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L‟11 maggio 1560 alle prime luci dell‟alba, nelle acque che bagnano l‟isola di Gerba

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Academic year: 2021

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Introduzione

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Presentazione del lavoro

L‟11 maggio 1560 alle prime luci dell‟alba, nelle acque che bagnano l‟isola di Gerba

1

, venne avvistata la tanto temuta flotta ottomana. Nonostante fosse a conoscenza dell‟arrivo imminente dell‟armata nemica, la flotta cristiana fu colta di sorpresa, in quanto non era pronta né a combattere, né a fuggire. Nel giro di poche ore la maggioranza delle galere e delle navi venne affondata o catturata. Si scatenò il panico più assoluto. Solo pochi temerari ebbero il coraggio di resistere e combattere anche se invano. I soldati si gettarono in acqua per raggiungere la riva a nuoto e cercare rifugio vicino al forte, riparati dal fuoco dei cannoni amici. Per i cristiani fu la disfatta più completa. Poco più di due mesi dopo, anche il forte dell‟isola capitolò

2

, dopo una lunga e sofferta resistenza della guarnigione guidata dal capitano don Álvaro de Sande. I soldati furono catturati, fatti schiavi e deportati a Costantinopoli, dove furono venduti o liberati dietro riscatto. Questo, in estrema sintesi, è ciò che storicamente viene ricordato come la battaglia di Gerba o più propriamente il disastro delle Gerbe

3

.

In questo mio lavoro mi propongo di analizzare grazie alle fonti disponibili e alla bibliografia, questa vicenda, dalle fasi organizzative fino allo svolgimento della spedizione e al suo esito finale. Dopo aver ricostruito l‟evento, cercherò di

1

L‟isola di Gerba o Djerba in arabo è la più grande isola del Nord Africa, situata nell‟attuale golfo di Gabès, di fronte alla Tunisia e molto vicina alla città di Tripoli.

2

Il forte di Gerba fu edificato dai cristiani una volta sbarcati sull‟isola, tra marzo e aprile del 1560.

Fu costruito sulle rovine del vecchio castello eretto dai siciliani nel 1289, a cui furono aggiunte una cinta muraria e quattro bastioni (rispettivamente: San Giovanni, Tessieres, Cerda e Doria). La parte delle mura che guardava al mare fu quella meno fortificata perché difficilmente raggiungibile dalla fanteria o dalle imbarcazioni in quanto le acque sottostanti erano molto basse e soggette a continue maree. Don Álvaro de Sande, in una lettera del 13 luglio 1560 al duca di Medinaceli, scriveva che l‟ingegnere del forte, Antonio Conti, aveva assicurato“que no pueden [i nemici] en ninguna manera tomar el fuerte sino es por la parte de la mar”, C. Monchicourt, L’expedition Espagnole de 1560 contre l’Ile de Djerba, Parigi, Ernest Leroux Editeur, 1913, p. 213.

3

L‟isola di Gerba assume varie denominazioni in base alla lingua e al periodo storico: in italiano

odierno diciamo Gerba, Djerba in arabo, ma nel XVI secolo troviamo Gelves, Gerbal, Gerbes nelle

fonti spagnole e francesi o Zerbi, Gerbì o Zervì, in quelle italiane.

(3)

3

approfondirne alcuni aspetti problematici per cercare di interpretarlo più profondamente, mettendo in evidenza i motivi e gli errori che portarono alla disfatta finale, il ruolo giocato dai vari protagonisti della spedizione, il problema del comando. Nella seconda parte del lavoro, invece, ho cercato di inserire questo evento in un quadro storico più ampio mettendo in relazione la spedizione di Gerba con le battaglie navali precedenti e immediatamente successive, per mostrare come questi scontri non siano eventi isolati e indipendenti ma parte di un unico flusso di vicende che si snoda durante il XVI secolo. Le imprese navali hanno, infatti, caratterizzato la politica mediterranea di Carlo V, e quella di Filippo II e dei suoi successori. Ho tentato di evidenziare l‟importanza dei domini italiani per la Spagna e riflettere, poi, sul rapporto di quest‟ultima con le altre grandi potenze dell‟epoca: la monarchia francese, la Repubblica di Venezia e l‟Impero Ottomano. Ho infine trattato di un‟altra protagonista del Mediterraneo del XVI secolo, la galera, cercando di sottolineare la sua importanza, il suo uso strategico e il suo ruolo nell‟organizzazione della difesa della monarchia e delle sue coste.

Cercherò quindi, partendo da un singolo e preciso evento storico, di

allargare lo sguardo per riflettere sulla situazione geopolitica presente nell‟Impero

spagnolo e nel mar Mediterraneo a metà del XVI secolo, analizzando i mutamenti

di politica navale e mediterranea nella fase di passaggio di poteri da Carlo V al

figlio Filippo II.

(4)

Fonti e bibliografia di riferimento

La battaglia di Gerba è un evento noto alla storiografia e conosciuto abbastanza in dettaglio. Solitamente è ricostruito in maniera puntuale per quanto riguarda i protagonisti, la composizione della flotta e della fanteria, la cronologia degli eventi, ma sempre trattato in maniera molto schematica e riassuntiva, senza essere problematizzato o approfondito. E‟, infatti, una vicenda menzionata a causa delle grandi perdite subite dall‟armata cristiana ma mai inserita in un contesto più ampio o messa in rapporto con le vicende politiche e mediterranee o con le altre battaglie e spedizioni navali precedenti e successive. Non esiste una monografia specifica su questo tema ma solo informazioni in opere che trattano tematiche più ampie. È comunque una vicenda che ha interessato gli storici fin dai primi del

„900; è presente, infatti, in opere di carattere generale sul Mediterraneo e la pirateria.

Sicuramente il testo di riferimento più importante e imprescindibile, anche se risalente a oltre un secolo fa, è quello di Charles Monchicourt

4

, che oltre a contenere un'interessante trascrizione di fonti manoscritte, ha un saggio iniziale fondamentale.

Per quanto concerne le fonti, si hanno a disposizione soprattutto cronache, relazioni ed epistolari. Queste furono scritte sia dai protagonisti diretti della vicenda come nel caso di Antonfrancesco Cirni

5

, del duca di Medinaceli,

4

Monchicourt, L’expedition Espagnole de 1560 contre l’Ile de Djerba, cit.

5

Antonfrancesco Cirni nacque in Corsica da nobile famiglia nel 1520 circa. Lasciato il seminario

per la carriera militare intraprese gli studi all‟Università di Pisa e si mise poi al servizio dei

Medici. Nel 1560 partecipò alla spedizione di Tripoli e al suo ritorno, nel maggio dello stesso

anno, ne scrisse una dettagliata relazione dal titolo Successi dell'Armata della Maestà Cattolica

destinata all'impresa di Tripoli di Barberia, della presa delle Gerbe e progressi dell'Armata

Turchesca, (Venezia, Francesco Lorenzini da Torino, 1560). Scrittore molto attivo, compose opere

che riguardavano gli avvenimenti e i personaggi più importanti di quegli anni. Nel 1565 prese

parte all‟assedio di Malta. Si dedicò poi all‟attività politica in favore del paese d‟origine, dove

(5)

5

(quest‟ultimo scrisse numerose lettere a Filippo II durante la spedizione e dopo il suo rientro in Sicilia, per giustificare le scelte prese), da don Álvaro de Sande

6

, oppure da storici contemporanei come Alfonso de Ulloa

7

. Altre cronache furono scritte anche negli anni e secoli immediatamente successivi.

Le fonti più ricche d'informazioni sono i carteggi. I capitani, gli ambasciatori, le corti dei re e la Sublime Porta, infatti, rimanevano aggiornati sugli eventi e si scambiavano informazioni e notizie con lettere, avvisi e missive. I contenuti sono abbastanza coerenti tra loro, ed escludendo alcuni dettagli o vicende minori di cui esistono più versioni, il quadro risultante è omogeneo e preciso, e ci permette un‟analisi dettagliata.

A completare questa ricostruzione, infine, possono essere aggiunte alcune autobiografie

8

, alcuni Annali, ma anche mappe dell‟epoca, dipinti e incisioni.

Un‟interessante integrazione è fornita da fonti di origine ottomana, da cui si possono ricavare molte informazioni riguardo alla politica mediterranea e navale del Sultano. A questo proposito le notizie più dirette a disposizione, giungono dai carteggi degli ambasciatori francesi e veneziani a Costantinopoli. Infine, gli scritti

ricoprì la carica di Nobile di Corsica, M. Cavanna Ciappina, Antonio Francesco Cirni, Enciclopedia Treccani, Dizionario Bibliografico degli Italiani, vol. 25, 1981; C. Davis, La Reale Entrata: Invention, Programme, Inscriptions, and Description for the entry of Cosimo De’ Medici into Siena, 1560, Fontes 48, 2010.

