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INVETTIVA CONTRO LA L AVVIOLENZA

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Academic year: 2022

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promossa dalle Associazioni Culturali:

PARADIGMA LA SCATOLA CINESE Con il contributo della

INVETTIVACONTROLAVIOLENZA INVETTIVACONTROLAVIOLENZA INVETTIVACONTROLAVIOLENZA INVETTIVACONTROLAVIOLENZA INVETTIVACONTROLAVIOLENZA INVETTIVA CONTRO LA VIOLENZA

INVETTIVACONTROLAVIOLENZA

INVETTIVACONTROLAVIOLENZA ABUSI - MINORI e MINORITÀ

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INVETTIVA CONTRO LA VIOLENZA

A CURA DI LALAGE FLORIO

Inaugurazione, date e luoghi della mostra:

www.paradigma.altervista.org

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non è una monade. Nel terzo millennio, poi, se all’esterno si è ripresi (quasi sempre inconsapevolmente) da telecamere agli incroci, presso gli uffici pubblici e privati, davanti e all’interno delle banche e ancora chissà dove, dentro casa la pace serale che un tempo accoglieva la famiglia, oggi è aggredita (sì, anche lei) dai fatti di gior- nata che ogni buona televisione serve a cena su piatti alquanto unti, dove le notizie sulle violenze alle donne e ai minori fanno parte del menù quotidiano, spesso di- ventandone la portata principale. Spegnere l’apparecchio non azzera la realtà.

Allora?

Guardare altrove e fingere di non vedere il problema, sostenere che certe situazioni si sono sempre verificate e che i panni sporchi si lavano in famiglia, delegare le soluzioni ad altri, sono scelte di comodo del ‘ vivere e lascia vivere purchè non succeda a me’.

Dieci nostri artisti dell’immagine e della parola- ma ancor prima nelle vesti di normali cittadini- hanno deciso di reagire a tale passività che alla fine rischia la complicità.

Senza emanare proclami o suonare le trombe del giudizio, unendosi a gruppo, af- finché il singolo lamento diventi urlo corale, hanno deciso di ‘esporsi’ esattamente dove loro compete: nelle sale adibite a mostre, a pubbliche riunioni. Per esprimere la propria “Invettiva contro la violenza’’ sul tema “Abusi- Minori- Minorità’’.

Il termine ‘invettiva’, in questo caso, non ha il significato minaccioso dell’occhio per occhio, oppure di rifiuto di porgere l’altra guancia: sottintende la volontà di rende- re pubblica e franca testimonianza a favore dei senza-difese, dei piccoli minacciati, attraverso le esperienze singolarmente vissute e i riflessi sul loro oggi.

C’è insomma un tentativo originale, in questa mostra, tanto nella forma e soprat- tutto nei contenuti, di esprimere arte affrontando e denunciando civilmente l’allar- mante problema delle violenze ai minori: proprio per questo bene accetto, da inco- raggiare, da condividere.

Gianni Oliva Assessore alla Cultura, Regione Piemonte

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Il modo più appropriato e consono per parlare di questa mostra, mi sembra, quello di presentarmi rispondendo alle tre domande proposte a tutti gli artisti come “legenda”

per le opere e il catalogo.

Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva.

Da bambino sono sempre stato al centro dell’attenzione. Essendo figlio uni- co, in alcuni casi unico nipote, sempre quello più piccolo; dai genitori ai non- ni, dai bisnonni agli zii, l’attenzione è sempre stata focalizzata su di me. I ri- cordi abbondano, ma indicandoli tutti si correrebbe il rischio di ripercorre una cronaca inanimata; invece, più interessanti sono le emozioni che tornano alla memoria quando meno ce lo si aspetta, come una piccola nave di gomma che spruzza l’acqua, l’odore delle pigne nei boschi, la tovaglia a quadretti dei pic-nic in giardino con i nonni, e ancora, grappoli di ciliegie rosse e succose, il mare d’inverno con i miei genitori; sono loro: suoni, profumi, oggetti e luoghi che hanno caratterizzato la mia infanzia. Guardando indietro, non posso far altro che dire di essere stato fortunato ed aver vissuto un’infanzia felice.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Non ho bambini, ma credo che, da padre, sarei molto apprensivo nei con- fronti dei miei figli. Ho avuto modo di lavorare con i bambini, nei centri estivi, e mi sono accorto di quanto i loro atteggiamenti siano radicalmente diversi da quelli che avevo io alla loro età.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

Come tutti, credo di essere stato vittima di paure provocate da chi era più adulto, piccole circostanze che possono sembrare insignificanti, ma che, agli occhi dei bambini, diventano ostacoli insormontabili, spesso poi il tutto viene aggravato dall’aspettativa dell’adulto e dalla sua volontà di rendere i bambini simili a sé.

Riusciamo ancora a stupirci per un atto di violenza, ovvero siamo talmente assuefatti dalla quotidiana atrocità di atti efferati, a tal punto che neppure più riusciamo a capi- re e a vedere, con gli occhi dell’innocenza, le barbarie che vengono ogni giorno com- messe nelle nostre città, nelle scuole, nei posti di lavoro, nei luoghi di svago e nelle case?

L’innocenza che caratterizza i bambini, li rende capaci di stupirsi e, soprattutto, di avere paura.

La violenza che ormai ogni giorno vediamo nel “reality world”, ci ha reso insensibili, ignavi, abituati allo schifo del sangue.

