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SENZA GUINZAGLIO

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Academic year: 2022

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SENZA

GUINZAGLIO

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Introduzione

La sconfitta e la sottomissione delle popolazioni del pianeta è stata la vittoria della mentalità socializzata su quella selvaggia individualista. Siamo tenuti a credere che i problemi di questo mondo, come la povertà e l'oppressione, sono colpa di quei vecchi spauracchi cristiani: Egoismo, Avidità, Orgoglio, Odio e Immoralità più in generale. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.

Questo moraleggiante narrativa richiede, come ogni moralità, automutilazione e una maggiore repressione.

Lo schiavo obbligato a marciare lungo la strada del 'Progresso Umano' è stato guidato da varie astrazioni divinizzate su montagne di cadaveri, distruggendo i boschi selvaggi per piantare monocolture inflebandosi la subordinazione. È stata la marcia dei fantasmi. Non lasciando mai che ogni essere sia di per sé

sufficiente, queste divinità esigono sacrifici e distribuiscono giustizia,

conferiscono diritti e responsabilità, e sono la causa che deve essere seguita, il ritmo a cui sincronizzare il ritmo della vita, l'ordine in cui si ci deve inserire.

Questi fantasmi sono potenziati dalla perdita, sociale e auto-inflitta, del proprio potere individuale, della propria vitalità, della propria bio-energia. Max Stirner ha parlato di spettri, Karl Marx di feticci, Friedrich Nietzsche di idoli. (sebbene Marx e Nietzsche essendo moralisti a tutti gli effetti, distruggevano vecchi idoli per sostituirli con altri nuovi.) Questi fantasmi sono concetti sovrani che stanno sopra l'individuo, esigendo obbedienza. La potenza individuale (compresa quella sessuale) si aliena da noi, impiegandosi nei fantasmi che oggi ci dominano. Sia che potenziamo un Dio, un Grande Leader, o il Capitale siamo alienati dal nostro essere, dallle nostre potenzialità. A meno che loro non rimangano nostri

strumenti o giocattoli, i concetti, le categorizzazioni, i sistemi, e così via ci trasformano a loro volta in strumenti e giocattoli.

Come Sigmund Freud ha descritto, la civiltà è basata sulla repressione

permanente dei singoli istinti, sulla rinuncia, provocando una tensione costante tra i singoli desideri e gli schemi di controllo instillato, che portano alla

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sofferenza e alla nevrosi. Tutti i vari desideri che abbiamo sono repressi in favore del sistema di moralità. L'egoismo, l'avidità, l'orgoglio, l'odio - per non parlare delle libere manifestazioni di cura, di condivisione, di vulnerabilità e di amore - sono soggiogati da modelli di controllo esterni del comportamento, creando individui che sono utili alla Società e ai suoi governanti. La Società, a partire per lo più dalla Famiglia, impone il suo addomesticamento dell'individuo, minando la nostra vitalità reprimendo con la paura e la vergogna i nostri desideri istintuali, la nostra libera-creativa-ludico-sessuale-aggressiva-egoista-gioiosa-curiosità.

Guarda intorno a te - in tutto il mondo ci sono persone che hanno paura di vivere per se stessi, paura di essere i propri padroni, incapaci di sentirsi realizzati o potenti se non per mezzo del far parte della Massa, di una Parte Utile di qualcosa o di altro: innalzati dai loro Leader, vittoriosi attraverso la loro Squadra Sportiva, potenziati dal loro Gruppo-Orgoglio (Nazione, Religione, Etnia, Classe, ecc), resi "completi" dal loro partner o dai genitori o dai figli. Queste caratteristiche di soppressione dei desideri egocentrici a favore di fantasmi reificati, zombie animati dalla nostra potenza alienata, può essere una cosa ovvia per il patriarcale, onesto lavoratore Cristiano e cittadino leale, ma sono altrettanto presenti in

"radicali" e "rivoluzionari" che, il più delle volte, semplicemente hanno una fede alternativa.

La massa degli oppressi non ha ancora se stessi liberati perché, anche quando si sollevano contro gli oppressori, hanno generalmente seguito ideologie

'Rivoluzionarie' che richiedono la rinuncia dei desideri individuali, hanno semplicemente cambiato i modelli di comportamento autoritari piuttosto che superare questi modelli . I controproducenti segnali di capitolazione da parte degli oppressi hanno permesso eventi sempre più terrificanti di prendere piede - guerre, devastazione ecologica, genocidio, re-ingegneria sociale - che hanno, per lo meno, appannato il punto di vista ottimistico dei rivoluzionari socialisti. Tre percorsi sono presenti - uno più profondo, forse più nichilista e meno ottimistico, certamente meno populista, una disanima della nostra situazione che la fa finita con una società vista come una vittima innocente; una arresa, che fa la pace con l'esistente in nome del 'pragmatismo', della 'riforma' o dell' 'evoluzione' per perseguire ragionevolezza; e infine , ovviamente, quella in cui chiudendoci gli occhi molto stretti e coprendoci le orecchie ripetiamo il mantra della nostra fede

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in 'un futuro migliore' ad alta voce. Le mobilitazioni di guerra della classe operaia delle due 'Guerre Mondiali', e i 'Tradimenti' dei movimenti democratici e comunisti sociali di massa, ha portato alcuni rivoluzionari in Occidente a sfidare se stessi per capire le conseguenze di questi fenomeni.

