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Bevanati illustri. Filippo Silvestri di Maria Eugenia Mattoli 1

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a pesca, costruiva piccole carrette da far trainare ai cani, plasmava oggetti di argilla. Il padre Giuseppe, vedendolo attratto da questi svaghi, gli ripeteva spesso: «Chi va a caccia a pesce e a penne non ha mai grano da vénne». Tra gli otto e i dodici anni Filippo già raccoglieva piante spontanee che trapiantava nell’orto di casa, ma solo nel 1886, quando si iscrisse alla classe quarta del Ginnasio, si appassionò alla botanica grazie al professor Biordo Brugnoli di Perugia, il quale conduceva i suoi alunni in campagna a raccogliere piante. Questo insegnamento teorico-pratico della botanica fu determinante per l’indirizzo del giovane studente (si veda il suo Contributo alla flora mevanate, 1891). Più tardi, quando conobbe il professor Andrea Battelli, insegnante di botanica e zoologia all’Università di Perugia, Filippo cominciò a raccogliere e a collezionare anche i coleotteri. Nel 1892 partecipò alla “Mostra agricola industriale artistica” di Foligno con una piccola collezione di coleotteri dell’Umbria, ottenendo una “menzione onorevole”.

A Bevagna, già in quegli anni, Filippo aveva come aiutante nella raccolta di insetti Giuseppe Rossetti che lo seguirà anche nei viaggi in Italia e all’estero, persino in Eritrea. Intanto, distratto da queste passioni, quando tornava a lavorare nell’azienda di famiglia, le popolane dicevano:

«È tornato Pippo, ora si mangerà

Filippo Silvestri

di Maria Eugenia Mattoli1

Filippo Silvestri nacque a Bevagna il 22 giugno 1873 da Giuseppe e Rosa Palmieri. Quinto di dieci figli (Giovanni 1866, Tamiride 1868, Maria 1869, Ebe 1871, Filippo 1873, Archimede 1875, Giocasta 1876, Archimede 1878, Ebe 1881, Eugenia 1882) ebbe un’infanzia serena nella tranquillità del suo paese. Il babbo era il simbolo della dolcezza,

la mamma, anch’ella buona, invece era pronta, se necessario, anche al castigo. La famiglia Silvestri aveva un mulino e produceva dell’ottima pasta; la mamma si dedicava alle faccende domestiche, all’allevamento degli animali da cortile e del baco da seta e non disdegnava le serpi.

In famiglia, a questo proposito, si raccontava che un giorno nonna Rosa avesse incaricato la “serva” di andare nell’orto a dar da mangiare alle galline e di chiamare anche

“Pepella”. La serva ubbidì, ma quando pronunciò: «Pepella...

Pepella...» le si avvicinò una lunga serpe che aveva l’abitudine di mangiare insieme alle galline;

lo spavento fu tale che, terrorizzata, scappò via di corsa!

Bevagna all’epoca contava duemila abitanti ed era attraversata, come oggi, dal Clitunno e dal Teverone- Timia. In questo paese immerso nel

Il primo viaggio, fatto con i

pochi risparmi

che aveva, fu

nell’aprile del

1895 in Svizzera

per conoscere

H. L. Fréderic

de Saussure

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campo, nell’estate 1893 convinse i suoi genitori ad approvare l’iscrizione alla Facoltà di Scienze Naturali e a continuare gli studi nell’Università di Genova dove il Museo civico di Storia Naturale offriva un ricchissimo materiale. Da questo momento, trovata la sua vera strada, il giovane studioso iniziò ad approfondire le sue conoscenze con il massimo impegno e senza sosta. Il primo viaggio, fatto con i pochi risparmi che aveva, fu nell’aprile del 1895 nella vicina Svizzera per conoscere il professor Henri Louis Fréderic de Saussure che aveva pubblicato eccellenti lavori sui miriapodi del Messico.

Nel luglio 1895, tornato a Bevagna per le vacanze estive, avendo

compiuto il terzo anno della Facoltà di Scienze Naturali, sentì la necessità

di frequentare il quarto anno a Palermo, dove c’era il professore di zoologia Nikolaus Kleinenberg, cultore di embriologia, che gli diede l’opportunità di preparare una tesi sulla fecondazione e i primi studi sulla segmentazione. Nel 1896 si recò, con l’aiuto economico della famiglia, per la prima volta in Tunisia per conoscere nuove specie ma in realtà egli era attratto anche dal modo di vivere degli abitanti, dai loro costumi e dal paesaggio. Nel 1896, appena laureato, gli fu offerto il posto di assistente dal professor Kleinenberg, ma nel ritornare a Palermo nel mese di ottobre, fermatosi a Roma, ebbe l’occasione di conoscere il professor Giovan Battista Grassi, del quale accettò senza esitazione di diventare assistente. Il professor

Filippo Silvestri in Giappone, Parco di Nara, 1925.

