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La patogenesi autoimmune del diabete di tipo 1

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Academic year: 2021

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La patogenesi autoimmune del diabete di tipo 1

Incani M

2

, Baroni MG

1,2

1Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università Sapienza di Roma, Roma; 2Endocrinologia e Diabete, Dipartimento di Scienze Mediche e Sanità Pubblica, Università di Cagliari, Cagliari

Corrispondenza: prof. Marco G. Baroni, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università Sapienza di Roma, Policlinico Umberto I, viale Regina Elena 324, 00161 Roma • e-mail: marco.baroni@uniroma1.it

Pervenuto l’11-10-2016 • Revisione del 06-11-2016 • Accettato il 07-11-2016

Parole chiave: diabete di tipo 1, autoanticorpi, linfociti T, insulite, selezione clonale, mimetismo molecolare, tolleranza immunologica, si- stema maggiore di istocompatibilità • Key words: type 1 diabetes, autoantibodies, T lymphocytes, insulite, clonal selection, molecu- lar mimicry, immune tolerance, major histocompatibility system

Abbreviazioni: APC, antigen-presenting cell, cellula presentante l’antigene; CBV-4, Coxackie B4; CTL, linfociti T citotossici; DC, cellule den- dritiche mature; DMT1, diabete di tipo 1; EV, enterovirus; GAD, glutamic acid decarboxylase, decarbossilasi dell’acido glutammico;

GADA, GAD autoantibodies; GWA, genome wide association; HLA, human leukocyte antigen, antigene leucocitario umano; HSP60, heat shock protein 60; IA-2, tirosina-fosfatasi; IA2-A, IA2 autoantibodies; IAA, insulin autoantibodies, autoanticorpi anti-insulina; ICA, islet cel- lautoantibodies, autoanticorpi anti-insula; 38 kDa sg, 38 kDa insulin secretory-granule antigen, 38 kDa proteina del granulo di secrezione dell’insulina; MHC, major histocompatibility complex, complesso maggiore di istocompatibilità; NK, natural killer; P69, pancreatic antigen 69;

PI, proinsulina; TCR, T cell receptor, recettore delle cellule T; Tfh, follicular helper T cell; Th1, cellule T helper 1; Th2, cellule T helper 2; Treg, cellule T regolatorie; ZnT8, trasportatore dello zinco; ZnT8A, ZnT8 autoantibodies.

RIASSUNTO

Il diabete di tipo 1 rappresenta un esempio patognomonico delle malattie multifattoriali. Su un background di predisposizione genetica, fattori ambientali (multipli e differenti tra persone e popolazioni) agiscono per attivare una riposta autoimmune che causa la distruzione delle β-cellule pancreatiche. Difetti o alterazione nella riposta innata, insieme a difetti nel controllo della riposta immunitaria (attraverso alterazioni nella selezione clonale timica, fenomeni di mimetismo molecolare, soppressione immune) sono tutti coinvolti nella distruzione β-cellulare. In ultimo, i linfociti T, nella loro funzione regolatoria, helper e citotossica, sono i determinanti finali del processo autoimmune che porta al diabete di tipo 1.

SUMMARY

The autoimmune pathogenesis of type 1 diabetes

Type 1 diabetes is the pathognomonic example of a multifactorial disease. Against a background of genetic predisposition, environmental factors (multiple and different in different patients and populations) trigger an autoimmune response that causes the destruction of pancreatic β-cells. Altered or defective innate immunity, together with defective control of the immune response (by alterations in clonal selection, molecular mimicry, immune suppression) are all involved in the autoimmune destruction of these cells.

Ultimately, T lymphocytes, in either their regulatory, helper or cytotoxic functions, are the final determinants of the autoimmune process that leads to type 1 diabetes.

Introduzione

La storia naturale del diabete di tipo 1 (DMT1) ci per- mette di osservare quali siano i fattori principalmente coinvolti nell’eziopatogenesi della malattia e di capire la sequenza degli eventi che portano al processo distrut- tivo delle β-cellule pancreatiche (Fig. 1). Come altre ma- lattie autoimmuni, il diabete di tipo 1 è una patologia multifattoriale in cui, a un background di predisposi- zione genetica si associa un evento scatenante in grado di superare la tolleranza periferica, con promozione di meccanismi autoimmunitari come l’attivazione di linfo- citi autoreattivi. Nelle prime fasi quest’attività autoim- munitaria, pur non essendo clinicamente individuabile, è dimostrata dalla presenza di autoanticorpi diretti con-