6

La relazione di don Álvaro de Sande e le annotazione in risposta del duca di Medinaceli, si trovano in M. Muñoz de San Pedro, Don Álvaro de Sande, cronista del desastre de los Gelves, Badajoz, Editorial Diputación Provincial de Badajoz, 1955.

7

Alfonso de Ulloa fu scrittore spagnolo stabilitosi a Venezia per seguire il padre, cavaliere aggregato dell‟ambasciata spagnola presso la Repubblica. Qui morì nel 1570. Svolse un importante lavoro di traduzione di testi spagnoli e scrisse opere originali. In questo caso è di notevole interesse la sua dettagliata cronaca sul disastro di Gerba scritta nel 1566: La Historia dell’impresa di Tripoli di Barbari, Venezia, Francesco Rampazetto, 1560.

8

Una delle più importanti è quella di Gian Andrea Doria, in cui ricorda in dettaglio l‟impresa, le scelte prese e i consigli dati, non esitando a motivare e giustificare il suo comportamento, V.

Borghesi, Vita del Principe G. A. Doria scritta da lui medesimo incompleta, Genova, Compagnia

dei Librai, 1997.

(6)

più significativi sulla battaglia di Gerba, facenti riferimento a documenti turchi in lingua originale, sono un saggio di Ertuğrul Önalp

9

ed uno di Clément Huart

10

.

9

Ertuğrul Önalp, La expedicion epañola contra la isla de Gelves en 1560, “Ankara Úniversitesi Osmanli Tahiri Araştirma ve Uygulama Merkezi Dergisi”, 1996.

10

C. Huart, Un document turc sur l’expedition de Djerba en 1560, in Journal Asiatique, Parigi,

1917.

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7

Parte I

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Capitolo I: L’impresa di Tripoli o “el desastre de los Gelves”

L’evento

Per ricostruire l‟evento possiamo fare affidamento alle dettagliate informazioni fornite da Fernand Braudel

1

e da Charles Monchicourt, completate con le fonti a disposizione.

L‟idea di organizzare una missione per riconquistare Tripoli iniziò a circolare già nel mese di maggio del 1559, subito dopo la stipulazione della pace di Cateau-Cambrésis tra Spagna e Francia. Nei mesi successivi i riferimenti a questa eventualità si fecero sempre più frequenti e concreti

2

. A insistere e spingere in questa direzione erano soprattutto il viceré di Sicilia, don Juan de la Cerda, duca di Medinaceli

3

e il Gran maestro della Religione di Malta, Jean Parisot de la Valette

4

. Tripoli, infatti, era stata sotto il controllo dei cavalieri di Malta fino al 1551, quando fu riconquistata da Dragut che ne divenne il signore

5

. La spedizione era stata organizzata a Costantinopoli, dove era stata armata una flotta di circa 150 vele comandata da Sinān Pascià e rinforzata dalle galere di Dragut e degli altri corsari. Dopo aver tentato, nel mese di luglio, un assedio nella città di Notabile a Malta, ma senza successo, gli ottomani devastarono l‟isola di Gozo, catturando moltissimi prigionieri. Fecero poi vela verso Tripoli, dove giunsero il 5 agosto.

Trovando la città con difese molto scarse (solo 300 cavalieri della religione, 500

1

F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, vol. 2, Torino, Einaudi, 1976, pp. 1041-1056.

2

Il commendatore Guiméran sottopose la questione a Filippo II che già l‟8 maggio 1559 mandava un rapporto al viceré di Sicilia, il duca di Medinaceli; mentre il 15 giugno gli affidava il comando della spedizione, ibid., p. 1086.

3

Don Juan de la Cerda, duca di Medinaceli (1514–1575), viceré di Sicilia dal 1557 al 1565.

4

Jean Parisot de la Valette (04/02/1495–21/08/1568) nato in Provenza, fu abile e coraggioso condottiero francese divenuto Gran Maestro dell‟Ordine degli Ospitalieri il 21 agosto 1557. Era stato governatore di Tripoli dal 1537 e generale delle galere della religione dal 1554. Combatté in numerose battaglie ma tra le sue prove più importanti vi fu l‟organizzazione della resistenza nell‟assedio di Malta da parte dei turchi nel 1565.

5

In realtà le fonti informano che subito dopo la conquista, Tripoli fu affidata a Murāt Aghā.

Dragut ne ottenne il governo solo nel 1556, alla morte di Murāt, E. Rossi, Storia di Tripoli e della

Tripolitania, dalla conquista araba al 1911, Roma, Istituto per l‟oriente, 1968, p. 143.

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9

soldati e un centinaio di mori fidati), gli ottomani costrinsero il governatore della città, Gaspard de Villiers, ad accettare dei “patti onorevoli”, cioè salva la vita a duecento tra cavalieri e soldati, salve le armi e trasporto fino a Malta, in cambio della città

6

. Il 14 agosto i turchi fecero il loro ingresso nel castello e si diedero al saccheggio. I cristiani che riuscirono a fare ritorno a Malta, furono messi in carcere e processati, poiché l‟Ordine ritenne che non avessero fatto tutto ciò che potevano per difendere Tripoli

7

.

Alla fine degli anni ‟50, la riconquista di Tripoli aveva anche un significato strategico, poiché questo era uno dei numerosi punti di appoggio usati dai pirati barbareschi in Nord Africa. Riprendere la città significava togliere loro un porto sicuro e acquisire un presidio importante da usare come base per spedizioni future e limitare l‟attività dei barbareschi e le loro incursioni sulle coste italiane. È comprensibile quindi l‟interesse del viceré di Sicilia per questa spedizione in quanto le coste dell‟isola erano, assieme a quelle di Napoli e a quelle tirreniche, oggetto di continue razzie.

Filippo II acconsentì subito all‟organizzazione dell‟impresa giacché le condizioni presenti sembravano favorevoli per la Spagna

8

. Ora che i rapporti con

6

Come sottolinea Ettore Rossi, la difesa della città di Tripoli non era affatto semplice: il mantenimento era molto oneroso, la città era circondata dai nemici locali e periodicamente attaccata dai corsari. L‟Ordine, inoltre, non era in piena efficienza né materiale, né spirituale, in quanto stava subendo i contraccolpi della Riforma protestante, ibid., p. 141.

7

Cfr. R. Panetta, Pirati e corsari turchi e barbareschi nel mare nostrum, XVI secolo, Milano, Ugo Mursia Editore, 1981; E. Rossi, Storia di Tripoli e della Tripolitania, cit., pp. 124-142.

8

Filippo II scrisse in una lettera ad Andrea Doria del 15 giugno 1559: “He visto lo que me escrivis

[Andrea Doria] sobre lo que os paresce, que las galeras deven hazer este año, y en lo del juntarse

en Mecina he holgado mucho, que os aya parescido bien mi determinación. Despues aviendo

mirado y platicado sobre ello, y considerando, que ogaño no avrá (segun de todas partes se

escrive) armada del Turco, que sea de importancia, y lo que convernía destruir y deshazer los

cossarios, que segun se entiende, infestan las costas de los reynos de Napoles y Sicilia, y

señaladamente quanto importaría tan las costas de los reynos de Napoles y Sicilia, y

señaladamente quanto importaría desarraygar a Dorgut de Tripol, donde se fortifica, por el daño

que podrá resultare a nuestros reynos de Napoles, Sicilia, y Cerdeña, y aun a toda Italia, si se

esperasse a que se acabasse la fortificación, que allí tiene començada, sobre lo qual vos tambien

algunas vezes nos aveis escripto; y considerando juntamente, lo que nos escrive el Duque de

Medinaceli nuestro visorey de Sicilia, y lo que nos ha hecho entender el Gran Maestre de Sanct

(10)

la Francia erano meno tesi grazie alla pace di Cateau-Cambrésis, e la pressione su quel fronte era allentata, il sovrano poteva dedicarsi più attivamente alla lotta contro i corsari che devastavano i suoi domini. Scrisse, infatti, al duca di Firenze nel giugno 1559:

Poiché a Dio, nostro Signore, piacque che si concludesse finalmente la pace con il Cristianissimo Re di Francia, mi è parso che sarebbe degno del servizio di Dio e vantaggioso a tutta la Cristianità che le galere al mio soldo in Italia […]

s‟impegnassero nel cercare di distruggere i corsari e di assicurare la libertà della navigazione […]. Ho dunque autorizzato la spedizione contro Tripoli

9

.