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anche di civiltà diverse, di costumi, abitudini e, quando possibile, occasione per incontrare italiani o compaesani. Durante le escursioni, non certo facili, dormì in capanne su giacigli infestati da pulci, viaggiò a piedi, a cavallo di muli o di altri mezzi di fortuna. Ai piedi delle Ande, durante il viaggio in Patagonia (1898-1900) si cibò di gallette, di pizza fritta nel grasso di castrato, di carne di pecora, di guanaco, di struzzo, di vacca selvatica. La sua sete di conoscenza lo faceva adattare

a tutte le contin- genze, mangiava come le popolazioni locali senza disdegno, si faceva il bagno nei fiumi, si fidava degli sconosciuti.

Nel viaggio in Mato Grosso, 1900, si interessò alla raccolta e allo studio di Termiti, Meliponidi, Tisanuri, Miriapodi ed altri Artropodi. Durante il viaggio negli Stati Uniti (1908), e precisamente il Grassi, considerato il primo zoologo

d’Italia, stava in laboratorio anche dieci ore al giorno sia per lavorare scrupolosamente alle sue ricerche sia per seguire gli studenti. Il Grassi fu il maestro che Silvestri apprezzò e stimò maggiormente e dal quale apprese la biologia comparata.

La sete per la scoperta portò ben presto il giovane studioso ad uscire di nuovo dall’Italia e, se non fosse stato per l’amore per i suoi genitori, sarebbe rimasto lontano molto più a lungo. Nel 1898 si recò in Sud America, in

Patagonia (1900), in Brasile, in Paraguay, a Corfù (1905), negli Stati Uniti, Hawaii, Messico (1908), Africa (1912), Sudamerica (1935) e così via. I sui viaggi sono continuati fino al 1948, facendo, per le sue scoperte, il giro del mondo sempre con la nave o in treno.

Soltanto nel 1948 Silvestri, invitato

dal Ministero dell’Agricoltura a partecipare al Congresso

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con “Gigi del Pollaiolo e il figlio di Telemaco”. Nel 1912 si recò nell’Africa Occidentale per cercare parassiti della mosca della frutta, ma il clima tropicale e l’abbondanza di Anopheles lo fecero ammalare e fu curato con chinino e purgante ma, nonostante, tutto riprese subito le sue ricerche, rischiando più volte la vita come a cinque chilometri da Dodowa, quando il camion che lo trasportava si rovesciò in un fosso ed egli fu costretto a saltare dalla cabina. In quell’istante il pensiero corse ai suoi genitori e al rischio di morire lontano da casa senza degna sepoltura. A questo proposito, durante il viaggio in Estremo Oriente (1924-1925), a Hong Kong rimase scioccato nel vedere come alcuni cinesi rimanessero impassibili alla vista di un morto che galleggiava in acqua con la faccia in basso, portandolo a queste considerazioni: «Certo quando si è morti, a nulla valgono i pianti, a nulla le cure ai resti mortali delle persone amate, ma il sapere che ci sono parenti, che rispetteranno, ameranno e custodiranno come cosa sacra le spoglie, deve rendere

la morte meno dura quando se ne sente l’approssimarsi e devono farla temere di meno. Quaggiù lontano dalla famiglia, dagli amici, dalla patria, forse a me potrebbe aspettare il trattamento fatto a quel misero uomo!» (Ricordi e itinerari scientifici, p. 247). Sempre durante questo viaggio, si incuriosì in Cina alla vista dei sampan, vere e proprie casette galleggianti, lunghe circa una decina di metri, larghe un metro e mezzo, coperte di stuoie impermeabili all’acqua, sostenute da archi di bambù, attrezzate di arnesi da cucina e del necessario per accendere il fuoco; a bordo si trovavano anche cesti contenenti polli che venivano lasciati a terra durante la giornata e anche i sampan, dall’aspetto più o meno curato, rispecchiavano la ricchezza o la povertà dei loro proprietari. Lo scopo principale del viaggio era però la visita agli aranceti per raccogliere cocciniglie e insetti lungo un canale e a questo proposito scrive: «Mi sembrò per un momento essere presso il Clitunno».