Tempo

Massa β-cellulare

Fattori ambientali

Anormalità immunologica Autoanticorpi

(ICA, GADA, IA2-A, IAA, ZnT8A)

Perdita progressiva del rilascio di insulina

Intolleranza al glucosio Assenza di peptide C Predisposizione

genetica

Pre-diabete precoce

Pre-diabete tardivo Diabete

conclamato

Figura 1 Modello della storia naturale del diabete di tipo 1.

tro alcuni antigeni β-cellulari. Con il progredire della risposta autoimmune si determina la distruzione com-

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50 geni. A parte l’HLA, gli altri geni conferiscono indivi- dualmente un modesto aumento del rischio di sviluppare diabete di tipo 1. Fra gli altri geni trovati associati, vanno citati il gene PTPN22, coinvolto nella regolazione della ri- sposta immune innata, nell’attivazione T-cellulare e nella proliferazione delle cellule NK, e il gene dell’insulina (IDDM2), in particolare la sua regione variabile (INS- VNTR).

Fattori ambientali

In molti dei Paesi sviluppati l’incidenza del DMT1 è au- mentata troppo rapidamente per essere spiegata solo dalla componente genetica(6). Questo aumento rappre- senta la migliore prova dell’influenza di fattori ambientali nella patogenesi della malattia(7,8). La valutazione di fat- tori ambientali quali virus, batteri, cambiamenti legati al- l’alimentazione, fattori antropometrici e psicosociali sono in corso di studio in trial clinici osservazionali, come nello studio TEDDY, che ha lo scopo di accertare determinanti ambientali in grado di innescare autoimmunità nelle β-cellule e di accelerare o rallentare la progressione dal- l’esordio clinico in soggetti con persistente autoimmu- nità(9).

Secondo la “teoria dell’igiene”(10), vi è un rapporto in- verso tra le condizioni igieniche e l’aumento d’incidenza delle malattie autoimmuni. Fra i vari fattori ambientali as- sociati alla “teoria dell’igiene” i virus sono sempre stati chiamati in causa come possibili fattori scatenanti della malattia e tra questi gli enterovirus (EV), in particolare i virus Coxackie B4 (CBV-4). I dati epidemiologici hanno costantemente dimostrato un aumento dell’incidenza di diabete di tipo 1 in presenza di epidemie causate da en- terovirus(11). Inoltre, CBV-4 sono stati isolati da pazienti all’esordio del diabete, e alcuni di questi sono stati in grado di indurre la malattia in modelli animali(12). Livelli elevati di anticorpi IgM specifici per CBV sono stati os- servati in diabetici di tipo 1 neodiagnosticati(13)e, infine, la presenza di RNA specifico di EV è stato dimostrato in questi pazienti, a indicare la presenza di infezioni in atto(14). EV-RNA è stato trovato nel 50% dei bambini al- l’esordio del diabete di tipo 1, e in nessuno dei bambini sani di controllo. Recenti studi osservazionali hanno rive- lato la presenza di proteine immunoreattive del capside enterovirale, VP1, all’interno delle β-cellule in soggetti af- fetti da DMT1(15,16). Malgrado queste evidenze, il ruolo delle infezioni virali come causa di perdita delle β-cellule nel diabete resta ancora da chiarire.

Fra i fattori alimentari, studi ecologici mostrano un’asso- ciazione tra consumo di latte e incidenza di DMT1, e i dati epidemiologici confermano l’associazione tra l’in- serimento precoce di proteine del latte vaccino e au- mentata incidenza di DMT1. Anche studi su modelli sperimentali animali dimostrano che l’eliminazione di pleta delle β-cellule e la comparsa dell’iperglicemia(1).

Gli elementi coinvolti nell’eziopatogenesi del diabete di tipo 1 comprendono quindi fattori genetici, fattori am- bientali e sistema immunitario.

Fattori genetici

Da un punto di vista genetico la caratteristica comune del diabete di tipo 1 e delle altre malattie multifattoriali è l’assenza di una specifica corrispondenza tra genotipo e fenotipo, tipica invece delle patologie monogeniche.

Nelle malattie multifattoriali una qualunque variante ezio- logica non segrega costantemente con la patologia, poi- ché non ne è la causa, ma determina solo un aumentato rischio. Questo spiega la ridotta penetranza di ciascun polimorfismo considerato singolarmente, e rende molto difficoltoso il mappaggio dei geni coinvolti nel DMT1.

