• Non ci sono risultati.

RAPPORTO TRA ETICA, LEADERSHIP E COMPETITIVITÀ NELLA GESTIONE AZIENDALE: IL CASO PAPER CONVERTING MACHINE COMPANY (PCMC).

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "RAPPORTO TRA ETICA, LEADERSHIP E COMPETITIVITÀ NELLA GESTIONE AZIENDALE: IL CASO PAPER CONVERTING MACHINE COMPANY (PCMC)."

Copied!
129
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

Rapporto tra etica, leadership e competitività nella gestione aziendale: Il caso Paper Converting Machine Company (PCMC).

Candidato Relatore Andrea Parigi Prof. Marco Giannini

(2)
(3)

INDICE:

PREFAZIONE 1

CAPITOLO 1: IL PARADOSSO DEL BUSINESS ETHICS 2

1.1) Premessa 2

1.2) Parlare di Business Ethics è un ossimoro? 3

1.3) La relazione tra azienda e stakeholders dal punto di vista della Governance 7 1.4) Cos’è l’etica di business 8

1.5) Business ethics in un contesto globale 10

CAPITOLO 2: DIMENSIONE ETICA DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE CORPORATIVA 16

2.1) Premessa 16

2.2) La teoria di Friedman 18

2.3) Le altre importanti teorie legate alla CSR 20

2.4) Deontologia ed utilitarismo, due aspetti dell’etica di Business 25

2.5) Cenni storici della responsabilità sociale d’impresa 31

CAPITOLO 3: GLI INDIVIDUI E LA LORO ATTITUDINE ALL’INTERNO DELLE ORGANIZZAZIONI 41

3.1) Premessa 41

3.2) Attitudine lavorativa e soddisfazione sul posto di lavoro 44

3.3) Il controllo del personale e della cultura interna e i sistemi di valutazione e incentivazione 49

3.4) Motivazione e incoraggiamento 56

(4)

CAPITOLO 4: LEADERSHIP ED IMPORTANZA DEL LEADER 65

4.1) Introduzione alla Leadership 65

4.2) Le principali teorie sulla Leadership 68

4.3) Leadership e potere 83

4.4) Leadership e cultura organizzativa 92

CAPITOLO 5: IL CASO “PAPER CONVERTING MACHINE COMPANY” 99 5.1) Premessa 99

5.2) Introduzione all’azienda 99

5.3) Analisi del modello di Leadership Morale 100

5.4) Conclusioni 118

BIBLIOGRAFIA 122

(5)

1 PREFAZIONE

Ho deciso di svolgere come prova finale del mio percorso di studi Magistrale, l’analisi di un modello organizzativo innovativo, un modello di gestione aziendale basato sull’adozione di principi etici. La scelta è stata dettata principalmente dalla curiosità di analizzare una realtà aziendale, la Paper

Converting Machine Company, dove questi principi etici vengono adottati ormai da più di dieci anni, e che hanno permesso alla società di ottenere risultati

estremamente positivi e in continua crescita nel corso degli anni, portando la stessa società fondata negli Stati Uniti ad essere uno dei principali player nel mercato in cui opera.

L’elaborato è strutturato in due parti: una prima parte sviluppata con un

approccio prettamente teorico, e una seconda parte sviluppata con un approccio prettamente pratico.

Nella prima parte della mia tesi saranno illustrati alcuni dei principali studi realizzati fino a questo momento relativi all’etica di business, legati alla

dimensione etica della responsabilità socialità sociale corporativa inquadrando il fenomeno anche dal punto di vista storico, studi legati all’attitudine e al

comportamento dell’individuo all’interno delle organizzazioni passando anche per l’analisi del concetto di cultura interna alle organizzazioni, e infine questa prima parte teorica sarà conclusa ponendo in evidenza le principali teorie legate alla Leadership e all’importanza della figura del Leader in azienda.

In conclusione, nella seconda parte della tesi sarà illustrato il modello di Leadership Morale adottato dalla Paper Converting Machine Company,

attraverso l’illustrazione delle principali peculiarità e caratteristiche dei principi che ne formano il contenuto, giungendo infine alla definizione di alcune

conclusioni.

L’obiettivo di questa prova finale è quello di determinare se l’adozione di un modello del genere possa essere di beneficio per la generalità delle imprese e per la collettività nella sua interezza.

(6)

2 CAPITOLO 1: IL PARADOSSO DEL BUSINESS ETHICS

1.1) Premessa

Al giorno d’oggi parlare di business ethics può sembrare un paradosso, in particolar modo in una situazione dove da circa un decennio le organizzazioni stanno affrontando una delle crisi peggiori della storia. Particolarmente profonda è la crisi di fiducia verso l’economia a livello globale, a seguito degli scandali finanziari che si sono verificati negli ultimi venti anni. Infatti, è doveroso ricordare come negli ultimi due decenni siano venuti alla luce comportamenti non etici da parte di numerose società a livello internazionale.

Da questo punto di vista, uno dei fenomeni più significativi è stato la bolla speculativa legata alla new economy. Possiamo inquadrare il periodo tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, come un momento in cui i mercati finanziari sono stati estremamente euforici, accettando di dare fiducia a società che venivano create sul momento, delle “New Company” le quali

operavano in settori nuovi, quali internet, le nuove tecnologie e tutto ciò che era legato a questo nuovo mercato per l’epoca. Proprio in questi anni molti piccoli risparmiatori iniziarono ad affacciarsi ad investimenti a titolo di capitale di rischio dai quali potevano trarre un elevato Capital Gain. Purtroppo, dopo qualche anno molte di queste società hanno dimostrato di non essere realtà imprenditoriali in grado di portare avanti i business che proponevano. All’epoca venivano quotate in borsa anche società che non avevano un bilancio, appena costituite e attribuendo ad esse una totale fiducia. Successivamente però la

maggior parte di queste organizzazioni è fallita perché le idee imprenditoriali non si sono rivelate di successo e molti risparmiatori hanno perso gran parte dei propri risparmi. In seguito a questa bolla si è verificata una nuova ondata di scandali finanziari che hanno coinvolto grandi società nei paesi anglosassoni come Enron e WorldCom, ma anche realtà italiane come Cirio e Parmalat. La circostanza che questo problema è stato di notevole rilevanza lo denota anche il fatto che il legislatore americano è intervenuto in maniera netta, emanando leggi

(7)

3

molto severe per arginare il fenomeno; ad esempio è stato imposto

all’amministratore delegato delle società di firmare i bilanci, cioè di assumere in prima persona la responsabilità di quello che veniva promulgato.

Infine, un altro grande avvenimento che ha contribuito ad alimentare la grande sfiducia, che ancora oggi a distanza di quasi dieci anni affligge l’economia mondiale, è relativo alle ripercussioni della grande crisi finanziaria di fine 2006, la cosiddetta crisi dei “subprime” che sono dei prestiti ad alto rischio finanziario. In questa situazione il Management si trovava a operare in maniera contraria rispetto a quella che è l’etica e si sono venuti a delineare due grandi rischi legati al comportamento dei vertici aziendali; questi sono la selezione avversa che si riferisce al fatto che non si opera attraverso modalità e strumenti che portano a selezionare il rischio in base a delle metriche corrette e l’azzardo morale dove chi compie azioni rischiose non risponde delle proprie scelte.

1.2) Parlare di Business Ethics è un ossimoro?

Spesso quando parliamo di morale, di etica, noi facciamo riferimento ad un ambito politico, sociale, religioso, dove questi termini vengono usati

frequentemente. Al contrario, questi termini sembrano non essere adatti se vengono utilizzati nel contesto di un’azienda, dove molte volte prevale l’aspetto cinico e freddo delle persone e che è un luogo dove vigono regole diverse, dove i sentimenti e le emozioni restano fuori.

Recentemente però sta avanzando in maniera importante una nuova corrente di pensiero relativa alla gestione aziendale, la quale si basa sul fatto che uno dei requisiti principali di un buon manager è quello di operare in maniera etica. La visione tradizionale del ruolo del management è relativamente chiara. Per esempio Milton Friedman affermò che “un manager è un dipendente del proprietario dell’Azienda e lui ha una responsabilità diretta sui suoi impiegati. Questa responsabilità è di condurre l’attività in accordo con i suoi desideri, i quali generalmente saranno quelli di ottenere più denaro possibile, ma allo stesso

(8)

4

tempo dovrà conformarsi a quelle che sono le regole basiche della società legate alla legge ed alle abitudini etiche”1.