L’amore per il suo paese e per i propri familiari non l’abbandonerà mai! A Nagasaki, in Giappone, dove si recò per la visita agli agrumeti colpiti da vari attacchi (Aleurocantus Spiniferus), grazie alla guida del giapponese Toshio Kido, ebbe modo di conoscere gli usi e costumi degli abitanti; le donne indossavano il kimono, ai piedi portavano calze bianche corte, zoccoli di legno e avevano i capelli raccolti sulla nuca, fermati da lunghi bastoncini. I giapponesi bevevano molto tè senza zucchero e più volte al giorno come i cinesi; Silvestri, per evitare di bere l’acqua poco sicura a quei tempi e in quei luoghi, faceva la stessa cosa.

A mezzogiorno queste popolazioni consumavano il pasto principale a base di polpette, patate, alghe e riso e al posto delle nostre posate usavano

Dal 1904 Filippo

Silvestri ricoprì la cattedra di Entomologia nella facoltà di Agraria ove rimase per ben 45 anni, richiamando allievi da ogni dove

Frontespizio della pubblicazione edita dal SIlvestri nel 1892, a soli 19 anni.

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stecchi di legno che porgevano avvolti in un astuccio di carta. Durante i suoi viaggi Silvestri incontrò ambasciatori italiani, personalità straniere, gente comune, celebrità; a Marcelino Ramos, sulla sponda sinistra dell’Uruguay, incontrò il dottor Ugo Parentelli che aveva studiato a Perugia ed era stato compagno di suo cognato, il dottor Corradino Mattoli, medico omeopatico. In Brasile la presenza degli italiani

era molto numerosa, ma notava pure che i loro figli, nati lì, si erano staccati completamente dall’Italia e non desideravano conoscerla, forse perché i loro genitori e le autorità italiane non trasmettevano l’amore verso la patria di origine. A San Paolo, nel 1937, cenò nella

“Pensao Internacional”

con i professori italiani che insegnavano lì, tra cui il professor Giuseppe Ungaretti, grande poeta, che in quegli anni insegnava a San Paolo e vi si trovava con la moglie;

dopo cena Ungaretti invitò anche Silvestri a casa sua per un caffè. Ma tornando allo scienziato, questi rappresenta un insuperato maestro nelle scienze biologiche e in

particolare nell’Entomologia. Il suo

all’ambito entomologico e allo studio morfologico ma si estesero anche a quello ecologico delle specie nocive e soprattutto alla lotta biologica, oggi particolarmente attuale e di cui fu un sostenitore convinto; si interessò inoltre alla lotta contro la mosca delle olive (Dacus Oleae G.) che produce danni notevoli all’agricoltura. Fu sostenitore della lotta naturale guardando con perplessità la lotta

chimica, pur rispettando lo studio dei chimici.

Il Silvestri ebbe numerosi incarichi, nomine speciali da varie parti del mondo, fu membro onorario di numerose accademie, fu anch’egli Accademico d’Italia, dottore honoris causa di molte Università.

Di carattere molto tenace e volitivo, fu uno studioso instancabile e profondamente onesto, ben lontano da interessi economici e compromessi.

In famiglia si raccontava, a proposito della sua profonda onestà, che al ritorno dai suoi viaggi avesse l’abitudine di inviare al Ministero il resoconto delle spese

affrontate, resto compreso.

Aveva una grande dignità e un grande rispetto per la persona umana;

amava i bambini, pur non avendone

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Fu sostenitore convinto

della lotta biologica agli insetti nocivi, anticipando anche in questo il segno dei tempi

Bibliografia

G. COTRONEI, Necrologico, in «Rendiconti Lincei», serie 8, VII, 1949, pp. 514-526.

ID., Filippo Silvestri. L’uomo e il biologo, in

«Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura», 10, 1950, pp. 8-24.

G. JANNONE, Vita di scienziato. Biografia di Filippo Silvestri, Pisa, Istituto di Entomologia Agraria dell’Università di Pisa, 1950.

G. RUSSO, Filippo Silvestri (nota necrologica - curriculum vitae - elenco pubblicazioni), in

«Bollettino del Laboratorio di entomologia agraria», 9, 1949, pp. 1-49.

