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1. Contrasto tra aspetto esteriore ed interiore di Socrate.

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1. Contrasto tra aspetto esteriore ed interiore di Socrate.

Dare priorità all’anima sul corpo, e dunque svalutare l’aspetto fisico, è una scelta obbligata per Socrate, una volta che sia posto l’obiettivo di una reciprocità nell’amore. È chiaro, da come abbiamo avuto modo di notare nell’elogio di Socrate, che Socrate stesso non era insensibile alla bellezza fisica dei giovani. La bellezza di Alcibiade era celebre ed è impossibile che essa non avesse nessun peso nel rapporto tra i due, ma Socrate non poteva contare sul proprio aspetto fisico per suscitare l’amore di giovani belli come Alcibiade o Carmide, perché, come detto prima, Socrate era paragonabile ad un Sileno. Nei suoi rapporti con i giovani entra in gioco quindi questa distinzione fra interiorità ed esteriorità, o meglio fra beni dell’anima e beni del corpo, e su questa distinzione è centrato gran parte del discorso di Alcibiade il quale riguarda appunto i rapporti erotici che si erano instaurati tra il Maestro e il giovane. Nel suo comportamento con Alcibiade emerge un atteggiamento di disprezzo verso cose valutate positivamente dagli altri uomini quali bellezza e ricchezza, che si traduce in termici ironici e giocosi.

Alcibiade stesso ammette che quando fa sul serio e si apre, ha immagini

meravigliose. Il paragone proposto da Alcibiade che vede Socrate come un

Sileno è un’ottima rappresentazione metaforica per descrivere la disarmonia

tra l’incurabile aspetto esteriore e la ricchezza interiore socratica. Questo

contrasto tra bellezza interiore e bruttezza esteriore, fatto coincidere con la

distinzione fra ciò che concerne l’anima e quanto concerne il corpo,

compare nel discorso di Alcibiade, quando narra della sua opera di

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seduzione nei confronti di Socrate e cerca di proporre una sorta di scambio, che sta nel concedere i suoi favori all’altro, manifestamente sul piano fisico e avere in cambio il suo aiuto a diventare migliore. Questo cambio viene rifiutato da Socrate perché se Alcibiade ha ragione, vuol dire che ha scorto in lui una straordinaria bellezza, che è superiore di molto al fascino posseduto dall’altro. Proponendo questo cambio Alcibiade non aveva calcolato che egli non avrebbe molti vantaggi perché in cambio dell’apparenza del bello cercava di ottenere la verità del bello, come se si trattava di cambiare un arma d’oro con una di bronzo! La distinzione fra interiorità ed esteriorità riguarda anche i discorsi di Socrate, i quali all’apparenza sono ridicoli, senza significato, mentre al loro interno raccolgono immagini di eccellenza che fa di essi dei discorsi filosofici in grado di suscitare entusiasmo in chi lo comprende (Plat. Symp. 221e - 222a). In ultima analisi questo dualismo ricorda anche la preghiera che Socrate rivolge al dio Pan alla fine del Fedro:

O caro Pan, e quanti altri déi qui dimorate, fate che io sia bello di dentro. Che io ritenga ricco chi è sapiente e che di denaro ne possegga solo quanto non ne può prendere e portare altri che il saggio. (…). (Plat. Phaedr. 279 c)

Socrate chiede infatti a Pan e agli altri déi di concedergli la bellezza

interiore e che quanto egli possiede di esteriore sia unito in amicizia con

quello che ha dentro, cioè si trovi in armonia con esso. La preghiera è

rivolta al dio Pan perché questi ha notevole affinità con i satiri.

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Inoltre alcune fonti ci dicono che Socrate stesso, attraverso un gioco ironico, capovolgeva la propria bruttezza fisica nel suo senso contrario.

Consideriamo quanto si legge nel Simposio di Senofonte (V 5 -7):

Critobulo, famoso per la sua bellezza, viene invitato da Callia ad accettare di partecipare ad una gara, mettendo a confronto la propria bellezza con quella di Socrate. Critobulo accetta di rispondere, come in un processo, alle ragioni che Socrate stesso avrebbe addotto, chiedendo solo che, prima della votazione sull’esito della gara, si accostasse la lucerna ai loro volti. Alla prima domanda di Socrate su ciò che si intende per bellezza, visto che belli lo si dice anche per gli oggetti e per gli animali, Critobulo risponde che sono belli perché servono per i nostri bisogni. Alla domanda di Socrate sul perché servono gli occhi, Critobulo risponderà che servono per vedere. A tal risposta Socrate sostiene l’ipotesi che allora se gli occhi servono per vedere, i suoi saranno migliori di quelli di Critobulo, dato dal fatto che i suoi occhi sono sporgenti e gli permettono perciò di vedere meglio. Anche il suo naso, sempre secondo la teoria di Socrate, sarebbe più bello di quello di Critobulo perché se il naso serve per odorare, le sue narici si distendono in alto e ha quindi più possibilità di accogliere gli odori provenienti da ogni parte. E che il suo naso camuso, a differenza di quanto si possa pensare, non ostacola la vista ma anzi la facilita, mentre un naso alto, come quello dell’avversario Critobulo, sarebbe solo di intralcio agli occhi, come un muro. E dopo aver analizzato anche la formazione delle labbra, Socrate conclude così:

vuoi una prova che io ti supero in bellezza? I Sileni, figli delle Naiadi, che sono dee,

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somigliano più a te o a me?.