Un punto di vista simile a quello di Friedman è quello di Albert Carr, il quale affermò che: “Fino al momento in cui una compagnia non trasgredisce le regole del gioco impostate dalla legge, essa ha il diritto legale di basare la sua strategia esclusivamente sul profitto, senza alcun tipo di blocco. Se vuole adottare una prospettiva di profitto nel lungo termine, conserverà rapporti amichevoli, per quanto possibile, con coloro i quali intrattiene relazioni. Infatti, un saggio uomo d’affari non cercherà di ottenere un vantaggio se questo può generare ostilità con dipendenti, fornitori, concorrenti, clienti, governo o il pubblico nella sua

totalità.”2

Partendo da queste due definizioni possiamo individuare due principali caratteristiche del manager tradizionale:

1) La massimizzazione del profitto è l’unico obiettivo.

2) Le aspettative degli altri (definite dalla legge, abitudini etiche e potenziali reazioni ostili), hanno la funzione di limitare l’abilità del manager di ottenere il suo fine unico, il profitto.

Se ci fermassimo qua, allora potremmo concludere che parlare di Business Ethics è un ossimoro perché fino al momento in cui il ruolo del manager viene descritto in termini di massimizzazione del profitto, il conflitto rimane. Per un’analisi completa però dobbiamo andare oltre la definizione tradizionale del ruolo del manager, perché essa non prende in considerazione il ruolo essenziale che giocano gli altri soggetti nell’ottenimento di un risultato positivo, perché le organizzazioni ed i soggetti che ruotano intorno ad esse sono interdipendenti e le loro relazioni influenzano il successo di entrambi. Situazioni di interdipendenza

1Friedman M., “The social Responsibility of Business is to Maximize its profits”, New York Times

Magazine, 1970.

2Carr A.Z., “Is Business Bluffing Ethical?”, in Harvard Business Review, Harvard Business Publishing,

(9)

5

fanno riferimento ad un gioco il cui risultato non è a somma 0, cioè dove si ricerca la possibilità di avere due vincitori. Adottando questa visione allora, andiamo contro quella che è la seconda importante caratteristica del manager tradizionale, la quale descrive le persone come limitazioni per l’ottenimento dell’unico obiettivo che è il guadagno, fallendo nel riconoscere meno ovvie situazioni di interdipendenza. La visione degli altri come avversari però è auto - distruttiva in un ambiente interdipendente e probabilmente sfocerà in una

situazione dove ci saranno solo perdenti.

Introducendo in tutto questo l’etica però possiamo vedere come si passa da una visione tradizionale, a un manager focalizzato sulla società e sugli altri individui invece che esclusivamente sui suoi interessi personali. Infatti questa nuova concezione di attitudine manageriale si basa essenzialmente su due principi: 1) Un obiettivo del manager è quello di creare valore

2) L’altro obiettivo del manager è quello di costruire fiducia

Grazie a questi due nuovi principi, il ruolo del manager sarebbe valorizzato e porterebbe ad una gestione più efficiente rispetto a quella descritta dal modello tradizionale.

Di seguito provvedo a dare una spiegazione più approfondita di questi concetti: 1) Considerando il ruolo del manager come creatore di valore, inizialmente ciò che si deve fare è avvicinarsi al consumatore in una logica di continua

implementazione e miglioramento dei prodotti e dei servizi. Molte volte, se i manager riescono a soddisfare le esigenze dei clienti, ci sarà creazione di valore, ma anche focalizzarsi solo su questo potrebbe rendere l’amministratore miope così come nel caso in cui ci si concentri solo sui propri interessi personali. Quello che la teoria etica ci aiuta a vedere è che i responsabili devono prendere in

considerazione tutti coloro i quali subiscono l’influenza delle loro decisioni e azioni, non solo chi produce o chi consuma3. Può essere utilizzato lo strumento

(10)

6

manageriale dell’analisi degli stakeholder per andare al di là dei semplici consumatori, perché questo strumento include l’impatto su ogni individuo o gruppo che influenza, oppure è influenzato dalle decisioni prese all’interno dell’azienda.

2) La costruzione della fiducia è un altro aspetto di fondamentale importanza e la teoria dell’etica suggerisce che i manager dovrebbero rispettare gli individui con i quali hanno interazioni, rispettando la loro autonomia personale e fornendo un valido aiuto quando questi ne hanno bisogno. In aggiunta, dovrebbero garantire ad i lavoratori una maggiore capacità di controllo sul proprio lavoro, trattare le persone come vincitori e fornire tutti gli strumenti per un miglioramento continuo.4 Quindi possiamo affermare che garantire autonomia personale e

fornire l’aiuto necessario da parte del management è essenziale per la costruzione di un ambiente di fiducia.

In definitiva, se ci riferiamo al ruolo del manager in un’ottica tradizionale, possiamo affermare che Business Ethics è un ossimoro perché entra in conflitto con la capacità di soddisfare gli interessi personali, con quella di soddisfare tutti gli altri individui che si rapportano con l’organizzazione. Invece, la concezione più moderna di tale figura è incentrata sullo sviluppo della fiducia e della cooperazione con tutti coloro i quali si rapportano con l’azienda in termini di interdipendenza. Così, possiamo dire che la creazione di valore e la costruzione della fiducia sono strumenti importanti sia dal punto di vista etico che di

efficienza manageriale.

(11)

7 1.3) La relazione tra azienda e stakeholders dal punto di vista della

Governance

Anche dal punto di vista della Corporate Governance, troviamo due principali teorie per bilanciare gli interessi degli stakeholders:

1) Teoria di creazione di valore per gli azionisti. 2) Teoria di creazione di valore per gli stakeholders.

Nel caso di visione ristretta, gli interessi che sono considerati da tutelare sono esclusivamente quelli degli azionisti perché loro sono remunerati in via residuale, cioè successivamente a tutti gli altri fattori produttivi e quindi dando per scontato che se è possibile remunerare i soci tutti gli altri fattori saranno già stati

ricompensati. Questo tipo di concezione veniva portata avanti principalmente per due motivi, i quali sono rispettivamente:

- Massimizzare il ritorno degli azionisti permette di valorizzare i dividendi e quindi il valore dell’azienda sul mercato.

- La possibilità di concentrarsi unicamente sulle esigenze degli azionisti permette al management di incontrare una minore complessità nello svolgimento della gestione.

Analogamente agli studi legati all’etica, anche gli studi di Corporate Governance sono avanzati nel corso del tempo, superando progressivamente una concezione ristretta, e muovendosi verso una visione allargata, la quale assume che il management nello svolgimento delle attività deve fare i conti con qualsiasi persona o gruppo che può condizionare il raggiungimento degli obiettivi aziendali o che è influenzato dal comportamento dell’impresa.

Alcuni dei principali stakeholders che normalmente vengono considerati sono: i clienti, i prestatori di lavoro, i fornitori di beni, gli azionisti, i finanziatori e la comunità nella quale l’attività viene portata avanti.

(12)

8 1.4) Cos’è l’etica di business

Prima di dare una definizione di etica di business, andremo a definire il termine Etica e successivamente la parola Business.

Tutti gli individui sono dotati di moralità, cioè una percezione basica di ciò che è giusto e sbagliato in relazione ad una certa situazione. Possiamo dire che “L’etica rappresenta un tentativo di sistematizzare e razionalizzare la moralità,

tipicamente in regole normative generalizzate che dovrebbero offrire una soluzione a situazioni incerte dal punto di vista morale”.5

Infatti, la moralità riguarda le norme, i valori e le credenze incorporate nei processi sociali che definiscono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per un individuo o una comunità.

Parlando di moralità, dobbiamo introdurre quelli che sono i concetti di Moral Agents, Moral Community e Moral Patients.

Gli agenti morali sono individui che possiedono un’ampia gamma di sofisticate abilità, includendo quella di portare principi morali utili per la determinazione di ciò che moralmente dovrebbe essere fatto e hanno la possibilità di scegliere liberamente se agire rispettando questi principi oppure no. Poiché gli agenti morali dispongono di queste abilità, è giusto ritenere loro moralmente

responsabili di ciò che fanno, assumendo che essi hanno la piena libertà di scelta. Inoltre questi soggetti non solo possono fare ciò che è giusto o sbagliato, ma sono anche influenzati dai comportamenti posti in essere dagli altri agenti morali. Questo ragionamento ci porta alla definizione di un altro importante concetto, cioè quello di Moral Community, per il quale si intende “uno spazio sociale dentro i cui confini si applicano dei valori morali, delle regole e dei criteri condivisi.”6 Quindi, sono membri della comunità morale tutti ed esclusivamente coloro i quali fanno parte della categoria di agenti morali. Infine parlando di moral patients, ci riferiamo a quei soggetti a cui mancano i requisiti essenziali

5 Crane A., e Matten D., Business Ethics, OUP Oxford, 2003. 6 https://www.tesionline.it/consult/brano.jsp?id=32163

(13)

9

per controllare il proprio comportamento e questo non consente loro di essere consapevoli delle proprie azioni dal punto di vista morale. I pazienti morali non hanno la capacità di scegliere tra fare la cosa giusta o sbagliata e quindi può essere necessario l’intervento da parte degli agenti morali, usando la forza o la violenza per prevenire o interrompere certi comportamenti che possono arrecare danni sia agli stessi agenti morali che agli altri. Un tipico esempio di paziente morale è rappresentato dai neonati o dai bambini piccoli, i quali devono essere guidati dai propri genitori perché non hanno le facoltà per prendere decisioni consapevoli in maniera autonoma.