Anarchici socialistici ottimisti hanno creduto e continuano a credere, che la Società e lo Stato sono in conflitto, sono separati, e hanno usato la retorica populista per cercare di sollevare le masse contro quello che è raffigurato come un essere esterno a loro – l'uomo ricco e avido e il politico senza scrupoli -, invece di attaccare gli atteggiamenti di sottomissione delle persone che

permettono al ricco e al potente di cavalcare sulle loro spalle. La responsabilità viene spostata verso il nemico esterno e le masse sono dipinti come vittime, piuttosto che come i principali fautori del dominio. La corrente individualista nella tradizione rivoluzionaria occidentale, d'altra parte, non ha avuto problemi, a dare la colpa della sottomissione delle masse direttamente alla sottomissione di loro stesse, pur continuando a puntare i loro fucili e le loro bombe ai governanti ed ai loro agenti più attivi, come la polizia, i giornalisti, i burocrati, i preti e i militari. Sentendo il bisogno di rivolta nei loro corpi, quelli della corrente individualista-nichilista non hanno mai avuto il bisogno di giustificare la loro insurrezione in termini di 'la Volontà del Popolo', di 'Storia' o di 'Giustizia'; e sono sempre stato ben disposti a rinunciare all'ottimismo in favore dell'onestà e al pragmatismo in favore della dignità. In mezzo alla catastrofe della storia, questi individui erano liberi nel solo modo chiunque può essere libero, conquistando la libertà per se stessi.

Tutte le civiltà precedenti sono crollate. Quest'ultima - globale, industriale e cibernetica – crollerà anch'essa. Le conseguenze saranno semplicemente molto maggiori della caduta delle civiltà precedenti che hanno lasciato le loro rovine coperte dalla sabbia e ricoperte dalla giungla. Finchè la civiltà - l'infrastruttura di cemento tecnico-economico-statalista, così come le dinamiche sociali -

funzionano, l'uomo individualista resterà un reietto e un nemico. Solo la distruzione della civiltà, imposta da crisi e limiti dei sistemi, così come dagli attacchi 'dei barbari' e da una crescente diserzione, possono significare la fine

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della società di massa e aprire la strada ad una moltiplicazione di mondi caotici di piccoli gruppi autonomi e al libero gioco degli individui egoisti che formano relazioni basate sul desiderio piuttosto che sul dovere. Naturalmente ci sono tutte le possibilità di essere tutti annientati da una combinazione di catastrofi nucleari, biologiche, chimiche e nanotecnologiche, dal cambiamento climatico e dalle pandemie. Ma se c'è un futuro migliore che verrà da un rifiuto di tutti gli atteggiamenti di sottomissione, di tutti gli inchini davanti al dominio, di tutte le abdicazioni della nostra individuale auto-responsabilità, di tutte le rinunce ai nostri desideri e agli auto-limitanti illusori 'realismi', 'compiti' e 'debolezze'.

L' Anarchia non è stata mai la società perfetta armoniosa immaginata dal socialista, e noi possiamo solo veramente concepire l'anarchia come ri-

inselvatichimento. Cerchiamo di essere chiari – la società tecnologica di massa è incompatibile con la libertà, come abbiamo sperimentato corporeamente e afferrato logicamente se lasciamo spazio ai pensieri eretici, osservando il mondo che ci circonda, e guardando al passato e immaginando il nostro futuro. Solo tra le rovine dei centri urbani, delle reti infrastrutturali a livello mondiale, di tutti gli edifici culturali della civiltà, con le erbacce che rompono il calcestruzzo

possiamo ri-inselvatichirci per ballare sotto le stelle luminose. Ma viviamo per l'adesso - se sarà la fine del mondo, balleremo e rideremo proprio qui e ora!

"Se la storia non è un processo infinito, come io credo fermamente", ha scritto l'individualista Enzo Martucci, "quando esaurirà il suo ciclo essa scomparirà, aprendo la strada all'anarchia. Se, d'altra parte, la storia dura, anche anarchismo rimarrà - ovvero la rivolta eterna dell'individuo contro una società soffocante".

Qui pubblichiamo questi testi di alcuni nemici della società vissuti in Italia e in Francia alla fine del 19° e l'inizio del 20° secolo come una celebrazione dell'entusiasmo ribelle e individualista per la vita. Piuttosto che pensatori indipendenti questi erano individui di azione, i responsabili attivi del reato della libertà - crimine che contiene tutti i reati -, pronti e disposti a rubare ai ricchi ed ad attaccare lo Stato, non per 'una causa', ma per se stessi.

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Senza Scopo

di Zo D'Axa

- Aspetta un attimo, quindi, qual è il loro scopo?

E l'interrogato benevolo sopprime con una scrollata di spalle facendo notare che ci sono giovani refrattari agli usi, alle leggi e alle esigenze della società attuale, e che tuttavia non affermano nessun programma.

- In cosa sperano?

Se almeno questi signornò senza un credo avessero la scusa di essere fanatici. E no, la fede non può che essere cieca. Discutono, inciampano, cercano. Tattica pietosa! Questi tiratori della battaglia sociale, questi senzabandiera sono così aberranti da non annunciare che hanno la formula per la panacea universale, gli unici e soli! Mangin [ntd: Generale francese] aveva più ingegno …

- E ti chiedo: che cosa cercano per se stessi?

Non dobbiamo nemmeno parlarne. Non cercano mandati, posizioni o delegazioni di alcun tipo. Essi non sono candidati.

- Allora cosa sono? Non farmi ridere.