G. RUSSO, Filippo Silvestri maestro, in «Bollettino del Laboratorio di zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura», 10, 1950, pp. 1-7.

L. F. RUSSO, Ricordo di uno scienziato: Filippo Silvestri, in «Bollettino della Società dei naturalisti», 102, 1995, pp. 223-229.

Silvestri Filippo. Ricordi e itinerari scientifici, a cura di G. RUSSO, Napoli, Stabilimento tipografico Guglielmo Genovese, 1959, pp. 1-784.

Facoltà di Agraria e vi rimase per ben quarantacinque anni. Richiamò allievi da ogni parte d’Italia e del mondo grazie alla sua fama e al suo sapere; le sue lezioni erano frutto di grandi conoscenze ma anche di una esposizione chiara, semplice e concisa, tipica di chi ha grande padronanza della materia. Ligio al suo dovere svolgeva il programma nella sua interezza, preoccupato della preparazione degli allievi.

Non amava perdere tempo: «Il tempo fugge, sappiatelo utilizzare» ripeteva agli allievi; era di grande modestia tanto che era solito dire: «Solo le spighe vuote si mantengono sempre dritte nel campo di grano».

Il 31 ottobre 1948 fu costretto a lasciare l’insegnamento per raggiunti limiti di età, che gli causò grande sofferenza. Lo studio, le scoperte, il lavoro, l’operosità furono il motore della sua vita;

il primo giugno 1949, dopo breve malattia, morì a Bevagna nella sua casa di campagna di Colle Poppo a Capro, lasciando un gran vuoto sia in famiglia che nel mondo della scienza.

Le sue spoglie riposano nel cimitero del suo tanto amato paese natio.

1. Fin da piccola, ho sempre sentito parlare del professor Filippo Silvestri, familiarmente chiamato zio Pippo, professore universitario di Entomologia alla Facoltà di Agraria di Portici, scienziato di fama mondiale, fratello di nonna Eugenia. Quando in casa si nominava lo zio Pippo, aleggiava subito un’aria di grande rispetto e riverenza. Il 1 giugno di ogni anno si celebrava una messa in suo suffragio e tutti i parenti, eleganti e composti, si recavano alla Santa Messa. In famiglia si diceva spesso: «Questa collana di corallo l’ha riportata lo zio Pippo dal Giappone, questo è il vaso di ceramica che lo zio ha riportato dall’Indocina...». Di ricordi in casa ce n’erano molti e tutti ben conservati. Soltanto in età matura ho avuto la necessità e curiosità di approfondire le mie conoscenze riguardo alla sua figura. Quando insegnavo a Portici, precisamente nella Scuola media “Don Lorenzo Milani”, ogni anno, il preside professor Giuseppe De Sisto

organizzava una visita guidata alla Facoltà di Agraria, dove gli alunni potevano ammirare la meravigliosa collezione di farfalle del professor Silvestri, il suo studio ancora intatto, i suoi oggetti personali e l’Orto botanico. Tutto questo per me era motivo di grande orgoglio!

Sono state intitolate a Filippo Silvestri molte scuole e piazze, tra queste:

Piazza Filippo Silvestri – Bevagna Parco Filippo Silvestri – Bevagna

Museo Entomologico Filippo Silvestri, Università Federico II – Portici

Liceo Scientifico Filippo Silvestri – Portici Istituto Tecnico Agrario Filippo Silvestri – Rossano Scalo, Cosenza

Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente Filippo Silvestri – Licola, Napoli Consiglio Nazionale delle Ricerche (Sala Filippo Silvestri) – Roma

La sua figura si può riassumere nella poesia autobiografica che egli stesso scrisse a diciotto anni nel 1891:

Il mio ritratto

Giuste ho le membra ver l’alta statura Tra ciglia folte grandi ho gli occhi e neri, Ho nero il crin sembianza alquanto scura Che ritrar suol della mente i pensieri.

Semplice nel vestir, nell’andatura Modesto, vizii, voluttà, piaceri Aborro, aborro amor, sol di natura I dolci seguo fascini sinceri

Tenace, sobrio, il male altrui mi duole, Pace, tranquillità mai sempre anc’amo, Amo la libertà, la patria mia

Non spendo nel parlar molte parole, Mi garba il positivo, e solo bramo La scienza ch’è la verità la via.

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