Filippo, quindi, si dedicò subito minuziosamente all‟organizzazione della flotta, scrivendo ai governatori e ai capitani e dividendo spese e provvisioni. Inviò il commendatore Bernando de Guimerán in Italia, “que ha de assistir y servirnos en la dicha empresa”

10

. In una lettera ad Andrea Doria, spiegò che si sarebbero potute usare le galere d‟Italia,

Y las de la Religion, y del Duque de Florencia con seis mill infantes españoles de los que agora estan a nuestro sueldo assí en Lombardia, como en Napoles y Sicilia, que será numero bastante para hazer aquella empresa con otros mill ombre, que avemos entendido, que ayudara el Gran Maestre y Religion de Sanct Juan para ello y para dezir esto, y saber vuestro parescer en la forma y orden que se deve tener, y para que deis orden a las galeras de lo que avran de hazer, he mandado despachar al Comendador Guimarán, que esta lleva, el qual os visitara de mi parte, y os declarara mi voluntad acerca desto juntamente con el embaxador Figueroa. […] Escrivais con el al visorey de Sicilia;

lo que en todo os paresciere que deve hazer, […] y que ordeneis a Juan Andrea Doria, […] lo que en esto avrá de hazer, encomendandole, que se emplee en ello, como la qualidad del negocio lo requiere, y yo de el lo confio; y tambien escrivireis a

Juan de la manera que está Dorgut, y quan mal parado ha buelto de la empresa de la montañas de Garien, adonde fué los dias passados, y los muchos turcos que perdió en ella, ha parescido, que se podría imprende lo de Tripol, y juntamente deshazer a Dorgut con embiar a ello todas nuestras galeras de Italia”, R. Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo,Correspondencia inédita de Felipe II con Andrea Doria y Juan Andrea Doria, Madrid, Ediciones Polifemo, 2002, pp. 244-245.

9

M. Mafrici, Mezzogiorno e pirateria nell’età moderna (secoli XVI-XVIII), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 53.

10

Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo, cit., p. 245.

(11)

11 los otros capitanes de galeras, embiandoles mis cartas que yran

con esta, lo que os paresciere convenir

11

.

Filippo II scrisse poi al duca di Firenze perché unendo le sue sei galere con quelle di Napoli, trasportasse le truppe della Lombardia fino a Messina. Il sovrano richiese poi il biscotto per rifornire le galere al viceré di Sicilia, e dei forzati per vogare nelle imbarcazioni al duca di Sessa, governatore di Milano e al viceré di Napoli, Pedro Afán de Ribera.

Era necessario preparare una flotta ben armata e un esercito numeroso per rendere la missione semplice, veloce e segreta come raccomandato da Filippo e dai suoi collaboratori

12

. Come si vedrà non fu né semplice, a causa di ritardi e imprevisti vari, né veloce, poiché una missione che doveva svolgersi in autunno o nel primo inverno slittò alla primavera successiva; tantomeno segreta, in quanto fin dall‟inizio della progettazione il Sultano era a conoscenza dell‟impresa perché informato dalle spie della Sublime Porta, inviate a occidente per ottenere nuove notizie. L‟Imperatore Massimiliano I commentò “che alla spedizione si era data pubblicità con tanto anticipo da offrire al Turco un motivo e del tempo per preparare una flotta così grande”

13

.

Come riferisce Braudel, Filippo II aveva previsto l‟imbarco di 8.000 spagnoli (5.000 da prelevare nelle guarnigioni di Milano e di Napoli e 2.000 dal regno di Sicilia, cui aggiungere mille uomini offerti da Guimerán) mentre il duca di Medinaceli, prima di conoscere la volontà del re, aveva in mente un corpo di fanteria di 20.000 uomini e due batterie di artiglieria. Sosteneva, infatti, che vista la debolezza delle mura di Tripoli e la ridotta guarnigione a difesa della città, con

11

Lettera di Filippo II ad Andrea Doria del 15 giugno 1559, ibid., p. 243.

12

Scriveva il 30 novembre 1559, don Sancho de Leyva: “Non ho mancato di dire al duca di Medinaceli, e a più riprese, che il primo elemento del successo di questa spedizione stava nella rapidità e che il ritardo ne era il maggior ostacolo”, Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, cit., p. 1044.

13

Ibid., p. 1045.

(12)

un esercito di tale portata, sarebbe stata possibile una vittoria schiacciante. E‟

quindi evidente l‟iniziale contrasto tra il progetto del re, di una spedizione rapida da eseguirsi durante l‟estate, e un'operazione più lunga e complessa, come aveva ipotizzato il viceré.

Dall‟altra parte, la flotta spagnola era formata da quattro squadre

14

: iberica, genovese, napoletana e siciliana. All‟impresa avrebbero partecipato le galere italiane ma non quelle della squadra iberica, guidata da Juan de Mendoza. Questa ricevette l‟ordine di Filippo II di far rientro in Spagna per rimanere a guardia delle coste.

La flotta quindi era composta da un totale di circa 47 galere, 4 galeotte, 3 galeoni, 30 navi grosse da trasporto ed innumerevoli piccole imbarcazioni di servizio. La fanteria era stimata in 10-14.000 uomini, comprendenti 30

“esquadras” o “banderas” di spagnoli guidati da don Álvaro de Sande, 35 italiane sotto Andrea Gonzaga e 14 tedesche sotto Etienne Leopat

15

. A comando della spedizione Filippo II pose lo stesso viceré di Sicilia; a capo della flotta Gian Andrea Doria; infine, a capo della fanteria, don Álvaro de Sande

16

.

14

“La escuadra es […] ante todo, la unidad de organización naval”, F.F. Olesa Muñido, La organizacion naval de los estrado mediterraneos y en especial de Espana durante los siglos XVI y XVII, vol. I, Madrid, Editorial Naval, 1968, p. 502.

15

Le varie fonti, cronache e autori riportano stime numeriche leggermente diverse che ho riportato nell‟appendice numero 1.

16

Don Álvaro de Sande fu un generale dell‟esercito al servizio di Carlo V, prima, e di Filippo II,

poi. Nacque in Caceres da lignaggio nobile ed abbandonò la carriera ecclesiastica per quella delle

armi. Prese parte a molte battaglie importanti come Tunisi (1535), Susa (1537), Castelnuovo

(1538), era a capo di 490 buques e 7.000 soldati ad Algeri (1541), combattè a Muhlberg (1549),

poi in Italia, stabilendosi a Napoli. Si impegnò anche nella lotta contro gli infedeli. Dopo la

disfatta di Gerba fu fatto prigioniero e riscattato alcuni anni dopo. Lo si ritrova a combattere

valorosamente durante l‟assedio di Malta (1565). Filippo II, per i suoi meriti, lo nominò signore di

Valdefuentes, marchese di Piovera e governatore di Milano (dal 1571 fino alla morte giunta nel

1573). Una dettagliata biografia fu scritta da Uberto Foglietta, La Vida de Don Álvaro de Sande,

Madrid, Belmonte, 1962.

(13)

13

Se le galere erano già pronte a Messina verso la fine di luglio

17

, si trovavano, però, prive di equipaggio. Solo a fine agosto, infatti, il Duca di Sessa, governatore di Milano, mise a disposizione gli uomini al suo servizio perché fossero inviati al sud

18

. Don Álvaro de Sande e Gian Andrea Doria imbarcarono i fanti per trasportarli fino in Sicilia.

Ai primi di ottobre, finalmente, la flotta e la fanteria erano al completo a Messina, porto scelto per la concentrazione delle imbarcazioni e degli uomini prima della partenza

19

. Ormai tutta l‟Europa era a conoscenza della spedizione, e le notizie circolavano tra Francia, Venezia, Costantinopoli, dando tutto il tempo necessario a Dragut di fortificarsi a Tripoli, e alla Sublime Porta di armare una flotta potentissima.

Il 25 ottobre le imbarcazioni navigarono alla volta di Siracusa, dove la flotta al completo giunse a fine mese

20

. A causa del cattivo tempo e dei venti contrari,

17

Scrisse Andrea Doria a Juana de Austria il 27 luglio 1559: “Questa mattina ho avuto lettera di Gio Andrea di Messina dov‟essi si trova con tutte le galee d‟Italia. […] Io vedo tanta dificoltà in tutte le cose che non só quello che ni dire ni che sperare salvo che Gio Andrea con l‟altre et con le mie galee si troverà pronto a tutto sebene come ho scritto tant‟altre volte in me non resta alcuna forma da provedere al mantenimiento loro havendo speso impegnato et perduto il credito che havevo per conservarle fin‟ qui, così con la provisione che hanno sopra si manteniranno fin che sarà possibile”, Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo, cit., p. 253.