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Dalle scarpe bruciate nei mercati di Sarajevo, ai corpi volanti di NY, alla testa rivoltata di Saddam, siamo giunti a consumare immagini, senza chiederci, anche solo per un minuto, quale gioco stesse facendo il bambino che indossava quelle scarpette, quan- do fu colpito da un pezzo di mortaio, cosa stesse provando quell’innocente newyor- kese, quando si gettò nel vuoto per sfuggire ad un folle incendio, creato dalla mente di personaggi ancora più folli, o ancora quali incubi balenarono nella mente del fero- ce dittatore, prima che il cappio troncò il suo respiro ed ogni suo pensiero.. ma questi interrogativi non ce li poniamo; guardiamo senza problemi i più efferati atti di violen- za, probabilmente fra un sorso di vino e un boccone di pasta, fra una pubblicità di pannolini, una di condom ritardanti e un break di previsioni del tempo.

I bambini, quando vedono un’immagine nuova, riescono a meravigliarsi, e quando ne scoprono una tragica, istintivamente si coprono gli occhi con le mani. Noi siamo ancora capaci di stupirci e di avere paura? Fino a quando non riusciremo ad essere nuovamen- te semplicemente innocenti da sbalordirci per le novità e impauriti per le violenze?

Il ritenere l’atto violento come elemento quotidiano necessario, fa parte non solo del- l’immaginario collettivo, ma anche della nostra stessa aspettativa.

Proviamo, però, a fare finta, come se fosse un gioco fra bambini, che quell’inno- cente capacità di stupirci e di impaurirci faccia ancora parte del nostro modo di es- sere e di vivere.

Ecco, dunque, che alle prime immagini, di bombe, di assassini e di stupri potrebbe già esserci una rivolta, morale ed umana, contro l’idea stessa, pura ed astratta, del- la violenza.

Anche della violenza contro il nostro più acerrimo nemico: ci sono troppe splendide cose che si possono fare anche con il nemico dal pensare che la sua eliminazione sia la soluzione.

In fondo, abbiamo un esempio storico che dimostra come il rifiuto dell’idea della vio- lenza possa portare un popolo povero, senza risorse, diviso al proprio interno, a scon- figgere un impero.

Proviamo, dunque, per un momento, a pensare che la normalità del vivere quotidia- no, anche nella contemporanea conflittualità di interessi contrapposti, non debba ne- cessariamente coincidere con l’atto di violenza - verso il vicino che ha tenuto acceso lo stereo tutta la notte, verso il collega dell’auto accanto, verso il pedone che attra- versa la strada – ma possa semplicemente corrispondere alla diversa, e forse più diffi- cile, entropia.

Cosa c’entrano i bambini in questo? Semplicemente tutto: la violenza trasforma ogni vittima in un bambino, che ha paura di chi lo sta macellando e si stupisce di essere protagonista di un’efferatezza mai vista.

La vittima dell’atto di violenza è sempre un infante, verso l’orco autore dell’atto effe- rato, verso l’orco che si vede scorrere davanti agli occhi le barbarie senza curarsene, verso l’orco che assolve l’altro orco.

Davide Mabellini

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Violenza, vi sono infiniti modi – comunico a Lalage Florio (ideatrice dell’evento e arti- sta protagonista con altri quattro colleghe/i e 5 curatori), ai membri dell’Associazione promotrice della mostra- per esercitarla, il più odioso e vile, insensato e crudele, for- se, è a danno dei minori: nei confronti di ogni abuso rivolto contro i minori, si può so- lo l’invettiva.

E allora ecco che s’impone un quesito. Che ruolo e senso potrà mai avere, all’interno di siffatto ragionamento e tracciato, non soltanto questa manifestazione in quota –alta quota,prego- in sé evento violentemente antiviolento, benché evento d’arte, ma anche lo stesso scriverne, sì, azzardando un’invettiva, quale ruolo o senso? L’ossi- moro testè pronunciato, mi suggerisce dirne attraverso accostamento metaforico: ra- gionando indirettamente, segretamente di arte e di abusi attraverso loro trasposizio- ne metaforica, ragionandone poi tramite l’operato non già dei 5 artisti protagonisti, ma d’altri e con altri autori. Mi sovvengono i film del più maturo Bunuel, in tutta la loro illuminante e inquietante veggenza; mi sovviene soprattutto un tagliente dialogo avvenuto, nel 1984, tra Tullio Regge e Primo Levi (ne estrapolo qualche brano da vo- lumetto einaudiano, curato da E. Ferrero, lacerando con voluta violenza il testo). Tra- scrivo brandelli minimi, cui seguirà silenzio, o quasi: “Per me -osserva Levi- c’è stata una complicazione, come ho già raccontato nei miei libri: le leggi razziali (….) tu non sei come gli altri, vali di meno”. E ancora, in merito alla violenza politico-razziale del regime:”(….)tutti i miei compagni studenti e studentesse, non ce n’è stato uno che mi abbia chiamato ‘ebreo’. Eppure tutti ereno iscritti al Guf, naturalmente”. E Regge, altrove, cioè pagine prime, in riferimento al liceo, sostiene altra argomentazione con- tro la violenza, culturale:”Anch’io pensavo ci fosse una congiura, ed era l’educazione scolastica”. E Levi, di rimando:”Al mio tempo era conclamata, la congiura. Era la con- giura gentiliana”. E di seguito:”Tu giovane fascista, tu giovane crociano, tu giovane cresciuto in questa Italia non avvicinarti alle fonti del sapere scientifico, perché sono pericolose”. Entrambi, molte pagine dopo, discettano attorno all’universo, secondo visione scientifica. E Regge dichiara: “In realtà, se riuscissimo a uscire dall’universo scopriremmo che si è biforcato, che ci sono due o più storie parallele. È un po’ quello che accade nel racconto di Borges (Il giardino dei sentieri che si biforcano), che infat- ti –egli dice- viene citato da Everett e Wheeler. È una risposta metafisica, se vogliamo, perché non la si può controllare”. In sostanza questo tentativo di altro vedere, questa sfida incontrollabile, alias metafisica è, forse, lo sforzo più significativo azzardatile contro ogni violenza e in particolare gli abusi all’infanzia con atto artistico, o perlo- meno: è quanto intentato, mi pare, da questa arrischiata e coraggiosa mostra/denun- cia contro l’infamante-imperdonabile violenza infantile. Che dev’essere additata/sma- scherata, denunciata e maledetta!