Sono trattenuti da un appropriato disprezzo, un disprezzo misto a

commiserazione. Anch'io patisco tale giudizio. Ci sono alcuni di noi che sentono che possiamo a malapena intravedere le future verità. Nulla ci lega al passato, ma il futuro non è ancora chiaro.

E così continuiamo, come incompresi come stranieri, sia qui che là, ed è in tutto il mondo che siamo stranieri. Perché? Perché noi non vogliamo recitare nuovi catechismi, e soprattutto non vogliamo far finta di credere nell'infallibilità delle dottrine.

Avremmo bisogno di possedere una forma vile di compiacenza per accettare un

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gruppo di teorie senza riserve. E noi non siamo così compiacenti. Non c'è stata alcuna rivelazione. Stiamo mantenendo il nostro vergine entusiasmo per un ardore. Riuscirà?

E anche se la condizione finale ci sfugge, non vogliamo risparmiarci al nostro lavoro. La nostra è un epoca di transizione, e l'uomo libero ha il suo ruolo da svolgere.

La società autoritaria è odiosa a noi, e stiamo preparando l'esperimento di una società libertaria.

Incerti sui suoi risultati, ciò nonostante desideriamo il tentativo, il cambiamento.

Invece della stagnazione in questo mondo che invecchia dove l'aria è pesante, dove le rovine si sbriciolano come se ci seppellissero, ci affrettiamo per la demolizione finale.

Fare ciò è accelerare il Rinascimento.

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Ai rassegnati

di Albert Libertad

Odio i rassegnati!

Odio i rassegnati, come odio i sudici, come odio i fannulloni.

Odio la rassegnazione! Odio il sudiciume, odio l’inazione.

Compiango il malato curvato da qualche febbre maligna; odio il malato immaginario che un po’ di buona volontà rimetterebbe in piedi.

Compiango l’uomo incatenato, circondato da guardiani, schiacciato dal peso del ferro e del numero.

Odio il soldato curvato dal peso di un gallone o di tre stellette; i lavoratori curvati dal peso del capitale.

Amo l’uomo che esprime il suo pensiero nel posto in cui si trova; odio il votato alla perpetua conquista di una maggioranza.

Amo il sapiente schiacciato sotto il peso delle ricerche scientifiche; odio

l’individuo che china il suo corpo sotto il peso di una potenza sconosciuta, di un X qualsiasi, di un Dio.

Odio tutti coloro che cedendo ad altri per paura, per rassegnazione, una parte della loro potenza di uomini non solamente si schiacciano, ma schiacciano anche me, quelli che io amo, col peso del loro spaventoso concorso o con la loro inerzia idiota.

Li odio, sì, io li odio, perché lo sento, io non mi abbasso sotto il gallone dell’ufficiale, sotto la fascia del sindaco, sotto l’oro del capitale, sotto tutte le morali e le religioni; da molto tempo so che tutto questo non è che una indecisione che si sbriciola come vetro ... Io mi curvo sotto il peso della rassegnazione altrui. Odio la rassegnazione!

Amo la vita.

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Voglio vivere, non meschinamente come coloro che si limitano a soddisfare solo una parte dei loro muscoli, dei loro nervi, ma largamente soddisfacendo sia i muscoli facciali che quelli dei polpacci, la massa dei miei reni come quella del mio cervello.

Non voglio barattare una parte dell’oggi con una parte fittizia del domani, non voglio cedere niente del presente per il vento dell’avvenire.

Non voglio curvare niente di me sotto le parole Patria – Dio – Onore. Conosco troppo bene il vuoto di queste parole: spettri religiosi e laici.

Mi burlo delle pensioni, dei paradisi, sotto la cui speranza religioni e capitale tengono nella rassegnazione.

Rido di tutti coloro che accumulano per la vecchiaia e si privano nella gioventù;

di coloro che, per mangiare a sessanta, digiunano a vent’anni.

Io voglio mangiare quando ho i denti forti per strappare e triturare grossi pezzi di carne e frutti succulenti, e voglio farlo quando i succhi del mio stomaco

digeriscono senza alcun problema; voglio soddisfare la mia sete con liquidi rinfrescanti o tonici.

Voglio amare le donne, o la donna secondo come converrà ai nostri comuni interessi, e non voglio rassegnarmi alla famiglia, alla legge, al Codice, nessuno ha diritti sul nostro corpo. Tu vuoi, io voglio. Burliamoci della famiglia, della legge, antica forma della rassegnazione.

Ma non è tutto: io voglio, poiché ho gli occhi e le orecchie, oltre che mangiare, bere e fare l’amore, godere sotto altre forme. Voglio vedere le belle sculture, le belle pitture, ammirare Rodin o Manet. Voglio ascoltare le migliori opere di Beethoven o di Wagner. Voglio conoscere i classici della Commedia, conoscere il bagaglio letterario e artistico che è servito per unire gli uomini passati ai presenti o meglio conoscere l’opera sempre in evoluzione dell’umanità.

Voglio gioia per me, per la compagna scelta, per i bambini, per gli amici. Voglio una casa dove poter riposare gradevolmente i miei occhi alla fine del lavoro.

Poiché io voglio anche la gioia del lavoro, questa gioia sana, questa gioia forte.

Voglio che le mie braccia adoperino la pialla, il martello, la vanga o la falce.

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Voglio essere utile, voglio che noi tutti siamo utili. Voglio essere utile al mio vicino e voglio che il mio vicino mi sia utile. Desidero che noi operiamo molto perché la mia necessità di godere è insaziabile. Ed è perché io voglio godere che non sono rassegnato.

