63-64; 65-66 ].

Questa descrizione non differisce molto da quelle che Colombo scrive a proposito dei popoli da lui incontrati e da quelle che in seguito faranno altri esploratori, fornendo in questo modo materiali per la stereotipizzazione delle popolazioni americane. Infatti, esse sono simili per aspetto, alcune sono più feroci e si nutrono di carne umana, dividono tutti i loro beni, non hanno discriminazioni sessuali e dormono per terra come le bestie.

Sul topos degli indios che vivono condividendo i loro beni tornerà anche Vespucci.

15 “L’atteggiamento di Colombo nei confronti di questa cultura è, nella migliore delle ipotesi, quella del

collezionista di curiosità, e non si accompagna mai ad un tentativo di comprensione (…)”. [T. TODOROV, La

conquista dell’America, op.cit., p. 43].

16 Nonostante sia la ricerca del nuovo e dell’ignoto ad animare i viaggiatori, una volta di fronte alla tanto agognata

novità essi non sono in grado di riconoscere, accettare e comprendere la diversità.

Addirittura, gradualmente, si assiste ad un calo di interesse nei confronti di queste terre a vantaggio dell’Oriente, che, da sempre, attrae l’Occidente per le sue raffinatezze e per una cultura che, per gli europei, sembra essere ben più degna di considerazione.

“Agli iniziali entusiasmi, vivi specialmente negli ambienti umanistici italiani, sembra ben presto sovrapporsi un atteggiamento di distacco. Già G.Atkinson (1935) notava che, a giudicare dal numero delle edizioni, l’interesse del pubblico colto del Cinquecento francese sembra assai più orientato verso la Turchia e la Cina (…).

Molti trattati di geografia, fino alla metà del secolo, ignorano o danno scarso rilievo al nuovo continente. Le stesse memorie di Carlo V- ha sottolineato J. H. Elliot (1970) - sorprendentemente non contengono alcuna menzione del Nuovo mondo”. [G. GLIOZZI, “Le scoperte geografiche e la coscienza europea”, art.cit., p. 82].

Come sottolinea Curci, infatti, finché le dinamiche della scoperta di terre lontane e di popoli misteriosi rientrano in un progetto ideale, l’immaginario degli europei si carica di aspettative che proiettano su questo universo, che ancora deve essere conosciuto, ipotesi e congetture prevalentemente ancorate a modelli favolistici di stampo medievale e occidentale. Ma al momento del concreto incontro con l’altro, lo stupore iniziale e le fantasticherie della tradizione europea si trasformano in disappunto e frustrazione. “Quando poi i viaggi diventano realtà, la

(5)

Ma altri navigatori contribuiranno a diffondere questa immagine degli indios in Europa.

Basti pensare alla descrizione che ne dà Amerigo Vespucci nel suo Mundus Novus:

“Trovammo una tale quantità di gente in quelle regioni, quanta nessuno poteva contare (come si legge

nell’Apocalisse) gente assai mite e docile.

Tutti vanno in giro nudi, non coprendo alcuna parte del corpo e si mostrano come (usciti) dal ventre

della madre. Anche i corpi sono molto armonici, ben ordinati e proporzionati e l’inclinazione nel colore

(va) verso il rossiccio. Hanno capelli lunghi e neri. [...]

Non hanno vesti né di lana, né di lino, né di seta perché non ne hanno bisogno: né hanno beni propri,

ma tutte le cose sono comuni, vivono allo stesso tempo senza re; senza ordine e ognuno è signore di sé.

Inoltre non hanno alcun tempio e non tengono alcuna legge: né sono idolatri: Che altro dire?

Vivono secondo natura e si possono dire epicurei piuttosto che stoici.

Tra di loro non ci sono mercanti, né commerci.

I popoli si fanno la guerra tra loro senza arte né metodo, (…) e salvano quelli che prendono prigionieri

dalla guerra non per la loro vita, ma (questi) devono essere uccisi per il loro sostentamento: infatti i

vincitori, l’un l’altro, mangiano i vinti e, tra le carni, quella umana è per loro comune tra i cibi. [...]

Aggiungo: essi si arrabbiano perché noi non mangiamo i nostri nemici: e non usiamo nei cibi la loro

carne, che dicono essere saporitissima”.

17

Riduttiva e semplicistica la descrizione di Vespucci che si limita a riportare prime e poco

approfondite impressioni. Non c’è molto altro da aggiungere: queste popolazioni sono simili

alle bestie, conclusione logica e inevitabile di quanto osservato.