In questa analisi vado a collegare tutti questi aspetti con il Business, il quale è una pratica sociale, non un’attività svolta da individui isolati.

Considerando unitamente questi elementi possiamo definire Business Ethics come “l’insieme delle regole, principi e standard per decidere cosa è moralmente giusto o sbagliato nello svolgimento degli affari”7.

Parlare di etica d’affari diventa sempre più importante al giorno d’oggi; come ho scritto nel precedente paragrafo negli ultimi due decenni sono state numerose le cattive pratiche nello svolgimento delle attività imprenditoriali che hanno inflitto danni notevoli agli individui presi singolarmente, alle comunità e all’ambiente nel suo complesso. Anche in seguito a questi avvenimenti, attualmente possiamo notare come stia diventando sempre più complesso e impegnativo per le imprese far fronte a quelle che sono le richieste di comportanti etici da parte dei vari stakeholder.

Un problema a cui dovrà essere trovata una soluzione in tempi rapidi è quello relativo al fatto che pochi uomini d’affari hanno ricevuto un’adeguata

formazione in termini di etica d’affari, e che questa dovrebbe essere

implementata perché consente di migliorare i processi decisionali e permette di trascendere il quadro dei classici studi aziendalistici, andando a fornire un

(14)

10

insieme di conoscenze e competenze che permettono di rapportarsi con gli aspetti più importanti della società nel suo complesso.

1.5) Business ethics in un contesto globale

Oggi quando parliamo di business non possiamo ignorare che le organizzazioni si trovano ad operare in un sistema aperto e in un mercato globalizzato dove c’è una progressiva riduzione dei confini e una sempre maggiore capacità di trasmissione delle conoscenze e delle informazioni. Successivamente alla

seconda guerra mondiale sono nate una serie di istituzioni, tra cui il WTO (World Trade Organization) nel 1995, le quali hanno avuto un ruolo cruciale nella

liberalizzazione degli scambi commerciali e che hanno permesso ai paesi

emergenti di sviluppare la propria economia. Infatti, molte aziende nel corso del tempo hanno deciso di investire in nuovi mercati creando nuove realtà produttive o trasformando realtà produttive esistenti. Attualmente, in questi paesi però non viene più realizzata una produzione di tipo esclusivamente tradizionale con basso contenuto tecnologico, ma vengono realizzate produzioni ad alto contenuto tecnologico e tutto questo ha contribuito a modificare le logiche di sviluppo di questi luoghi dove c’è la possibilità di avvalersi di vantaggi in termini di costi. Inoltre, nelle economie in via di sviluppo, c’è sempre una maggiore attenzione alla crescita professionale, cercando di creare un collegamento con il mondo della formazione e della ricerca a livello internazionale. Spesso però il processo di industrializzazione non ha tenuto conto dei riflessi ambientali, però anche da questo punto di vista c’è sempre più l’intenzione di collaborare con paesi esteri, non solo per l’acquisto di macchinari, ma anche per l’ottenimento di sistemi che permettono una maggiore sostenibilità. Con il fenomeno della globalizzazione possiamo notare una serie di opportunità e minacce per le imprese. La principale opportunità è sicuramente quella dell’espansione della propria attività nei mercati esteri, attraverso l’adozione di adeguate strategie di internazionalizzazione. Al contrario, la maggiore minaccia per le aziende europee è il confronto con competitor esteri, in particolare quelli provenienti da paesi emergenti, i quali

(15)

11

possono avvalersi di vantaggi in termini di costi, principalmente legati al sistema normativo presente.

Esistono diversi tipi di soluzioni organizzative che possono essere adottate per inserirsi nei mercati esteri. Ci sono soluzioni di tipo commerciale che divergono tra piccole, medie e grandi aziende. Spesso le organizzazioni di piccole e medie dimensioni cercano un intermediario commerciale in grado di garantire un contatto con la distribuzione nel mercato estero, anche se questo presenta limiti legati al fatto che l’azienda dipende sostanzialmente da questo intermediario e non avendo un contatto diretto, non sviluppa una conoscenza approfondita del nuovo mercato. Un’altra soluzione adottata da piccole imprese è quella di aggregarsi formando un consorzio, in particolare per la risoluzione di problemi logistici. Invece, aziende di medio/grandi dimensioni tendono a rispondere dal punto di vista organizzativo adottando una strategia d’internazionalizzazione legata alla creazione e allo sviluppo di nuove sedi commerciali.

Oltre alle soluzioni di tipo commerciale, abbiamo quelle di tipo relazionale, dove per distribuire i prodotti in un certo mercato, si cerca un Partner locale, creando un rapporto di collaborazione. Anche in questo caso però ci sono dei rischi, e il più importante è rappresentato dall’affidabilità del partner, il quale interagendo con l’azienda straniera acquisisce conoscenze legate al prodotto, e c’è il rischio che per questa ragione diventi un concorrente.

Una terza strada è quella della Strategia di Internazionalizzazione produttiva, cioè la realizzazione di sedi produttive nel mercato estero. I principali vantaggi sono in termini di costo, perché spesso portando la produzione nei paesi in via di sviluppo, i costi generali sono inferiori, e c’è una maggiore vicinanza della produzione ad i mercati.

Un ulteriore aspetto da considerare è quello dell’internazionalizzazione degli acquisti, perché non solo vengono acquistate in paesi esteri le materie prime, ma anche parti del prodotto o l’intero prodotto. Quindi si arriva ad acquistare

(16)

12 Il fenomeno della globalizzazione però non incide unicamente da un punto di vista produttivo, ma anche dal punto di vista della gestione del personale. Infatti, le aziende operando in diversi paesi, si trovano a dover gestire persone di diversa nazionalità, cultura ed abitudini. Esse dovranno differenziare le modalità di gestione dei lavoratori a seconda della specifica realtà, cercando di porre in essere soluzioni adeguate dal punto di vista etico e comportamentale in relazione alle caratteristiche e alle aspettative della forza lavoro di quel paese.

Quindi, il fenomeno della globalizzazione è “un processo

d'interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno una rilevanza planetaria, tendendo a uniformare il commercio, le culture, i costumi e il pensiero”.8

Quando andiamo a collegare gli aspetti che contraddistinguono questa riduzione dei confini con la teoria etica, possiamo individuare tre principali elementi che meritano attenzione:

1) Aspetti culturali 2) Aspetti legali

2) Problemi di responsabilità

Gli aspetti culturali si riferiscono al fatto che i valori morali che sono considerati indiscutibili nel mercato di origine, potrebbero essere messi in discussione non appena le aziende entrano nei mercati stranieri (EU/US/China/Asia/India/South America). Gli aspetti legali considerano che maggiori sono le transazioni economiche che perdono la loro connessione con una certa regione territoriale, maggiore è la capacità di evitare i controlli per le imprese da parte dei rispettivi governi nazionali. I problemi di responsabilità invece sono relativi al fatto che più le attività economiche diventano deterritorializzate, meno i governi possono controllarle e meno sono aperte a un controllo democratico da parte delle persone che ne subiscono gli effetti.

(17)

13 Infine, di notevole rilevanza è il fatto che a seconda della zona geografica, ci sono diversi attori protagonisti nella relazione tra business ed etica. Di seguito provvedo a confrontare gli impatti etici della globalizzazione per i diversi stakeholders e successivamente i diversi approcci alla relazione tra etica e business e i principali attori che agiscono all’interno delle zone geografiche più importanti dal punto di vista economico.