18

Scrisse Andrea Doria a Filippo II, il 29 agosto 1559, che “quando [i soldati di Lombardia]

giunggeranno alla marina s‟imbarcheranno subito su le navi et su le galee di Sicilia che qui sono [nel porto di Genova] et seguiranno il loro viaggio”. Il 27 settembre il principe aggiornò nuovamente il sovrano: “Perché sò che la Maestà Vostra intenderà volentieri li belli apparati che si son fatti per l‟impresa di Tripol, per il desiderio che ha mostrato del buon successo di quella, le dico che s‟imbarcarono qui su XI galee et sei navi, cinque millia fanti in circa, cioè mille cinquecento spagnuoli, ottocento alamani et il resto italiani, gente eletta et da sperarne ogni buon effetto, et secondo il tempo che ha mostrato qui si può giudicare che siano gionti a Messina a salvamento. Di là ho lettere di Gio Andrea che mi scrive che tutto il resto era in ordine, et ch‟egli anderebbe a levar‟ i spagnuoli di Napoli a Taranto”, ibid., pp. 263 e 271.

19

Messina assurgeva a centro di raccolta delle forze navali spagnole perché era “loco […] molto accomodato tanto per la deffensione dil regno di Napoli quanto di Sicilia” e la Sicilia era l‟avamposto contro la minaccia ottomana “porque està a la frontera […] de los henemigos y adonde puede favorescer a los amigos”, A. Pacini, “Desde Rosas a Gaeta” – La costruzione della rotta spagnola nel Mediterraneo occidentale nel secolo XVI, Milano, Franco Angeli, 2013, p. 184.

20

Scrisse Andrea Doria a Filippo II il 15 novembre 1559: “ Ho lettere di Gio Andrea da Messina

di XXII del passato, per li quali mi scrive che già erano molti giorni che tutte le cose erano in

ordine per partire la volta di Barberia, ma il tempo gli riteneva”. Il 16 novembre, aveva nuove

informazioni: “Questa mattina poi ho havute alcune lettere di Napoli, per le quali sono avisato che

il Viceré di Sicilia […] era partito con tutta l‟armata alla volta di Saragosa a XXVIII del passato

(14)

quando le imbarcazioni cercavano di prendere il largo alla volta di Tripoli, erano costrette a fare rientro al porto. La partenza fu tentava molteplici volte ma fu necessario attendere ancora, finché non si fossero presentate condizioni più favorevoli. Filippo II, aveva espresso la volontà di compiere la missione in estate

21

. I tempi si erano allungati, i ritardi accumulati, ma nonostante ciò, voleva comunque procedere nell‟impresa. Scrisse infatti: “Todavia esperamos en Dios que aunque es tarde y se offresçen dificultades, al cabo se han de vençer todas y hazerse como desseamos”

22

. La flotta riuscì a partire all‟inizio di dicembre quando prese il largo alla volta di Seco di Palo, ad ottanta miglia da Tripoli, ma le condizioni meteorologiche avverse impedirono di seguire la tabella di marcia prevista. I capitani ritennero quindi opportuno fare scalo a Malta, nel porto di Marza Muscietto

23

, dove giunsero ai primi di gennaio

24

. A causa di questi ritardi, del cattivo tempo, delle provvigioni che già iniziavano a essere insufficienti e guaste, la flotta fu costretta a fermarsi nell‟isola per tre settimane. Le epidemie che si scatenarono provocarono almeno duemila morti. Fu necessario riorganizzare la flotta, lasciare a terra i malati e richiedere rifornimenti e uomini

con intentione di passar a Malta et poi alli Secchi di Palo”, Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo, cit., pp. 280-281.

21

Filippo II scrisse a Giovanni Andrea Doria, il 15 giugno 1559: “Visto lo mucho que importa al benefiçio de nuestros Estados y subditos y de toda la Italia, destruir à Dorgut Arraez, y quitarle à Tripol, antes que la acabe de fortificar he deliberado, que en todo caso se haga la empresa, de aquella plaça este verano”. Il 7 luglio, il sovrano scrisse a Gómez Suárez de Figueroa, che desiderava “mucho que si fuere possible se haga todavia este año aquella empresa por ser tan importante y averse ya publicado”, ibid., pp. 244 e 257.

22

Lettera di Filippo II a Gómez Suárez de Figueroa, del 20 ottobre 1559, ibid., p. 277.

23

C. F. Duro, Armada Española, desde la unión de los reinos de Castilla y de Aragón, vol. II, Madrid, Museo Naval, 1972, p. 23.

24

Gómez Suárez de Figueroa aveva avvisato Filippo II, il 20 dicembre 1559 che “el Visorrey de

Siçilia con toda el armada se avía hecho a la vela desde Caragoça a los 3 del presente con muy

buen tiempo a la buelta de Tripol”, e il 30 dicembre aggiungeva che una “cartas de los 18 y del

primero […] me avisa que en aquel punto se hazía a la vela con buen tiempo para Tripol con toda

el armada y que yria sin tocar en Malta ni otras partes”. L‟intenzione iniziale era quindi quella di

salpare da Siracusa per navigare direttamente verso Tripoli, visto il buon tempo. Le condizioni

metereologiche avverse, però, costrinsero a fare scalo a Malta, Vargas-Hidalgo, Guerra y

diplomacia en el Mediterraneo, cit., pp. 292-293.

(15)

15

dalla Sicilia. Finalmente il 10 febbraio tutto era pronto per salpare alla volta di Tripoli

25

.

Le navi e le galere partirono separatamente e navigarono fino a Gerba, dove diedero la fonda a metà febbraio. Qui iniziarono i primi errori. Tra la Cantara e la Rocchetta, furono scoperte due navi abbandonate, che furono catturate e saccheggiate da don Sancho de Leiva, Scipione Doria e Gil d‟Andrada.

All‟interno del canale, a circa cinque miglia all‟interno, si trovavano anche due galeotte, ma essendo difficoltosa e pericolosa la navigazione per raggiungerle, i capitani decisero di non preoccuparsene e invece di catturarle o dar loro fuoco, le ignorarono

26

. Su una delle due imbarcazioni, si trovava, nascosto, il corsaro

25

In una lettera del 29 febbraio 1559, Andrea Doria scrisse a Filippo II che, secondo le informazioni da lui ricevute, la flotta era ancora a Malta alla fine di gennaio: “Non ho di nuovo cosa degna della notitia di vostra maestà più di quello che le scrissi alli XXI del presente, cioè che la sua armata era a XXV del passato tuttavia a Malta per il maltempo con qualche malati, et pur hoggi ho lettere che mi fan certo che a VII del presente vi era ancora. L‟influenza de malati era mancata molto, et della carestia si era fatta abondanza di vettovaglie. Siano hora nel principio della primavera, con la quale è da sperare che si debba condurre ad honorevole fine questa impresa, sì come ella è stata impugnata giusta e santamente”. In una lettera del duca di Medinaceli del 10 febbraio 1559, al Principe, si annunciava però che si stava preparando la flotta e che la partenza era imminente: “Haviendo scritto a vuestra señoria illustrissima de ordinario dandole aviso de esta empresa y agora ultimamente a los dos del presente lo que terne que dezir con esta será que haviendose puesto el tiempo prospero desde ayer por la mañana luego en la mesma hora se començaron a proveer las naos y cumplir la embarcación la qual haveindose acabado esta mañana y perseverado el buen tiempo hasta agora que será medio dia se han sacado las naves fuera”, Archivo General de Simancas (d‟ora in poi AGS), Estado 1389, ff. 5 e 52.