Sono numerosissimi i geni o i loci cromosomici che sono stati trovati in linkage con la malattia(2,3). Una vasta ri- cerca genomica ha dimostrato che, nonostante vi siano molti geni responsabili dello sviluppo del diabete, i più importanti sono legati all’MHC (complesso maggiore di istocompatibilità), e in particolare all’antigene leucocita- rio umano (HLA), il locus dei geni che codificano le proteine responsabili per la regolazione del sistema im- munitario nell’uomo. Si tratta di un gruppo di geni poli- morfici costituito da 30 unità, localizzate nell’uomo sul braccio corto del cromosoma 6. Le molecole dell’HLA di classe II (DP, DM, DOA, DOB, DQ e DR) sono attive nei fenomeni di cooperazione cellulare che si verificano nel- l’ambito della risposta immunitaria. Le molecole HLA sono il prodotto dei geni corrispondenti, e i più impor- tanti sono DP, DQ e DR. In particolare alcuni alleli dei geni DR e DQ sono fortemente associati al DMT1 e con- tribuiscono fino al 50% del rischio(3). L’associazione con la malattia si ha solamente in presenza di aplotipi con al- leli di suscettibilità a entrambi i loci DQB1 e DRB1. Nella popolazione caucasica l’associazione è più marcata con gli alleli HLA-DR3 e -DR4 e con alcuni alleli del locus HLA- DQB1 (DQB1*0302 e DQB1*0201)(4). In generale l’as- sociazione dei vari aplotipi con la malattia esibisce un continuum che va da aplotipi altamente predisponenti ad aplotipi fortemente protettivi, passando attraverso aplotipi neutrali e moderatamente protettivi.

Il meccanismo con il quale alcuni alleli HLA conferiscono suscettibilità alla malattia non è stato del tutto chiarito.

Tuttavia è stato ipotizzato che possa dipendere da una ridotta affinità di legame con gli autoantigeni, per cui cellule autoreattive sfuggono alla selezione clonale timica (vedi sezione successiva) e sono presenti in periferia(5). All’opposto, i geni protettivi sarebbero dotati di alta affi- nità, determinando un’efficiente selezione clonale.

A oggi, studi di genome wide association (GWA) hanno dimostrato l’associazione tra diabete di tipo 1 e più di

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stati identificati in pazienti con DMT1 gli autoanticorpi diretti contro il trasportatore dello zinco-8 (ZnT8A), una proteina di membrana con abbondante espressione nei granuli secretori delle β-cellule(26-28). Essi sono individuati nel 60-80% di DMT1 di recente insorgenza e in meno del 2% dei soggetti di controllo(25). Inoltre gli ZnT8A sono stati osservati nel 26% dei soggetti con DMT1 classificati in precedenza come anticorpo-negativi, permettendo quindi di rivalutare la diagnosi(29). Se venissero dosati tutti i 4 marcatori nei soggetti affetti da DMT1 all’esordio, solo il 2-4% risulterebbe anticorpo-negativo, meno del 10%

avrebbe solo un marcatore positivo e circa il 70%

avrebbe tre o quattro marker di positività(24). È interes- sante notare come i più importanti autoantigeni a oggi conosciuti per il DMT1 siano tutti correlati all’apparato secretore della β-cellula, inclusi gli ultimi anticorpi iden- tificati (ZnT8A)(25).

Sistema immunitario

La presenza di concentrazioni elevate di autoanticorpi cir- colanti diretti verso antigeni autologhi mette in evidenza l’importanza della tolleranza immunologica, cioè della capacità di riconoscere antigeni “self” da “non-self” nello sviluppo delle patologie autoimmuni, come nel caso del diabete di tipo 1. L’iperglicemia cronica è il risultato, nel diabete autoimmune, della distruzione selettiva delle β-cellule insulari pancreatiche, processo che ormai è noto essere mediato principalmente dai linfociti T. Infatti, que- ste cellule sono quelle più rappresentate a livello degli in- filtrati insulari e sono le uniche in grado di trasferire la malattia da animali diabetici ad animali sani. Inoltre la loro presenza negli animali geneticamente suscettibili allo sviluppo del diabete, come il topo NOD, è fondamen- tale affinché si sviluppi la malattia, come dimostrato dal fatto che animali timectomizzati o trattati con sostanze che inibiscono selettivamente la funzione dei linfociti T non sviluppano mai il diabete.