Sì, sì, io voglio produrre, ma voglio godere; voglio impastare la farina, ma mangiare il miglior pane; fare la vendemmia, ma bere il miglior vino; costruire la casa, ma abitare nei migliori appartamenti; fare i mobili, ma possedere anche l’utile, vedere il bello; voglio fare dei teatri, tanto vasti, per condurvi i miei compagni e me stesso.

Voglio prendere parte alla produzione, ma voglio prendere parte al consumo.

Che gli uni sognino di produrre per altri a cui lasceranno, oh ironia, la parte migliore dei loro sforzi; per me, io voglio, unito liberamente con altri, produrre ma consumare.

Guardate rassegnati, io sputo sui vostri idoli; sputo su Dio, sputo sulla Patria, sputo sul Cristo, sputo sulle Bandiere, sputo sul Capitale e sul Vello d’oro, sputo sulle Leggi e sui Codici, sui Simboli e le Religioni: tutte fesserie, io me ne burlo, me ne rido...

Essi non sono niente né per me né per voi, abbandonateli e si ridurranno in briciole.

Voi siete dunque una forza, o rassegnati, di quelle forze che si ignorano ma che sono delle forze ed io non posso sputare su voi, posso solo odiarvi ... o amarvi.

Il più grande dei miei desideri è quello di vedervi scuotere dalla vostra rassegnazione, in un terribile risveglio di Vita.

Non esiste paradiso futuro, non esiste avvenire, non vi è che il presente.

Viviamo!

Viviamo! La Rassegnazione è la morte.

La rivolta è la vita.

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PER SENTIRMI VIVO

di Emile Armand

I.

Mentre scrivo queste righe, la stagione elettorale è in pieno svolgimento. I muri sono tappezzati di manifesti di ogni colore in cui le persone affermano di essere di ogni bandiera, di ogni "colore", di opinione. Chi non ha il suo partito, il suo programma, la sua professione di fede? Chi non è né un socialista, un radicale, un progressista, un liberale, o un "proporzionalista" - la nuova moda? Questa abnegazione di sé è la grande malattia del secolo. Uno appartiene ad un'associazione, a un sindacato, a un partito, si condivide le opinioni, le convinzioni, la regola di condotta di un altro. Si è un guidato, un seguace, un discepolo, uno schiavo, mai se stessi.

È vero che questo è meno gravoso. Appartenere ad un partito, adottare il programma di un altro , adattarsi a una linea di condotta collettiva, ci evita di pensare, di riflettere, di creare le proprie idee. È fare a meno di agire da sè. E' il trionfo della famosa teoria del "minimo sforzo", per amore di cui tante cose stupide sono stato dette e fatte.

Alcuni chiamano questo vivere. È vero: I molluschi vivono, gli invertebrati vivono; l'imitatore, il copione, il chiacchierone tutti vivono; il pecorone, il traditore, il calunniatore e il pettegolo tutti viviamo. Ma lasciamoli a loro e sogna non solo di vivere, ma qualcosa di più: "di sentirti vivo".

II.

Per sentirsi vivo non è solo essere consapevoli che stiamo regolarmente adempiendo alle funzioni che mantengono l'individuo (e, se volete, le specie). Né ci si sente vivi nel compiere gli atti della propria vita all'interno di uno stretto disegno, in linea con qualche libro accademico scritto da qualche autore che non sa nulla della vita, ma solo le sue allucinazioni, miscugli e equazioni. Sentirsi vivo non è certo mantenersi ordinati nei percorsi di ghiaia in un giardino pubblico mentre i sentieri ribelli del sottobosco selvaggio chiedono di te.

Sentirsi vivo è vibrare, emozionarsi, rabbrividirsi, con il profumo dei fiori, il canto degli uccelli, il fragore delle onde, l'ululato del vento, il silenzio della solitudine, la voce febbrile della folla. Sentirsi vivi è sia essere sensibili al canto lamentoso del pastore sia alle armonie delle grandi opere, che all'influenza

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radiosa di una poesia come ai piaceri dell'amore.

Sentirsi vivo è rendere emozionante quei dettagli della propria vita di cui vale la pena affrontare: per fare di questa un esperimento di passaggio e un'esperienza che riesce. Tutto questo senza vincoli, con nessun programma imposto in anticipo, secondo il proprio temperamento, il proprio stato d'essere nel momento, la propria concezione della vita.

III.

Si può pensare se stessi come un anarchico e vegetare. Si può rispecchiare l'anarchismo del proprio giornale, del proprio scrittore preferito, del proprio gruppo. Si può dirsi originale e in fondo non si è altro che un outsider di secondo o terzo grado in più.

Essere vincolati dal giogo di una cosiddetta moralità "anarchica" rimane sempre un vincolo. A priori tutta la moralità è la stessa: teocratica, borghese, collettivista o anarchica. Piegati in due sotto una regola di condotta contraria al vostro giudizio, ragione, e esperienza, a quel che senti e desideri, con il pretesto che è la regola scelta da tutti i membri del vostro gruppo, è l'agire di un monaco, non di un anarchico. Non è l'agire di un negatore di autorità temere di perdere la stima o di incorrere nella disapprovazione del proprio circolo. Tutto ciò che il tuo compagno può chiedere a voi è di non interferire con la pratica della sua vita, non può andare oltre.

IV.

Una condizione essenziale per "sentirsi vivo" è quello di saper apprezzare la vita.

