Micropermanenti e liquidazione del danno morale
Avv. Umberto Oliva*
Parlare di micropermanenti significa parlare del danno alla persona, se è vero com’è vero che circa l’80-90% dei casi di lesione della salute si collocano al di sotto dei dieci punti percentuali di danno.
La grande importanza ed attualità del tema delle micropermanenti risulta poi evidente da un altro dato fondamentale: l’attenzione del Governo e del legislatore.
Parafrasando lo slogan di una famosa rivista enigmistica, si può affermare che quello delle micropermanenti è l’argomento che oggi vanta il maggior numero di tentativi di legificazione, perlomeno nell’ambito della responsabilità civile.
Trovo interessante iniziare proprio da quest’ultimo dato, per fare una brevissima carrellata sui diversi progetti di provenienza governativa e sui provvedimenti legislativi che, in questi ultimissimi tempi, hanno trattato delle micropermanenti.
Come vedremo meglio in seguito, tutti questi lavori sembrano avere un denominatore comune: auspicare, e a volte imporre, un “trattamento” particolare per i danni di lieve entità.
Vale la pena dunque ricordare:
• Il disegno di legge n.4093/1999;
• Il “famigerato” Decreto Legge n.70/2000;
• Il recente progetto di legge n.6994/2000;
• L’emendamento 5.19 – e relativo sub-emendamento – presentato dal Governo alla prossima legge Finanziaria.
Il disegno di legge 4093, così come il progetto ISVAP al quale è evidentemente ispirato, prevede che la liquidazione del danno biologico debba avvenire secondo il sistema tabellare. Entrambi auspicano che l’emananda tabella venga strutturata, tra l’altro, secondo il criterio per il quale il valore del punto è funzione crescente in misura più che proporzionale rispetto all’aumentare della gravità della lesione (Disegno di legge n.4093, art.4, par.2). Questo criterio, letto a contrario, comporta che il risarcimento decresce in misura più che proporzionale rispetto alla minore gravità della lesione.
Tale scelta del progetto di riforma è assolutamente condivisibile, ed in proposito non vi è nulla da obiettare.
Questo criterio di elaborazione della tabella risulta, assieme all’altro relativo all’età e al sesso della vittima, assolutamente sufficiente a fornire i necessari principi per la redazione della tabella; infatti, le tabelle di liquidazione attualmente più utilizzate (vedi per tutte quella del Tribunale di Milano) si basano esclusivamente su questi elementi.
* Avvocato, Torino.
Invece, entrambi i progetti, esplicate queste linee guida, sentono la necessità di puntualizzare un ulteriore principio, espressamente dedicato alle lesioni più lievi:
“per le menomazioni cosiddette micropermanenti, identificate nelle invalidità comprese tra l’1 per cento e il 10 per cento, i rispettivi valori monetari debbono essere più contenuti di quelli relativi alle invalidità superiori, in ragione della diversa incidenza di tali menomazioni sulla vita del soggetto nonché delle relative potenzialità di riassorbimento” (Disegno di legge n.4093, art. 4 par.5, nonché, esattamente in termini, Progetto ISVAP, art. 4 par.6).
Allora vi è da domandarsi se questa specificazione è superflua, dato che il concetto per cui il danno lieve deve essere risarcito in misura più che proporzionalmente inferiore rispetto al danno grave era stato espresso poche riga prima, oppure se è stata inserita perché abbia una portata pratica.
Secondo gli ordinari principi di interpretazione della legge senza dubbio deve preferirsi questa seconda ipotesi.
Ed allora questo significa che, con riguardo alle micropermanenti, i due consueti criteri di determinazione del valore del punto, e cioè gravità della lesione ed età della vittima, non permettono di individuare il “giusto” risarcimento: per arrivarci bisogna introdurre un correttivo ….. in minus.
Questo modo di operare stupisce, se non altro per il fatto che di esso non vi è traccia nell’esperienza giurisprudenziale, segno evidente che di tale “correttivo”
nessun giudice – che utilizza il sistema tabellare per la liquidazione del danno – aveva mai sentito il bisogno.
Per la verità, un tale sistema di operare esisteva già, ma in un àmbito completamente diverso.
Ci riferiamo al c.d. “sistema dell’abbattimento” del punto, che la magistratura genovese (seguita poi da altre Corti) escogitò per ovviare agli eccessi che il rigido sistema del triplo della pensione sociale comportava nel risarcimento dei danni di lieve entità.