La normalità e la normatività sono sempre quelle della cultura di appartenenza e quindi, per

Vespucci, i paradigmi sono quelle occidentali, che ben sono riassunti dai riferimenti che

delimitano gli orizzonti culturali europei, la Bibbia e la filosofia greca, assolutamente

sconosciuti all’universo del Nuovo Mondo.

Tutto ciò che da essi si allontana è da considerare barbaro.

Egli sembra essere molto più interessato alle straordinarie varietà di pappagalli del Brasile che

agli uomini che incontra.

Il metodo utilizzato dal navigatore fiorentino per rappresentare gli indios, cioè la definizione

per via negativa, che sottolinea e rimarca ciò che l’altro non è, sarà pressoché l’unico anche nei

secoli successivi.

reazione è di delusione: le genti degli altri mondi non sono come noi, e non sembrano nemmeno così suggestive”. [S. CURCI, “Il selvaggio tra mito e filosofia. Da Las Casas a Rousseau”, art.cit., p. 2].

La distanza tra le tribù di indios e le sviluppate e floride comunità orientali è abissale.

“Mentre il Nuovo Mondo aveva offerto lo spettacolo dell’innocenza, la Cina presentava l’immagine di una società ordinata e perfetta”. [EUGENIO GARIN, “Alla scoperta del

«

diverso

»

: i selvaggi americani e i saggi cinesi”,

Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV AL XVIII secolo, Roma-Bari, Laterza, 1975, p. 360].

Sebbene Cinesi e Giapponesi rientrino nella famosa tripartizione delle diverse categorie di barbari, operata dal gesuita José Acosta nel suo De procuranda indorum salute, essi sono pur sempre i popoli più vicini ai cristiani, modello assoluto di civiltà, e possono da questi ultimi essere convertiti e migliorati.

Per lungo tempo ancora gli europei li confonderanno, come farà Buffon, che li riterrà sufficientemente somiglianti per costituire un’unica razza. Tuttavia, sia la Cina, con i suoi saggi e filosofi, sia il Giappone, con le sue spiccate virtù guerriere, con il suo profondo senso dell’onore e del rispetto, costituiranno per l’Europa, fino al Settecento, un paradigma imprescindibile con cui confrontarsi.

17 Amerigo Vespucci, Mundus Novus, manoscritto latino del 1503-1504 riprodotto in Colombo, Vespucci,

Verrazzano. Prime relazioni di navigatori italiani sulla scoperta dell’America, (a cura di Luigi Firpo, Torino,

(6)

Tuttavia, è, forse, nella Lettera di Amerigo Vespucci delle isole nuovamente trovate in quattro

suoi viaggi

che si consolideranno gli stereotipi sulla figura degli indios:

“Quanto di lor vita et costumi conoscemo, fu che del tutto vanno disnudi, si li huomini come le done,

senza coprire vergogna nessuna

, no altrimenti che come saliron del ventre di lor madri.

Son di mediana statura, molto ben proportionati: le lor carni sono di colore che pende in rosso come

pelo di lione: et credo che se gliandassino vestiti, sarebbon bianchi come noi: no tenghono pel corpo

pelo alcuno, salvo che sono di lunghi capelli e neri (…) : no sono di volto molto belli, pche tengono

elviso largo, che voglion parere altartaro (…): sono molto leggieri delle loro persone nello andare et

nel correre, si li huomini como le donne (…) nuotano fuora da ogni credere, et miglior le donne che gli

huomini (…). Le loro armi sono archi e saette molto ben fabricati, salvo ch non tengon ferro, ne altro

genere di metallo forte: et in luogo del ferro pongono denti di animali, o di pesci, o un fuscello di legno

forte arricciato nella punta (…).

Viono di guerra infra loro con gente che non sono di lor lingua molto crudelmente

, senza perdonare la

vita a nessuno

, se non per maggior pena. [...]

No costumano Capitano alchuno

, ne vanno con ordine, che ognuno e, signore di se; et la causa delle lor

guerre no e, per cupidita di regnare, ne di allargare etermini loro (…) et domandati perche

guerreggiavano, non cisapevano dare altra ragione, se no che lo facevon p vendicare la morte de loro

ante passati, o de loro padri: questi non tenghono ne Re, ne Signore, ne ubbidiscono ad alcuno, che

vivono in lor propria libertà (…) no usano iustitia, ne castigano elmal factore: ne elpadre ne la madre

no castigano efigliuoli

et p meraviglia o no mal vedemo far questione infra loro: mostronsi semplici nel

parlare, et sono molto malitiosi et acuti in quello che loro cuple: parlano poco, et co bassa voce: usono

emedesimi accenti come noi, pche formano le parole o nel palato, o ne denti, o nelle labbra; salvo che

usano altri nomi alle cose.