26

“Partirono dal Secco di Beito le nostre galee à 14 di Febraro, e arrivarono all‟isola delle Gerbe

alla parte della Rocchetta, dove la maggior parte de‟ vascelli, che vanno in quella Isola, fanno

acqua. In quel loco si scoprirono due navi. […] Don Sancho de Leiva vi andò […]. Non si trovò

gente nella nave, perché erano fuggiti in terra […]. Nel medesimo canale, da cinque miglia più

dentro, presso il ponte, che è dell‟isola à terra ferma, erano surti due vascelli di remi […]. Il Duca

comandò che dicessero à Gio. Andrea, il quale si trovava infermo nella camera di poppa, che

inviasse ordine à Don Sancho, che andasse à bruciarli, o prenderli, considerando che non

conveniva lasciarli indietro, avendo da passar per Tripoli […]. Non vi si andò nel tempo, che con

facilità sarebbon presi, o bruciati; e diedero comodità à i Turchi, che sbarcassero l‟artiglieria in

terra, accomodandola di sorte, che per prenderle, sarebbe stato necessario sbarcarsi tutto essercito,

onde si sarebbe perduto molto tempo” (A. Ulloa, La Historia dell’impresa di Tripoli di Barbaria,

Venezia, Francesco Rampazetto, 1566, p. 6). Anche il Guglielmotti riporta l‟evento: “Erano alla

vista nel canale della Cantèra, tra la terraferma e l'isola, poche germe di mercadanti, e quel che più

monta due galeotte di pirati. Sarebbe stato dovere preciso del Medinaceli subito subito chiudere il

passo, pigliarle, cavarne notizie, impedire che non ne portassero altrove. Così per fermo avrebbe

saputo che Dragut in persona stava quivi nell'isola, tanto vicino e disperato, che non poteva

fuggirgli di mano; perchè chiuso dal mare, sostenuto da pochi Turchi, e odiato da tutti i Mori. Ma

colui poco curando lo stare sulle intese, lasciò correre alla ventura, e dette tempo al padrone delle

galeotte di rinforzarsi sulla migliore, e di fuggirsene di volo a Costantinopoli, portandovi il primo

grido dell'arme, e la piena notizia di ciò che aveva veduto cogli occhi proprî: il numero e la qualità

(16)

Luccialì

27

che subito navigò alla volta di Costantinopoli per aggiornare il Sultano degli spostamenti dell‟armata cristiana

28

. Da mesi questi stava preparando una flotta di almeno 150 galere per la primavera

29

. Infatti, già dal luglio del 1559 la Sublime Porta aveva inviato nel Mediterraneo occidentale le proprie spie per

dei legni, il disordine del governo, la facilità di conquidere a un tratto tutta l'armata cristiana.

Crescono i nostri pericoli: alla strategia di Dragut arrogi la solerzia di Luccialì”, A. Guglielmotti, Storia della marina pontificia, La guerra dei pirati e la marina pontificia dal 1500 al 1560, vol. II, Firenze, Successori Le Monnier, 1876, pp. 370-371.

27

Luccialì, in realtà Gian Dionigi Galeni, era un rinnegato calabrese. Le informazioni sulla sua vita non sono sempre coerenti. Secondo Rinaldo Panetta nacque a Cutro, nel Golfo di Squillace mentre secondo Gustavo Valente era originario di Le Castella (nei pressi di Capo Rizzuto, nell‟odierna Crotone) dove venne alla luce nel 1520 circa, da Birno, pescatore, e Pippa de Cicco, contadina. Secondo la relazione del 1585 di Gianfrancesco Morosini: "Di nazione calabrese, nato vilissimamente in un luogo detto li Castelli, non sa né leggere né scrivere", sarebbe "vicino alli 80 anni". Secondo le relazioni di questi anni, infatti, il pirata sarebbe ultraottantenne. Questo anticiperebbe la data di nascita al 1505 circa. Secondo Gino Benzoni, però, sarebbe stata la dura vita di mare ad aver segnato il pirata, facendolo apparire più vecchio. Stando a Morosini, infatti, Luccialì nel 1585 è talmente "prosperoso e gagliardo" da far "meravigliare" dati gli anni che gli si attribuiscono. Nel 1536 fu catturato dagli uomini del Barbarossa, messo in catene e venduto ad Istanbul. Dopo aver servito per due anni nelle galere ed essere caduto malato, divenne servitore nella casa del pirata Giafer, che lo prese in simpatia. Dopo essersi convertito all‟Islam, sposò la figlia del suo padrone, Bracaduna. Iniziò a partecipare a numerose imprese in mare assieme a Dragut, divenendo col tempo uno dei più feroci e abili pirati dell‟epoca. Nel 1562 venne nominato dal Sultano capitano della squadra di Alessandria. Nel 1565, a seguito della morte di Dragut durante l‟assedio di Malta, divenne governatore di Tripoli e nel 1568, per volere di Selim II, viceré d‟Algeri. Partecipò alla battaglia di Lepanto dove "vedendo Ulucciali che l'armata era rotta, fuggì con trenta o quaranta vele […] et col stendardo della capetana di Malta". Continuò ad operare nel Mediterraneo fino al 27 giugno 1587 quando morì improvvisamente. Secondo il bailo Bernardo, con lui il Turco aveva perduto "un bravissimo huomo non solo nella professione del mare, ma anco prattico et intelligente nelle cose del mondo". Il pirata era conosciuto con diversi nomi:

Lucalì, Uluds-Alì (il rognoso), Uluosch-Alì, Ouloudi, Aluccialì, Locchialì, Luzzolì, Luccialì, Uluch-Alì, Uichialì, Uluzzalì, Louchalì, Ulug-Alì, Euldi-Alì, Ucci-Alì, Uluccialì, Ucciallì, Euldi- Alì, Ouloud Alì, Euludy Alì, Luccialli, Ucci-Ali, Eudji Ali, Uluc Ali e soprattutto Ochialy o Occhiali o Occhialì, in occidente, Panetta, Pirati e corsari turchi e barbareschi nel mare nostrum, cit., p. 204; G. Benzoni, Gian Dionigi Galeni, Enciclopedia Treccani, Dizionario Bibliografico degli Italiani, vol. 51, 1998.

28

“Lorsque, la saison de l'hiver étant passée, telle du printemps entra en scène, le 8 rédjeb 967 (4 avril 1560), l'amiral Piyâlé-pacha sortit en mer avec cent vingt galères et se rendit à l'île des Moutons. Là arriva une frégate envoyée par Turghut- pacha, beylerbey de Tripoli [de Barbarie], qui apporta l'information que la flotte des misérables infidèles était dans le voisinage de l'île de Djerba et attendait l'occasion de tomber sur Tripoli. Auparavant, ledit pacha avait envoyé le capitaine Ouloudj „Alî, célèbre corsaire de cette époque, prendre langue, avec quelques frégates, dans les contrées infidèles”, Huart, Un document turc sur l’expedition de Djerba en 1560, cit., pp.

292-293.

29

In una lettera del 25 gennaio 1560, Gómez Suárez de Figueroa scrisse a Filippo II: “De la

armada turquesca he ya dado aviso a vuestra magestad como avía entrado en Costantinopla, y

como atendian a preparar las galeras para la primavera asta el numero de 150 galeras, Dios la

confunda”. In una lettera della Repubblica di Genova a Filippo II del 14 febbraio 1560, con gli

avvisi provenienti da Costantinopoli, si confermava che “en aquel arsenal [Costantinopoli] se

labrava continuamente y por todo el mes de março hecharian en agua treynta galeras y por todo

abril saldria el armada hasta el numero de ciento y veynte como se ha dicho”, AGS, Estado 1389,

ff. 3 e 145.

(17)

17

controllare i cristiani e i loro piani, ed avere informazioni sugli spostamenti della flotta

30

. Dragut, inoltre, aveva bisogno del sostegno della Sublime Porta per fortificare e difendere Tripoli che era debole e con una guarnigione di soldati ridotta. Se la flotta cristiana fosse giunta nell‟inverno o nella primavera, probabilmente sarebbe riuscita a conquistare la città facilmente

31

. Il corsaro era anche riuscito a catturare una delle due fregate cristiane che erano state mandate in Barberia, riuscendo ad avere notizie sull‟organizzazione della spedizione del Re Cattolico, dagli uomini dell‟equipaggio fatti prigionieri

32

.

Lo stesso Andrea Doria, in una lettera a Filippo II del 29 febbraio 1560, scriveva: “Io sento che al principio di marzo si dovevano trovare in Costantinopoli tutta la ciurme dell‟armata, e che per conseguente è da credere che per tutto aprile possa essere in ordine maggior armata di quella di vostra maestà”

33

.

30

Un avviso del 9 luglio 1559 da Corfù, riferiva: “A los 18 del passado las setenta galeras que eran juntadas en Negroponte partieron para Lepanto, y que no se entendia que camino ternian. Que havian mandado desamparar todos los lugares maritimos por temor de nuestra armada la qual ya se entendia que havia llegado a Mecina”. Altri avvisi del 30 di luglio informavano: “A los 26 el armada del Turco en numero de 60 galeras y X galeotas llegó a La Prevesa adonde hechava todo en tierra para despalmar. Que el Baxa avia embiado dos galeras a la buelta del Cabo de Otrato a tomar lengua y entender de nuestra armada y que hasta la buelta dellas no se passira de La Prevesa.