(18)

14 TABELLA 1: IMPATTI ETICI DELLA GLOBALIZZAZIONE9

Stakeholders

Impatti etici della globalizzazione

Stakeholders La globalizzazione fornisce il potenziale per una maggiore profittabilità, ma anche un maggior rischio. La mancanza di regolamentazione nel mercato finanziario globale, conduce ad un maggior rischio finanziario ed una maggiore instabilità

Lavoratori Le aziende esternalizzano la produzione verso paesi in via di sviluppo per ridurre i costi – questo fornisce lavoro, ma aumenta anche le possibilità di sfruttamento dei lavoratori che operano in condizioni di lavoro disagiate

Consumatori I prodotti commercializzati a livello globale forniscono benefici per i consumatori di tutto il mondo, ma potrebbero anche causare proteste legate alla cultura imperialista e all’occidentalizzazione. La

globalizzazione può portare prezzi più economici per i consumatori, ma i consumatori nei paesi in via di sviluppo potrebbero anche dover affrontare la possibilità di essere sfruttati da parte delle multinazionali Fornitori e

concorrenti

I fornitori nei paesi in via di sviluppo si trovano a far fronte al potere contrattuale delle grandi multinazionali per quanto riguarda la gestione degli approvvigionamenti. Competitor locali sono esposti al potere dei grandi player globali

Società civile L’attività di business a livello globale porta le organizzazioni a interagire direttamente con le comunità locali con la possibilità di modificare la vita della comunità; gruppi di attivisti a livello globale operano con la finalità di vigilare sull’operato delle multinazionali, in particolare dove i governi sono deboli e tolleranti

Governo e

regolamentazione

La globalizzazione indebolisce i governi ed aumenta la responsabilità delle imprese per il lavoro, benessere, mantenimento di standard etici, etc. Inoltre la globalizzazione mette a confronto governi con aziende che hanno aspettative culturali differenti riguardo aspetti come corruzione, tassazione e filantropia.

(19)

15 TABELLA 2: DIFFERENZE REGIONALI10

EUROPA AMERICA DEL

NORD (USA) ASIA Chi è il responsabile per la condotta etica nello svolgimento degli affari? Controllo sociale da parte della collettività

I singoli individui Top Management

Chi è l’attore chiave per far rispettare i principi etici nello svolgimento delle attività imprenditoriali? Governi, sindacati, associazioni di categoria

Le aziende Governi, aziende

Quali sono le linee guida dei comportamenti

etici?

Strumenti giuridici che sono stati

negoziati

Codici etici interni alle organizzazioni Discrezione del management Quali sono le questioni chiave dell’etica aziendale? Questioni sociali nell’organizzazione della struttura dell’attività imprenditoriale Cattiva condotta e condotta immorale nel prendere le singole decisioni Corporate Governance e responsabilità Qual è l’approccio dominante per la gestione degli stakeholders? Vengono tenute in considerazione le esigenze della pluralità degli stakeholders Focalizzazione sulla creazione di valore per gli shareholders

Implicitamente sono considerate le esigenze di multipli

stakeholders, è presente una gestione

manageriale benigna

(20)

16 CAPITOLO 2: DIMENSIONE ETICA DELLA RESPONSABILITÀ

SOCIALE CORPORATIVA

2.1) Premessa

Prima di parlare di responsabilità sociale corporativa andiamo a definire in modo generale cosa sono le cosiddette “Corporations”.

Una Corporation è un’“Entità legale, i cui privilegi e responsabilità sono gestiti in maniera separata da quelli dei suoi membri. Nella normativa italiana una corporation corrisponde a una persona giuridica, ossia ad un organismo di persone e beni che creano un soggetto di diritto. Possono esistere diverse forme di corporation, tuttavia la più comune è quella utilizzata per la gestione di un’attività economica. Sono 4 gli elementi fondamentali che identificano una corporation: personalità giuridica, responsabilità limitata dei suoi membri, trasferibilità delle azioni, un sistema di governance secondo cui

un’amministrazione centralizzata opera con una struttura direttiva del tipo board

of directors (consiglio di amministrazione).”11

Quindi una corporation è essenzialmente definita in termini di status giuridico e proprietà dei beni. Dal punto di vista legale esse sono considerate indipendenti da coloro i quali lavorano dentro di esse, le gestiscono e investono o ricevono

prodotti dalla stessa. Quindi le Corporations sono proprietarie dei propri asset, non i manager o gli azionisti.

Infine possiamo affermare che queste entità sono tipicamente riconosciute come persone “artificiali” agli occhi della legge, perché hanno certi diritti e devono far fronte a certe responsabilità all’interno della società ed i dirigenti all’interno delle stesse hanno la responsabilità di proteggere gli investimenti posti in essere dagli shareholders.

(21)

17 Arrivando al concetto di responsabilità sociale d’impresa, possiamo definire essa come: “L’impegno delle imprese a comportarsi in modo corretto, andando oltre il semplice rispetto degli obblighi previsti dalle leggi e dalle norme etiche

individuali. La Corporate Social Responsibility, come modello di gestione d’impresa, deve interagire con tutti gli ambiti aziendali: con la produzione

(riduzione dell’impatto ambientale, sicurezza dei lavoratori, non sfruttamento dei minori, attenzione a qualità e sicurezza dei prodotti), il marketing (soddisfazione dei clienti), le risorse umane (gestione dei percorsi di carriera, le politiche di formazione, la gestione degli esuberi), gli aspetti finanziari ecc. La CSR si basa dunque sul presupposto per il quale l’impresa dovrebbe realizzare uno sviluppo sostenibile, nel senso ampio di sviluppo economico che, accanto alla creazione di valore per gli azionisti, realizzi una conservazione nel tempo dell’ambiente naturale, sociale e del capitale umano. Tale concetto di sostenibilità dovrebbe trovare riscontro in una comunicazione trasparente, che dimostri la sostenibilità dei comportamenti di un’impresa a livello economico, ambientale e sociale.”12 Se vogliamo analizzare la stessa in maniera approfondita, possiamo vedere che ci sono quattro tipi di CSR: Responsabilità Economica, Responsabilità Legale, Responsabilità Etica e Responsabilità filantropica.

Responsabilità economica: la prima responsabilità di ogni azienda è la

responsabilità economica, cioè la creazione di un’attività profittevole. Questo perché se l’entità non ha denaro sufficiente, essa non durerà, i lavoratori perderanno il loro lavoro e la società quindi non sarà in grado di far fronte alle proprie responsabilità sociali. Quindi, la prima cosa a cui una compagnia deve pensare è assicurarsi di essere sostenibile nel tempo.

Responsabilità Legale: questo tipo di responsabilità fa riferimento ad i requisiti imposti dalla legge. Accanto alla garanzia che l’attività aziendale sia redditizia, deve essere assicurato che essa rispetta la legge. La responsabilità legale può

12 www.mbcf.it/docs/CSR_profPerrini.pdf

(22)

18 includere la regolamentazione relativa alla sicurezza sul lavoro,

regolamentazione ambientale fino al diritto penale.

Responsabilità Etica: La responsabilità economica e legale sono le due più grandi obbligazioni a cui la compagnia deve far fronte. Dopo che l’organizzazione ha rispettato questi requisiti basici, essa può occuparsi della responsabilità etica. Questo tipo di responsabilità viene sostenuta perché la proprietà

dell’organizzazione crede che questa sia la cosa giusta da fare, non perché ci sono delle obbligazioni. La responsabilità etica può includere per esempio l’adottare un comportamento amichevole verso l’ambiente, il pagamento di un salario adeguato ai propri dipendenti e il rifiuto di portare avanti trattative con paesi che non rispettano certi principi etici.

Responsabilità filantropica: Se una compagnia è capace di far fronte agli altri tre tipi di responsabilità, essa può iniziare a occuparsi della responsabilità

filantropica. Questo tipo di responsabilità si riferisce a ciò che va al di là di quello che viene richiesto o quello che l’organizzazione ritiene sia giusto. Essa coinvolge il fare sforzi dai quali sarà la società nel suo complesso a trarre beneficio; ad esempio, attraverso le donazioni effettuate a organizzazioni comunitarie o attraverso la realizzazione di progetti di aiuto per l’ambiente o la donazione di denaro ad associazioni di carità.

2.2) La teoria di Friedman

Secondo Friedman, la relazione tra la gestione degli affari e la responsabilità sociale d’impresa è piuttosto aperta.

Infatti, lui attesta che le imprese hanno una sola responsabilità sociale nello svolgimento della propria attività, cioè le imprese usano le loro risorse e svolgono le attività designate per incrementare il proprio profitto, con l’unico

(23)

19

vincolo di rispettare le regole del gioco, cioè di operare in un ambiente competitivo senza inganni o frodi.13

Il ragionamento di Friedman si basa sui seguenti punti:

1) Solo gli esseri umani hanno la responsabilità morale delle loro azioni. 2) La responsabilità del manager è di agire solamente nell’interesse degli shareholders.

