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Il nuovo rito abbreviato: verso un effetto realmente deflattivo dei procedimenti speciali?

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

Il “nuovo” rito abbreviato: verso un effetto realmente deflattivo dei procedimenti speciali?

The “new” abbreviated trial procedure: toward a really deflationary effect of special procedures?

17 Febbraio 2022 Italia Caminiti

Abstract

La legge n. 134 del 2021 propone temi di rinnovamento di tutti i procedimenti speciali contemplati nel nostro ordinamento processuale penale: in particolare, l’art. 1, comma 10, lett. b) focalizza la propria attenzione sul giudizio abbreviato e indica al legislatore delegato tre direttive di modifica del predetto rito.

In primo luogo, si prevede che, nel caso in cui la richiesta da parte dell’imputato sia condizionata ad una integrazione probatoria del fascicolo processuale, il giudice ammetta la parte al procedimento speciale solo se l’integrazione richiesta “risulta necessaria ai fini della decisione” e “il procedimento speciale produce un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale”.

Si contempla, inoltre, un’ulteriore riduzione di un sesto della pena inflitta in caso di condanna, qualora l’imputato non proponga impugnazione: il compito di applicare tale bonus supplementare è attribuito al giudice dell’esecuzione.

Viene, infine, prevista l’abrogazione delle norme che impongono la notifica della sentenza all’imputato che non sia comparso in udienza.

Dando uno sguardo di insieme alle indicate direttive di modifica, è evidente la loro finalità, da un lato, di garantire una significativa ed effettiva contrazione dei tempi processuali come effetto della scelta del rito abbreviato e, dall’altro, di incrementare la premialità di tale procedimento speciale attraverso la contropartita dell’ulteriore sconto di pena garantito all’imputato condannato e silente che – da parte sua – rinunci al diritto di impugnare la sentenza di condanna a suo carico.

Restano, tuttavia, fermi due interrogativi per gli operatori del diritto: in primo luogo, se le finalità perseguite non fossero già state l’obiettivo perseguito – con alterne sorti – in occasione delle ultime modifiche introdotte al rito abbreviato; in secondo luogo, se le direttrici di modifica concretamente proposte saranno sufficienti ad assicurare un maggiore ricorso al predetto procedimento speciale.

Law n. 134 of 2021 promises renewal profiles for all special procedures of our criminal procedural system: particularly, article 1, clause 10, lett. b) focuses its attention on abbreviated trial procedure and indicates three guidelines for the change of the abovementioned procedure to the delegated legislator.

Firstly, it is provided that, when the charged person request is contingent upon the probatory integration of the procedural file, the Judge will admit the party to the special procedure if the requested probatory integration “will be necessary for the decision” and “the special procedure will implicate an economy of procedure respect to the duration of the trial”.

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It is also provided a further reduced sentence of one sixth in case of conviction, when the charged person doesn’t appeal the sentence: the function to apply this additional bonus is attributed to the judge responsible for enforcement.

It is finally provided the abrogation of the rules that force the notification of the sentence to the charged person which did not appear at the hearing.

If we take an overview to the mentioned changes guidelines, it is obvious their purpose to guarantee, on one hand, a significant and effective reduction in procedural times as a result of the choice of the abbreviated trial procedure and, on the other hand, to increase the rewarding of this special procedure, through the counterpart of an additional sentence reduction promised to the sentenced person who remains silent and – on his part – renounces to appeal the sentence against him.

Two questions remain, however, for legal practitioner: first of all, if the aims pursued had not already been the goal – with alternating fates – on the occasion of the latest changes introduced to the abbreviated trial procedure; secondly, whether the guidelines for the changes actually proposed will be sufficient to ensure greater recourse to the aforementioned special procedure.

Sommario

1. I profili normativi che hanno caratterizzato il rito abbreviato nel nostro ordinamento 2. Le direttrici di riforma del giudizio abbreviato previste dalla riforma Cartabia

3. Prime riflessioni sull’impatto che le modifiche suggerite dalla riforma potranno determinare sulla scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato

Summary

1. The law rules outlines that have characterized the abbreviated trial procedure

2. The guidelines for the reform of the abbreviated trial procedure provided by the “Cartabia reform”

3. Initial reflections on the impact that the changes suggested by the reform may have on the choice of the abbreviated trial procedure by the accused

1. I profili normativi che hanno caratterizzato il rito abbreviato nel nostro ordinamento

Il giudizio abbreviato rientra nel novero dei procedimenti speciali previsti dal nostro ordinamento nel libro VI del Codice di procedura penale, agli artt. 438 e ss.: il rito, nato con una fisionomia consensuale (per la decisione in ordine all’ammissibilità della richiesta era necessario il consenso del Pubblico Ministero[1]

) e come giudizio esclusivamente “allo stato degli atti” (non era, infatti, possibile alcuna integrazione probatoria), che consentiva di anticipare la valutazione in merito alla colpevolezza o all’innocenza dell’imputato alla fase dell’udienza preliminare e di ottenere – quale contropartita alla rinuncia alle garanzie dibattimentali – una riduzione di pena di un terzo in caso di condanna, è stato poi integralmente ridisegnato dalla legge n. 479 del 1999 (cd. legge Carotti) ed ulteriormente modificato da successivi interventi normativi[2].