Infatti, secondo il metodo del TPS, un danno biologico del 4% in un ventenne veniva risarcito, in assenza di correttivi, con una somma di circa £. 19.000.000;
d’altra parte però lo stesso danno, secondo il metodo tabellare recentemente adottato dal Tribunale di Genova a scapito del precedente TPS, è oggi liquidato con una somma inferiore a £.7.000.000.
Basti questo esempio per dimostrare come non appaia corretta, oltre che priva di precedenti, l’introduzione dell’abbattimento nel sistema tabellare, così come previsto dalla proposta di legge governativa.
Sul decreto legge n.70/2000 si è scritto e detto molto, probabilmente più di quanto la questione meritasse, visto il carattere evidente di approssimazione e faciloneria con cui si è tentato di dare regolamentazione alla materia, in totale dispregio delle più elementari regole giurisprudenziali e medico-legali, ormai entrate a far parte del patrimonio di tutti gli attori in scena.
Basti ricordare le raffiche di eccezioni di incostituzionalità sollevate con eccezionale rapidità da alcune corti, per testimoniare l’assoluta inadeguatezza dell’intervento, che infatti non solo non è mai stato convertito in legge ma risulta anche non essere stato di fatto applicato, nel breve periodo di vigenza.
Il chiaro obiettivo del DL. 70/2000 era quella di “rottamare” le micropermanenti, attraverso l’introduzione di valori monetari ridottissimi, privi di qualunque riscontro nell’esperienza giurisprudenziale, e di sistemi di liquidazione che prescindevano completamente da circostanze quali gravità della lesione ed età della vittima; tale sistema negava alla radice qualunque possibile differenziazione del risarcimento, in ragione dell’approfondimento delle ripercussioni della lesione sullo specifico soggetto.
Il decreto legge, come detto, non è stato mai convertito, perlomeno in questa parte, ma il concetto di fondo, vale a dire quello di creare per le micropermanenti un sistema ad hoc, in grado di predeterminare rigidamente il valore del risarcimento, non è stato affatto abbandonato.
Infatti, tanto il progetto di legge 6994/2000 quanto l’emendamento alla finanziaria n.5.19, non sono altro che la riproposizione del medesimo impianto, salvo apportare le minimali modifiche necessarie per difendere il provvedimento legislativo da facili ed inevitabili problemi di conformità alla Costituzione.
In conclusione, l’impressione che si ricava dall’esame degli interventi in argomento è quella per cui, nel sostenere con tanto vigore la necessità di creare per le micropermanenti un regime particolare, si lasci intendere che le micropermanenti sono danni “diversi” dagli altri e come tali meritano un trattamento diverso.
Ma questo modo di ragionare rappresenta, all’evidenza, una contraddizione in termini, poiché non si può ritenere “diverso” ciò che invece rappresenta la normalità:
è assurdo pensare di regolare in maniera speciale ciò che invece costituisce l’80/90 % di casi di danni alla persona.
La posizione corretta da assumere è quindi diametralmente opposta da quella fatta propria dagli interventi sino ad ora espressi in materia.
Le micropermanti sono semplicemente dei danni, come tutti gli altri, ed anzi il più delle volte sono il danno.
Accettato questo punto di partenza, che è poi un dato di fatto, non si potrà che concludere che le micropermanenti vanno risarcite e regolamentate secondo regole ordinarie, in un contesto globale di definizione delle regole in materia di risarcimento dei danni alla persona.
Il lavoro della Melchiorre Gioia parte proprio da questa premessa; per arrivare a dire, quasi provocatoriamente, che le micropermanenti, come categoria a sé stante, che forma capitolo a parte, non esistono.
D’altra parte, fare questa affermazione in ambito di responsabilità civile appare assolutamente corretto.
Vale la pena in proposito ricordare la genesi della categoria delle micropermanenti.
Questa definizione nasce in ambito di assicurazione obbligatoria per infortuni sul
lavoro e malattie professionali, per indicare quelle lesioni che non superavano la soglia del 10% di perdita di capacità generica al lavoro.