Rolando Bellini

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Violenza infantile: viviamo un mondo violento, siamo violenti. Il primo abuso è affettivo: il ge- nitore sul figlio. Il secondo è soggettivo: contro la propria persona, attraverso la cancellazione della creatività. In mezzo ci sono tutte quelle terribili e tragiche sfumature che segnano a fuo- co la crescita del minore quando ha la sfortuna di incontrare forme di violenza malate e aber- ranti, folli.

Perché fare una “mostra manifesto”? L’arte è creatività e l’infanzia è creativa, l’arte è, forse, la disciplina più vicina al bambino: la prima espressione grafica è lo scarabocchio che si confi- gura, poi, con il disegno.

Nella società globale la personalità sopravvive nel rapporto mediato con pittura (arte visiva) e scrittura, l’adulto sopravvive solo nel bambino, la società sopravvive solo nella nascita e nel ri- cambio, se violentiamo i minori, stiamo inficiando la cultura che è perno del nostro paese. La Francia è l’unico paese europeo che non soffre di problemi di natalità: è un paese che ha in- vestito sulla maternità e sulla famiglia (tradizionale o allargata) a tutto campo, fornendo aiuti e sostegno alle singole famiglie, è un paese proiettato nel futuro. L’infanzia è futuro. Esistono violenze private e violenze collettive: in Italia il genitore è lasciato solo con il figlio e qui penso al numero di infanticidi degli ultimi anni, in cui delle madri con una aggressività e una cattive- ria aberranti hanno ucciso le proprie creature: oggi le madri e i padri sono lasciati soli in una società che non ti concede tempo. Noi adulti per primi non diamo dei segnali su ciò che è be- ne e ciò che è male: mi sovvengono le immagini di minori in età adolescenziale che riprendo- no con i cellulari abusi e violenze fatte su coetanei o bambini più piccoli, inconsapevoli della gravità delle proprie azioni.

La violenza passa attraverso il “mercato” i bambini sono fruitori agli occhi dei media e il geni- tore deve convivere con questo aspetto tutelando o meno il figlio. Resta il fatto che il cervello di un minore è diverso da quello di un adulto e cambia durante gli anni della crescita: il bam- bino e il minore elaborano in modo differente le emozioni e il vissuto, che sia positivo o nega- tivo, spesso noi adulti ce ne dimentichiamo trattando l’infanzia alla stregua dell’età adulta.

La mostra vuole essere un messaggio lanciato in difesa dell’infanzia e con l’infanzia della creatività e della persona. Bellini parla di “arrischiata e coraggiosa mostra/denuncia” : un ge- nitore deve saper dare dei NO, una società libera anche. Una società dove l’abuso non è ad- ditato come follia e lo permette non è una società libera. Fortunatamente inizia ad esserci il coraggio per la denuncia: non basta la singola azione, è necessario un coro di NO. È fonda- mentale l’esempio: l’infanzia procede per imitazione e socializzazione che avviene per gruppi, si confronta da subito con i modelli che gli vengono dall’esterno la televisione e il “mercato”

sul bambino hanno un impatto forte, chi è genitore lo sa.

Per questo progetto ho chiesto a cinque artisti dell’immagine di creare un’opera sulla violen- za ai minori. Ho contattato cinque artisti fra cui la sottoscritta, chiedendogli di fermarsi a ri- flettere sulla propria infanzia e sul “valore bambino”, non ho prestabilito un tema dirigendo l’evento sulla pedofilia, piuttosto che la violenza in casa. Ognuno ha sviluppato l’aspetto che maggiormente ha provato, allo stesso modo c’è chi ha risposto alle tre domande uguali per tutti, nel catalogo, e chi ha sentito l’esigenza di aggiungere qualche riga sul proprio lavoro.

Per la sezione figurativa la mia scelta ha toccato artisti fuori dal grande mercato dell’arte, di

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cui condivido il lavoro e che mi piacciono a livello personale. A priori ho escluso anche per la sezione artisti della parola scrittori e storici di cui non conosco il lavoro: si è trattato di una scelta in primis affettiva ed elettiva, portata dalla stima. E in questo secondo caso i nomi con- tattati sono conosciuti ai più, anche a loro ho lasciato carta bianca sul tema, convinta che l’opera così creata sia più forte e aggressiva: impattante.

Si tratta di un’operazione violenta per uno stop alla violenza: violenza si, ma che veste i pan- ni della forma dell’arte: violenza aulica, si potrebbe dire! Violenza che si ferma nel momento che scegliamo di non vedere. Libertà di esprimere, libertà di sfogare, di denunciare, libertà di crescere: libertà questa che dovrebbe essere inviolabile. Ognuno dovrebbe di diritto avere un’infanzia “meravigliosa”. Perché i bambini sono meravigliosi: vanno amati, protetti, aiutati a crescere nel modo migliore rispettando il loro carattere, senza “addomesticarlo” ai nostri sogni, errore che accade spesso ed è un altro aspetto della violenza, in forma sottile e protrat- ta nel tempo.