I meccanismi per indurre la tolleranza al “self” sono rap- presentati dall’eliminazione dei linfociti T immaturi che incontrano gli autoantigeni durante il loro processo di sviluppo (selezione negativa), e dalla delezione o inatti- vazione funzionale dei linfociti T maturi che incontrano gli autoantigeni nel corso della vita. Lo scatenarsi della risposta immunitaria nei confronti di autoantigeni, quindi, può essere la conseguenza di difetti sia nella tol- leranza centrale (mancata selezione clonale) sia in quella periferica.

Sia i linfociti T con fenotipo CD4 (T helper) sia quelli CD8 (T cytotoxic) sono coinvolti nella patogenesi del diabete.

Le informazioni disponibili in letteratura indicano che un tipico reperto patognomico nel DMT1 è la presenza di infiltrati linfocitari (insulite) nelle isole di Langherans che contengono le cellule T CD8 (il più abbondante tipo cel- lulare) seguito dalle cellule B, dai linfociti T CD4, da cel- proteine del latte dalla dieta riduce l’incidenza di diabete

e studi immunologici dimostrano la presenza di anticorpi e linfociti attivati verso proteine del latte in pazienti con DMT1(17).

L’importanza della dieta e il conseguente coinvolgimento del sistema gastrointestinale nell’eziologia del diabete di tipo 1, è suggerito anche da alcune differenze riscontrate nella composizione del microbiota intestinale di soggetti affetti o con evidenza di autoimmunità β-cellulare e sog- getti sani(18,19). Studi condotti fino a ora sul microbiota intestinale (BABYDIET e DIPP) hanno dato risultati non del tutto in linea tra loro, probabilmente per alcuni fat- tori confondenti come l’area geografica, la dieta e l’in- sufficiente numerosità delle casistiche. Ci sono inoltre prove che il genoma umano possa in qualche maniera controllare la composizione della flora batterica intesti- nale, tuttavia non è noto se una predisposizione gene- tica al DMT1 (genotipo HLA) influisca su questa stessa composizione(20).

Fattori immunologici

Autoanticorpi

La presenza in circolo di autoanticorpi diretti contro il pancreas endocrino incrementa in modo significativo il ri- schio di sviluppare diabete di tipo 1(21-23). Già nella fase subclinica del DMT1 sono riscontrabili autoanticorpi spe- cifici diretti contro antigeni delle isole pancreatiche, ma essi sono un epifenomeno della malattia (non sono cioè patogenetici), rappresentando un valido marcatore sie- rologico di autoimmunità e costituendo un elemento fondamentale per la diagnosi di diabete. Inoltre, il loro dosaggio può aiutare a identificare con maggiore sensi- bilità e specificità coloro i quali siano maggiormente pre- disposti a sviluppare il DMT1 nell’arco della loro vita(24). Gli anticorpi contro il pancreas endocrino attualmente meglio conosciuti e dosati sono gli ICA, i GADA, gli IA2-A, gli IAA e l’ultimo anticorpo scoperto, diretto contro il tra- sportatore dello zinco (ZnT8A)(25).

Dei diversi marker immunologici per il diabete di tipo 1, gli ICA descritti per la prima volta nel 1974, hanno rap- presentato il “gold standard” per la determinazione di anticorpi anti-insula per oltre 15 anni, ma a causa della complessità dell’analisi gli ICA non rappresentano più da svariati anni l’esame di riferimento per la malattia diabe- tica e trovano oggi spazio estremamente limitato nella pratica clinica.

Gli anticorpi che adesso sono utilizzati come marcatori della malattia sono quelli rivolti verso la decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD), l’insulina, la tirosina-fosfa- tasi (IA-2) e il trasportatore dello zinco (ZnT8). Questi an- ticorpi sono presenti in oltre il 90% dei soggetti con diabete di tipo 1 all’esordio, anche se i livelli variano a seconda dell’etnia e dell’età. Proprio in anni recenti sono

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Figura 2 I maggiori componenti della rispo- sta immunitaria coin- volti nel processo multi- fattoriale che porta alla distruzione β-cellulare nel diabete di tipo 1.

tiva, le APC possono presentare peptidi antigenici a cel- lule T regolatorie (Treg), che in condizioni normali sop- primono la cascata proinfiammatoria e impediscono la distruzione delle β-cellule. Come illustrato in figura 2, molte alterazioni immunologiche (nei riquadri) distin- guono i pazienti con DMT1 dai soggetti sani.