Que en caso que entienden que nuestras galeras ayan ydo a la empresa de Tripol, las turquesas yran a Duraço adonde desean ganar algunas pieças de artilleria y despues pasara a la buelta de Termoles de Abruço adonde avia de hasser la ympresa y que esto se dessia por cosa çierta. Que no yendo nuestra armada a Tripol y llegandose hassia Taranto la turquesca no se partiria de la Prevesa”. Il 30 ottobre, da Corfù, si avvisava: “Que estando la armada turquesca en La Velona adonde avia cargado trigo con yntençion de seguir la nuestra armada en caso que fuese a Tripol porque esta horden tenia del Turco”. Solo il 9 ottobre 1559, un avviso da Otranto informò: “Aquel dia avia llegado ahi una barca la qual a los 4 del dicho mes partio de la Crimara. […] Se entendia que la partida del armada a los 26 del pasado del La Velona fue por causa de un correo del Turco venido el dicho dia con que se le ordenava que se bolbiese a Costantinopla”, Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo, cit., pp. 248, 254, 273-274.

31

Il bailo veneziano a Costantinopoli scrisse il 30 marzo 1560 che erano arrivate quattro galere di Dragut, “et dicesi che hanno portato oltra li schiavi molta facultà del ditto Durgut che è segno ch‟el tienne le cose di là per disperate et però dimanda presto soccorso, dicendo che non si trova se non da 1.500 Turchi, abbandonato da tutti li corsari li qual con circa 15 vascelli che havevano invernato a Tripoli, intesa la venuta di Spagnoli si erano senza licentia sua fuggiti”, Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, cit., p. 1046.

32

Scrisse a questo proposito Ulloa: “Mandò [il Gran Maestro della Religione di Malta] in questo tempo due fragate in Barbaria per intender nuove da quelle parti, l‟una delle quali fu presa da Dragut, e da essa intese gli apparati e provisioni, che in Cristianità si facevano per l‟impresa di Tripoli. Onde subito aumentò il presidio, mettendo due milia huomini di guerra nella città”, Ulloa, La Historia dell’impresa di Tripoli di Barbaria, cit., p. 4.

33

Lettera di Andrea Doria a Filippo II del 29 febbraio 1560 da Genova, AGS, Estado 1389, f. 52.

(18)

Le informazioni sul nemico erano scarse

34

. Dragut si era diretto con i suoi uomini a Gerba nel mese di febbraio. Aveva ucciso molti mori che simpatizzavano per i cristiani e aveva ripreso il controllo dell‟isola

35

. Dopo le imboscate tese agli spagnoli nel mese di febbraio mentre si rifornivano di acqua, aveva fatto ritorno a Tripoli per fortificare la città. Era stato quindi molto vicino, ma nessuno lo era venuto a sapere in tempo per intervenire.

Il 14 e il 16 febbraio, infatti, i cristiani erano scesi a terra per fare l‟acquata

36

sulle spiagge di Al-Kantara e poi de La Rocchetta

37

. Se i rifornimenti d‟acqua erano indispensabili, gli uomini sbarcarono senza difese sufficienti e vennero attaccati dai mori dell‟isola che si scoprì poi essere guidati da Dragut in persona

38

. Le perdite furono ingenti tra soldati, capitani e cavalieri

39

.

34

Scrisse a questo proposito il Guglielmotti: “Il primo segno di ruinosa impresa vedrai sempre nella mancanza delle notizie sul conto dei nemici: perchè se tu non sai procacciartene, o se altri ricusa fornirtene, arriverai certamente senza rimedio allo stesso punto; cioè a perdere ogni buona occasione, e ad incontrarne ogni trista”, Guglielmotti, La guerra dei pirati e la marina pontificia, vol. II, cit., p. 373.

35

Gli avvisi da Malta del duca di Medinaceli del 10 febbraio spiegavano che “de quatro dias a esta parte Dragute se conçertó con algunos alaraves de los que lo tenían cercado y hazian la guerra por estar desconfiados de la yda de la armada y traiendo por tierra setecientos cavallos dellos y viniendo el con seis baxeles por mar diz que dió una noche en los Gelves sobre el xeque sus aliados y que mataron muchos dellos y que tanbien murieron muchos turcos de los de Dragute y que el xeque se escapó con catorze cavallos y aportó adonde stava el rey del carvan pero como llegue el armada plaziendo a Dios, todos bolveran a la devoción de su magestad y el xeque tornará a cobrar los Gelves", AGS, Estado 1389, f. 147.

36

Provvista d‟acqua dolce per le imbarcazioni.

37

Al-Kantara o Cantara, era una baia sulle coste di Gerba. Come spiega il Guglielmotti: “La mattina del quattordici di febbrajo [i cristiani] dieron fondo nelle acque delle Gerbe, rimpetto alla cala della Cantèra, a levante dell'isola, cento e trenta miglia lungi da Tripoli pel rombo di scirocco”. Anche La Rocchetta era una insenatura poco distante, Guglielmotti, La guerra dei pirati e la marina pontificia, vol. II, cit., p. 370.

38

“Ma nel ritirarsi degli acquatori, sopravvennero di nuovo i Gerbini, e sbaragliarono le guardie con tanto successo […]. Chicchefosse, dal Medinaceli in fuori, per l'insolita resistenza di coloro avrebbe almeno sospettato nell'isola la presenza d'un qualche impigliatore della tempra di Dragut.

E di fatto desso era lì, e dirigeva in persona la gioventù alle fazioni colle sue ciurmerie, quasi a dispetto dei Mori veterani che l'odiavano. E pensare che il Medinaceli l'aveva dinanzi, racchiuso in piccola isola, privo di scampo; e in vece risolveva di andare a Tripoli per cercarlo”, ibid., p. 373.

39

Racconta dettagliatamente Cesareo Fernandez Duro: “Surgieron las galeras en la Roqueta con

prevención de Juan Andrea Doria de prepararse al aguada, […] desembarcando la tropa que había

de proteger la operación. D. Álvaro de Sande la dirigió en persona, formando cuatro escuadrones

de picas con mangas de arcabuceros; y aunque trataron de defender el desembarco unos 400 turcos

escopeteros á caballo, apoyados por 300 moros á pie, y de cargar á los que llevaban los barriles, no

lo consiguieron. Tampoco á los nuestros fue posible tomar hombre vivo á los enemigos, por la

ventaja de la caballería con que se reparaban. […] Duraron las escaramuzas hasta el obscurecer,

concluida la operación del agua, que costó algunos heidos, entre ellos don Álvaro de Sande de

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19

Il 17 febbraio, la flotta fece vela verso Tripoli, e a metà strada, presso il Seco di Palo

40

, gettò l‟ancora. Rimase qui per circa due settimane. Vista la situazione critica e le già numerose perdite di uomini, fu convocato un consiglio di guerra per decidere sul da farsi

41

. Le opinioni furono varie e contrastanti: il cavaliere Tessieres (capitano della fanteria di Malta) e Flaminio Orsini proposero un attacco immediato a Tripoli; don Álvaro de Sande, Gian Andrea Doria e i capitani spagnoli furono più prudenti, e visti i già circa duemila uomini caduti o gravemente malati, proposero di dirigersi a Gerba. Alla fine si decise per questa seconda possibilità: conquistare l‟isola da usare come base per la successiva spedizione a Tripoli

42

. Inoltre, il controllo di Gerba poteva garantire una maggiore tranquillità sia al Regno di Napoli che alla Sicilia.

arcabuzazo en la ijada. […] Las galeras zarparon en la amanecida del 16 pasando á Seco del Palo en espera de las naves y aun de otras galeras rezagadas, en número de ocho; […] cuando llegaron estas ocho á la Roqueta, echando gente en tierra para proveerse á su vez de agua, haciéndolo sin el orden debido, por competencia sobre quién había de ser cabeza, los turcos cargaron con furia, matando 150 españoles, de ellos cinco capitanes”, Duro, Armada Española, desde la unión de los reinos de Castilla y de Aragón, cit., pp. 23-24.

40

Guglielmotti fornisce una dettagliata descrizione del Seco di Palo, luogo “dove non è porto alcuno, ma bonaccia perpetua per ogni stagione, anche nelle grandi tempeste. Questa seccagna corre quaranta miglia da levante a ponente, e si avanza venti miglia dentro il mare, composta da ampia platea arenosa, sollevata dal fondo circostante, e circoscritta da alto scaglione quasi verticale. Al difuori della spianata il pelago s'innabissa, e al di dentro l'acqua si assottiglia sopra venti e dieci metri di fondo, digradando di un metro per ogni miglio fino al lido. I marinari riconoscono agevolmente questo luogo alle schiume bianchissime intorno ai lembi, alla chiarezza azzurrina dell'acqua interna, ed alla incomparabil quiete distesavi sopra”, Guglielmotti, La guerra dei pirati e la marina pontificia, vol. II, cit., pp. 374-375.