Se penso ai minori visualizzo immediatamente la vitalità, l’irruenza e l’espressività: che si ma- nifestano prestissimo con l’uso del colore dato indistintamente sul foglio o sulle pareti di casa:

le mani dei bambini sono quasi sempre imbrattate dal colore o impolverate. Sporche dal troppo giocare, che non si concede limiti di spazio e predilige quegli spazi nascosti dove la scopa non sempre arriva, penso ai bambini che giocano sotto il letto: è una visuale del mon- do a me desueta, a meno che non infili un braccio e la testa perché ho perso una scarpa. E credo sia lo stesso per quasi tutti gli adulti. Quand’è l’ultima volta che vi siete nascosti sotto il letto? Credo che questa domanda sia fondamentale per capire lo spirito della mostra. I bam- bini sono bambini in tutto il mondo: consideriamone due che parlano lingue diverse, dopo essersi studiati un attimo, trovano il modo per comunicare e giocare, cambia il contesto e la codificazione dei comportamenti. Lavorando alla mostra ho riguardato il film “Christiane F.

noi i ragazzi dello zoo di Berlino” (Christiane ha 5 anni più di me) e dopo tanti anni mi ha scioccata la solitudine in cui è cresciuta questa ragazzina. Oggi l’eroina non è il problema, ma forme di violenza sottile sono in agguato dietro lo schermo, dietro la pubblicità e penso al gruppo che diventa branco, penso all’abuso di alcolici e all’uso di droghe (ogni stagione ha le sue). Un giorno uscendo dalla materna con mio figlio mi sono accorta che fuori dalla porta stazionava uno spacciatore. Ripenso ad una festa di carnevale con i bambini a casa (non sta a me dare giudizi: considero gli adulti liberi di scelta), alla richiesta di farsi una “canna”, ho chiesto alla persona di andare fuori da casa mia, non sul balcone.

La tecnologia arriva a toccare i minori attraverso l’uso del telefonino e di internet cambiando- ne le abitudini e esponendoli al pericolo di abusi, che arrivano via sms da adulti, non solo, gli stessi coetanei non essendo ancora “maturi” per distinguere il gioco dalla sopraffazione ci ren- dono spettatori di riprese col cellulare di violenze consumate senza sapere il perché e che dire di tutti quei ragazzini che viniscono adescati o sulla terra di nessuno navigando? È ancora po- co la tutela garantita dalle leggi: i genitori hanno un ruolo essenziale e di monito e di trasmis- sione di “valori” e devono essere sempre in prima linea nella vita delle proprie creature.

La violenza ha infiniti volti e certo non saremo noi a fermarla: ma vorremmo sottolineare il coraggio di dire NO e il coraggio della denuncia, il diritto a essere “bambini”.

Lalage Florio

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ARTISTI DELL’IMMAGINE:

ELENA PERLINO

ANDREA MARTE

GIOVANNI DI CEGLIE

ZAMFIRA FACAS

LALAGE FLORIO

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

Ho il ricordo di un’infanzia serena. Mi ricordo le partite a Monopoli, mio fratello Marco complice dei primi anni, poi il legame più stretto con mia sorella. In particolare mi ricordo le capanne improvvisate sul balcone di casa, fatte con lo stendibiancheria, come tetto una coperta. Mentre fuo- ri piove.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Sono all’ottavo mese di gravidanza e presto sarò madre a tutti gli effetti.

Mi piacciono molto i bambini, sono cresciuta in una famiglia numerosa:

ho 25 cugini primi.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

Fortunatamente no. Anche se spesso le attenzioni particolari, quelle ma- ni posate dagli adulti troppo a lungo, le rivedi a distanza di anni rivestite in un nuovo significato. Il ragazzo che compare nella foto che espongo l’ho conosciuto a Lione: è una persona che ha avuto un infanzia difficile, ci siamo incontrati per lavoro e piano piano ci siamo trovati a parlare del piano personale. Conoscere il suo passato mi ha fatto sentire molto vici- na a lui e a un mondo che se non lo sfiori sembra correre parallelo.

senza titolo di ELENA PERLINO 50 x70 carta su forex 2006

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

* L’artista ha scelto di non rispondere ritenendo l’opera esaustiva del te- ma in contrapposizione alle domande –violente- indaganti un privato, che come tale va tutelato.

SOS di FAMFIRA FACAS 100X40 materiali 2007

TESTO 1,2 di ZAMFIRA FACAS 30X40 stampa su perspex 2007

SOLITARIO di FAMFIRA FACAS silenzio universale- senza misura 2007 TESTO 3 di ZAMFIRA FACAS 30X40 stampa su perspex 2007

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

Sono cresciuto nell’astigiano, molto libero rispetto a un bambino di città, con due genitori severi il giusto e molto affettuosi. Giocavo all’aria aper- ta andando alla scoperta del mondo. Ero appassionato di giardinaggio e già attirato dall’arte: incantato dalla coreografia della natura, dalla luce e dai colori. Amore che ho trasferito nelle battaglie per la conservazione del paesaggio urbano storico. Mi ricordo il primo viaggio a Parigi, avevo quindici anni e provai un’emozione profonda sospeso in ammirazione di fronte ai capolavori della pittura: “La Gioconda” di Leonardo, “La morte della Vergine” di Caravaggio, la “Nike” di Samotracia e “Prigioni” di Mi- chelangelo. Mi è rimasta l’amarezza di un insegnamento “povero” alle Elementari, con una Scuola Media leggermente più stimolante, che han- no segnato negativamente la mia persona. Ho dovuto aspettare il trasfe- rimento a Torino e gli anni del Liceo per scoprire la passione per la cultu- ra e lo studio.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Ho una nipotina, figlia di mio fratello: bella e intelligente, con cui ho un bellissimo rapporto dovuto, forse, alla lunga esperienza di educatore e animatore nelle scuole. I bambini mi mantengono giovane, con loro gio- co, corro, salto, scherzo e canto. Affiancarli e un modo per colmare alcu- ne lacune della propria infanzia. Rapportandomi con loro, sempre, con una grande forma di rispetto per la loro intelligenza, la grande curiosità che li contraddistingue. La loro è una struttura in continua evoluzione sia a livello fisico che a livello percettivo rispetto alla propria immagine e al mondo esterno.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

C’è un episodio alle Elementari dove un’isegnante teneva un’atteggia- mento molto duro nei miei confronti e con tutta la classe. Una donna che non amava i bambini, noi ne avevamo paura. C’era una bimba che

INTERRUZIONE 1, 2, 3. di Andrea Giuseppe Marte 100X80-100X70-100X80

Tecnica mista su tela. 2007

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faceva i bisogni nei vestiti perché era terrorizzata dalla freddezza e dalle percosse date o con una canna o, con una cintura di pelle nera. La mae- stra vestiva con un grembiule nero e la ricordo come l’orco. Oggi mi fa pena, allora mi ha creato qualche difficoltà.