Sia i linfociti T CD4 sia i CD8 riconoscono gli antigeni at- traverso un recettore di superficie denominato TCR (T cell receptor) costituito da una catena α e una β. Il riconosci- mento dell’antigene è reso possibile solo se è presentato da parte di molecole HLA espresse sulla superficie delle cellule APC. I linfociti T autoreattivi nel DMT1 mostrano reattività nei confronti di diversi antigeni insulari. La na- tura di questi antigeni e il loro ruolo nella patogenesi del DMT1 sono tuttavia ancora molto dibattute.

Come nel caso degli anticorpi, anche le risposte T cellu- lari sono state descritte nei confronti di almeno una de- cina di autoantigeni pancreatici, tra cui l’insulina, che sono poi gli stessi verso cui reagiscono gli anticorpi(36) (Tab. 1). D’altra parte, è improbabile che le risposte T e B cellulari nei confronti di un numero così elevato di au- toantigeni siano tutte primarie o patogenetiche. È più probabile invece che la risposta autoimmune cellulo- mediata verso un antigene primario induca un certo grado di danno tessutale con rilascio di prodotti di de- gradazione che a loro volta possono determinare l’in - duzione di risposte immuni secondarie e contribuire al- l’estensione e alla cronicizzazione del processo. Nel gergo immunologico questo fenomeno viene definito molecu- lar and epitope spreading ed è un meccanismo ben noto che è generalmente attribuito alla produzione di cito- chine da parte della prima ondata di cellule autoreattive nei confronti di un epitopo immunodominante di un lule NK (natural killer) e macrofagi(30,31). Tutti questi di-

versi sottoinsiemi di cellule immunitarie possono svolgere ruoli differenti e contribuire alla patogenesi del DMT1, operando simultaneamente ad altre cellule e/o fattori in fasi differenti nel corso della risposta autoimmune che caratterizza la patologia.

Entrambe le linee cellulari T CD4 e T CD8 hanno dato evidenza di essere in grado di promuovere e sostenere in modo significativo l’infiammazione e la morte delle β-cellule(32). Tuttavia i meccanismi non sono del tutto chiariti. Essi seguono tipicamente una fase iniziale carat- terizzata da molteplici anomalie nella risposta immunita- ria innata(33), tra cui deficit nella tolleranza immu- nologica in cellule dendritiche mature (DC) insieme a de- ficit di cellule NK(34)e alterazione nella funzione e diffe- renziazione dei macrofagi (per esempio ridotta fagocitosi nelle β-cellule apoptotiche)(35). A queste anomalie nella risposta innata seguono meccanismi di attivazione o re- pressione delle varie componenti del sistema immunita- rio che determinano, alla fine, la distruzione β-cellulare.

Come illustrato in figura 2, diverse sono le componenti del sistema immunitario coinvolte nel processo che porta alla distruzione delle β-cellule nel DMT1. Le proteine delle β-cellule danneggiate vengono fagocitate da cellule pre- sentanti l’antigene (antigen-presenting cell, APC), come le cellule dendritiche o i macrofagi. Le APC elaborano queste proteine in frammenti di peptidi che sono pre- sentati da molecole HLA di classe II alle cellule T helper 1 proinfiammatorie (Th1); queste cellule, a loro volta, atti- vano una cascata di risposte immunitarie, tra cui l’attiva- zione delle cellule B (che producono autoanticorpi specifici contro antigeni insulari) e dei linfociti T citotos- sici (CTL) specifici contro antigeni β-cellulari. In alterna-

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Tabella 1 Target della risposta autoimmune nel diabete di tipo 1.

Autoantigeni Anticorpi Risposta T-cellulare

Insulina + +

GAD 65/67 + +

IA2 + ?

ICA512 + ?

P69 + +

HSP60 + +

Periferina + +

Carbossipeptidasi H + +

Gangliosidi + ?

38 kDa sg ? +

modelli murini mostra che le cellule T sono attive verso peptidi “ibridi” formati dalla fusione di un peptide deri- vato dalla PI con altri peptidi derivati da proteine presenti nelle β-cellule pancreatiche. Inoltre, le cellule T isolate dalle isole pancreatiche di due persone con DMT1 hanno riconosciuto tali peptidi ibridi, suggerendo che essi pos- sano svolgere un ruolo importante nella malattia(41). L’analisi biochimica di estratti delle insule ha rivelato che i cloni T cellulari riconoscono peptidi ibridi formati da frammenti di proinsulina e altri peptidi. La produzione di peptidi ibridi o peptide splicing si verifica durante la de- gradazione degli antigeni da parte del proteasoma. Al- cune linee di ricerca ipotizzano che l’affollamento molecolare di peptide nei granuli di secrezione possa es- sere alla base della comparsa di reazioni di transpeptida- zione, in grado di determinare la creazione di peptidi ibridi. La modificazione di peptidi naturali li rende “stra- nieri” per il sistema immunitario e quindi target di cel- lule T autoreattive. Poiché è molto improbabile che peptidi ibridi siano prodotti nel timo, le cellule T saranno sfuggite alla selezione clonale negativa e quindi ai mec- canismi di tolleranza-self, e potranno poi svolgere un ruolo nell’autoimmunità cellulare. L’identificazione di peptidi ibridi dell’insulina offre quindi una possibile spie- gazione di come cellule T CD4+ possano sfuggire alla se- lezione clonale timica, e possano poi subire una potente attivazione quando arrivano in presenza degli ibridi nelle β-cellule.