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La riforma, che prendeva le mosse da alcune sentenze della Corte costituzionale che avevano dichiarato l’illegittimità di alcuni passaggi caratterizzanti del giudizio abbreviato[3] e dalla necessità di procedere ad una deflazione del rito ordinario in favore di forme processuali più celeri – anche se meno “garantite” – e bilanciate dalla riduzione di pena di un terzo in caso di condanna, ha profondamente ridelineato il perimetro di applicazione del rito qui in disamina[4], prevedendo:

il diritto dell’imputato di accedere al giudizio abbreviato su sua semplice richiesta, senza che la stessa debba essere accompagnata dal consenso del Pubblico Ministero e senza che su di essa il Giudice possa esprimere alcun sindacato di ammissibilità;

la possibilità per l’imputato di chiedere – in alternativa al cd. “abbreviato allo stato degli atti” – il giudizio abbreviato condizionato ad un’integrazione probatoria, riservando, solo in questo caso, al Giudice un potere di valutazione in merito alla necessità del supplemento istruttorio richiesto per la decisione e alla sua compatibilità con le finalità di economia processuale sottese al procedimento speciale e attribuendo al Pubblico Ministero la possibilità di chiedere l’ammissione di prova contraria;

il potere del Giudice di disporre ex officio l’integrazione probatoria, qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti;

il potere del Giudice di procedere a nuove contestazioni, nelle forme e nei tempi previsti dall’art. 423 c.p.p.;

la possibilità per l’imputato di riproporre la richiesta di “abbreviato allo stato degli atti” nel caso di rigetto della richiesta del rito condizionato all’integrazione istruttoria;

il diritto di richiedere l’ammissione al rito anche nel caso in cui il reato contestato sia punito con la pena edittale dell’ergastolo (possibilità prevista nella formulazione originaria poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta[5] e recentemente oggetto di un intervento normativo che la ha – ancora una volta – esclusa [6]).

Già all’indomani dell’entrata in vigore della legge Carotti, tuttavia il Legislatore ha ritenuto di intervenire nuovamente, apportando ulteriori modifiche al giudizio abbreviato, attraverso la legge n. 144 del 2000 (che convertiva il D.L. n. 82 del 2000), la quale ha disciplinato in termini maggiormente garantisti le nuove contestazioni, prevedendo che, qualora esse riguardino un fatto diverso, un reato connesso ai sensi dell’art.

12, comma 1, lett. b) c.p.p. o una circostanza aggravante (ovvero rientrino nelle previsioni di cui all’art.

423, comma 1 c.p.p.), l’imputato possa chiedere che la prosecuzione del procedimento avvenga nelle forme del rito ordinario[7].

Successivamente, dopo il sostanziale fallimento del tentativo di porre degli ulteriori limiti all’appello con riferimento alle sentenze emesse all’esito del giudizio abbreviato[8], la legge n. 103 del 2017 (cd. riforma Orlando) ha ancora una volta modificato – seppure in via più limitata – il rito, introducendo:

la possibilità per il Pubblico Ministero di svolgere indagini suppletive nel caso in cui la richiesta di accesso al giudizio abbreviato venga formulata immediatamente dopo la produzione di indagini difensive da parte dell’imputato[9];

la possibilità per l’imputato di presentare, in subordine alla richiesta di ammissione al giudizio abbreviato condizionato, una richiesta di ammissione al rito abbreviato non condizionato e/o al patteggiamento[10];

la sanatoria delle nullità non assolute, la non rilevabilità della inutilizzabilità diverse da quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio, nonché la preclusione per la deduzione del difetto di competenza territoriale come conseguenza della richiesta del rito[11];

la riduzione di pena della metà, qualora il reato contestato sia una contravvenzione.

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Nonostante la puntuale attenzione dedicata al giudizio abbreviato dal Legislatore e le profonde modifiche apportate alla sua struttura originaria nel corso degli anni, si può sostenere che – anche dopo le evidenti innovazioni introdotte nel tessuto normativo – l’effetto deflattivo ad esso attribuito sin dall’inizio non sia stato affatto raggiunto: in particolare, pur dovendosi riconoscere nel giudizio abbreviato “uno degli strumenti principali per garantire l’efficienza del processo penale che ad oggi non è garantita dal rito ordinario” e pur dovendo ritenersi tale rito “la corsia centrale del processo, ovvero la norma in senso statistico capace di raccogliere il maggior numero di frequenze”[12], statisticamente il ricorso a tale procedimento alternativo è stato sempre inferiore alle aspettative del Legislatore e non ha – di fatto – apportato alcun contributo all’alleggerimento del carico dibattimentale.