3) Dei problemi dal punto di vista sociale se ne deve occupare lo Stato e non i manager dell’azienda.

Analizzando la dimensione morale della responsabilità sociale d’impresa, possiamo distinguere due principali argomenti nella teoria di Friedman. Argomento 1: escludendo le decisioni individuali all’interno delle

organizzazioni, ogni azienda ha una struttura decisionale interna che dirige le decisioni dell’azienda per il raggiungimento degli obiettivi che erano stati determinati in maniera preventiva.

Inoltre, la struttura decisionale interna è evidente nell’organigramma, e anche nelle politiche aziendali che sono state stabilite e che determinano le azioni della società al di là di ogni contributo individuale.

Argomento 2: tutte le società manifestano una serie di credenze e valori che indicano ciò che generalmente è considerato giusto o sbagliato

nell’organizzazione: stiamo parlando della “Cultura organizzativa”.

Inoltre le Corporations hanno un livello di responsabilità morale che è maggiore rispetto alla responsabilità degli individui che costituiscono la stessa.

Nell’evoluzione degli studi legati alla Corporate Social Responsibility possiamo notare un filone di pensiero che difende la teoria di Friedman, mentre un altro che tende ad attaccare gli studi da lui portati avanti.

(24)

20

Chi difende le teorie di Friedman, afferma che l’obiettivo delle imprese è quello di operare cercando di incrementare il proprio profitto, sempre nel rispetto delle regole del gioco, e ogni altra politica adottata sarebbe disonesta nei confronti degli shareholders, perché la società spenderebbe denaro che appartiene ad un numero limitato di soggetti, per interessi sociali che riguardano la collettività. Inoltre, c’è la convinzione che è il governo attraverso la tassazione e la creazione di nuove leggi, che deve assicurarsi che ci si occupi delle questioni importanti dal punto di vista sociale.

Invece, coloro i quali attaccano la visione della Corporate Social Responsibility di Friedman, si basano principalmente su tre aspetti:

1) questa visione di responsabilità sociale d’impresa, la quale si basa sull’efficienza dei mercati, potrebbe essere particolarmente inefficiente nel garantire il benessere della società;

2) la massimizzazione irresponsabile del profitto può portare alla perdita di benessere da parte dell’investitore;

3) Friedman sostiene che questioni quali l’inquinamento o la non equa distribuzione di ricchezza non devono essere affrontate dalle aziende, ma dal governo o dagli stessi individui.

2.3) Le altre importanti teorie legate alla CSR

Nel corso degli anni sono nate diverse teorie e diverse visioni della Corporate Social Responsibility, alcune che sono molto vicine alle idee di Friedman, altre che invece sono totalmente in disaccordo.

Un’importante teoria che si contrappone a quella di Friedman è stata definita da Edward Freeman, nel suo libro “Strategic Management: A Stakeholder

Approach”, nel quale lui espone le sue idee. I punti più importanti sono: - in tempi di turbolenza di mercato, i cambiamenti esterni hanno un impatto significativo.

(25)

21

- Ogni Business per avere successo deve creare valore per i clienti, fornitori, dipendenti, lavoratori, la comunità e per coloro i quali hanno interessi dal punto di vista finanziario (shareholders, banche ecc.)

In questo senso, per stakeholder, viene inteso ogni gruppo o individuo che può influenzare il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione o da essi è influenzato. Ad esempio, gruppi di pubblico interesse, sindacati, concorrenti, dipendenti, azionisti ed altri stakeholders in questo senso.

Questa visione avanzata fonda le sue basi nei movimenti sociali degli anni sessanta e anni settanta, dove le manifestazioni per l’ottenimento di maggiori diritti, le proteste contro la guerra, consumismo, ambientalismo e la rivolta per il raggiungimento di maggiori diritti per le donne, furono il fattore scatenante che causò un ripensamento generale del ruolo delle aziende all’interno della società. “Alla fine degli anni settanta, la necessità che il management delle società prendesse in considerazione alcuni problemi che fino a quel momento non venivano analizzati, quali gli interessi di gruppi speciali, i sindacati, competitor ed altri aspetti complessi come i diritti dei lavoratori, uguali opportunità,

inquinamento ambientale, diritti dei consumatori, tariffe e regolamentazione governativa, divenne ovvio.”14

Quindi, come affermato in precedenza, in un’ottica tradizionale le Corporations hanno obblighi nei confronti degli stockholders, cioè coloro i quali hanno le azioni; invece, nella teoria degli stakeholder, gli azionisti sono stakeholders, ma non c’è gerarchia e nessun stakeholder prevale sugli altri. Diventa così di

assoluta rilevanza la capacità di gestire adeguatamente le relazioni tra i vari portatori d’interesse, ed un’adeguata amministrazione di queste relazioni, creerà valore nel lungo periodo e rinforzerà l’idea che il modello capitalista è un

modello ben funzionante. In un’ottica di gestione di questi rapporti, è importante che si riesca a trovare una soluzione ai possibili conflitti che potrebbero sorgere.

14 Freeman R.E., e Reed D.L., Stockholders and Stakeholders: A New Perspective on Corporate

(26)

22

“Questa teoria non fa riferimento a un singolo principale obiettivo sul quale il management deve concentrare i suoi sforzi. Essa, non si scontra neanche con la visione tradizionale legata all’obiettivo di massimizzazione di valore per gli azionisti. Al contrario, l’approccio basato sugli stakeholders rigetta l’idea che la massimizzazione di un singolo obiettivo è una strada utile per la definizione della strategia aziendale. Piuttosto, la gestione degli stakeholders è uno strumento per il bilanciamento e l’integrazione delle relazioni tra una moltitudine di soggetti con una moltitudine di obiettivi.”15

L’analisi dei portatori d’interesse riconosce che c’è un momento quando essi devono partecipare al processo decisionale dell’organizzazione. Questo comporta che il consiglio di amministrazione deve essere consapevole dell’impatto delle sue decisioni sugli stakeholders. “Nel caso in cui il consiglio di amministrazione senta la responsabilità di soddisfare gli stakeholders solo nel breve termine, i senior manager guideranno l’azienda verso il declino dal punto di vista economico”16

Alcuni studiosi invece condividono la visione di Friedman nella difesa della massimizzazione del valore degli shareholders.

Sundarma e Inkpen nel 2004 affermarono che la massimizzazione del valore degli azionisti dovrebbe essere l’obiettivo principale per un’organizzazione, non a causa della legge, non perché esso potrebbe essere giusto dal punto di vista etico, ma perché questa è la migliore soluzione tra le alternative disponibili. Inoltre dai loro studi non è emersa nessuna evidenza dell’impatto positivo di un’adeguata gestione degli stakeholders sulla gestione aziendale. I quattro punti fondamentali della loro attività di ricerca sono i seguenti:

- l’obiettivo di massimizzare il valore degli shareholders è vantaggioso anche per la generalità degli stakeholders: gli azionisti sono desiderosi di assumere rischi e quindi permettere alla società di trovare nuove opportunità, mentre la gestione

15 Freeman R.E., e McVea J.F., A Stakeholder Approach to Strategic Management, Blackwell Publishing,

2001.

16 Freeman R.E., e Reed D.L., Stockholders and Stakeholders: A New Perspective on Corporate

(27)

23

degli stakeholders distorce gli incentivi e la volontà di prendere decisioni rischiose;

- la volontà di massimizzare più di una funzione obiettivo può essere recepita male da parte del management, il quale si può trovare in una situazione di confusione e difficoltà;

- gli Stakeholders possono diventare Shareholders in ogni momento; - gli stakeholders sono maggiormente protetti dalla legge rispetto agli shareholders. Le varie comunità e i creditori involontari sono protetti da

numerose leggi, come ad esempio leggi legate all’inquinamento ambientale e agli illeciti civili. Inoltre, dove la legge è inadeguata o non prevede certi aspetti il sistema giudiziario arbitrariamente riempie questi vuoti normativi attraverso l’interpretazione dei termini del contratto originale.

Un’ulteriore tesi in favore degli shareholders, è quella di Jensen, il quale afferma che le aziende devono evitare di dare al management una molteplicità di

obiettivi. Lo studioso afferma che:

1) “È logicamente impossibile cercare di massimizzare più di una dimensione allo stesso tempo, a meno che queste diverse dimensioni siano una uniforme trasformazione l’una dell’altra.