Molte sono le diversità delle lingue, che di 100, in 100 leghe trovamo mutamento di lingua, che no

sintendano luna con laltra.

El modo del lor vivere e

, molto barbaro, perche no mangiano a hore certe, et tante volte quante

vogliono

, (…) dormono in certe rete facte di bambacia molto grande sospese nellaria (…).

Son gente molto pulita et netta de lor corpi, per tato continouar lavarsi come fanno: (…) non usano

infra loro matimonii

: ciaschuno piglia quante donne vuole; et quando le vuole ripudiare, le ripudia,

senza che gli sia tenuto ad ingiuria, o alla donna vergogna, che in questo tanta liberta tiene la donna

quanto lhuomo (…). [...] In coclusione no tenghon vergogna delle loro vergogne, non altrimenti che noi

tegniamo mostrare el naso et la bocca (…). In queste gente no conoscemo che tenessino legge alcuna,

ne sposso dire Mori, ne Giudei, et piggiorch Gentili, percha no vedemo ch facessino sacrificio alchuno

(…)”.

18

Gradualmente prende forma l’immagine degli indios americani: nudi e senza vergogna, dalla

pelle rossiccia, non molto belli, atletici ma bellicosi, senza capi né istituzioni, né vincoli di

matrimonio, né religione.

19

18 A. Vespucci, Lettera di Amerigo Vespucci delle isole nuovamente trovate in quattro suoi viaggi, (1505),

manoscritto originale riprodotto in Colombo, Vespucci, Verrazzano, op.cit., pp. 99-101. Corsivo mio.

19 Il topos della nudità degli indios è pressoché onnipresente nelle relazioni dei viaggiatori. Sebbene riguardi

principalmente gli indiani dell’America centro-meridionale, si riferisce anche a quelli del Nord, come riporta lo stesso Giovanni da Verrazzano a proposito delle popolazioni autoctone dell’odierna Carolina del Nord: “Vanno del tucto nudi, salvo che a le parte pudibonde portano alcune pelli di piccioli animali simili a martore (…) el resto nudo, el capo simile. Qualcuni portano certe ghirlande di penne di uccelli. Sono di colore neri, non molto dagli Etiopi disformi; e’ capelli neri e folti non molto lunghi, quali legano insieme drieto a la testa in forma d’una piccola coda. Quanto a la simetria del omo, sono bene proporzionati, di mediocre statura, e più presto a noi excedano”. [G. DA VERRAZZANO, Viaggio del Verrazzano, nobile fiorentino al servizio di Francesco I°, Re di

Francia, fatto nel 1524 all’America settentrionale, in Colombo, Vespucci, Verrazzano, op.cit., p. 163.]. Spesso

Verrazzano sostiene di non aver avuto la possibilità di conoscere molti dei popoli che vivono nelle terre da lui visitate, ma non si astiene dall’accomunarle a quelle che ha già incontrato giudicandole “come le altre lasciate di costumi e natura”. [Ibid., p. 180].

(7)

Vespucci elenca, indiscriminatamente, qualità positive ed elementi di evidente minorità e

crudeltà, insistendo particolarmente sulle abitudini che più disorientano l’europeo, come il fatto

che questi popoli non indossino abiti e non se ne preoccupino, non riconoscano autorità alcuna,

(nemmeno quella dei genitori), non mangino ad un orario fisso o ‘dormano sospesi per aria’.

Inorridisce di fronte al cannibalismo, ma sottolinea, quasi con un certo stupore, come questi

popoli non siano interessati all’oro e alle pietre preziose e che si accontentino semplicemente

di ciò che hanno:

“In conclusione vivono, et sicontentano con quello che da loro la natura.

Le ricchezze che in questa nostra Europa et in altre parti usiamo

, come oro, gioie perle et altre divitie,

non le tenghono in cosa nessuna

: et anchora che nelle loro terre lhabbino, non travagliano per haverle,

ne le stimano. Sono liberali nel dare, che per meraviglia vi neghano chosa alchuna (…). [...] mangion

pocha carne

, salvo che carne di huomo: che sapra vostra Magnificentia, che in questo tono tanto

inhumani

, che trapassan ogni bestial costume: perche simangiano tutti eloro nimici che amazzano, o

pigliano

, si femine come maschi, con tanta efferita, che a dirlo pare cosa brutta: (…) et

simaravigliarono udendo dire a noi che no ci mangiamo enostri inimici: et questo credalo per certo

vostra Mag. Son tato glialtri loro barbari costumi, che el facto aldire vien meno (…)”.