Infatti, ad eccezione dei reati di competenza della Corte d’Assise (con riferimento ai quali negli anni 2016 e 2017 sono stati definiti con rito abbreviato rispettivamente il 68% e il 79% dei procedimenti), nel corso del tempo il ricorso al predetto procedimento speciale è andato progressivamente riducendosi, avendo riguardato negli anni 2016-2019 solo il 15% dei casi[13].

Le ragioni del sostanziale fallimento di quella che doveva rappresentare – nelle intenzioni del Legislatore – la colonna portante del procedimento penale possono essere ricondotte “non solo al complesso normativo, generale e specifico, del settore ma anche e, forse soprattutto, alla struttura del sistema d’incentivazione, senza trascurare le distorsioni applicative registratesi nel tempo”[14]: in particolare, in ambito giudiziario, si è riscontrata una evidente ostilità da parte dei magistrati giudicanti a riconoscere al rito abbreviato il valore “premiale” che gli era stato attribuito dal Legislatore e, nella fase immediatamente successiva all’adozione del codice di procedura penale del 1988, si è assistito ad un gran numero di provvedimenti di rigetto delle richieste di ammissione al rito mentre, successivamente alla riforma Carotti, i giudici del merito hanno compiuto scelte di commisurazione della pena da irrogare all’esito del giudizio abbreviato che hanno praticamente vanificato ogni premialità connessa alla scelta del rito[15].

In altri termini, a differenza di quanto accade per il patteggiamento, rito speciale in cui – pur essendo la riduzione della pena prevista “fino ad un terzo” e non esattamente di un terzo come per l’abbreviato – il preventivo accordo con il Pubblico Ministero garantisce una sostanziale certezza della pena da irrogare, nel giudizio abbreviato – una volta effettuata la scelta del rito – non vi è alcuna certezza su quella che potrà essere la pena comminata in caso di condanna: ne consegue la determinazione di un’alea assolutamente ingovernabile, che nel corso degli anni ha determinato una “opportunità” del ricorso al rito solo per quelle – residuali – ipotesi di evidente innocenza dell’imputato o di altrettanto palese incompletezza (in senso favorevole alla difesa) del fascicolo del Pubblico Ministero, che potrebbe invece essere colmata dall’assunzione delle prove in dibattimento.

2. Le direttrici di riforma del giudizio abbreviato previste dalla riforma Cartabia

La legge n. 134 del 2021 (cd. riforma Cartabia) – nel proporsi la finalità di procedere ad una riforma del vigente sistema processuale penale – ha preso atto della necessità di perseguire una maggiore “efficienza del processo e, con essa, della giustizia”[16]: sul punto, è chiarissimo già il titolo della legge, denominata appunto “Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.

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Il recente intervento normativo, infatti, si propone di raggiungere gli obiettivi indicati nel P.N.R.R. e relativi, con specifico riferimento al procedimento penale, ad una riduzione del 25% dei tempi del processo entro i prossimi 5 anni per i tre gradi di giudizio[17].

Proprio al fine di garantire una maggiore efficienza al nostro sistema processuale, la riforma Cartabia non ha potuto trascurare i riti alternativi e la necessità di restituire agli stessi quel ruolo centrale che il Legislatore del 1988 aveva ipotizzato, così da poter scongiurare il collasso del rito ordinario che – allo stato attuale – sembra inesorabile[18].

Il riconoscimento di una funzione propulsiva ai procedimenti speciali non può ovviamente prescindere da una riforma del giudizio abbreviato, che è il rito che maggiormente può rivelarsi – se bene indirizzato – quale alternativa al procedimento ordinario.

In particolare, con riferimento al giudizio abbreviato, l’art. 1, comma 10, lett. b) della legge n. 134 del 2001 indica al legislatore delegato tre direttive di modifica.

In primo luogo, viene annoverato tra i criteri di riforma quello secondo cui, nell’ipotesi di richiesta di ammissione al rito abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria del fascicolo processuale, il giudice ammetta la parte al procedimento speciale solo se l’integrazione richiesta “risulta necessaria ai fini della decisione” e se “il procedimento speciale produce un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale”.

La ratio di tale previsione deve rinvenirsi nella finalità di contemperare le ricordate esigenze di efficienza della giustizia con l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato[19]: l’arricchimento del compendio istruttorio raccolto nelle indagini preliminari, quindi, è ammesso solo se non venga minata l’esigenza di contingentamento dei tempi processuali sottesa al rito abbreviato.

In relazione a questo specifico aspetto, la Quinta Commissione dell’Associazione Nazionale Magistrati ha ritenuto la parametrazione dell’ammissibilità del giudizio abbreviato condizionato a quelli che potrebbero essere i tempi di un ipotetico giudizio dibattimentale “assolutamente positiva”, in quanto “in rapporto al naturale susseguirsi temporale delle prove a carico ed indi a discarico del dibattimento è prevedibile che la seconda condizione di accesso al rito [n.d.r. l’economia processuale dell’integrazione probatoria richiesta rispetto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale] sia piuttosto ordinaria e che la difesa in vista della natura premiale del rito, benché condizionato rigorosamente alle finalità di economia processuale proprie del procedimento, si determini a tale scelta definitoria piuttosto che al giudizio ordinario”[20].