41

“Los Consejos de Guerra […] se reunían con carácter deliberante a convocatoria del Generale, o, en su defecto, de quien asumiera el mando superior, para proponer, estudiar y recomender incluso a la vista de las instrucciones recibidas y de la situación presente, la conducta estimada como más adecuada para el mejor éxito de la empresa. La decisión, en los Consejos de las fuerzas navales de la Monarquía española, correspondía únicamente al General o mando superior convocante, que ostentaba siempre la presidencia del consejo reunido; las votación, si le había, sobre un plan o preyecto, expresada un estado de opinión, pero no era vehículo de voluntad decisoria”, Olesa Muñido, La organizacion naval de los estrado mediterraneos, vol. I, cit., p. 604.

42

Il duca di Medinaceli organizzo un “consejo definitivo, que había de celebrarse en la galera

Real. Al reunirse, [i capitani] reconocieron unánimes la necesidad de la empresa de Trípoli,

puesque á ella los había enviado S. M. Católica juntando la armada; pero juzgáronla por el

momento irrealizable, conviniendo al fin en ir á los Gelves en espera de la gente y naves con que

se había de reforzar la expedición” (Duro, Armada Española, desde la unión de los reinos de

Castilla y de Aragón, cit., p. 25). Scrisse a tal proposito il Doria: “Et vedendo essere impossibile

per il mancamento della gente andare a Tripoli, dovette parer loro [al viceré di Sicilia e a don

(20)

La flotta giunse nei pressi dell‟isola il 2 marzo, ma a causa delle pessime condizioni meteorologiche servì tempo per raggiungere la costa. Il 7 marzo lo sbarco di circa 1.000 uomini e dell‟artiglieria, fu completato. Durante la marcia verso l‟entroterra e il castello, fu necessario decidere come relazionarsi con la popolazione locale. Essendo tributari di Dragut e avendolo in odio, sarebbe stato possibile trattare un accordo, che avrebbe giocato a favore dei cristiani

43

. Nonostante una resistenza iniziale, furono stipulati dei patti: lo sceicco locale si dichiarò vassallo del re di Spagna e lasciò il vecchio castello agli spagnoli

44

. Non volendo che questi si approfittassero della popolazione locale, vigilava perché gli

Álvaro de Sande] andar alle Gerbi per vendicar il danno che s‟era ricevuto”, Borghesi, Vita del Principe Giovanni Andrea Doria, cit., p. 81.

43

Andrea Doria aveva scritto a Filippo II a proposito di una possibile alleanza con alcuni abitanti della Barberia già il 15 novembre 1559 che “il Re del Carrovano, quel di Tunisi et quello di Gerbi, havevano promisso di venire in aiuto loro con molta gente da pié et da cavallo, et di tener‟ il campo ben provedutto di vettovaglia, et particolarmente quello di Gerbi si era offerto di sollevare et ribellare gli huomini di quell‟isola à Drogut, sì che è da sperar bene”. In una ulteriore lettera del 5 aprile 1560 aveva scritto: “A me pare assai, poichè i mori si mostrano così pronti a dare ogni favore alle genti di Vostra Maestà”, Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo, cit., pp. 280 e 308.

44

Il 5 maggio fu fatto un giuramento dallo sceicco e dai suoi uomini in cui dichiaravano “di esser buoni, e fedeli vassalli del Re di Spagna, e pagarli il tributo conforme alle capitolationi, che era dar ogni anno sei milia scuti, quattro struzzi, quattro garzelle, quattro falconi, e un camello, e prese il Stendardo Reale, e lo alzò tre volte, e donò quello di Dragut, che egli teneva, e di tutto questo se ne fece instrumento publico con loro sigilli, e per la solennità fece il Duca, che si buttassero tra Mori quantità di danari di ogni stampa, di oro e argento, e per animarli alla osservanza del giuramento, sapendo che si trovavano poveri, per la inquiete in che gli avea tenuti Dragut per il passato, li fece gratia delli sei milia scuti, che dovevano pagar il primo anno” (Ulloa, La Historia dell’impresa di Tripoli di Barbaria, cit., p. 19). Interessante a questo proposito sono le informazioni che il Guglielmotti fornisce, riguardo ciò che fu scritto dagli storici orientali su questa vicenda: “Gli storici orientali poco o nulla aggiungono ai nostri intorno a questi successi;

che l'epoca presente scorre tra le più oscure nella storia loro […]. Dagli Arabi odierni non possiamo sperare nulla di meglio: e dai trapassati abbiamo due soli brandelli […]. Il primo brano è dello storico Dinar, ben noto agli orientalisti, il quale nell'anno 1681 scrisse molto confusamente dei fatti anteriori; sì come nel caso presente a proposito dell'ultimo principe Hafsita di Tunisi dice così: «Stretta amistà correa tra questi e Dragût pascià. Quando Dragût mosse contro l'isola delle Gerbe, il sultano Ahmed lo fornì di vettovaglia. [L'isola] si era ribellata da esso [Dragût] per torti ricevuti; onde la occuparono i Cristiani per sei mesi; e fu liberata per mano del pascià Ali, mandatovi da Dragût.» Appresso viene il Bagi non meno conciso nei fatti, e più confuso nelle date, con queste parole. «L'anno 957 [dal 20 gennaio 1550 all'8 gennaio 1551] i Napolitani, i Genovesi ed altri irruppero in Mehdiah: presero quanto e quanti erano in essa, la distrussero, e andarono via.

Indi alcuni abitanti a poco a poco vi ritornarono, e in certo modo la ripopolarono. Essi [Napolitani,

ecc.] si insignorirono anco delle Gerbe, si empirono le mani del bottino fatto [in questa isola], e

dimoraronvi sei mesi; a capo dei quali Dragût pascià liberolla, e di lì passò a Tripoli, e presela il

958»”, Guglielmotti, La guerra dei pirati e la marina pontificia, vol. II, cit., pp. 389-391.

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21

abitanti di Gerba non fossero molestati e i soldati pagassero tutto ciò che prendevano. Tramite il castello era possibile controllare tutto il nord del paese, in cui aveva abitato il signore locale fino a quel momento. Il 14 marzo i capitani vi fecero visita e decisero, partendo dalle vecchie mura e da ciò che già era presente, di costruirvi un forte

45

. A dirigere i lavori vi era l'ingegnere Antonio Conti

46

. Le operazioni iniziarono immediatamente ma, come spiega Braudel, il “lavoro [fu]

estremamente faticoso e difficile per la mancanza di legname, di pietra, di calce.

Gli indigeni non davano aiuto effettivo, all‟infuori delle carovane di cammelli.

Toccava quindi all‟esercito, che, sebbene minato dalle febbri, continuava a logorare i propri effettivi nel duro lavoro di sterro… Frattanto, i più abili fra i padroni dei bastimenti comperavano chi olio, chi cavalli, chi cammelli, o cuoi, o

45

In realtà, le opinioni sulla costruzione del forte erano discordanti. Sancho de Leyva sosteneva, infatti: “No es este el buen sitío para hazer una fortificación en los Gelves sino á la parte del levante adonde ay un muy buen puerto seguro y que le guardará al fuerte, que aquí no ay puerto sino secanos que no pueden llegar las galeras ní naves con quatro millas al fuerte ní ser guardadas del ní ellas socorrerle ni proveerle sin mucho travajo y peligro. Yo he visto y reconoscido el otro sitío y he dicho al duque que aquel es el sitío importante y seguro y necesario y que si el toma este y no el otro, en yendose de aquí verná Dragut y tomará el otro que lo podrá y sabrá hazer, y el suyo después no traer á otro provecho que aver de hazer otra armada para socorrerle o por ventura deshazerle y sacar la gente de allí porque sí Dragut toma el otro será señor de la ysla”

(Monchicourt, L’expedition Espagnole de 1560 contre l’Ile de Djerba, cit., pp. 176-177). Don Álvaro de Sande, invece, nella sua relazione, spiegò: “Era bien hacer un fuerte competente donde se pudiese meter guarnición de gente y artilleria, […] y que el mejor sitío y parte donde se podía hacer era donde estaba el castillo, incorporandole en el, porque no se quería comenzar obra que pudiese disturbar á que, con el primer tiempo y llegado de Sicilia las vituallas y gente que se esperaba, no se pudiese partir el armada a Tripol, sino dejase la obra imperfecta; y porque la comodidad del castillo y haber en el lugar para poder meter vituallas y municiones y dos cisternas, y cerca tierra, leinmo, fajina y arena para poder edificar, hacían facil e breve el edificarse el fuerte, e tambien parecía mas conveniente hacerle allí que en otra parte, por ser el medio de la isla y […]

porque de mas desto, en cualquier otra parte que se quisiera hacer era menester mucho tiempo, por no tener tan a mano los materiales, e por ser necesario hacer, allende de la fortificación, magacenes para las vituallas y municiones; y si se quisiera hacer en la Cantara, donde algunos dicen que se habían de hacer, por haber agua, había en ello la dilación de tiempo que era contra lo que se tenía determinado, y quedaba subjeta la plaza á ser batida por mar, por haber en aquella parte mucho fondo, lo que aseguraba el castillo, que por ser secanos no se puede acostar armada a tiro de cañón, aunque por una canal estrecha pueden llegar fustas y galeotas e otros navios mercantiles; ainsí que, movidos destas cosas, se determinò que se hiciese allí el fuerte”, Muñoz de San Pedro, Don Álvaro de Sande, cronista del desastre de los Gelves, cit., pp. 17-18.