20

Sebbene la maggior parte delle testimonianze pervenuteci delinei il quadro di un drammatico

incontro con l’altro, ridotto a descrizioni esteriori superficiali e poco approfondite, alcuni

stralci presentano insoliti episodi di condivisione, come l’arrivo dei portoghesi nella baia di

São Brás, in Sudafrica, che si trasforma in una specie di concerto improvvisato sulle rive

dell’Oceano Indiano:

“Il sabato vennero circa 200 negri, tra grandi e piccoli, e portarono circa dodici capi di bestiame, tra

buoi e vacche, e quattro o cinque montoni; e noi, appena li vedemmo, giungemmo presto a terra.

Ed essi cominciarono subito a suonare quattro o cinque flauti, e alcuni suonavano forte e altri piano, in

modo che suonavano molto bene insieme per negri da cui non ci si aspetta la musica; e ballavano come

negri. E il capitano mandò a prendere le trombe e noi, nelle scialuppe ballavamo e il capitano a sua

volta con noi”.

21

Naturalmente, dal momento che non vede né templi né alcun segno tangibile di una qualche esperienza religiosa, egli ritiene che vivano senza dio, in uno stato di placida inconsapevolezza (“stimiamo non tenghino fede alcuna e vivino in propria libertà, e tutto dalla ignoranza proceda”. Ibid., p. 180) Inoltre, Verrazzano nota che questi popoli tendono ad imitare i comportamenti degli europei perché sono piuttosto influenzabili: “sono molto facili da persuadere, e tutto quello che a noi cristiani circa il culto divino vedevano fare, facevano, con quello stimolo e fervore che noi facciamo”. [Ibid., p. 180]. E, a questo proposito basta considerare quanto aveva già osservato Vespucci: “Vennoci a vedere molti popoli, et si meravigliavano delle nostre effigie et di nostra biancheza: et ci domandoron donde venavamo: et davamo loro ad intedere, che venavamo dal cielo, et che andavamo a vedere el modo, et lo credevano”. [A. Vespucci, Lettera di Amerigo Vespucci delle isole nuovamente trovate in quattro suoi

viaggi, op.cit., p. 108. Corsivo mio].

20 Ibid., p. 102. Corsivo mio.

21 Roteiro da Primera Viagem de Vasco da Gama, 25 de Decembre 1497, (texto atribuído aÁlvaro Velho,

apresentação e notas de Neves Águas, Lisboa, Publicações Europa América, 1987, Relazione anonima attribuita ad Álvaro Velho, in Voyages de Vasco da Gama. Relations des expéditions de 1497-1499 & 1502-1503, traduites et annotées par Paul Teyssier et Paul Valentin, présentées par Jean Aubin, Paris, Chandeigne, 1995, p. 96. (Traduzione dal portoghese mia).

(8)

L’attenzione dell’autore è attratta dall’accoglienza che lui e i suoi compagni ricevono e la

narrazione di uno dei tanti sbarchi sulle coste africane, seppur condita da qualche immancabile

pregiudizio eurocentrico, diviene l’occasione per prendere nota di un avvenimento particolare.

Come sottolinea Dominique Lanni, le sue osservazioni, puntuali e precise, costituiscono una

novità “perché rompono con le descrizioni delle popolazioni africane costruite dalle autorità

antiche e veicolate dai compilatori, dalle enciclopedie e dai volgarizzatori durante i decenni.

Il sapere che egli elabora non è generale ma locale; allo stesso modo non è più speculativo ma

sperimentale

. (…) In Álvaro Velho, la verità della scrittura non risiede nella vitalità di un

sapere che procede dalla logica cara alle auctoritates ma dall’osservazione diretta”.

22

22 Dominique Lanni, “Des rencontres mémorables. Les populations des confines africaines dans les premières

relations du voyage de Vasco de Gama dans les Indes”, http://www.afribd.com.

Ovviamente, non bisogna dimenticare che l’interesse principale rimane sempre quello di fornire documenti accurati per costruire una cartografia utile per la navigazione, per l’approvvigionamento di spezie e, soprattutto, “per localizzare delle zone di rifornimento sicure per le spedizioni a venire”. [Ibid., Traduzine dal francese mia].

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