Di contro, si pone come marcatamente negativo, rispetto a tale previsione, il parere dell’Unione delle Camere Penali Italiane, che ritiene in linea generale “assai deludente” l’intervento della legge n. 134 del 2021 sui riti speciali e considera “drastico il ridimensionamento della originaria idea di potenziare il giudizio abbreviato condizionato, che sostanzialmente riporta la regola per la sua ammissione all’attuale e del tutto esiziale criterio di “economicità” del rito speciale richiesto, così vanificando le comuni indicazioni provenienti da Magistratura e Avvocatura in sede di consultazioni, che avevano proposto per l’ammissione del rito il criterio della decisività e della pertinenza della prova indicata”[21].

In secondo luogo, l’art. 1, comma 10, lett. b) della legge n. 134 del 2001 indica come linea di riforma per il Legislatore Delegato il riconoscimento di un’ulteriore riduzione di un sesto della pena inflitta in caso di condanna, qualora l’imputato non proponga impugnazione, attribuendo il compito di applicare tale bonus supplementare al giudice dell’esecuzione.

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È evidente in tale previsione la finalità di disincentivare i giudizi di impugnazione e, ancora una volta, di evitare l’allungamento dei tempi processuali ad essi riconnessi[22]. Tuttavia, su questo specifico aspetto, il parere della Quinta Commissione dell’ANM – pur favorevole – è stato piuttosto tiepido quanto alle sue concrete possibilità di applicazione, “in quanto ben sovrapponibile a quello del cd. concordato in appello, pure proteso all’ottenimento di vantaggi sul trattamento sanzionatorio”[23].

Da ultimo, il menzionato art. 1, comma 10, lett. b) della legge n. 134 del 2001 contempla tra le direttrici di intervento dell’emanando decreto legislativo l’abrogazione delle norme che impongono la notifica della sentenza all’imputato che non sia comparso in udienza.

Anche tale previsione è determinata da finalità di semplificazione e, in particolare, di alleggerimento del carico di lavoro degli uffici: del resto, l’imputato che non è comparso in udienza ha comunque esercitato la scelta del rito e, dunque, ha avuto conoscenza del procedimento. Pertanto, si ritiene di riservare all’onere di quest’ultimo la conoscenza dell’esito del procedimento e delle motivazioni che hanno condotto alla sua condanna o alla sua assoluzione.

Si sottolinea, infine, che nella versione definitiva della legge n. 134 del 2021 non è stata più riproposta l’originaria previsione del disegno di legge di riforma del processo penale, che pure aveva ricevuto il parere positivo della Quinta Commissione dell’ANM[24] e che ipotizzava per i giudizi abbreviati una sorta di doppio binario, riservando quelli cd. semplici (non subordinati ad un’integrazione istruttoria) al GUP – con riferimento ai reati per i quali si contempla lo svolgimento dell’udienza preliminare – e al Tribunale monocratico in un’apposita udienza predibattimentale – con riferimento ai reati a citazione diretta – e quelli condizionati al Tribunale in una sede specificamente dibattimentale.

3. Prime riflessioni sull’impatto che le modifiche suggerite dalla riforma potranno determinare sulla scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato

L’esame della sola legge n. 134 del 2021 – che, in quanto legge delega, con riferimento al rito abbreviato reca unicamente i criteri direttivi di riforma e non le norme puntuali secondo le quali i predetti principi dovranno trovare applicazione – non può certamente consentire la formulazione di un giudizio compiuto sulla riforma di tale procedimento speciale.

Si può però già affermare che risulta difficile ricondurre un effetto propulsivo sul ricorso al procedimento abbreviato come conseguenza delle previsioni relative alla non più necessaria notifica all’imputato che non sia comparso in udienza della sentenza pronunciata in esito al rito e alla ulteriore riduzione della pena di un sesto nel caso di rinuncia da parte dell’imputato all’impugnazione della sentenza di condanna: la prima previsione, infatti, ha un valore esclusivamente limitato all’alleggerimento del carico di lavoro degli uffici, mentre la seconda non ha quell’appeal necessario a determinare l’imputato alla scelta del rito, in quanto – da un lato – non risolve il problema di fondo relativo all’incertezza della quantificazione della pena, che affligge il rito abbreviato e lo rende meno “premiale” rispetto all’applicazione della pena su richiesta e – dall’altro – come correttamente rilevato dalla Quinta Commissione dell’ANM, propone un risultato

“numerico” di quantificazione della pena facilmente raggiungibile attraverso il cd. patteggiamento in appello[25].

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Resta, quindi, da interrogarsi sul reale effetto deflattivo che potrà essere riconosciuto ai “nuovi” criteri di ammissione del rito abbreviato condizionato all’integrazione probatoria: sul punto, ad una prima lettura della legge delega, non sembra esserci in realtà alcun nuovo apporto rispetto all’attuale quadro normativo.