Si disse allora che tali lesioni, per la loro lievità, non giustificavano indennizzo da parte dell’ente assicuratore, in quanto non incidevano in modo significativo e permanente sulle capacità generica al lavoro del soggetto. Tale modo di operare è stato ribadito ancora di recente, in occasione della riforma del sistema INAIL attuata per mezzo del D.lgs 38/2000, che com’è noto, ha invece introdotto il danno biologico quale elemento cardine per l’erogazione delle prestazioni fornite dall’assicurazione obbligatoria, ponendo in franchigia assoluta i danni fino al 5%.
Ma se è comprensibile che un sistema di tipo indennitario-pubblicistico, come quello dell’assicurazione obbligatoria, releghi i danni lievi in una fascia secondaria, altrettanto non può dirsi per un sistema risarcitorio puro, profondamente differente dal primo, che deve avere quale unico scopo la restitutio in integrum.
In cosa consista questa differenza lo illustra molto bene la recentissima circolare INAIL n.57 del 4 agosto 2000, che dedica un intero paragrafo all’argomento, n. 1.2 Specificità del sistema indennitario del danno biologico di origine lavorativa nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria rispetto al sistema risarcitorio di diritto comune del danno biologico da fatto illecito.
Spiega infatti il documento INAIL che, pur trattandosi sempre di ripagare una persona della perdita della salute, “notevoli differenze derivano dalla diversa finalità dei due sistemi e dalla conseguente diversità di strutturazione del meccanismo di ristoro del danno. L' indennizzo INAIL infatti, assolve ad una funzione sociale ed è finalizzato a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore, secondo quanto previsto dall’art. 38 Cost., mentre il sistema civilistico è finalizzato a risarcire il danno nella esatta misura in cui si è verificato”.
In questa ottica ben si spiega la franchigia per i danni lievi, “ritenuti non rilevanti in un sistema di tutela sociale”; allo stesso modo, ancora una volta, si ha la netta impressione che la creazione di una sistema a parte per il risarcimento dei danni lievi in campo di r.c. non abbia giustificazione alcuna.
Verosimilmente, continuare a discutere di micropermanenti nel sistema della responsabilità civile comporta soltanto insistere su di un concetto che si carica di ambiguità, per la facile quanto scorretta eguaglianza: micropermanenti = colpo di frusta, e ciò ad esclusivo vantaggio di coloro che in questo modo tentano di calare la scure sulla fascia statisticamente rilevante di danni.
Molto meglio allora affermare che le micropermanenti non esistono, e che i danni più lievi vanno risarciti con lo stesso meccanismo degli altri.
Meccanismo che, visti i sistemi di liquidazione attualmente in uso, appare assolutamente in grado di garantire liquidazioni non eccessive, come confermato dai recenti lavori del Gruppo di ricerca del CNR, che documentano un netto e costante calo nel risarcimento dei danni più lievi.
D’altra parte, gli attuali sistemi tabellari, facendo salvo il principio di intervento equitativo del giudice, permettono sempre di intervenire a correggere i valori indicati
dalla tabella, quando particolari condizioni richiedano un risarcimento diverso dallo standard.
Per finire, un breve accenno al capitolo riguardante la liquidazione del danno morale.
Qui il gruppo di lavoro dell’associazione si è trovato concorde nel voler mantenere fermo il principio generale della liquidazione equitativa, ai sensi degli artt. 1226 c.c.
e 2056 c.
Tuttavia, nell’ottica di semplificare i problemi quando possibile, e di raccogliere sempre le prassi più generalizzate e condivise elaborate dalla giurisprudenza (che sono stati i criteri guida del lavoro di questo gruppo di studio), si è ritenuto opportuno introdurre il concetto secondo il quale, nel caso di danno morale connesso a danno biologico, il primo può essere liquidato, in via presuntiva, in una frazione compresa tra ¼ e ½ di quanto risarcito a titolo di danno biologico.
Tale criterio, si ribadisce, è accolto solo in via presuntiva, ferma restando la possibilità, per il giudice, di superare tale presunta correlazione con una liquidazione diversa.
Si vuole ribadire il concetto per cui il danno morale non è un accessorio del danno biologico; pertanto il giudice, valutate tutte le circostanze idonee a supportare una liquidazione diversa del danno morale (gravità della lesione, intensità delle sofferenze, comportamento del danneggiante, particolari qualità del danneggiato, ecc.), dovrà essere libero di risarcire in via equitativa ed in forma autonoma tale importantissima voce di pregiudizio.