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Capitolo 1 – L’idrosistema fluviale

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Academic year: 2021

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Capitolo 1 – L’idrosistema fluviale

L’ idrosistema fluviale, o lotico, è quella parte del sistema idrico caratterizzata dalle presenza di acque dolci in movimento, il cui biotopo si identifica con il corso d’acqua stesso. I numerosi elementi che compongono il sistema risultano suddividibili in 2 classi: i biotici e gli abiotici. Entrambi i componenti sono contraddistinti da una forte dinamica, risultando due variabili spazio temporali caratterizzate da un forte dinamismo.

Le componenti abiotiche maggiormente variabili sia nel tempo, sia lungo l’asta fluviale sono il deflusso idrico, il trasporto solido in sospensione, le sostanze disciolte o comunque presenti in soluzione ed il clima. Risultano avere una minore incidenza il trasporto di fondo e le caratteristiche morfologico-evolutive degli alvei.

Nelle componenti biotiche i dinamismi più marcati sono presenti nella fauna volatile e nella popolazione ittica, al cui confronto l’idrofauna inferiore, la vegetazione riparia e le popolazioni anfibie risultano più statiche.

E’ da notare che le modifiche delle componenti abiotiche risultano prevalenti da monte a valle, mentre quelle delle componenti biotiche risultano molto più diversificate in funzione della direzione , della velocità e varietà del

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movimento. I confini spaziali dell’ idrosistema lotico per quanto definiti nel passaggio da un tronco fluviale al successivo, o comunque poco variabili, possono subire in alcuni casi brusche variazioni. Nel tempo, infatti, possono verificarsi lente variazioni dei limiti spaziali a causa di modifiche naturali dell’alveo e delle zone spondali, o rapide mutazioni a causa di eventi di piena; nello spazio i confini dell’idrosistema subiscono una trasformazione piuttosto veloce, come per esempio nel passaggio dall’ idrosistema lotico a quello lentico, proprio di un ambiente lacustre o nella zona caratteristica di uno sbocco a mare.

Radicali mutamenti nell’idrosistema, spesso negativi ed a scapito per l’habitat acquatico, si verificano in seguito ad interventi antropici di derivazione, o scarico delle acque, di costruzioni idrauliche e di modifiche al regime idrologico.

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1.1 Le componenti biotiche (River Continuum Concept)

Le componenti biotiche di un idrosistema lotico risultano le seguenti:

a) Popolamenti vegetali acquatici: sono costituiti da il fitoplancton, le alghe, le piante flottanti e quelle radicate galleggianti;

b) Popolamenti vegetali ripariali di tipo erbaceo, arbustivo e arboreo;

c) Popolamenti animali acquatici: fanno parte di questa categoria lo zooplancton e la fauna acquatica (macroinvertebrati e ittiofauna). Il tipo e il numero di specie ad essa appartenenti, che risultano presenti in un tronco del corso d’acqua dipendono dai rispettivi limiti di adattabilità a variazioni ambientali brusche o lente; dalla compatibilità con la velocità ed il tirante della corrente; dalle condizioni ottimali e limite per la fecondazione ed in generale per il proprio ciclo biologico; dalle condizioni limite di migrazione, letargo od estinzione per variazioni di deflusso; dall’adattamento a condizioni avverse per brevi o lunghi periodi nei vari stadi di vita; dai periodi sostenibili di acqua stagnante od assente e dalla capacità di sopravvivenza in pool, rifugi o sotto sedimenti di fondo alveo. Questi fattori infatti influenzano la catena alimentare, la durata della vita, la velocità e qualità di crescita, lo stato di salute e lo stesso grado di adattamento alle variazioni ambientali delle singole specie acquatiche; d) popolamenti animali anfibi caratterizzabili con la capacità di adattamento

alla variazione delle componenti abiotiche, compresi gli impatti ambientali di opere idrauliche; con i limiti di sopravvivenza ed i periodi riproduttivi; con i rapporti all’interno della stessa o tra diverse popolazioni. È inoltre interessante conoscere le forme di tutela adottate per preservarne le specie più a rischio;

e) popolamenti animali ripariali condizionati dal microclima fluviale, dalla morfologia dell’alveo, dalla stessa vegetazione ripariale, dalla capacità di sfruttare le risorse dell’area circostante il corso d’acqua. Per questi popolamenti è fondamentale la continuità dell’habitat ripariale lungo il corso d’acqua. È quindi interessante conoscere la morfologia e le