Le morali, le sensazioni, le regole di comportamento, le emozioni, le conoscenze, le facoltà, le opinioni, le passioni, il significato, il cervello, ecc ci sono tanti mezzi che ci permettono di affrontare la nostra vita. Tanti servitori al comando del '"sè" per il suo sviluppo e espansione. La padronanza di tutti loro, la propria coscienza di "negatore di autorità" non permette di lasciarsi padroneggiare da nessuno di essi. Quando egli soccombe, deriva dalla mancanza di educazione della volontà. Ma non è irreparabile. Lo studiato "unico-oltre-dominio" non è timoroso, egli gode di tutto, morde tutto, nei limiti dell' apprezzamento individuale. Assopara tutto e niente è ripugnante per lui, finché egli mantiene il proprio equilibrio morale.

Solo l'anarchico può sentirsi vivo, perché egli è l'unico tra gli uomini, l'unico di cui l'apprezzamento della vita ha la sua fonte in sé, senza l'immisione impura di un'autorità imposta dall'esterno.

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Anch'io sono nichilista

di Renzo Novatore

I

Sono individualista perché anarchico, e sono anarchico perché sono nichilista.

Ma anche il nichilismo lo intendo a modo mio…

Non mi occupo di sapere se esso sia nordico od orientale, né se abbia o non abbia una tradizione storica, politica, pratica o teorica, filosofica, spirituale od

intellettuale. Mi dico nichilista solo perché so che nichilismo vuol dire negazione! Negazione di ogni società, di ogni culto, di ogni regola e di ogni religione. Ma non agogno al Nirvana come non anelo al pessimismo disperato ed impotente dello Schopenhauer, che è qualche cosa di peggio della stessa

rinnegazione violenta della vita. Il mio, è un pessimismo entusiasta e dionisiaco come le fiamme che incendiano la mia esuberanza vitale, che irride a qualsiasi prigione teoretica, scientifica e morale.

E se mi dico anarchico individualista, iconoclasta e nichilista, è appunto perché credo che in questi aggettivi vi sia l'espressione massima e completa della mia volitiva e scapigliata individualità, che, come un fiume straripante, vuole

espandersi impetuosamente travolgendo argini e siepi, fintanto che, urtando in un granitico masso, s'infranga e si disperda a sua volta. Io non rinnego la vita. La sublimo e la canto.

II

Chi rinnega la vita perché crede che questa non sia che Male e Dolore e non trova in se stesso l'eroico coraggio dell'autosoppressione è — per me — un grottesco posatore, un impotente; come è un essere compassionevolmente inferiore colui che crede che l'albero santo della felicità sia una pianta contorta sulla quale tutte le scimmie possono arrampicarsi in un più o meno prossimo avvenire, e che allora la tenebra del male sarà fugata dai razzi fosforescenti del vero Bene…

III

La vita — per me — non è né un bene né un male, né una teoria né un'idea. La

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vita è una realtà, e la realtà della vita è la guerra. Per chi è nato guerriero la vita è una sorgente di gioia, per gli altri non è che una sorgente di umiliazione e di dolore. Io non chiedo più alla vita la gioia spensierata. Essa non potrebbe darmela ed io non saprei più che farmene ormai che l'adolescenza è passata…

Le chiedo invece la gioia perversa delle battaglie che mi danno i fremiti dolorosi delle sconfitte ed i voluttuosi brividi delle vittorie.

Vinto sul fango o vittorioso nel sole, io canto la vita e l'amo!

Per l'anima mia ribelle non vi è pace che nella guerra, come, per il mio spirito vagabondo e negatore, non vi è felicità più grande della spregiudicata

affermazione della mia capacità di vivere e di tripudiare. Ogni mia sconfitta mi serve soltanto come preludio sinfonico ad una nuova vittoria.

IV

Dal giorno ch'io venni alla luce — per una casuale combinazione che non mi importa ora di approfondire — portai con me il mio Bene ed il mio Male.

Vale a dire: la mia gioia e il mio dolore ancora in embrione. L'uno e l'altro progredirono con me nel cammino del tempo. Quanto più intensa ho provata la gioia tanto più profondo ho inteso il dolore.

Ma questo non può essere soppresso senza la soppressione di quello.

Ora ho scardinato la porta del mistero ed ho sciolto l'enigma della Sfinge. La gioia ed il dolore sono i due soli liquori componenti la bevanda eroica colla quale si ubriaca allegramente la vita. Perché non è vero che questa sia uno squallido e pauroso deserto ove non germina più nessun fiore né più matura nessun frutto vermiglio.

Ed anche il più possente di tutti i dolori, quello che sospinge il forte verso lo sfasciamento cosciente e tragico della propria individualità, non è che una vigorosa manifestazione d'arte e di bellezza.

Ed anch'esso rientra nella corrente universale dell'umano pensiero coi raggi folgoreggianti del crimine che scardina e travolge ogni cristallizzata realtà del circoscritto mondo dei più per ascendere verso l'ultima fiamma ideale e disperdersi nel sempiterno fuoco del nuovo.

V

La rivolta dell'uomo libero contro il dolore non è che l'intimo passionale

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desiderio d'una gioia più intensa e più grande. Ma la gioia più grande non sa mostrarsi all'uomo che nello specchio del più profondo dolore, per poscia fondersi con questo in un enorme e barbaro amplesso. Ed è da questo enorme e fecondo amplesso che scaturisce il superiore e saettante sorriso del forte, che attraverso la lotta canta l'inno più scrosciante alla vita.

Inno intessuto di disprezzo e di scherno, di volontà e di potenza. Inno che vibra e palpita fra la luce del sole che irradia le tombe; inno che rianima il nulla e lo riempie di suoni.