46

Spiega il Guglielmotti: “Tutti i contemporanei attribuiscono il disegno e la suprema direzione della nuova fortezza all'ingegnere Antonio Conti, uno di quei tanti Italiani che allora seguivano gli eserciti di ogni nazione”, Guglielmotti, La guerra dei pirati e la marina pontificia, vol. II, cit., pp.

395-396.

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lane o baracani”

47

. Il forte fu completato alla fine di marzo

48

e venne battezzato Alcazàr del rey Felipe segundo.

A Napoli e in Sicilia giungevano notizie poco rassicuranti dal Levante. La flotta ottomana era pronta e numerosa e sembrava che fosse già salpata alla volta del Mediterraneo occidentale, dove sarebbe giunta prima del previsto; il viceré di Napoli, infatti, scrisse a Filippo II chiedendo che le galere di Spagna si concentrassero a Messina per scongiurare uno sbarco nemico. Si rivolse anche al Medinaceli perché facesse rientrare la fanteria che gli aveva prestato

49

. Furono inviati avvisi a Gerba, ma ormai era troppo tardi.

La flotta ottomana era partita da Costantinopoli l‟8 aprile, e il 10 maggio fu avvistata al largo del Gozo, isola situata a nord-ovest di Malta

50

. Si trattava di una flotta composta da 74 galere, 5 navi grosse ben armate, con a bordo 8.000 soldati, al comando di Pialì Pascià

51

. La notizia scatenò il panico. Resistere e combattere o fuggire? In quel momento sembrò “che una bella fuga valesse più di un buon combattimento”

52

. Nella sua relazione Piero Machiavelli

53

, commissario delle

47

Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, cit., pp. 1046-1047.

48

Scrisse Gómez Suárez de Figueroa a Filippo II, il 13 maggio 1560 : “De la armada de Vuestra Majestad tengo aviso por cartas de Los Gelves de los 25 de março del Visorrey de Siçilia que estava todavia alli asta aver acabado de fortificar el castillo de donde me escrive el Visorrey que yria hazer la empresa de Tripol”, Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo, cit., p.

314.

49

Scrisse il viceré di Napoli a Filippo II, il 21 aprile 1560: “Ho avvertito [il duca di Medinaceli]

che, a mio parere, non è opportuno attendere che la flotta del Turco arrivi e che quella di Vostra Maestà si trovi impegnata nella costruzione del forte che si sta edificando a Gerba”. Pochi giorni dopo aggiunse: “Giudico che la flotta di Vostra Maestà sia in non lieve pericolo”, Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, cit., p. 1047.

50

La flotta turca era riuscita a percorrere in soli venti giorni la distanza tra Costantinopoli a Gerba, navigando in linea retta con estrema rapidità.

51

Un avviso da Costantinopoli del 7 aprile 1560 annunciava: “Que dos dias antes que partiesse salieron de Costantinopla settenta y quatro galeras y çinco fustas gruessas muy bien armadas, en las quales se havian embarcado dos mill geniçaros y seys mill spahis arcabuzeros. Que con la armada viene Ali Basa y capitanes de Quenta Cartuchi con XXV galeras debaxo de su mando y Caracumatin con otras 25 y Cara Mustafa con 12. […] Que la causa porque las 74 galeras partieron tan presto fue por la llegada a Constantinopla de dos fustas que embio Dragut de Tripol con aviso como Los Xelves eran tomaio y que se yva sobre Tripoli”, Vargas-Hidalgo, Guerra y diplomacia en el Mediterraneo, cit., p. 309.

52

Lo afferma Cirni nella sua relazione, in Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di

Filippo II, cit., p. 1047-1048.

(23)

23

galere di Firenze, sostenne che “la paura occupò l‟animo di tutti”

54

. Fu riunito un consiglio di guerra. Le discussioni furono lunghe e le opinioni discordanti. Alla fine, i capitani, ritenendo che la flotta sarebbe prima andata a Tripoli a ricevere ordini da Dragut, facendo guadagnare loro qualche ulteriore giorno di tempo, decisero di attendere per poter imbarcare con calma le truppe e partire

55

. Ma le cose non andarono così e l‟11 maggio la flotta turca arrivò in vista di Gerba alle prime luci dell‟alba. I cristiani fuggirono e tentarono di salvarsi come potevano:

alcuni raggiunsero le galere, gettando in acqua ogni roba (“balle di lana, orci d‟olio, cavalli, cammelli”

56

) per renderle più leggere e veloci; alcuni presero il mare, altri trovarono rifugio sotto il forte

57

.

53

Piero Macchiavelli, nacque a Firenze il 4 settembre 1514, figlio di Niccolò e di Margherita Corsini. Visse nel podere di famiglia fino alla morte del padre, sopraggiunta nel 1527. Dopo essere stato arrestato e aver trascorso tre anni in galera, iniziò a viaggiare in Europa Orientale. I lunghi viaggi lo resero esperto di navigazione, geografia e cosmologia. Rientrato a Firenze nel 1557, fu nominato commissario delle galere da Cosimo I de Medici. Prese parte all‟impresa di Gerba, al comando di quattro imbarcazioni. Successivamente fu luogotenente delle galere medicee e nel 1562 vestì l‟abito dell‟ordine di Santo Stefano. Morì nella notte tra il 19 e il 20 ottobre 1564, di ritorno dalla spedizione organizzata da Filippo II per conquistare il Peñon de la Vélez, M.

Gemignani, Piero Machiavelli, Enciclopedia Treccani, Dizionario Bibliografico degli Italiani, vol.

67, 2006.

54

C. Manfroni, Storia della Marina Italiana, dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Milano, Periodici Scientifici, 1970, p. 418.

55

“Se reunió el consejo a bordo de la galera de Juan Andrea Doria. Tomó primero la palabra Flaminio Anguillara y dijo que se partiese cuanto antes, pues el enemigo pronto estaria en Gelves.

Sancho de Leyva defendió la alternativa de combatir, diciendo que las naos saliesen al mar, ya que hacía un viento favorable; y que mientras tanto, se enviasen los esquifes y barcas a tierra para que embarcasen el duque y toda la gente, y fuesen con las naos sin apartarse de ellas, puesto que las fuerzas cristianas no eran inferiores a las de los turcos; la naos junto a las galeras podían batirse con las galeras turcas y causarles un gran dano. El parecer de Juan Andrea era salir cuanto antes de los bajos y dar vela aprovechando el viento que soplaba del sur. Decía el que los turcos llegaban descansados y fuertes, mientras que en la armada cristiana mucha gente estaba enferma y fatigada;

ademas, para el Rey, no teniendo otra escuadra, era necesario conservarla contra posibles ataques del Gran Turco. Estando en el consejo llegó a bordo el duque, a quien le pareció bien el razonamiento de Sancho de Leyva. […] El consejo se prolongaba sin llegar a ningun acuerdo, dijeron algunos capitanes que no tenían agua suficiente en las galeras, por lo tanto no podían partir tan pronto. Dijo Scipion Doria que se adentrasen 10 o 12 millas las galeras en el mar, si se hallaban fuera de los bajos estarfan seguras, y si al alba no apareciese la armada turca, volverian por la gente que quedaba en la playa y harfan la aguada. A todos les pareció bien esta opinión y determinaron ponerla en practica enviando como consecuencia todos los esquifes y barcas para que embarcase la gente y esperase la llegada de las galeras”, Önalp, La expedicion epanola contra la Isla de los Gelves en 1560, cit., pp. 12-13.

56

Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, cit., p. 1048.

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