In ogni caso, quale che sia l’antigene primario nell’indu- zione dei fenomeni autoimmuni nel diabete, la questione più dibattuta rimane quella del perché e in che modo si viene a perdere il fisiologico meccanismo di tolleranza verso molecole cosiddette “self”. Esistono tre ipotesi prin- cipali per spiegare questo fenomeno, nel diabete come in altre malattie autoimmuni organo-specifiche: un difetto nella selezione del repertorio linfocitario a livello timico;

un aggiramento dell’anergia periferica (mimetismo mo- lecolare) e un’alterazione dei meccanismi soppressori.

Mancata selezione clonale timica

Una caratteristica fondamentale del sistema immunitario consiste nel mantenimento di uno stato fisiologico di tol- leranza nei confronti della maggior parte degli antigeni self. Questo stato di tolleranza è controllato principal- mente a livello del timo, dove avviene la selezione del re- pertorio linfocitario, attraverso meccanismi basati sul riconoscimento di antigeni autologhi che prevengono la maturazione o l’attivazione dei linfociti potenzialmente autoreattivi. I linfociti che possiedono un TCR specifico per antigeni self vanno incontro in questo modo a sele- zione negativa, cioè vengono inattivati o mediante delezione clonale (morte cellulare dipendente dall’atti- vazione) o mediante l’anergia clonale (sopravvivenza antigene primario a livello dell’organo bersaglio, che de-

termina la perdita di tolleranza nei confronti di altri anti- geni con un meccanismo a cascata.

Una situazione di questo tipo è stata descritta nel topo NOD in cui è stata studiata la cronologia della comparsa di autoreattività T cellulare nei confronti di alcuni auto- antigeni β-cellulari. Alcuni studi hanno dimostrato che la reattività cellulare alla GAD è la prima a comparire, in- torno alla terza settimana di vita, seguita con alcune set- timane di distanza dalla comparsa di reattività nei confronti degli altri antigeni insulari(37-39). Un gran nu- mero di autoantigeni, generalmente riconosciuti da au- toanticorpi, sono stati identificati e sono target di cellule CD8+ e CD4+ che possono contribuire alla distruzione delle β-cellule, ma possono avere anche un ruolo protet- tivo. (Pre) proinsulina ([P] PI), GAD, IA-2 e ZnT8 svolgono un ruolo particolarmente importante e sono riconosciuti da autoanticorpi rilevabili mediante test clinici laborato- ristici(40). Dato che la presenza di particolari autoantigeni fornisce specificità al DMT1, numerosi sforzi sono stati fatti sia per sviluppare saggi che determinino la presenza di autoantigeni e per il monitoraggio delle risposte pa- tologiche delle cellule T verso questi autoantigeni, sia per cercare di progettare e sviluppare strategie terapeutiche che in maniera specifica inibiscano tale risposta. Le sem- pre maggiori conoscenze però mostrano che è necessa- rio investire ancora in questo campo, dove i risultati recenti sono ancora discordanti e poco riproducibili, prima di potere immaginare una terapia immunologica a base autoantigenica che possa portare risultati soddi- sfacenti. Attualmente l’insulina rimane senza dubbio l’au- toantigene “numero uno” nel modello NOD di DMT1, non solo a causa della sua espressione ristretta alle β-cel- lule, l’associazione del suo polimorfismo genetico con ri- schio di malattia e il ruolo del suo riconoscimento nella risposta autoimmune iniziale, ma anche perché la base strutturale del suo riconoscimento da cellule T CD4+ è ben compresa e fornisce ulteriori elementi di prova per il ruolo chiave di insolite interazioni TCR-peptide MHC nel DMT1(40). Un interessante recente studio condotto su

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Deficit nella funzione soppressoria

Un ulteriore meccanismo invocato per spiegare l’indu- zione di autoreattività T cellulare nel diabete è quello di un deficit nella funzione soppressoria.