VI

Sopra lo spirito schiavo di Socrate che accetta stoicamente la morte e lo spirito libero di Diogene che accetta cinicamente la vita, si erge l'arco trionfale sul quale danza il sacrilego frantumatore de' nuovi fantasmi, il radicale distruttore di ogni mondo morale. È l'uomo libero che danza in alto, fra le magnifiche fosforescenze del sole.

E quando si alzano dai paludosi abissi le gigantesche nubi gonfie di cupa tenebra per impedirci la vista della luce ed ostacolarci il cammino, egli si apre il varco a colpi di Browning o ferma il loro corso colla fiamma del suo pensiero e della sua fantasia dominatrice, imponendo loro di soggiacere come umili schiave ai suoi piedi.

Ma solo chi conosce e pratica i furori iconoclastici della distruzione può

possedere la gioia nata dalla libertà, di quella unica libertà fecondata dal dolore.

Io mi ergo contro la realtà del mondo esteriore per il trionfo della realtà del mio mondo interiore.

Nego la società per il trionfo dell'io. Nego la stabilità di ogni regola, di ogni costume, di ogni morale, per l'affermazione di ogni istinto volitivo, di ogni libera sentimentalità, di ogni passione e di ogni fantasia. Irrido ad ogni dovere ad ogni diritto per cantare il libero arbitrio.

Schernisco l'avvenire per soffrire e godere nel presente il mio bene ed il mio male. L'umanità la disprezzo perché non è la mia umanità. Odio i tiranni e detesto gli schiavi. Non voglio e non concedo solidarietà perché credo che sia una nuova catena, e perché credo con Ibsen che l'uomo più solo è l'uomo più forte.

Questo è il mio Nichilismo. La vita, per me, non è che un eroico poema di gioia e

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di perversità scritto dalle mani sanguinanti del dolore e del male o un sogno tragico d'arte e di bellezza!

[Nichilismo, Anno I, n. 4, 21 maggio 1920]

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DI DEPRECATE LICENZE

di Enzo Martucci

Stirner e Nietzsche hanno indubbiamente ragione. Non è vero che la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri. Per natura la mia libertà ha termine dove cessa la mia for- za. Se mi ripugna attaccare gli uomini o pure se considero con- trario al mio interesse farlo, mi astengo dalla lotta. Ma se, spinto da un istinto, da un sentimento, da un bisogno, mi scaglio contro i miei simili e non incontro resistenza o una resi- stenza debole, divento naturalmente il dominatore, il superuo- mo. Se invece gli altri resistono gagliardamente e restituiscono colpo per colpo, allora sono costretto a fermarmi e a venire a patti. A meno che non giudichi opportuno pagare con la vita u- na soddisfazione immediata. È inutile parlare agli uomini di rinunzia, di morale, di dovere, di onestà. È stupido volerli costringere, in nome di Cristo o dell’umanità, a non pestare i calli dei vicini. Si dice invece a ciascuno: ―Sii forte. Tempra la tua volontà. Sup- plisci, con ogni mezzo, alle tue deficienze. Conserva la tua li- bertà. Difendila contro chiunque voglia opprimerti . E se tutti gli uomini seguiranno questi consigli, la tirannia di-‖ verrà impossibile. Io resisterò anche contro colui che sarà più forte di me. Se non potrò farlo da solo, cercherò l’aiuto degli a- mici. Se mi difetterà la potenza, la sostituirò con l’astuzia. E l’equilibrio nascerà spontaneamente dal

contrasto.Infatti la sola causa del disquilibrio sociale è proprio il gregari- smo che mantiene gli schiavi, proni e rassegnati, sotto la frusta dei padroni. La vita umana è sacra. Io non posso sopprimerla nè negli altri, nè in me stesso. E così debbo rispettare la vita del nemico che mi opprime e mi procura un atroce e continuo dolore. Non posso, per abbreviar- gli il tormento, privare della vita il mio povero fratello, affetto da un’inguaribile malattia che gl’infligge terribili sofferenze. Non posso nemmeno liberarmi, col suicidio, da un’esistenza che sento come un peso. Perché? Perché, dicono i cristiani, la vita non è nostra. Essa ci è data da Dio e lui solo può togliercela. Va bene. Ma quando Dio ci dà la vita, questa diventa nostra. Il pensiero di Dio è, come insegna Tommaso d’Aquino, entificante cioè conferisce essere in sé, realtà oggettiva, a ciò che pensa. Quindi quando Dio pensa di dare la vita all’uomo e, pensando- la, gliela dà, tale vita

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diventa effettivamente umana, ossia una proprietà nostra esclusiva. Dunque possiamo togliercela a vi- cenda, o pure ciascuno può distruggerla in sé. E.

Armand libera l’individuo dallo Stato ma lo subordina anco- ra più strettamente alla società. Per lui, infatti, io non posso re- vocare quando voglio il contratto sociale ma debbo ricevere il consenso dei co-associati per sciogliermi dai legami dell’associazione. Se gli altri non mi concedono tale consenso, debbo rimanere con loro anche se ciò mi danneggia o mi offen- de. O pure, rompendo