Voglio fare un appunto sul lavoro in esposizione:

È un’opera molto forte, difficile da codificare decifrandone il completo si- gnificato perché nasce come elemento dell’arte, è quindi riduttivo fer- marla e comprimerla delimitandola con dei margini. Il fruitore deve co- glierne le sfumature in un significato soggettivo e non, oggettivo. Rap- presento una bambina morta del passato: un’interruzione, la violenza della morte.

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

Sono nato a Torino che i miei avevano già un bimbo di 11 anni, un paio di anni dopo che la mia famiglia si era spostata nella grande città dal Sud. C’era grande desiderio dei miei di una figlia femmina e sono arriva- to io: un maschio, l’aspettativa mancata. Da piccino non volevo mangia- re, mia madre ha trovato la soluzione mandandomi a casa di amici e pa- renti dove mi divertivo, mangiavo e giocavo e non mi sentivo più solo. Il mio rapporto col cibo è stato difficile fino ai 18 – 20 anni senza cadere mai nell’anoressia. Mi è mancata la figura materna, pur avendo una mamma affettuosa: entrava e usciva dagli ospedali e io giravo da un pa- rente a un altro quando era ricoverata. Appena adulto la malattia si è ag- gravata e ne ho seguito il calvario per 12 anni. Il mio papà lavorava sem- pre e quindi era un papà assente, provo un legame più forte oggi che non ci sono più perché mi sento accompagnato dal loro amore in ogni passo. Da giovanissimo ero appassionato allo studio, un bambino dili- gente, amavo l’arte che vivevo di riflesso con un fratello antiquario.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Amo molto la purezza che i bambini hanno nei confronti della vita, lo stesso atteggiamento che è riemerso in me quando ho perso i miei geni- tori (e ho cominciato a mangiare). Non ho bimbi miei, sono “prozio” e mio fratello nonno. Vedo i miei nipoti, gioco con loro e quando mi cerca- no mi fanno mille domande, sanno che ho la pazienza di fermarmi e spiegargli… Mi piacerebbe tanto avere un figlio, la vita non mi ha anco- ra regalato la compagna giusta e quando lei c’era io non ero pronto.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

Avendo girato tante case a causa della malattia di mia madre, sin da pic- colo sono finito fra le braccia, sulle ginocchia di un sacco di estranei che mi dicevano quanto ero bello, questo atteggiamento mi infastidiva e mi sentivo un po’ perseguitato. Da più grande ci sono stati i primi approcci sia da parte maschile che femminile e io mi sentivo ancora molto bambi- no, li ho allontanati, di fronte a carezze non volute. C’è stato un episodio in cui un ragazzo più grande, che per me era un modello, ha cercato di abusare di me, anche spogliandosi in mia presenza, cercando la mia at- tenzione attraverso la minaccia e la violenza. Sono riuscito a limitare i danni. Da allora ho addrizzato le antenne e difficilmente concedo la mia

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amicizia, ho un atteggiamento protettivo verso me stesso e una forte au- tostima, sto bene con gli altri, ma sto molto bene da solo in compagnia dell’arte che è quasi una fidanzata.

La particolarità di quest’opera sta nell’aver trovato la foto della bimba

“CELESTE” all’interno della cassapanca quando l’ho comperata e così l’orecchino e il guantino, che sono parte integrante dell’installazione, li ho raccolti per strada sul percorso fra casa e studio.

AREA PROTETTA 30X80X42 = 8 di GIOVANNI DI CEGLIE 30X80X42

Tecnica mista su cassapanca d’epoca in legno. 2007

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

Ero una bambina molto solare, abbastanza scatenata: erano anni di grande fermento, io sono figlia del ’68. Ci sono ancora delle foto di me piccola alle manifestazioni femministe o del 1’ maggio: urlavo “Tremate tremate le streghe son tornate”. Ricordo le vacanze al Sud nei Club col tridente le escursioni a Ostini, Alberobello, il risotto rosa mangiato in Tu- nisia e il profumo dei gelsomini. A Torino c’era il Teatro dell’Angolo che oltre agli spettacoli in cartellone, aveva dei momenti di gioco con i bam- bini e costruivamo costumi di lana e gommapiuma. Gli anni di piombo sono stati i più divertenti, andavo a vedere i film di Moretti e di Allen con la mia mamma e mangiavo le patatine fritte al Festival dell’Unità. Il pas- saggio al Liceo è stato traumatico mi sono richiusa su me stessa, tutti gli stimoli di pochi anni prima erano spariti in una sorta di buio culturale.

Ho sofferto prima di bulimia e poi di anoressia e ancora bulimia e anores- sia, ne sono uscita dopo la maternità.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Adoro i bambini sono creativi, istintivi e diretti hanno la forza che noi adulti spesso “dimentichiamo”.

Sognavo la famiglia tradizionale essendo figlia del divorzio con un papà assente e invece ho fatto due figli con due papà differenti. Intelligenti e scatenati, iperattivi e affettuosi: femmina e maschio.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

Ci sono stati due episodi in cui dei ragazzini più grandi hanno fatto spo- gliare me e alcune altre bambine.