I principi secondo cui l’integrazione probatoria deve essere “necessaria ai fini della decisione” e deve produrre “un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale

”, infatti, sembrano del tutto sovrapponibili all’odierna previsione dell’art. 438, comma 5 c.p.p., che subordina l’ammissibilità del rito abbreviato condizionato ad un giudizio sulla necessità dell’integrazione probatoria ai fini della decisione e sulla compatibilità degli approfondimenti istruttori richiesti con le finalità di economia processuale proprie del procedimento.

Affinché tale previsione possa avere una effettiva portata innovativa, quindi, occorre attendere il decreto legislativo di attuazione e la concreta declinazione che esso darà ai suddetti principi, nell’auspicio che venga restituita certezza in merito all’ammissibilità del rito e che vengano evitate decisioni di rigetto tautologiche e sostanzialmente prive di motivazione.

Anche senza attendere il decreto di attuazione, tuttavia, con specifico riferimento al giudizio abbreviato la riforma Cartabia sembra essere un’occasione persa, perché non interviene ad affrontare i reali problemi che hanno determinato nel corso degli anni l’insuccesso di questo procedimento speciale e il conseguente affanno dei dibattimenti penali.

Problemi che sono individuabili, come detto, nella sostanziale incertezza della pena comminabile all’esito di una eventuale sentenza di condanna e quindi nell’effettiva premialità del rito, come contrappeso alle evidenti rinunce difensive che l’imputato accetta.

Sembra, quindi, che – anche dopo che sarà stato emanato il decreto legislativo attuativo della delega contenuta nella legge n. 134 del 2021 – l’imputato non sarà in grado di valutare ex ante il concreto vantaggio che potrebbe derivargli in caso di condanna dalla scelta del procedimento abbreviato e, per tale ragione, appare fortemente dubbio che possa essere incentivato a fare ricorso a tale rito sulla base della sua presunta premialità.

Sul punto, forse avrebbe potuto rappresentare una ipotesi di riforma su cui lavorare uno dei tre criteri direttivi individuati dal consigliere della Suprema Corte, dott. Luca Pistorelli, nell’incontro di studio organizzato il 5 dicembre 2019 dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione, dal titolo

“Il codice di procedura penale a trent’anni dall’entrata in vigore: bilancio e prospettive”[26].

In particolare, la possibilità di ricollegare una maggiore diminuzione di pena per i reati individuati come meno gravi e di più semplice accertamento ed una riduzione più contenuta per quelli più gravi e quindi più complessi potrebbe – da un lato – determinare un incremento nella frequenza della scelta del rito proprio per quelle ipotesi che non richiedono la complessità del dibattimento per essere accertate e – dall’altro – lasciare inalterata la possibilità di richiederlo per tutte quelle ipotesi di evidente innocenza o di evidente insufficienza degli elementi probatori acquisiti.

Vi è, tuttavia, un ulteriore profilo di riforma affrontato dalla legge n. 134 del 2021, che certamente potrà essere preso in considerazione per ottenere un effetto deflattivo del dibattimento: ci si riferisce, nello specifico, all’intervento innovatore previsto per l’udienza preliminare, che –per effetto della riforma Cartabia – dovrebbe riappropriarsi del ruolo originariamente attribuitole dal legislatore del 1988 e fungere da filtro per evitare che giungano a dibattimento procedimenti nel cui ambito “gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna dell’imputato”[27].

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Con ogni probabilità, è questa la chiave di volta che – se bene attuata – potrà consentire un alleggerimento del carico dibattimentale, sfrondando le Sezioni dei Tribunali da tutti quei procedimenti che fondano su un quadro probatorio debole o fortemente incompleto.

[1] Sul punto, la dottrina aveva introdotto la distinzione secondo cui il giudizio abbreviato dovesse essere inteso come “patteggiamento sul rito”, mentre l’applicazione della pena su richiesta dovesse essere considerato come “patteggiamento sul merito” (cfr. F. Zacchè, Il giudizio abbreviato, in Trattato di procedura penale, diretto a G. Ubertis – G.P. Voena, Milano, 2004, 17).

[2] Per una esaustiva panoramica del rito, si rinvia a G. Leo, Giudizio abbreviato, in G. Lattanzi- E. Lupo, Codice di procedura penale – Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Milano, 2020, IV, 10 e ss.

[3] Cfr. C. Cost., n. 66 del 1990, in Giust. pen., 1990, I, 65, C. Cost., n. 183 del 1990, in Giur. cost., 1990, 1073; C. Cost., n. 81 del 1991, in Giur. cost., 1991, 559; con le sentenze citate, il Giudice di legittimità costituzionale si era pronunciato sulla necessità della motivazione da parte del Pubblico Ministero in ordine al proprio eventuale dissenso al rito; cfr. altresì C. Cost., n. 183 del 1990, in Cass. pen., 1990, 109, che aveva introdotto la possibilità che il Giudice potesse dissentire dall’opinione negativa del Pubblico Ministero e applicare all’imputato la riduzione di pena di un terzo, prevista dall’art. 442 c.p.p. (in senso conforme alle prime due sentenze, anche C. Cost., n. 81 del 1991, in Cass. pen., 1991, 72); si vedano anche C. Cost., n. 23 del 1992, in Foro it., 1992, I, 1058 e C. Cost., n. 101 del 1994, in Giur. cost.