2) Troppi obiettivi lasciano il manager in confusione, e questa confusione può danneggiare l’azienda per la sua competizione e sopravvivenza.”17

Massimizzare il valore degli azionisti, significa anche massimizzare il valore dell’impresa, e questo permette alla società nel suo complesso di arricchirsi. Infatti, viene creato valore quando una azienda produce un prodotto che è valutato dai suoi consumatori di valore maggiore rispetto ai fattori produttivi utilizzati per realizzarlo. In assenza di monopolio ed esternalità, le aziende sono gli attori più efficienti nell’attrarre le risorse dalla società e trasformarle in qualcosa di maggior valore. Quindi, volersi occupare dei vari interessi degli

17 Jensen M.C., Value Maximization, Stakeholder theory, and the corporate objective function,

(28)

24

stakeholders è improduttivo, perché distorce le risorse dalle attività ritenute essenziali ed aumenta i costi che devono essere sostenuti.

Lo stesso Jensen però, nel corso dei suoi studi, ha ipotizzato che è possibile riconciliare i due punti di vista, le due visioni legate a shareholders e

stakeholders che possono sembrare totalmente opposte. Questa idea si basa essenzialmente su due punti:

1) La focalizzazione sulla massimizzazione del valore in un’ottica di lungo periodo non può essere fatta se non sono rispettate le esigenze di tutti coloro i quali hanno un’influenza fondamentale e sono influenzati in maniera importante dallo svolgimento delle attività, ma la funzione obiettivo deve essere incentrata sull’azienda. Inoltre, il Governo è il soggetto che deve stabilire le regole da rispettare e deve far fronte ai fallimenti del mercato quando essi occorrono. 2) La creazione di valore in un’ottica di lungo periodo richiede l’accettazione che il valore di mercato totale dell’azienda nel lungo periodo è sempre l’obiettivo principale.

Infine, trattando la visione politica delle Corporations, dobbiamo analizzare quelli che sono gli studi di Scherer e Palazzo del 2011.

Essi infatti affermano che le organizzazioni dovrebbero avere un ruolo politico. Difatti, è loro opinione che non sarà vero per molto tempo ancora che il governo sia disponibile a far fronte alle esternalità negative; infatti:

- nei paesi in via di sviluppo, questo non è aspettato a causa della debolezza nella legge, nella capacità dello stato, nell’assenza di istituzioni democratiche, etc; - anche nelle economie più industrializzate i governi hanno problemi di budget, ed i sistemi legali non operano sempre in maniera tempestiva.

- alcuni problemi sono transnazionali e non possono essere risolti unilateralmente dai governi (ad esempio: i cambiamenti climatici, la deforestazione, la

(29)

25

Quindi, in una situazione di questo genere le corporations diventano politicizzate in due modi:

1) esse operano con una più ampia comprensione delle loro responsabilità e aiutano a risolvere problemi politici, cooperando con gli attori statali e gli attori della società civile;

2) inoltre, con il loro crescente potere ed attraverso il loro impegno nei processi di autoregolamentazione, diventano soggetti a nuove forme di processi

democratici di controllo e di legittimità.

2.4) Deontologia ed utilitarismo, due aspetti dell’etica di Business

Per procedere ad un’analisi ulteriormente più profonda, dobbiamo toccare quelle che sono le teorie legate alla deontologia e all’utilitarismo.

In primo luogo procederò ad analizzare la deontologia, richiamando gli studi di Kant; secondariamente procederò ad analizzare brevemente l’utilitarismo.

Coloro i quali seguono le teorie legate alla deontologia, credono che per decidere se un’azione è etica, una persona deve avere validi principi etici da poter

applicare per la risoluzione del problema. Con tali principi il soggetto può conoscere un certo compito e dire allo stesso tempo se le azioni da intraprendere sono etiche o meno. I principi che i deontologici hanno sviluppato, sono basati su teorie che sostengono che gli individui sono portatori di diritti tra cui il diritto alla giustizia. I seguaci di questa teoria cambiano la loro focalizzazione dall’utilità sociale al rispetto degli individui. Un individuo che ha un diritto è autorizzato ad agire o avere altri comportamenti in un certo modo. Gli individui che hanno diritti possono fare domande e dichiarazioni basate su questi diritti, e questo fornisce loro il rispetto di sé stessi. Attraverso il fatto che i diritti vengono onorati, si mostra rispetto per gli individui. La giustizia viene raggiunta quando gli individui ricevono quello che a loro è dovuto. Gli individui ricevono ciò che gli è dovuto quando la distribuzione dei benefici, dei carichi e l’amministrazione delle regole sono portate avanti equamente.

(30)

26

All’interno di questa corrente di pensiero, però, non tutti sono completamente in accordo riguardo quali diritti individuali si hanno e quali sono i doveri che la giustizia impone. Infatti, una linea di pensiero si focalizza sull’individualità e la fiducia in sé stessi, mentre l’altra si focalizza sul relazionarsi e sull’aiutare. 1) Coloro i quali si focalizzano sull’individualità e la fiducia in sé stessi insistono sul diritto all’autonomia personale, cioè il diritto ad essere lasciato solo a meno che una persona consapevolmente e consciamente decida di interagire con gli altri. Parlare liberamente, privacy e libertà di coscienza sono parte di questo diritto all’autonomia. La giustizia, dicono i sostenitori di questa teoria, richiede che il processo di distribuzione e amministrazione sia applicato in modo

imparziale e uniformemente, e che la distribuzione dei benefit sia basata sul merito e sui contributi individuali.

2) Coloro i quali si focalizzano sul relazionarsi e sull’aiutare credono che la libertà, l’imparzialità e la coerenza sono importanti, ma anche che il concetto di diritto e giustizia richiede qualcosa di più. Essi credono che gli individui, anche, hanno il diritto al benessere e che per onorare questo diritto una persona deve svolgere un compito che permetta di garantire il benessere anche degli altri. Questo diritto al benessere individuale include il diritto al cibo, alla casa, all’educazione, al lavoro ed all’assistenza medica ed altri ancora. In maniera simile, i sostenitori di questa teoria vedono la giustizia come un qualcosa che permette di ottenere risultati giusti per gli individui, non solo un processo equo. Questi risultati onesti potrebbero includere la distribuzione di benefit in parti uguali o sulla base dei bisogni effettivi piuttosto che sulla base del merito o del contributo apportato.

Sebbene, come abbiamo visto, la teoria deontologica è in disaccordo in relazione all’applicazione dei diritti e dei principi di giustizia, ogni seguace di questa teoria concorda sul concetto basico che il compiere l’azione giusta, fa riferimento al concetto di rispetto per gli individui. Focalizzandoci sui danni ed i benefici degli individui, tutti coloro che supportano questo filone di studi differiscono da coloro

(31)

27

i quali supportano la teoria utilitaristica, i quali credono che l’azione giusta da compiere dipende dai danni e dai benefici sociali.

Uno dei principali fautori della teoria Deontologica è stato il famoso filosofo tedesco Immanuel Kant.

Per analizzare in maniera rapida il suo pensiero, dobbiamo partire dicendo che i principi etici basici non sono empirici. L’etica fornisce verità necessarie che sono vere per tutti gli esseri razionali, e queste non possono essere basate su fatti empirici relativi agli umani. Queste verità, piuttosto, derivano dal puro

ragionamento; esse sono verità a priori che derivano dal solo ragionamento e non ci sono quindi dimostrazioni empiriche. Kant, cercò di scoprire i principi al di là del comune senso di moralità. Lui osservò che solo una buona volontà è buona senza riserve. Una buona volontà è buona in sé, non solo per quello che essa produce. Una volontà è buona se essa deriva dai doveri che devono essere compiuti, e altri motivi morali, e non solo in conformità con i doveri da compiere.

In tutto questo, la razionalità ha le proprie leggi imparziali. “Dato che gli esseri umani sono solo parzialmente razionali, noi sperimentiamo queste leggi come dei vincoli, come imperativi che noi dobbiamo seguire”18

Questi imperativi sono validi per ogni essere razionale e possono essere ipotetici o categorici. “L’imperativo ipotetico è un comando della ragione che, a

differenza dell’imperativo categorico, sul quale si fonda la morale kantiana, si applica solo condizionatamente, cioè il comando sarà eseguito a condizione che si voglia conseguire un fine”19

Per Kant, l’uomo ha un ruolo di fondamentale importanza e la morale viene definita come la somma di ciò che la ragione comanda, e da cui derivano tutte le obbligazioni ed i doveri. Analizzando gli aspetti legati all’imperativo categorico, possiamo notare tre principali formulazioni:

18 Kant I., Fondazione della metafisica e dei costumi, Laterza, 2015. 19 https://it.wikipedia.org/wiki/Pensiero_di_Kant

(32)

28

1) "Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale.

2) Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.