Situazioni differenti dove la paura è una forma di ricatto sottile: dove l’appartenenza o l’ostracismo dal gruppo ci hanno piegato all’abuso, che si è fermato mostrando il pube. In un’altro frammento c’è il ricordo di un uomo che mi ha avvicinata dicendo che era malato e se potevo aiutar- lo ad urinare. Ha aperto i pantaloni ed estratto il membro, io sono scap- pata. Ho pianto spaventata. E ancora un po’ più grande sui 12 anni, mi

NO MOLESTIE 1, 2, 3, 4, 5, 6. di Lalage Florio 30X40 stampa su perspex. 2007

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sono sentita seguita mentre rientravo a casa da danza: ho cominciato a correre, mi ha raggiunto, buttata a terra e chiuso la bocca. Sono riuscita a morsicargli la mano e a urlare.

La sua voce mi suonava nelle orecchie “zitta, non ti voglio fare del male”.

È scappato ed è accorsa gente, ero all’angolo di casa. Sono stata molto fortunata. Per parecchio tempo ho avuto paura degli uomini. I miei figli non devono mai girare l’angolo senza che io li veda: stanno con me o con i miei genitori. Guardano il telegiornale e hanno paura che qualcuno li faccia sparire com’è successo a Denise o gli faccia del male, respirano la violenza sui media.

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ARTISTI DELLA PAROLA:

SARA BELTRAME

EDOARDO DI MAURO

GIAN ALBERTO FARINELLA

MASSIMO NOVELLI

ROLANDO BELLINI

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CREDETE CHE BASTI? Massimo Novelli 30X40 stampa su perspex. 2007

Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

“Un pessimo medico fece capire ai miei genitori che avevo i giorni conta- ti, come si dice, a causa di una malattia inguaribile. Anch’io avevo intuito qualcosa dal comportamento di papà e di mamma. Non avevo compreso tutto, certo, però mio ero reso conto dell’esistenza di un problema lega- to alla mia salute. Avevo dieci anni. E rammento lo struggimento di quei momenti e una mia fotografia scattata a Superga, davanti alla lapide del Grande Torino, dove offrivo all’obiettivo un volto triste.

Poi, grazie al cielo, un altro medico accertò che non avevo nulla, quella diagnosi era sballata.

In ogni caso, ritengo di avere avuto un’infanzia felice. Mi rammarico so- lamente di avere perduto i miei soldatini di piombo. Erano bellissimi, se è per questo”.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

“Ho un ottimo rapporto. Credo di averlo anche con mio figlio, la piccola peste di nome Alighiero”

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

“Fortunatamente no. Ricordo tuttavia che, quando avevo tredici o quat- tordici anni, un tizio prese a seguirmi. Lo incontravo ovunque. Una sera lo affrontai con una catena di bicicletta in mano e lui scappò. Non l’ho mai più visto”.

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

I primi anni sono stati certamente sereni, anche se il fatto di essere stato il primogenito, mio fratello è più giovane di otto anni, di una famiglia di italiani e greci nata in Egitto e da lì costretta con profondo trauma ad espatriare con l’avvento di Nasser nel 1957, mi ha fatto oggetto di pre- mure ed aspettative molto stringenti. Nato a Torino nel 1960, ho poi tra- scorso due anni a Losanna, in Svizzera e tre anni a Genova ed ho un ri- cordo quasi magico ed incantato di quegli anni. I problemi sono iniziati con il ritorno definitivo a Torino nel 1966. La mia famiglia acquistò un immobile di nuova edificazione a Madonna di Campagna; si era nel pie- no della seconda ondata di immigrazione dal Meridione ed io, cresciuto nella bambagia, ebbi per lungo tempo problemi a relazionarmi con i miei coetanei rasentando l’asocialità. In seguito debbo riconoscere che quello fu, a suo modo, un periodo duro ma formativo che mi fece comprendere come per me, sostanzialmente un apolide, non sarebbe stata facile in una città stimolante ma dura ed elitaria come Torino.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Il mio rapporto con i bambini è positivo, mi ricordo che accolsi la nascita di mio fratello senza gelosia alcuna. Non ho figli non per precisa scelta ma perché le cose sono andate così. La mia compagna, con la quale sto insieme da sedici anni, vive a Bologna ed aveva già un figlio. Nessuno dei due ha potuto congiungersi con l’altro quindi la scelta è stata inevitabile.

Fortunatamente mio fratello e i miei due cugini hanno dato alle luce sei bambini, quindi il tasso di natalità della famiglia Di Mauro è salvo.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

Non ho subito alcun tipo di molestia sessuale. Negli anni delle elementa- ri e delle medie i metodi educativi speso pesanti ed inadeguati dei miei insegnanti, ad onta del mio buon rendimento, mi hanno creato non po- chi problemi. Penso, però, di avere tratto una salutare lezione da tutto ciò che credo di sfruttare nel mio mestiere di docente, sebbene di perso- ne giovani ma ormai adulte.

PER UN’ANTROPOLOGIA DELL’INFANZIA di Edoardo Di Mauro 30X40 stampa su perspex. 2007

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

* L’artista ha scelto di non rispondere ritenendo l’opera esaustiva del te- ma in contrapposizione alle domande –violente- indaganti un privato, che come tale va tutelato.

LA MOLTEPLICITA’ IRRIVERENTE DELLA VITA di Gian Alberto Farinella 30X40 stampa su perspex. 2007

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

“Si descriva” parrebbe: dica di sé e non di sua infanzia, straziante come il marzapane, o no? Cerco di rispondere (stare al gioco, insomma) a tre do- mande imposte – come usava fare una volta- e mettere a fuoco immagi- ni. Frammentarie e sbiadite – fingendo di interpretare il giusto- tra cui, da un lato, Veduta di Delfi, di Vermeer, ma contaminata dalla Recherche proustiana in cui si recita la morte di Bergotte (“Il se rèpètait: ‘Petit pan de mur jaune”) meticciata a un’infanzia sognante, la mia, da predestina- to: sarei stato storico dell’arte? Allora pensavo regista…. Dall’altro (lato) ecco Polito Sommazzi progettista del Grand hotel di Rimini, set del film Amarcord di Federico Fellini. All’improvviso am’arcord, mi ricordo io pure di mia infanzia: meraviglia, priva di vuoti affanni, densa di fantasie…Vis- suta, poi teatralmente: Antonin Artaud e il suo “doppio”. Non è, in vero, mitopoietica. Per dirne debbo chiedere consenso a questi “altri”. Doma- ni, si. Doman seren sarà e se non sarà sereno….