Un difetto di attività soppressoria è ritenuto essere im- plicato nello sviluppo del diabete nel topo NOD. Infatti, dallo studio dell’insulite in questo modello animale si è visto che la risposta diabetogenica consiste in una serie di stadi successivi che culminano con la distruzione massiva delle β-cellule e con la comparsa del diabete. Nelle fasi iniziali, a livello delle isole normali, cominciano a com- parire le prime cellule infiltranti che dalla quarta setti- mana circa formano un infiltrato, limitato alla periferia dell’isola, definito peri-insulite o insulite non distruttiva, poiché si accompagna alla relativa conservazione della massa β-cellulare. Successivamente, con il progredire della risposta immunoinfiammatoria, le cellule infiltranti penetrano nella compagine dell’isola dando luogo a quella che viene definita insulite distruttiva che è appunto caratterizzata da perdita significativa della massa β-cellu- lare. Il fatto che non tutti gli animali progrediscano dalla fase di insulite non distruttiva a quella di insulite distrut- tiva, e in particolare che la mancata progressione è asso- ciata a protezione dalla malattia, ha condotto all’ipotesi dell’esistenza di meccanismi di soppressione che con- trollano la progressione dell’insulite.

Nell’uomo, in presenza di condizioni fisiologiche normali, la maggior parte delle cellule self autoreattive sono elimi- nate nel timo attraverso il meccanismo descritto in pre- cedenza di “selezione clonale”, oppure possono essere attivamente soppresse da cellule Treg. I linfociti Treg, sub- set di cellule T, hanno suscitato particolare interesse es- sendo caratterizzati dalla capacità di calibrare l’attivazione e l’espansione di cloni di linfociti T autoreattivi durante la risposta immunitaria(46,47), sopprimendo le risposte effet- trici di altre cellule e costituendo un importante “self- check” insito nel sistema immunitario, capace di prevenire reazioni eccessive una volta che l’antigene è stato elimi- nato, limitando così il danno tessutale. Le Treg derivano da diversi tipi cellulari, alcune esprimono la glicoproteina di membrana CD8, altre CD4-CD25 e Foxp3, altre si dif- ferenziano da tipi a funzione soppressoria. Si riconoscono per le citochine prodotte, TGF-β, IL-10, per la scarsa atti- tudine proliferativa, per una bassa produzione di citochine linfotrope (in particolare IL-2 e INF-γ) e per la capacità di sopprimere la produzione di queste citochine anche in cellule effettrici attivate come CD8+ (CTL), CD4+ (a fun- zione Th1 o Th2), NK, DC e macrofagi.

Linfociti CD4

Anche se la natura e l’interazione di questi meccanismi non sono del tutto note, è sempre più chiaro che la dif- delle cellule autoreattive che però non vengono attivate

dal legame con l’antigene) o mediante indifferenza clo- nale (mantenimento di competenza funzionale senza ri- sposta agli antigeni specifici in vivo).

È stato quindi ipotizzato che nel diabete possa esistere un’alterazione nel processo di selezione negativa dei lin- fociti T potenzialmente autoreattivi. I meccanismi bio- chimici che controllano la selezione timica sono ancora in gran parte sconosciuti, anche se recentemente è stato dimostrato che un ruolo molto importante viene svolto dalle molecole HLA, le quali hanno la funzione di pre- sentare gli antigeni self ai linfociti T immaturi che, rico- noscendoli, vanno incontro a selezione negativa. Nel topo NOD è stato dimostrato che le molecole codificate dagli alleli MHC di suscettibilità al diabete legano i pep- tidi derivati dagli antigeni insulari con bassa affinità, me- diando un’inefficiente presentazione degli autoantigeni alle cellule T autoreattive. Di conseguenza è stato ipo- tizzato che la debole affinità di legame MHC con i pep- tidi antigenici self potrebbe determinare una ridotta capacità delle APC di mediare un’efficiente selezione ne- gativa, che sarebbe alla base della persistenza di cellule autoreattive che in questo modo hanno la possibilità di raggiungere la periferia(3). Un esempio di possibile man- cata selezione clonale viene dall’osservazione del- l’espressione del VNTR di classe I del gene dell’insulina, che risulta poco espresso a livello timico (determinando un segnale debole di riconoscimento, soprattutto in co- presenza di HLA di rischio) e molto di più a livello delle β-cellule, dove potrebbe indurre una maggiore risposta antigenica(42).