unilateralmente il patto, mi espongo alla ritorsione alla ritorsione e alla vendetta degli ex compagni. Più societarista di così si muore. Ma questo è un societarismo da caserma spartana.Come! Non sono più padrone di me stesso? Sol perché ieri, sotto l’influenza di certi sentimenti e di certi bi- sogni, ho voluto associarmi, oggi che, con altri sentimenti e altri bisogni, vorrei uscire dall’associazione, non lo posso più. Debbo quindi rimanere legato alla mia volontà di ieri. Perché ieri ho voluto in un modo, oggi non posso volere in un altro. Ma allora sono schiavo, privo di spontaneità, dipendente dal beneplacito dei soci. Io – secondo Armand – non posso infrangere i rapporti per il motivo che debbo preoccuparmi del dolore e del danno che ar- recherei agli altri se li privassi della mia persona. Ma gli altri non si preoccupano del dolore e del danno che arrecano a me, costringendomi a rimanere in loro compagnia quando sento di andarmene. Dunque manca la reciprocità. E se voglio uscire dall’associazione, ne esco quando credo, tanto più se ho comunicato ai compagni – all’atto della stipulazione del contratto – che mi riservavo di denunziarlo in ogni istante. Con ciò non si nega che talune società possano avere lunga vita. Ma in questo caso, sono un sentimento o un interesse avvertito da tutti che mantengono l’unione. Non un precetto etico, come

vorrebbe Armand. Dai cristiani agli anarchici (?) tutti i moralisti ci tengono a di- stinguere tra libertà, basata sulla responsabilità, e licenza, fon- data sul capriccio e sull’istinto. Ora è bene spiegare. Una libertà che, in tutte le sue manifesta- zioni, è sempre controllata, frenata, diretta dalla ragione, non èlibertà. Perché è priva di spontaneità. Quindi, priva di vita. Qual’è il mio fine? Distruggere l’autorità, abolire lo Stato, instaurare la libertà per ciascuno di vivere secondo la natura o come meglio gli pare e gli piace. Questo mio fine vi spaventa, signori ben pensanti? Ebbene non ho cosa farci. Io sono, come Renzo Novatore, al di sopra dell’arco. Quando nessuno mi comanda, faccio quello che voglio. Mi abbandono alla spontaneità o resisto ad essa, seguo gl’istinti o li freno con la

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ragione a seconda che, nei diversi momenti, gli uni o l’altra sono più forti in me.

Insomma la mia vita è variata ed intensa appunto perché non dipende da una regola. Invece i moralisti pretendono il contrario. Essi esigono che la vita si uniformi sempre ad una norma unica di condotta che la rende monotona ed incolore. Vogliono che l’uomo compia sem- pre certe azioni e, sempre, si astenga da altre. ―Tu devi, in ogni istante, praticare l’amore, il perdono, la ri- nunzia dei beni terreni e l’umiltà. Altrimenti sarai dannato di- cono gli Evangeli . ―Tu ‖ ‖ devi, in qualunque momento, vincere l’egoismo ed essere disinteressato. In caso contrario rimarrai nell’assurdità e nel dolore insegna Kant . ―Tu devi sempre ‖ ‖ resistere agl’istinti e agli appetiti, mostrarti e- quilibrato, riflessivo, saggio. Se non lo farai ti bolleremo col marchio dell’infamia archista e ti tratteremo come un tiranno sentenzia Armand.Insomma tutti vogliono imporre la regola che ‖ mutila la vita e rende gli uomini tanti fantocci uguali che pensano ed agiscono perennemente nello stesso modo. . E ciò avviene perché noi siamo circondati da ‖ preti: preti cleri- cali e preti anticlericali, Tartufi credenti e Tartufi atei: e tutti pretendono catechizzarci, dirigerci, controllarci, frenarci, of- frendoci una prospettiva, terrena o sovrannaturale, di castighi e di premi. Ma è tempo che s’alzi l’uomo libero: l’uomo che sappia andare contro tutti i preti ed i pretismi, oltre le leggi e le religioni, le regole e le morali. E sappia andare più oltre. Più oltre ancora.

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RISO SACRILEGO

di Erinne Vivani

Nella pallida e triste ora crepuscolare, gravida di avvenimenti comici e tragici, mentre ogni ridicola meschinità assurge a manifestazione e il delitto viene eretto a sistema di vita, ad esercitazione ginnico sportiva, mentre il sangue dei cittadini rivoluzionari e non rivoluzionari bagna le belle contrade d’Italia,

l’individualismo anarchico — unica e fulgida realtà della vita e della storia — incide maestosamente e gloriosamente al di sopra di tanta putredine civile e sociale verso la gioia, verso la libertà, verso il sole.

L’ultima raffica scatenatasi improvvisamente nelle città e nei villaggi, ha spazzato uomini e cose. Era prevedibile e fatale. La teoria dell’amore e della mansuetudine, propagata da tutti i Partiti e da tutte le organizzazioni del proletariato, non poteva assolutamente resistere alla marea travolgente. I dirigenti, invece di educare la classe operaia alla ribellione e alla libertà, la mantennero sempre prona e schiava. Essi ebbero soltanto di mira il numero dei gregari, le tessere, i voti, la disciplina, ecc., all’unico scopo di formare un gregge che fosse disposto a lasciarsi mungere e tosare. Con tale sistema di educazione politico sociale, è avvenuto ciò che tutti sanno.

La maggioranza del proletariato che volente o nolente aderiva a partiti e ad organismi sovversivi, è passata — armi e bagagli — al nemico. A cosa valsero, di grazia, tutte le lodi sperticate che i saggi prodigarono al proletariato — a codesto povero fantoccio gonfio di vento — il quale si credeva chiamato dalla storia a diventare il dittatore del mondo? Oggi il proletariato è passato al fascismo, perché comandano i fascisti, domani se comandassero i preti neri, sarebbe disposto ad adorarli, come ieri adorava quelli rossi. Dall’immane bufera tutti i congrezionisti sono usciti male, anzi malissimo.