3) Agisci come se la massima della tua azione dovesse, essere elevata dalla tua volontà a legge universale della natura.”20

Il principio supremo della morale è la formula della legge universale, ed essa viene applicata da Kant a due compiti perfetti, non commettere suicidio e non fare promesse ingannevoli; inoltre viene applicata a due compiti imperfetti, cioè quello legato allo sviluppo dei talenti di ciascuno e di aiutare quelli che si

trovano in una situazione di bisogno.

Dopo aver analizzato in maniera estremamente sintetica alcuni aspetti della teoria di Kant legata alla Deontologia, passiamo ad una brevissima analisi di quelle che sono le teorie utilitaristiche.

I principali proponenti della teoria utilitarista sono Jeremy Bentham il quale è stato un filosofo e giurista inglese nato a Londra nel 1748, e John Stuart Mill il quale fu un filosofo ed economista britannico nato a Pentonville nel 1806. La chiave del loro pensiero è che un’azione è moralmente giusta se provoca la maggior quantità di bene per la maggior parte delle persone colpite dall’azione stessa, quindi il massimo della felicità per il massimo numero di persone. Il principio dell’utilità è formato da due parti:

Parte 1: noi vogliamo massimizzare il valore, per realizzare, per ottenere il più possibile.

Parte 2: Definire qual è il valore che dobbiamo massimizzare o promuovere Quindi, la valutazione morale di ciascun atto, viene collegata alla sua possibilità di produrre felicità o piacere, escludendo il fatto che ci siano leggi divine a cui ci

(33)

29

si dovrebbe conformare. Per Mill e Bentham l’azione che fornisce maggiore utilità può essere individuata empiricamente, perché l’utilità derivante può essere misurata. Inoltre, per questi due filosofi, l’utilità dovrebbe guidare le scelte in termini di economia, diritto e politica.

Per Betham, il principio cardine dell’utilitarismo è l’edonismo psicologico, cioè l’idea per cui va massimizzato il piacere degli individui, perché è il piacere stesso che influenza lo stato interiore dell’uomo:

“La natura ha posto il genere umano sotto il dominio di due supremi padroni: il dolore e il piacere. Spetta a essi soltanto indicare quello che dovremmo fare, come anche determinare ciò che è giusto o ingiusto”21

In aggiunta al pensiero di Bentham, Mill opera tre cambiamenti:

1) “Sostituisce alla nozione di piacere quella di felicità (dato che il piacere sarebbe una nozione riduttiva e non in grado di restituire l’ampiezza e la varietà dei comportamenti individuali)

2) Sostiene la distinzione qualitativa dei piaceri

3) Fonda il principio di utilità sul sentimento di giustizia”22

Bentham distingueva il piacere sulla base dell’intensità e della durata, senza indicare a prescindere un piacere migliore di un altro. Invece, Mill affermò che: “Riconoscere che alcuni tipi di piacere sono più desiderabili e hanno maggior valore di altri, è perfettamente conciliabile con il principio di utilità. Sarebbe assurdo supporre che la valutazione dei piaceri debba dipendere solo dalla quantità”.23

Quindi, i piaceri maggiori sono provati da coloro i quali hanno la capacità di stabilire quali piaceri possono influenzare in misura maggiormente positiva la promozione della felicità generale e l’educazione degli altri individui.

21 Bentham J., Introduzione ai principi della morale e della legislazione, UTET, 2013. 22 https://it.wikipedia.org/wiki/Utilitarismo

(34)

30

Arrivato a questo punto della nostra analisi, quello che ci dobbiamo domandare è se l’utilitarismo è la migliore teoria in termini di etica di business. La risposta a questa domanda è molto complicata, però possiamo affermare con assoluta certezza che essa pone al centro della decisione morale, una variabile che è comunemente usata come parametro dell’economia, cioè il valore economico delle azioni, vale a dire l’utilità, e questa utilità sembra essere quantificabile. L’utilità può essere legata a due possibili azioni:

- assegnare l’utilità ad ogni conseguenza; - assegnare l’utilità ad ogni persona coinvolta.

Infine, l’azione con la maggiore utilità aggregata può essere determinata come moralmente corretta.

Ci sono però alcuni problemi legati al rapporto tra utilitarismo e business ethics, ed il principale si riferisce al fatto che la consistenza di questa teoria è

largamente determinata dalla sua particolare nozione di utilità; utilità che in passato veniva definita dalle organizzazioni in maniera intuitiva come la massimizzazione del profitto.

Altri problemi legati alla teoria dell’utilitarismo sono:

- la soggettività, perché la valutazione dell’utilità potrebbe dipendere dal soggetto che svolge l’attività di analisi;

- incertezza sul modo in cui viene quantificata l’utilità; - incertezza su come viene distribuita l’utilità;

- incertezza sulla possibilità di prevedere i risultati delle nostre azioni. Infine, è importante ricordate che la dottrina dell’utilitarismo incontra delle difficoltà con la nozione di giustizia.

(35)

31 2.5) Cenni storici della responsabilità sociale d’impresa

Dopo aver effettuato una analisi delle principali teorie etiche, andiamo a ripercorrere quelle che sono le tappe fondamentali dal punto di vista storico dell’avvento della responsabilità sociale d’impresa.

Il concetto di Corporate Social Responsiblity inizia a prendere forma negli anni cinquanta del novecento, ma ci sono prove di aziende e uomini d’affari che contribuiscono al benessere della società già dai tempi della rivoluzione industriale.

Essi si preoccupavano delle condizioni di lavoro, del benessere dei lavoratori e dell’impiego di donne e bambini all’interno delle fabbriche. In aggiunta, durante la rivoluzione industriale il sistema industriale era una fonte di problemi sociali come disordini e malcontento dei lavoratori, povertà, baracche e lavoro realizzato da donne e bambini. Già a quel tempo però c’erano dei programmi di welfare, anche se molto minori rispetto ad oggi, e questi consideravano la fornitura di cliniche ospedaliere, strutture ricreative, sale pranzi, bagni ecc. Era anche presente una sorta di filantropia aziendale, anche se spesso questa era effettuata nella forma di filantropia individuale da parte di uomini d’affari.

Un grande esempio di filantropo è stato John D. Rockefeller, il quale è stato il co-fondatore della Standard Oil Company. John D. Rockefeller finanziò un college per donne di colore ad Atlanta, il quale fu chiamato Spelman, in onore di Harvey Buel e Lucy Henry Spelman, i quali erano parenti dello stesso John. Questa è stata la prima di molte iniziative che sono state realizzate dai Rockefeller per migliorare il sistema educativo statunitense a tutti i livelli.

Tra il 1920 ed il 1930 iniziò una fase di gestione fiduciaria, con la separazione tra proprietà e management: ad i manager era data fiducia ed essi dovevano operare nell’interesse dei proprietari. Negli stessi anni si inizia a parlare di contributi alla società che vengono forniti dalle aziende, e le stesse aziende iniziano ad avere un ruolo politico, dovendo comportarsi come istituzioni anti comuniste. Negli

(36)

32

Il periodo precedente agli anni cinquanta del novecento era considerato un’epoca caratterizzata dal filantropismo, mentre il periodo successivo è considerato un’epoca di sensibilizzazione rispetto alle problematiche che c’erano all’interno della società e diverse definizioni di corporate social responsibility iniziarono così ad emergere.

Nel 1953, Howard R. Bowen definì la corporate responsibility come:

gli obblighi degli uomini d’affari nel perseguire certe politiche, nel prendere certe decisioni o nel seguire certe linee d’azione desiderabili in termini di valori all’interno della nostra società.

Però, nonostante iniziò ad esserci una maggiore sensibilità, la responsabilità sociale d’impresa continuò ad essere per lo più formata da donazioni da parte di privati, quindi non c’era ancora una mentalità ben sviluppata di responsabilità sociale d’impresa.

Negli anni sessanta poi gli studiosi hanno iniziato a formalizzare il concetto di corporate social responsibility, ma non c’erano ancora cambiamenti tangibili dal punto di vista della gestione.

Keith Davis nel 1960 definì la social responsibility come: “Le decisioni degli imprenditori e le azioni da loro adottate per ragioni che vanno almeno

parzialmente oltre l’interesse economico diretto o l’interesse tecnico dell’organizzazione”24

Successivamente, negli anni settanta possiamo individuare due precursori dell’approccio che porta gli stakeholders al centro della discussione. Il primo è Harold Johnson, il quale nel 1971 ha pubblicato un libro dove dichiara che una società socialmente responsabile è una società dove il personale che la dirige riesce in maniera equilibrata a tenere in considerazione una molteplicità di

interessi; un’impresa responsabile quindi, riesce a considerare anche i dipendenti,

24 Davis K., “Can Business Afford to Ignore Social Responsibilities?”, in California Management

(37)

33 fornitori, i commercianti, la comunità locale e la nazione dove viene svolta

l’attività.