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Vivere l’incontro con i bambini come meravigliosa esperienza cognitiva in cui tutto si ribalta e viene messo in discussione, tutto è scoperta e avven- tura, tutto è nutrimento della fantasia e scalda il cuore. Questo è il mio incontro con i bambini. Mi ritrovo bimbo, io pure, accanto a mio figlio, cogli occhi gonfi di ricordi smaglianti, di sapori indicibili. Tutto, di colpo, torna attuale quando si diventa padre… Mirò, Ricasso, tant’altri (non moltissimi però) hanno un rapporto speciale con l’infanzia, la loro e l’al- trui. Ogni incontro con un bambino o un ragazzino, insomma un minore anche se grandicello, è l’equivalente, sempre, d’una avventura meravi- gliosa oltre i confini della realtà, non è così? Si, purchè si sappia rispettar- ne il mondo, restandone fuori, a osservare in silenzio.

Sono meravigliosi, i bambini: ne vedo di alati come amorini svolazzarmi tutt’attorno, vengono dal XVII secolo; altri si nascondono entro i rompi- capo percettivi di Braque o Pollock e altri ancora ritornano, travestiti da clown, in 8 e mezzo di Federicone (Fellini), un grande bambino.

INVETTIVA CONTRO LA VIOLENZA? Di Rolando Bellini 30X40 stampa su perspex. 2007

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“La prima cosa che la filosofia fa, o dovrebbe fare, è d’allargare l’immagi- nazione dell’intelletto”, sostiene Bertrand Russell. Così pure l’arte, ma so- no entrambe poca cosa –scopri diventando padre- rispetto a quello che vivi riattualizzando in te, attraverso la paternità l’infanzia, la tua mitica in- fanzia. Se sai mantenerti a contatto diretto e vitale, certo, ma rispettoso e dunque sempre a debita distanza rispetto al mondo dei bambini, con tutta la sua meravigliosa meraviglia fiabesca e mitopoietica! Si dice: i mi- ti originano e sono originati dalla narrazione. Ebbene, io dico invece: so- no nutriti e cresciuti dall’infanzia, dai suoi sogni ad occhi aperti, dai rac- conti che contaminano e modificano la realtà piegandola al volere della fantasia.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

Sostenere di no, di non aver mai subito nessuna negatività da “minore”

(perché la domanda non lascia scampo: da minore –recita arcigna e un po’ ottusa- ha mai subito molestie o maltrattamenti? Ignorando, parreb- be, la molestia madre di tutte le altre: l’invasività adulta che tenta di pie- gare quel mondo sorgivo ai propri comandamenti!) è, credo, un para- dosso. Eppure la mia infanzia è stata meravigliosa, in ogni senso. E dovrei proprio dire: io no, grazie! Io, tu, quanti altri potrebbero congetturarlo (che ne direbbe il dottor Freud?) affermando in ultimo di non essere mai stati visitati da maghi e streghe, elfi e orchi! Ma anche immersi in un pic- colo “paradiso terrestre” e senza neppure scomodare le terribili fiabe in- fantili, il magnifico Swift, tant’altri, ecco che si percepisce egualmente, d’istinto, sin da piccolissimi –a me è capitato- che là fuori, in fondo al giardino, si nascondono mostri e dietro il muro alto che lo chiude e pro- tegge, che fa la differenza tra questo ‘ortus conclusus’ profano che per te è “l’ombelico del mondo” (Giovanotti, sì) e il mondo esterno, ecco che si affollano tutti i pericoli veri (adulti), le vessazioni occulte (e no), le catti- verie ottuse del mondo adulto (affollato da cretini, si direbbe). E insorgo- no dunque fantasmi e paure: un modo singolare per dare nutrimento, però, ancora una volta (sinchè sei bambino, s’intende) alla fantasia e strumenti di lavoro al cervello –mente inclusa, grazie di avermelo ricorda- to dottor Popper! Ed ecco, allora, che può mettersi al lavoro l’inappunta- bile, magnifico e anzi mitico dottor Freud, non è così? Specie quando la bella donna che mi fronteggia, mostrandosi nuda, insinua che lei no, non ha segreti: un’anima nuda e perfetta! E soprattutto senza macchie o se- greti, sofferenze e maltrattamenti da occultare…. La molestia che tutti

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subiamo, da bambini, anche quando si vive un’infanzia entusiasmante (il caso mio), è la invasiva presenza del mondo adulto, privo di contamina- zioni tra sogno e realtà, povero di fantasie e surrealtà vivificanti. Sì, pove- ro come un deserto (ma allora…). La peggiore violenza che tocca un po’

a tutti quanti i bambini (i più fortunati, certo, in misura minima: io per esempio) è lo smantellamento del loro meraviglioso mondo, tutt’altro che “infantile”, perché semplicemente magico! Il fatto è che te ne di- mentichi e tutta questa magia si appanna e svapora poco a poco, sinchè non rincontri il magico mondo infantile grazie a tuo figlio o figlia e i loro amici e allora, all’improvviso, capisci quale privilegio sia la paternità. E ri- scopri tutto il formidabile sapore della Recherche proustiana! Vi è per po- chi fortunati

