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uno dei pazienti è stato sottoposto ad intervento CUE bilaterale eseguito in due sedute chirurgiche diverse.

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Academic year: 2021

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3.4 Discussioni

Questo studio prospettico ha permesso di valutare, seppur con una casistica limitata, l’applicazione clinica del sistema Canine Unicompartimental Elbow (Arthrex©) nel trattamento della sindrome del compartimento mediale del gomito canino.

In totale quattro soggetti (e cinque gomiti) sono stati inclusi nello studio:

uno dei pazienti è stato sottoposto ad intervento CUE bilaterale eseguito in due sedute chirurgiche diverse.

L’età media dei nostri animali era di 5 anni (con un range tra i 3 anni ed i 9 anni) mentre il peso medio era di 34,75 Kg (con un range tra i 20 Kg ed i 60 Kg). Non vi è stata una prevalenza numerica di razza.

Come definito dai criteri di inclusione ogni cane presentava dei segni clinici attribuibili alla sindrome del compartimento mediale identificati basandosi sull’esame ortopedico dell’arto interessato, sui segni radiografici e sulla perdita di cartilagine articolare dal processo coronoideo mediale dell’ulna e dalla porzione mediale del condilo omerale mediale identificata direttamente in sede chirurgica. Tutti i gomiti interessati dallo studio erano stati considerati allo “stadio finale”

di artrosi. Nessun paziente aveva ricevuto trattamenti conservativi di

alcuna natura prima di essere sottoposto all’intervento CUE, mentre un

singolo caso era stato sottoposto in giovane età ad un trattamento

chirurgico (coronoidectomia subtotale) per risolvere la zoppia, prima di

ricorrere all’intervento CUE come soluzione finale.

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Per quanto riguarda l’approccio chirurgico quattro casi su cinque hanno ricevuto l’approccio mediale tramite osteotomia dell’epicondilo mediale mentre un caso ha ricevuto l’approccio caudale tramite osteotomia parziale del tubercolo olecranico; in entrambi gli approcci non abbiamo riscontrato complicazioni. In quattro gomiti sono state impiantate le protesi di dimensioni medie mentre in un singolo caso sono state utilizzate quelle di grandi dimensioni.

I nostri follow-up hanno avuto una durata variabile, dai 2 fino ai 17 mesi.

Non ci sono state complicazioni maggiori o minori in nessun intervento CUE, né nei due mesi di follow-up obbligatorio né successivamente.

Clinicamente e radiologicamente non abbiamo mai riscontrato segni di allentamento o ceduta degli impianti, così come non ne abbiamo mai evidenziato usura che poteva ipoteticamente verificarsi per il carico ripetuto dell’arto o a causa dello sfregamento con i frammenti ossei residui.

Abbiamo classificato i recuperi a seguito della chirurgia come assolutamente accettabili, se non completi, in ogni caso. Nessun paziente ha presentato un risultato inaccettabile.

L’unico paziente “in attività”, Malik, da cui era stato sospeso per la patologia in atto, è tornato a lavorare con ottimi risultati; gli altri pazienti che conducono una vita casalinga hanno migliorato il loro benessere con la scomparsa del discomfort ed adesso sono in grado di condurre una vita normale senza dolore.

Il grado di zoppia in tutti i pazienti è diminuito fino ad arrivare al grado

minimo, la funzionalità è stata assolutamente ristabilita, garantendo il

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carico totale in ogni arto operato nonostante la permanenza di lievi alterazioni nel movimento (Tab 3.2).

Il ROM articolare è aumentato in quasi tutti i pazienti con incrementi più o meno significativi a seconda del soggetto.

I risultati che abbiamo ottenuto, per quanto su scala ridotta, sono in sintonia con quelli pubblicati nell’unico articolo del 2015 associato alla procedura CUE. Tale studio ha raccolto 103 casi provenienti da 15 centri di referenza sparsi fra USA ed Europa, in cui ogni centro ha operato in media cinque soggetti. Nello studio i pazienti presentavano un’età media di 5 anni, un peso medio di 33 Kg e la razza più rappresentata era quella dei Labrador Retrievers (42 casi). Al secondo posto vi erano i Golden Retrievers (29 casi) ed al terzo i pastori tedeschi (11 casi). Il 96,1% dei

Grado zoppia pre-chirurgia Grado zoppia post-chirurgia

Tab. 3.2: Grafico rappresentativo dell’evoluzione del grado di zoppia a seguito di

intervento CUE.

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pazienti aveva ricevuto trattamenti conservativi pre-CUE per alleviare il quadro clinico mentre l’82% aveva subito almeno una chirurgia al gomito volta a risolvere il problema in precedenza

70

.

Nello studio in questione, diversamente che nel nostro, si sono verificate:

1 complicazione catastrofica (1%); 11 complicazioni maggiori (10,7%) e 28 complicazioni minori (27,2%). Clinicamente però, dopo almeno due mesi di follow-up, venivano riportati recuperi di funzionalità completi in 49 casi (47,6%) ed accettabili in 45 casi (43,7%) mentre i casi inaccettabili sono stati 9 (8,7%). Sommando, la funzionalità è risultata ristabilita nel 91,3% dei pazienti, inoltre l’89,3% dei cani in attività sono ritornati a lavoro senza diminuire le proprie performances

70

. Questo risultato è altamente sovrapponibile con quello riscontrato nel nostro studio, in cui tutti i pazienti hanno avuto un recupero di funzionalità completo o quantomeno accettabile.

Delle percentuali di successo così alte possono essere spiegate grazie alle caratteristiche intrinseche della tecnica CUE come la relativa piccola taglia degli impianti utilizzati, la semplicità dello strumentario chirurgico, o con la bassa invasività e morbidità della procedura.

L’impianto delle protesi, infatti, non richiede una dissezione massiva dei

tessuti molli e può essere effettuato senza violare il legamento collaterale

mediale del gomito o senza lussare completamente l’articolazione. Le

dimensioni delle protesi sono tali da non occupare l’interezza della

troclea omerale e del processo coronoideo mediale dell’ulna, ma tali da

riuscire a mantenere un contatto perfetto durante tutte le fasi del passo e

sopportare alla perfezione il carico ponderale. Inoltre le due componenti

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protesiche permettono i movimenti di prono-supinazione mantenendo la naturalezza del movimento e predisponendo ad un completo recupero funzionale dell’arto.

E’ importante disquisire però su come il vantaggio concettuale maggiore della CUE rappresenti anche la sua più grande limitazione. La tecnica infatti corregge e va a ricoprire solo una porzione del compartimento mediale; pertanto se l’area di apposizione delle due emi-protesi dovesse essere posizionata in posizione sub-ottimale il contatto intra-articolare delle porzioni ossee danneggiate persisterebbe e con esso il dolore e la disfunzione dell’arto.

Detto ciò vale la pena discutere su come i pazienti che in questo studio

sono stati sottoposti ad intervento CUE fossero animali con quadri clinici

molto gravi, nei quali non potevano essere effettuati altri interventi se

non palliativi. I recuperi di funzionalità, assolutamente significativi, a cui

sono andati incontro quesi soggetti fanno sicuramente ben sperare nei

confronti di questa tecnica così recente ed aprono le porte a tutta una

serie di casistiche che prima erano considerate inoperabili o trattabili

solo conservativamente.

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