, 1994, 907, che avevano previsto la possibilità per l’imputato di ottenere in sede dibattimentale la diminuzione di pena di un terzo prevista dal rito abbreviato nei casi in cui vi fosse stato l’accordo delle parti sull’ammissione al rito e la richiesta fosse stata immotivatamente rigettata dal giudice; cfr., infine, C.

Cost., n. 92 del 1992, in Giur. cost., 1992, 904; C. Cost., n. 187 del 1992, in Giur cost., 1992, 1360 e C.

Cost., n. 318 del 1992, in Foro it., 1993, I, 342, che avevano introdotto – superando parzialmente la natura di giudizio allo stato degli atti – la possibilità di procedere a richieste di integrazione probatoria nel corso di un rito abbreviato, senza per questo ritenere necessario il passaggio al giudizio dibattimentale.

[4] Cfr. A. Gaito, Nuovo giudizio abbreviato, procedimenti in corso e cultura del giusto processo, in Giur.

it., 2000, 1007, secondo cui, all’esito della riforma Carotti, del vecchio rito abbreviato restava solo il nome.

[5] Cfr. C. Cost., n. 176 del 1991, in Giur. cost., 1991, 1456.

[6] Ci si riferisce alla legge n. 33 del 2019, che ha introdotto il comma 1-bis dell’art. 438 c.p.p., secondo cui “Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo”. Sull’applicabilità del rito abbreviato ai reati puniti con l’ergastolo, cfr. A. Franceschini, Giudizio abbreviato e reati puniti con l’ergastolo: storia di un rapporto tormentato e di ricorrenti dubbi costituzionali, su https://www.sistemapenale.it/it/scheda/assise-santa-maria-capua-vetere-abbreviato-reati-puniti-ergastolo.

[7] A contrario, tale facoltà non può essere esercitata nel caso in cui le nuove contestazioni riguardino un fatto nuovo, perché in tal caso vale la previsione di cui all’art. 423, comma 2 c.p.p., che per procedere alla contestazione richiede il consenso dell’imputato: cfr. B. Lavarini, Il nuovo giudizio abbreviato, in Riv. it.

dir. proc., 2001, 769.

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[8] In particolare, la legge n. 46 del 2006 – modificando il testo precedente dell’art. 443 c.p.p. – aveva previsto che l’imputato e il Pubblico Ministero non potessero proporre appello contro le sentenze di proscioglimento; successivamente, sono intervenute due declaratorie di illegittimità della Corte costituzionale: in particolare, con sentenza n. 320 del 2007, in Giur.cost., 2007, 3096, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del predetto comma, nella parte in cui esclude che il Pubblico Ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio abbreviato; analogamente, con la sentenza n. 274 del 2009, in Giur. cost., 2009, 3849, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del medesimo comma, nella parte in cui esclude che l’imputato possa proporre appello contro le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente.

[9] Cfr. sul tema, R. Bricchetti, Arginato il rischio di violazione del contraddittorio, in Guida dir., 2017, n.

32, 50, nonché F. Galluzzo, Riforma Orlando: giudizio abbreviato, in www.parolaalladifesa.it, 16.6.2017.

[10] Si veda, sul punto, T. Alesci, La nuova fisionomia del giudizio abbreviato tra normativizzazione del dato giurisprudenziale e lacune interpretative, in G. Spangher, a cura di, La riforma Orlando. Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, Pisa, 2017, 187.

[11] Cfr. G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016, n. 1, 93.

[12] Così, il dott. Nello Rossi, componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore di Magistratura, in occasione dell’incontro di studio organizzato il 5 dicembre 2019 dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione dal titolo “Il codice di procedura penale a trent’anni dall’entrata in vigore:

bilancio e prospettive”, sessione “Indagini, prove e riti alternativi

”, disponibile sul sito internet https://www.cortedicassazione.it/cassazione- resources/resources/cms/documents/Report_5_dic_2019_II_sessione_parte_II.pdf, p. 1.

[13] Dati tratti dall’intervento del Consigliere della Suprema Corte di Cassazione, dott. Luca Pistorelli, in occasione dell’incontro di studio organizzato il 5 dicembre 2019 dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione dal titolo “Il codice di procedura penale a trent’anni dall’entrata in vigore:

bilancio e prospettive”, cit., p. 2.

[14] Cfr. intervento del Consigliere della Suprema Corte di Cassazione, dott. Luca Pistorelli, nel corso dell’incontro di studio organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione dal titolo “Il codice di procedura penale a trent’anni dall’entrata in vigore: bilancio e prospettive”, cit., 2.

[15] Cfr. intervento del Consigliere della Suprema Corte di Cassazione, dott. Luca Pistorelli, nel corso dell’incontro di studio organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione dal titolo “Il codice di procedura penale a trent’anni dall’entrata in vigore: bilancio e prospettive”, cit., 2.