Mimetismo molecolare

Un altro meccanismo proposto per spiegare l’attivazione e l’espansione delle cellule autoreattive che raggiungono la periferia è quello del mimetismo molecolare. Questo consiste in una risposta immunitaria nei confronti di un antigene esogeno, come potrebbe essere una proteina virale che possiede una sequenza di aminoacidi in co- mune con una proteina β-cellulare. Quindi, allorché que- sta proteina viene presentata ai linfociti T, questi vanno incontro ad attivazione ed espansione clonale, ma poi- ché riconoscono anche l’autoantigene omologo espresso dalle β-cellule, sono capaci di reagire anche nei confronti di esse causandone la distruzione.

A questo proposito è stato dimostrato che il virus Coxsa- kie B4 possiede un’omologia di sequenza con la GAD(43), e che risposte nei confronti di questi due antigeni sono state descritte in pazienti con DMT1(44,45). Questo po- trebbe quindi costituire un esempio di come i meccani- smi di tolleranza potrebbero essere bypassati o aggirati dall’induzione di una risposta immunitaria contro una proteina esogena.

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Induzione di immunità cellulo- mediata con infiammazione distruttiva

Ridotta reattività cellulare (anergia) Attivazione delle β-cellule e immunoglobune IgE Risposte degli eosinofili Interferone-γ

Interleuchina-2 Interleuchina-4

Interleuchina-5 Interleuchina-10

Th1 Th2 Th1 Th2

Figura 3 Linfociti T helper Th1 e Th2 e loro effetti.

In conclusione si può affermare che, data la patogenesi multifattoriale e l’eterogeneità della malattia, le varie ipo- tesi presentate non si escludono a vicenda e quindi di- versi meccanismi potrebbero concorrere a determinare l’espressione completa del DMT1.

Inoltre, non è necessario che le alterazioni debbano es- sere uguali in tutti gli individui affetti. Quello che è certo è che una volta chiarito quale sia veramente il contributo di ciascuna di queste alterazioni alla patogenesi della ma- lattia, allora sarà possibile offrire nuove opportunità te- rapeutiche più selettive e mirate a eliminare le cellule autoreattive o a renderle inoffensive.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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ferenziazione cellulare dei linfociti T CD4 comporta pro- fonde conseguenze nella successiva produzione di cito- chine e nel diverso potenziale migratorio. Diversi studi hanno valutato il ruolo delle sottoclassi dei linfociti T hel- per Th1 e Th2 e dello sbilanciamento dei rapporti di que- ste sottoclassi nei meccanismi patogenetici che portano al DMT1. Le cellule Th1 producono IFN-γ, linfotossina e IL-2 (Fig. 3), e sono essenzialmente coinvolte nello sti- molo di potenti reazioni immunitarie cellulo-mediate, mentre le cellule Th2 che producono IL-4, IL-5, IL-6, IL-9 e IL-10, sono più attive nello stimolare la produzio- ne di anticorpi e inibiscono invece l’attività cellulo- mediata(48,49)(Fig. 3).

I primi modelli di differenziazione delle cellule T sono stati incentrati principalmente sulla dicotomia tra cellule Th1 e Th2 che mostra il DMT1 come una patologia Th1- mediata. È stato dimostrato che nel topo NOD livelli ele- vati di INF-γ si riscontrano a livello degli infiltrati caratte- rizzati da insulite distruttiva, mentre elevati livelli di IL-4, che rappresentano l’espressione di una maggiore attiva- zione delle cellule Th2, sono rilevabili a livello dei topi maschi caratterizzati da insulite non distruttiva. Nono- stante il numero considerevole di dati prodotti a sup- porto di questa teoria, manca una consistente evidenza a favore di questa conclusione, tanto che, del tutto in contrasto, alcuni studi sul topo NOD hanno mostrato un ruolo importante nella distruzione β-cellulare della linea cellulare Th2(50)e altri lavori hanno invece concluso che potrebbero essere coinvolti entrambi i tipi di risposta(51). Dati recenti suggeriscono che la differenziazione delle cellule T sia ancora più varia di quanto dimostrato fin ora(52), con la possibilità di una vasta selezione di fenotipi funzionali: viene proposta una visione più sfumata di dif- ferenziazione delle cellule T nel DMT1 che non si con- centra esclusivamente sulle cellule Th1, ma comprende anche il possibile coinvolgimento di altre cellule T come le Tfh (follicular helper T cell) che producono IL-21, e le cellule T co-produttrici di INF-γ e IL-17(53-55).

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