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dimensioni dei corridoi ripariali, i limiti di interfunzionalità delle sponde opposte per la fauna terricola e la funzione delle gallerie arboree fluviali; f) popolamenti animali volatili distinguibili in avifauna stanziale e

migratoria. Sono attratti dall’ambiente lotico per molteplici ragioni: per la ricerca di quiete nei periodi di riproduzione o lungo le rotte migratorie; per il particolare microclima dell’ambiente lotico; per la disponibilità di alimenti diversificati per le varie specie.

In particolare le componenti più importanti dei popolamenti acquatici dell’ambiente lotico, esprimibili come caratteristiche biologiche dell’acqua corrente (dunque più interessanti da misurare) sono:

▫ il perifiton: caratterizzato da batteri, funghi, muffe, alghe, protozoi, spugne. È l’insieme dei diversi organismi che colonizzano substrati sommersi di varia natura, ed in base alla quale sono distinguibili in perifiton “epifitico” su piante, “epizoico” su animali, “epilitico” su rocce. È un fondamentale produttore primario, ovvero produttore di ossigeno disciolto in acqua e quindi disponibile, in quanto ne fornisce spesso la quota principale. Inoltre è un buon indicatore di qualità delle acque;

▫ le macrofite sono l’insieme dei gruppi tassonomici delle caracee, muschi, alcuni licheni e angiosperme, felci. Il numero di specie presenti nei corsi d’acqua è molto minore di quello delle acque stagnanti e si riscontra in genere una specializzazione per il particolare tipo di substrato presente. Nei climi temperati si distinguono due periodi, uno a forte crescita (dalla primavera all’autunno) e l’altro invernale in cui le macrofite sono quiescenti. Nelle acque correnti le macrofite interessano superfici piuttosto limitate ed il grado di copertura vegetale ad esse correlato è nella maggior parte dei casi molto inferiore al 10%. La loro distribuzione è inoltre fortemente casuale e variabile; ▫ i microinvertebrati sono organismi che non superano il millimetro di

lunghezza costituiti da protozoi e rotiferi. Si distinguono in “epibentonici” che vivono sulla superficie, e “freaticoli” viventi all’interno dei sedimenti particolarmente nei tratti a fondo ciottoloso;

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▫ i macroinvertebrati: insetti, crostacei, molluschi, ecc. superano in genere il millimetro di lunghezza. Molti di essi vivono in acqua solo allo stato larvale; ▫ i vertebrati, tra i quali i pesci sono quelli maggiormente presenti nei corsi

d’acqua sia in numero sia in varietà di specie. Nelle acque interne italiane sono presenti 75 tra specie e sottospecie di pesci, di cui otto sono caratteristiche di ambienti lacustri ed altre otto di ambienti salmastri;

▫ il “drift” è la quota parte di organismi appartenenti alle categorie già citate trasportati verso valle dalla corrente. È costituito in gran parte dagli stadi larvali di zooplancton, insetti e macroinvertebrati, la cui massima intensità di deriva si verifica tra il tramonto e mezzanotte. Agisce da regolatore della densità degli organismi di un determinato habitat ed assicura la colonizzazione dei tratti a valle che lo ricevono. Risulta dunque un processo particolarmente utile per ambienti colpiti da magra, piena o inquinanti. Si può individuare un “drift costante” di organismi che costantemente lasciano l’habitat di insediamento; un “drift comportamentale” legato in particolare alla fase di sfarfallamento degli insetti; un “drift catastrofico” che si verifica nei primi momenti di piena. Tra questi il più interessante è il primo, in quanto le specie coinvolte nel “drift comportamentale” sarebbero comunque perse entro breve termine, mentre nel catastrofico dopo la prima fase di piena il numero di organismi trasportati si riduce a valori normali.