–è vero- una possibilità eccezionale: quella di poter restare ancorati più a lungo possibile al magico mondo infantile. Io sono uno di questi fortuna- ti, banalmente perché di mestiere faccio lo storico dell’arte: tento cioè di storicizzare – forse: documentare e rendere comprensibile oltre ogni pos- sibile vedere – il dono meraviglioso della creatività che dà corpo e sangue ai sogni, alle fantasie più originali, proprio come accade, sempre, quando si è bambini! Non è così? E non è per questo, proprio per questo che le

“denunce” contro ogni violenza possibile, si rivolgono contro e tentano di arginare innanzi tutto il mondo degli adulti che vorrebbe contagiare- impossessarsi dell’infanzia (perduta). E dunque rinnovano, anche solo per un momento, e rendono presente e viva la magica infanzia, consen- tendo altresì di vedere, anche solo per un frammento di spaziotempo mi- nimo, il vuoto, la banalità, la povertà, la cattiveria e la violenza del mon- do adulto che tenta in tutti i modi, anche i modi ingiustamente violenti, di rimpossessarsi dell’altro mondo, magico, lucente, creativo, il mondo dei bambini (dei poeti, anche, di taluni artisti, perché no, persino degli scienziati – alcuni s’intende e, per finire, dei teologi, ma soprattutto il mondo in cui si ritrovano, come bambini, i filosofi!). No, non posso dire di ciò che non so e non ho vissuto, ma posso e debbo dire che ogni vio- lenza contro i minori, ogni abuso infantile è un colpo mortale inferto al- l’intera umanità e massime a quegli uomini creativi ai quali, secondo Paul Klee, dovremmo affidare il nostro futuro prossimo e remoto, l’intero de- stino dell’umanità.

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Che ricordi ha della sua infanzia, si descriva?

La mia infanzia è fuori dal comune. Cresco a Treviso, città nota per le sue po- sizioni “bianche” e moraliste. Mio padre e mia madre, insieme ad altri giova- ni, decidono di fondare un condominio speciale, una sorta di Comune, all’in- terno della quale le dieci famiglie che vi abitano, avrebbero seguito alcune semplici regole della vita comunitaria.

Cresco così. Le chiavi dei vari appartamenti sempre sulla toppa; ho la sensa- zione di avere più di una mamma, di un papà e di un fratello; provo gioia ec- citante all’idea di dormire dentro le tende piantate nel giardino condominia- le, d’estate; scovo mille e uno motivi per organizzare qualche festa danzante;

adoro gli zingari che suonano e ballano con noi; corro in bicicletta; vado in canoa; vado in vacanza insieme a tutti gli altri. Ma ci sono anche le liti, le di- scussioni sulla politica, le diverse visioni sulla religione, sulla vita di tutti i gior- ni, sui rapporti con le persone. Più cresco e più ho bisogno di andarmene via.

Non ho ancora finito di crescere e il mio bisogno di scappare mi ha portato a fare 19 traslochi in meno di dodici anni.

Ecco. Questa è la mia esperienza d’infanzia e adolescenza. Uscita da lì, da quella bolla di sapone fragilissima, è stata molto dura rendersi conto che la vita non è esattamente un grande gioco dove la costante è l’amore. Devo di- re però, che i rapporti generati con gli altri bambini (poco meno di una venti- na di bimbi), sono più che fraterni. Ognuno ha preso strade diverse, ma il le- game che ci unisce va oltre al legame di sangue, oltre a quello di amicizia. È un sentimento che non riesco ancora a battezzare, per il quale non riesco an- cora a trovare una parola giusta. La sto cercando. La troverò.

Che rapporto ha con i bambini, ha bambini suoi?

Il mio rapporto con i bambini è di stupore. Mi sembrano dei microcosmi.

Mi pare che ogni piccola alterazione della loro “atmosfera”, del loro “ha- bitat”, possa rompere l’equilibrio che li fa muovere nel mondo, possa in- terferire nella loro crescita. Così ho un senso istintivo a proteggerli, ma senza interferire nella loro scoperta del mondo. Inoltre, trovo magica- mente straordinaria la loro capacità di comunicare senza usare le parole, prima che comincino a parlare ma forse anche dopo. Mi piace mettermi

MI SPAVENTA di Sara Beltrame 30X40 stampa su perspex. 2008

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all’ascolto di un bambino, quando me lo trovo davanti. Mi piace sentire che cosa mi dice. E normalmente, tocca corde di me che non pensavo nemmeno di avere.

Io non ho figli, al momento.

Da “minore” ha mai subito molestie o maltrattamenti?

Sicuramente non maltrattamenti fisici o molestie gravi. Vagamente, ho il ricordo di un uomo che frequentava casa nostra. Era un uomo molto grasso. Aveva anche la voce grassa. Occupava tanto spazio. Per un certo periodo veniva spesso a trovare i miei, non so bene per quale motivo. Ci riempiva di regali, mi ricordo. Arrivava verso sera, quando mio padre tor- nava a casa dal lavoro. Per me e mio fratello, dopo cena, era già ora di andare a dormire. Lui spesso si offriva di accompagnarmi a letto. Mi ri- cordo di una volta in cui ci ha messo più del solito a coprirmi le gambe sottili, con le lenzuola. Mi ha detto Che bel sederino, che hai…È stato il modo, in cui me l’ha detto. Con quella sua bocca arricciata sotto i baffi, gli occhi stretti, nel buio. Ricordo solo questo e non l’ho mai raccontato a nessuno. Inoltre, questo ricordo, è stato “vomitato” dalla mia mente do- po tantissimo tempo e in un momento casuale della mia vita. È stato strano anche il modo in cui mi sono ricordata di questo fatto e così spes- so mi chiedo se io non abbia cancellato dei pezzi di questa storia. Lui è morto giovane. I miei erano tristi. Io ho finto di esserlo.

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2008 presso INTERGRAPH - MAPPANO/CASELLE (TO)

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promossa dalle Associazioni Culturali:

PARADIGMA LA SCATOLA CINESE Con il contributo della

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