[16] Cfr. G. L. Gatta, “Legge 27 settembre 2021, n. 134, «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari»“, su https://sistemapenale.it/it/scheda/gatta-legge-2021-134-delega-riforma-giustizia-penale- cartabia, 1.

(10)

[17] Sul punto, nel corso dell’intervento all’incontro con i capigruppo della Commissione Giustizia della Camera avvenuto il 10 maggio 2021 (pubblicato su https://www.sistemapenale.it/it/documenti/ridurre-del- 25-i-tempi-del-giudizio-penale-unimpresa-per-la-tutela-dei-diritti-e-un-impegno-con-leuropa-per-la-ripresa- del-paese), lo stesso Ministro Marta Cartabia, preso atto dell’importanza che il tema della durata dei processi riveste per i cittadini, per le istituzioni europee e per gli attori economici, ha dichiarato che “ l’eccessiva durata dei processi determina, non uno, ma due distinti ordini di disfunzioni, che costituiscono, allo stesso tempo, violazioni di principi costituzionali ed europei”: il primo, identificabile con il gran numero di processi che si concludono con la declaratoria di avvenuta prescrizione del reato, che si traduce in una sostanziale frustrazione della domanda di giustizia da parte delle vittime e con la sostanziale abdicazione dello Stato al suo compito di assicurare l’amministrazione della giustizia; il secondo, identificabile con la violazione del diritto degli imputati alla ragionevole durata del processo, che altro non è se una ulteriore garanzia della presunzione di innocenza, in quanto “con l’apertura di un processo penale l’imputato – specie se il fatto è reso pubblico nel circuito mediatico – è esposto a un giudizio (o meglio a un pregiudizio) di colpevolezza sociale che può avere gravi ripercussioni sulla sua reputazione, sulle sue relazioni personali e sociali, sull’attività economica e su molti altri aspetti della vita della persona

”. Con specifico riferimento al tema del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il ministro Cartabia ha avuto modo, nella stessa occasione, di affermare che “sulla durata dei processi il Governo si gioca tutto il Recovery, non solo la parte legata alla giustizia. È proprio così. Quanto a investimenti, nel Recovery la giustizia vale l’1%. Ma se falliamo le riforme sulla giustizia è travolto il 100% del Recovery. Perché la Commissione europea ha imposto al governo italiano alcune condizioni per ottenere i 191,5 miliardi dei fondi NextGeneration EU”.

[18] Come ricorda G.L. Gatta, op. cit., con riferimento al tema della eccessiva durata dei processi, “ l’Italia vanta l’imbarazzante primato internazionale di primo Paese per numero di condanne per violazione dell’art. 6 Cedu…: sono ben 1202; al secondo posto, doppiata, la Turchia, con 608 condanne.

Tra i Paesi a noi vicini, anche per tradizione giuridica, e con i quali siamo soliti confrontarci, le condanne della Francia sono 284, quelle della Germania 102, quelle della Spagna 16”.

[19] Secondo G.L. Gatta, op. cit., è evidente in tale previsione “la preoccupazione di tendere l’abbreviato un giudizio realmente ‘abbreviato’”.

[20] Cfr. parere della Quinta Commissione ANM, pubblicato su https://www.associazionemagistrati.it/allegati/parere-commissione-penale-su-riforma-cartabia.pdf, 36.

Nello stesso documento, si pone l’interrogativo se nella valutazione dell’economia processuale debba essere considerata anche l’eventuale richiesta da parte del Pubblico Ministero in ordine all’ammissione di eventuale prova contraria.

[21]

Cfr. il punto di vista dell’Unione delle Camere Penali sulla riforma Cartabia, riportato su https://www.camerepenali.it/cat/11060/riforma_cartabia_la_posizione_dellunione_camere_penali_italiane.html.

[22] Cfr., sul punto, G.L. Gatta, op. cit.

[23] Cfr. parere della Quinta Commissione ANM, cit., 36.

(11)

[24] La Commissione, in particolare, nel parere citato, aveva ritenuto che “si tratta di una scelta condivisibilmente orientata dalla volontà, pure esplicitata nel medesimo disegno di riforma e parimenti apprezzata dalla commissione, di rafforzare la funzione di filtro dell’udienza preliminare dinanzi al G.U.P.

e di quella predibattimentale dinanzi al Tribunale, in cui il giudice deve confrontarsi con una regola di giudizio non più di non sostenibilità dell’accusa in giudizio, ma di una non ragionevole previsione di condanna. Regole di giudizio foriere di valutazioni penetranti nel merito delle emergenze di causa che impegneranno i giudici in un verosimile conseguente maggior numero di definizioni con sentenze di non luogo a procedere. Tale scelta non può che essere favorevolmente accolta quale significativa innovazione opportunamente deflattiva, considerati gli angusti confini – ben delineati nell’interpretazione della Suprema Corte – dell’attuale regola di giudizio dell’art. 425, co. III c.p.p.”. (cfr. p. 35).