Invece, S. Prakash Sethi nel 1975 distinse tra:

- Obbligo sociale: esso viene considerato come risposta alle forze di mercato o alle controversie legali.

- Responsabilità sociale: si riferisce al fatto di elevare il comportamento aziendale ad un livello in cui è congruente con le norme sociali prevalenti, i valori e le aspettative legate alle performance.

- La reattività sociale: si riferisce all’adeguarsi delle organizzazioni a quelli che sono i bisogni della società.

Negli anni settanta vengono realizzati numerosi studi legati alla social

responsibility e Sethi in uno di questi afferma che l’aumento dell’urbanizzazione delle nazioni, l’avanzamento tecnologico e l’interdipendenza delle industrie, dei luoghi dove esse sono collocate, e dei servizi hanno reso anche le operazioni delle singole aziende così grandi che le esternalità non possono più essere ignorate.

La responsabilità sociale in tutto questo è semplicemente un passo avanti nel tempo, prima che le nuove aspettative sociali vengano codificate dal punto di vista legale. Adattandosi a tutto ciò prima di essere legalmente costretti, una corporation può essere più flessibile nel suo modello di risposta, ottenere una maggiore congruità con le norme sociali e quindi ottenere una legittimazione ad un costo sociale e istituzionale minore.

Infatti, spesso succede che la legge arriva solo successivamente all’avvenimento di un cambiamento sociale, per questo le organizzazioni devono cercare di essere proattive adattandosi al cambiamento e non aspettare di essere obbligate a

muoversi perché c’è una legge che lo impone.

Analizzando invece la reattività sociale, Sethi scrive che ci sono diversi modi attraverso i quali le imprese potrebbero risolvere gli effetti negativi da loro

(38)

34 causati: installare dispositivi per rimuovere gli agenti inquinanti che sono

immessi nell’ambiente attraverso le ciminiere, il pagamento di un’immediata e adeguata compensazione alle vittime dell’inquinamento e a coloro i quali hanno subito lesioni legate ai prodotti commercializzati e assicurando che i consumatori riceveranno un servizio soddisfacente dai prodotti che essi acquistano. Questi cambiamenti migliorano la congruenza tra le prestazioni dell’azienda e le

aspettative sociali ed incrementano la legittimità dell’operato dell’azienda stessa. Per questo stava avanzando l’idea che le imprese dovevano avviare politiche e programmi che riducessero al minimo gli effetti collaterali negativi delle loro attività.

Col proseguimento degli studi sulla Responsabilità Sociale d’Impresa, si arriva poi al 1979, anno in cui Carroll, un filosofo statunitense, descrive quella che è la piramide della Corporate Social Responsibility. Lui distingue tra diverse

categorie di responsabilità sociale:

- economica: la responsabilità primaria di ciascuna azienda e di ciascun imprenditore è la responsabilità economica;

- legale: la legge rappresenta la codificazione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Le imprese devono rispettare quelle che vengono chiamate le regole del gioco;

- etica: si riferisce a norme etiche che non sono codificate dalla legge. Le imprese, per essere etiche, devono fare quello che è corretto, giusto ed equo, evitando di causare danno ad altri;

- discrezionale: è un tipo di responsabilità che non è generalmente aspettata dalla società, e di questa fanno parte ad esempio le attività filantropiche. Se

un’impresa non partecipa e non adotta questo tipo di responsabilità, esso non è considerato non etico. Un esempio sono le donazioni effettuate alla propria comunità per migliorare la qualità della vita.

Nel corso degli anni sempre più studiosi iniziarono ad interessarsi al tema della responsabilità sociale d’impresa e nuove ed alternative teorie di corporate social

(39)

35 responsibility iniziarono ad emergere. Una fra tutte è stata la teoria che pone al centro gli Stakeholders, la cui idea centrale è che il manager nel prendere le decisioni deve considerare le esigenze di una moltitudine di stakeholders e non solo quelle dei proprietari. Inoltre l’etica di Business inizia ad emergere come un filone separato dopo una serie di scandali dal punto di vista etico e di

comportamenti illeciti adottati dalle aziende.

Arrivando poi agli anni 90, troviamo un numero maggiore di concetti legati alla CSR:

- Cittadinanza aziendale, sostenibilità, ecc.

In quest’ottica le aziende di servizi iniziano a consigliare le corporations su come agire per comportarsi in maniera responsabile e sostenibile.

Così, la CSR iniziò a diventare una componente strategica importante delle grandi società negli Stati Uniti ed in Europa ed infatti tra il 1990 ed i primi anni del ventunesimo secolo, ci fu un notevole incremento nel numero di

organizzazioni che dichiararono di adottare internamente principi di Corporate Social Responsibility.

Infine, passando dall’inizio del duemila sino ai giorni nostri, possiamo vedere come si vada al di là di prodotti socialmente responsabili, donazioni o altre azioni positive come il supporto alla propria comunità. Infatti le nuove contemporanee forme di Corporate Social Responsibility si basano su:

- Principi interni adottati dall’organizzazione - Certificazioni rilasciate da enti certificatori - Attività di segnalazione

- Miglioramento e perfezionamento dei processi posti in essere

1) I Principi base, fanno riferimento essenzialmente a degli standard da adottare. Questi sono principi generalmente definiti in relazione a problemi sociali ed

(40)

36 ambientali, principalmente utilizzati come guida per le azioni da compiere.

Alcuni esempi di questi principi sono:

- United Nations Global Compact: “È un’iniziativa delle Nazioni Unite per incoraggiare le aziende di tutto il mondo ad adottare politiche sostenibili nel rispetto della responsabilità sociale d’impresa e per rendere pubblici i risultati delle azioni intraprese. All’interno di esso ci sono dieci principi che si riferiscono all’area dei diritti umani, del lavoro, della sostenibilità ambientale e

anti-corruzione”25;

- principi guida delle Nazioni Unite sulle imprese e i diritti umani;

- linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali.

I governi hanno approvato i UN Global Compact nonostante che questi accordi non siano stati concordati da loro precedentemente; questo perché

l’Organizzazione delle Nazioni Unite rappresenta un importante organo di legittimazione per promuovere pratiche di responsabilità in tutto il mondo e per questo motivo i vari governi cercano di fare in modo che il proprio operato appaia lecito agli occhi di questa istituzione. Vengono così istituite nuove regole il cui impatto è ancora sconosciuto.

2) Analizzando invece le certificazioni che vengono rilasciate a livello internazionale, possiamo vedere che queste coinvolgono la verifica ed il monitoraggio di certe attività per il rispetto di certi criteri predefiniti. Tra gli enti internazionali di normazione troviamo l’ISO (International

Standardization Organization), mentre a livello Europeo troviamo il Comitato Europeo di normalizzazione ed ha livello italiano si ha l’UNI, cioè l’Ente

Nazionale Italiano di Unificazione che emana normative o frutto del recepimento di norme europee o internazionali o nazionali. Inoltre, a livello italiano troviamo Accredia, un ente che accredita gli organismi di certificazione per quanto

Riferimenti

Documenti correlati

La seconda parte, Il problema dell’oggettività nelle etiche normative classiche (pp. L’intuizionismo etico del Novecento, pp. 92-113), di Carla Bagnoli (Iris Murdoch:

Tale liquidazione può compiersi soltanto col ricorso all’equità (art. 1226 c.c.), in relazione a molteplici fattori quali l’età della vittima, il grado di parentela che la legava

Queste due ordinanze hanno di fatto suscitato le due decisioni della Corte Costituzionale attraverso le quali è stato in pratica concepito il danno biologico e che, rigettando

70/2000 era quella di “rottamare” le micropermanenti, attraverso l’introduzione di valori monetari ridottissimi, privi di qualunque riscontro nell’esperienza giurisprudenziale, e

In questo caso la resistenza della giurisprudenza ad ammettere l’indennità di danno morale fu molto più forte, poiché fu necessario aspettare una sentenza della Camera Civile

La radice della cura va ricercata, dunque, ad un livello primordiale e comune ai soggetti agenti; il superamento del paradigma di genere si fa qui analisi sulla

Avendo l’agente morale professionale come obiettivo il bene della persona assistita, che rappresenta il fine del suo agire e non il mezzo delle sue azioni, egli ritrova nella

Se possiamo identificare una morale e una coscienza morale comune, possiamo presupporre la possibilità di sviluppare o acquisire una crescita della «morale