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Socrate ha svolto un ruolo importante nell’operazione di ridimensionamento della bellezza esteriore tanto venerata dai Greci e ha così tracciato la strada che porta alla comprensione della bellezza interiore. Se l’essenza dell’uomo sta non nel suo corpo ma nella sua anima, allora la bellezza dell’uomo sta nella sua anima e non nelle sue membra.

In ciò rientra la cura dell’anima, sia della propria che di quella altrui, come attività principale alla quale un uomo dovrebbe dedicarsi. L’anima viene prima del corpo e prima di tutti i beni esterni, anzi è l’unica cosa che dovrebbe importare veramente all’uomo. Questo concetto è ben espresso nell’Alcibiade Primo (129 d – 131 b):

per prima cosa si deve cercare cos’è il se stesso, (…) perché forse non c’è niente di più importante di noi stessi, potremmo dire, che l’anima. (…) Così, ancora una volta, chi si prende cura del proprio corpo cura ciò che appartiene a se stesso, ma non cura se stesso.

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Per Socrate ammettere questa priorità vuol dire ammettere solo la bellezza interiore, mentre l’aspetto fisico e la cura del corpo sono privi di importanza.

Secondo la concezione socratica dell’anima, un individuo coincide con la propria anima, non con il corpo, e neanche con il complesso anima e corpo; il che implica la coincidenza fra la cura dell’anima e la conoscenza di sé stesso. La cura

1 G. Giannantoni, Socrate. Tutte le testimonianze: da Aristofane e Senofonte ai Padri cristiani, Laterza, Bari, 1971.

2 Platone, Alcibiade Primo, trad. ital. di P. Pucci, in Opere, I, Laterza, Roma – Bari, 1966.

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dell’anima è vista come analoga alla cura che si può esercitare nei confronti del corpo, e questa, se attuata correttamente, avviene ad opera di una techne, che in quanto tale comporta la conoscenza del suo oggetto, in questo caso dell’anima e che a volte viene chiamata arte politica o filosofia. L’anima dunque coincide con il “sé stesso” e quindi la conoscenza di essa è anche conoscenza di sé stessi.

Infine va ricordato anche il rifiuto dell’ingiustizia ovvero dell’arrecare il male ad altri: Socrate è convinto che è meglio subire il male che farlo perché il danno maggiore è per chi lo fa e non per chi lo subisce. Alla base di ciò deve esserci la convinzione che l’unico vero male è quello morale e che questo è un male che viene arrecato a sé stessi quando si cerca di far del male ad altri. Questa posizione implica la priorità dell’anima sul corpo, per cui al centro della vita di ogni uomo deve esserci la cura della propria anima. Questo principio è attuato da Socrate stesso trascurando i beni materiali e perseguendo la sua missione che sta nel ricercare sé stesso e nell’invitare gli altri ad avere anch’essi cura della propria anima. Per colui che si preoccupa della propria anima, l’essenziale non sta nell’apparenza o nell’abbigliamento ma nella libertà.

Questa discrepanza fra aspetto esteriore e condizione interiore che caratterizza Socrate come persona ha un rapporto significativo con la sua ironia. Il suo ricorso all’ironia, precedentemente affrontato, è ben noto e sottolineato in tutte le opere che lo riguardano ma, a volte, non viene sottolineato che l’ironia della quale si parla comporta un aspetto di dissimulazione, di portare la “maschera”:

Socrate non si mostra agli altri come è veramente, ma porta la maschera, cioè

presenta un aspetto esteriore (brutto) celando così quello interiore reale.

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Conclusione.

In questa prima parte abbiamo affrontato la “questione” socratica e delineato i tratti fondamentali della filosofia di Socrate. Abbiamo visto un Socrate idealizzato e/o deformato dai suoi contemporanei ma in ogni caso la figura di Socrate è rimasta centrale nella storia del pensiero occidentale. Un messaggio rivoluzionario e di portata epocale come quello di Socrate non poteva non essere percepito in modi differenti e di conseguenza non poteva essere trasmesso in maniere diverse e a volte anche opposte, in base alla formazione spirituale e alle capacità di coloro che lo recepivano e trasmettevano. E poiché Socrate non ha scritto nulla, la sua figura e il suo pensiero non possono essere ricostruiti se non in funzione delle diverse fonti, che, come abbiamo visto, risultano essere tutte quante a loro modo utili, se si rileggono nella giusta ottica.

Quello che Platone ci ha trasmesso è un ritratto più interessante rispetto alle altre testimonianze: è giusto dire che senza Platone non avremmo avuto materiale a sufficienza per tracciare una biografia di Socrate.

Nel famoso elogio di Socrate, Alcibiade ha paragonato Socrate ai Sileni delle botteghe degli scultori che hanno la funzione di contenere raffigurazioni divine:

così è emersa anche la bruttezza fisica di questo filosofo che in realtà è solo una facciata o una “maschera” e ciò ci porta ad un nuovo paradosso: oltre la bruttezza anche la dissimulazione.

Come dice Nietzsche:

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in lui tutto è al tempo stesso occulto, pieno di secondi fini, sotterraneo

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Così si maschera Socrate, e in questo modo serve da maschera agli altri:

questo è il caso di Nietzsche. Il Socrate che ricaviamo dai dialoghi platonici è lo stesso Socrate che sarà demolito poi da Nietzsche. Poche volte gli studiosi hanno messo in rilievo la corrispondenza, per certi versi perfetta, tra Aristofane, il nemico antico di Socrate, e Nietzsche, il moderno nemico.

È proprio da questo moderno nemico e dal difficile rapporto che instaura con Socrate che intendo proseguire il mio discorso.

3 Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, p. 34.

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