[25] Cfr. supra, par. 2.

[26] Cfr. intervento del Consigliere della Suprema Corte di Cassazione, dott. Luca Pistorelli, nel corso dell’incontro di studio organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione dal titolo “Il codice di procedura penale a trent’anni dall’entrata in vigore: bilancio e prospettive”, cit., 2-3: “ In tale cornice fallimentare, una riflessione conclusiva ha condotto il Cons. Pistorelli ad affermare che allo stato attuale, esauriti tutti gli incentivi strettamente processuali ed extra sanzionatori, esistono solo tre possibilità per recuperare la funzionalità del rito abbreviato: a) implementare la premialità rendendola selettiva; b) agire sulla leva sanzionatoria, aumentando soprattutto i minimi edittali delle pene di tutti o di alcuni reati, cercando sostanzialmente di imporre all’imputato la scelta del rito alternativo; c) fondere il rito abbreviato ed il patteggiamento in un inedito modulo processuale. Quest’ultima possibilità, irrealistica per la mancanza di qualsiasi volontà legislativa in tal senso, non è stata attenzionata dal Consigliere che, invece, ha approfondito le altre due possibilità. Per ciò che concerne la prima, ovvero la premialità, il Consigliere ha fatto riferimento alla proposta della Commissione Canzio ossia un ritorno all’intenzione originaria di riservare all’abbreviato solo i reati meno gravi, di facile accertamento processuale, al fine di conservare le energie processuali ed i diritti dell’imputato nell’ottica di un interesse generale della comunità. Nel dettaglio, la proposta aveva previsto la possibilità di classificare i reati al fine di rendere più appetibile l’abbreviato laddove non lo era, e di renderlo meno appetibile laddove lo era. In tal senso, a titolo esemplificativo, i reati erano stati suddivisi in tre classi: i reati puniti fino a cinque anni a cui veniva applicata la diminuente secca ovvero la metà della pena; i reati puniti fino a quindici anni a cui veniva applicata la diminuente di un terzo ed i reati puniti con pene superiori a quindici anni a cui veniva applicata la diminuente di un quarto. Tale impostazione è stata in qualche modo recepita dalla riforma Orlando del 2017, che l’ha però tradotta, secondo il relatore, in maniera sostanzialmente inutile attraverso la configurazione di due sole classi: le contravvenzioni, cui è riservato l’abbattimento della metà della pena (ovvero un tipo di reati a prescrizione brevissima per cui già esistono soluzioni alternative che garantiscono il medesimo risultato premiale), ed i delitti, per i quali indistintamente viene mantenuto lo sconto di un terzo della pena a prescindere dalle singole previsioni edittali o dalle difficolta? di accertamento processuale.

(12)

La seconda possibilita?, sulla scia delle scelte compiute in altri ordinamenti, prevede di agire in negativo sulla leva sanzionatoria, attraverso l’aumento dei minimi edittali delle pene. Scelta indubbiamente contrastante con l’aspirazione ad un diritto penale minimo e mite che tradizionalmente pervade la cultura giuridica nazionale e che si pone in tensione con il volto costituzionale della pena e, in definitiva, con gli stessi principi del giusto processo. Scelta che, secondo il relatore, soprattutto rivela un approccio autoritario alla materia penale che sorprendentemente accomuna maggioranze politiche e governi di diversa ispirazione.

Ad oggi ci si sta muovendo verso un processo in cui, selettivamente per tipologie di reato, si sta programmando un nuovo rito, che traduce piu? o meno consapevolmente questa scelta. Il Consigliere ha osservato che, seppur aberrante, tale cambiamento rivela la sua efficacia: ed infatti, a seguito della riforma Orlando che ha aumentato vertiginosamente il minimo edittale del furto in abitazione, nell’ultimo anno si e? registrato un incremento esponenziale del numero di abbreviati e patteggiamenti per questo titolo di reato. Ma negli ultimi anni diverse sono le fattispecie in relazione alle quali si e? agito sulla leva sanzionatoria, elevando anche o soprattutto i minimi edittali di pena: atti persecutori, rapina, associazione di tipo mafioso, maltrattamenti in famiglia, corruzione ed altre ancora.

Il relatore, a conclusione di questa analisi, ha evidenziato come oramai la collettivita? si sia resa conto che l’aumento dei limiti massimi edittali sia sostanzialmente inutile, convincendosi, invece, che l’unico modo per garantire l’effettivita? della pena sia l’aumento dei minimi edittali e il ridimensionamento delle misure premiali. Il legislatore ha interpretato questo sentimento e di fatto sta in questo modo configurando una nuova stagione dei riti alternativi senza nemmeno dover intervenire sulla loro disciplina, ma semplicemente condizionando le scelte processuali dell’imputato”.

[27] Così dispone l’art. 1, comma 9, lett. m) della legge n. 134 del 2021: “modificare la regola di giudizio di cui all'articolo 425, comma 3, del codice di procedura penale nel senso di prevedere che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”.

Bibliografia

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