Ancora una volta — e non sarà l’ultima — è stata dichiarata la bancarotta fraudolenta delle organizzazioni operaie, le quali hanno solennemente dimostrato

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che non erano per nulla rivoluzionarie, né sovversive, ma riformistiche, statali, chiesastiche e bottegaie. Il fallimento del metodo organizzatore, nelle lotte per la conquista del benessere e della libertà, è di un’evidenza precisa ed assoluta. Ciò nonostante, i rivoluzionari — compresi molti comunisti libertari — insistono ancora — plorando come mucche sulla necessità e sull’importanza

dell’organizzazione, né si accorgono che il loro metodo li ha travolti e sprofondati nel baratro inesorabilmente, irrimediabilmente.

***

Gli individualisti hanno riso di tutti i compromessi, di tutte le rinunce, di tutti i turpi mercati, e ridono ancora del loro riso irriverente, sacrilego, maledetto. Noi ridiamo sempre di tutto e di tutti, di coloro che fabbricano rivoltelle, fucili, baionette, mitragliatrici, cannoni, munizioni, catene, ceppi, strumenti vari di tortura per i lavoratori, di coloro che costruiscono carceri ed innalzano patiboli per i «loro» fratelli, di quelli che si organizzano, ossia si legano, nelle camere e nei sindacati, pagando le tessere ed ingrassando i suini, di quanti rinunciano alla propria dignità di uomini eleggendosi dei padroni e dei pastori. Noi ridiamo di chi grida «viva questo e viva quello», di chi va alle dimostrazioni con le mani in tasca e si lascia bucare la pancia, di chi, per sollevarsi, attende gli ordini dalla direzione centrale del suo partito; di chi, sollevatosi, ascolta i capi che lo

esortano alla viltà, di quelli che, con le braccia incrociate e con lo stomaco vuoto, attendono il sole dell’avvenire, come se esso potesse sorgere da sé da un minuto all’altro. E come ci fanno ridere quei sovversivi che, in nome della libertà, vogliono abbattere l’attuale governo per sostituirlo con un’altra tirannide!

Ci suscitano pure il riso tutti i simboli e tutti i riti. Alla processione dei religiosi venne sostituito il corteo, alla predica il comizio sullo stesso tono, al baldacchino il vessillo. I ritratti dei dirigenti tengono il posto dei ritratti dei santi e delle madonne, e i nuovi cristiani, invece di cantare gli inni sacri cantano quelli patriottici o sovversivi. Nulla è mutato, né nella forma, né nella sostanza, da venti secoli ad oggi. Ma noi non ci stanchiamo di ridere. Il nostro riso satanico diventa rimbombante come il tuono e manda bagliori di folgori quando ci troviamo di fronte agli adoratori dei mostruosi fantasmi divini od umani, i quali chiamansi Dio, Religione, Stato, Patria, Umanità, Morale, Diritto, Dovere, Costumanze, Altruismo, Socialismo, Comunismo, ecc. Codesti biechi fantasmi,

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creati dall’ignoranza, dalla paura e dalla nequizia degli uomini, hanno ancor oggi la stolta pretesa che l’individuo libero e forte si sacrifichi ad essi, ma egli, che ama la libertà sconfinata e il sole meridiano, lancia i suoi dardi infocati e

avvelenati contro tutti gli idoli maledetti e nefandi e, colpendoli, ride ed è felice.

Noi ridiamo di tutti coloro che, trasformatisi in apostoli dell’umanità, esercitano il mestiere del predicatore e promettono il paradiso terrestre e la cuccagna universale, di coloro che vogliono dare una forma unica alla società umana che conta circa due miliardi di individui in tutto e per tutto differenti fra loro; di quelli che, incapaci di vivere liberi, si atteggiano a redentori del mondo, di quanti parlano del roseo avvenire dimenticando la nera e cruda realtà del presente;

ridiamo infine di tutti i poveri di spirito che credono e sperano in un domani radioso, e attendono fiduciosi e pazienti il regno della Santa Umanità.

***

Al di sopra dell’anarchismo organizzatore, profetico, cristianeggiante e monomaniaco di coloro che, come il fraticello d’Assisi, predicano la teoria dell’amore e della mansuetudine, secondo la quale il nostro io «deve guadagnare col perdere ed innalzarsi col sottomettersi», esiste l’Anarchismo del libero istinto vergine e ribelle dei refrattari, dei nichilisti, dei novatori, degli iconoclasti, degli amoralisti, degli aristocratici, degli individualisti, alla cui razza fiera indomita ed immortale appartengo.

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La corrente individualista nella tradizione rivoluzionaria occidentale, d'altra parte, non ha avuto problemi, a dare la colpa della sottomissione delle masse direttamente alla sottomissione di loro stesse, pur continuando a puntare i loro fucili e le loro bombe ai governanti ed ai loro agenti più attivi, come la polizia, i giornalisti, i

burocrati, i preti e i militari.

Sentendo il bisogno di rivolta nei loro corpi, quelli della corrente individualista-nichilista non hanno mai avuto il bisogno di giustificare

la loro insurrezione in termini di 'la Volontà del Popolo', di 'Storia' o di 'Giustizia'; e sono sempre stato ben disposti a rinunciare all'ottimismo in favore dell'onestà e al pragmatismo in

favore della dignità.

In mezzo alla catastrofe della storia, questi individui erano liberi nel solo modo chiunque può essere libero, conquistando la libertà

per se stessi.

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