Lungo il profilo longitudinale del corso d’acqua, variando le caratteristiche idrologiche, fisiche e chimiche dell’acqua, variano di conseguenza gli insediamenti biologici; per cui è presente una serie di ecosistemi diversi che si susseguono nella direzione della corrente. In linea di massima nel tratto montano del corso d’acqua, si trovano organismi reofili specializzati per resistere alla elevata corrente di tali tratti a carattere torrentizio, ed il cui numero di specie è piuttosto contenuto, anche per le caratteristiche dell’acqua simili a quelle della sorgente, con minima disponibilità di materiale organico Procedendo verso valle, nel tratto centrale a carattere fluviale è presente una maggiore diversità di specie, mentre il tratto terminale dei grandi fiumi può presentare popolamenti simili a quelli di acque stagnanti.

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Il fattore abiotico fondamentale che determina la particolare biocenosi presente in un tratto di un corso d’acqua è, a meno delle qualità fisico-chimiche dell’acqua, la corrente, a cui gli organismi vegetali ed animali si adattano in vari modi. Difatti gli animali presentano reotassi positiva, ovvero tendenza a muoversi contro corrente, ed in generale gli organismi acquatici mostrano particolari adattamenti, per resistere a forti correnti, come organi adesivi simili a ventose, uncinati o presentando forme idrodinamiche appiattite.

Alcuni Autori hanno tentato di fornire una classificazione generale dei tronchi fluviali aventi caratteristiche comuni e che quindi ci si aspetta presentino particolari biocenosi; è però molto difficile individuare un unico modello delle biozone che si susseguono, valido per tutti i corsi d’acqua. Lungo ogni sistema lotico non si hanno di fatto graduali successioni ambientali, ma mosaici di biozonule che si interrompono e si ripetono. Inoltre tutto ciò è complicato dalla presenza di interventi come sbarramenti, prese e scarichi lungo l’asta fluviale, che introducono brusche variazioni di portata e di qualità dell’acqua [1].

Ad esempio, a partire dal profilo delle pendenze e dalla larghezza dell’alveo è stato proposto un sistema per stabilire l’associazione ad un tratto di corso d’acqua di una certa tipologia ittica (figura 1, [2]). Un metodo alternativo è quello che fa corrispondere, ai vari tronchi dello schema di rete idrografica, una sequenza di ambienti caratterizzati da una specie ittica tipica (figura 2, [2]).

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Larghezza alveo (m)

Figura 1.1: Grafico delle pendenze in base al quale è possibile suddividere dal punto di vista ittico qualsiasi tipo di corso d’acqua europeo.

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Figura 1.2: Rappresentazione delle zone e delle regioni ittiche di un fiume europeo in base alle confluenze dei corsi d’acqua.

Figura 1.3: Schema relativo alle variazioni strutturali e funzionali della comunità lotica

lungo l’asta fluviale (C:collettori, Pr:predatori, Ra:raschiatori, T:trituratori, P/R:rapporto produzione respirazione) .

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Un’ulteriore ipotesi è quella basata sulla teoria del River Continuum

Concept , secondo la quale un corso d’acqua può essere considerato una

successione di ecosistemi interconnessi con gli ecosistemi terrestri circostanti: dalla sorgente alla foce variano i parametri fisici (temperatura, illuminazione, pendenza, velocità della corrente e turbolenza della stessa, granulometria del substrato, ecc…) e, in relazione ad essi, i popolamenti biologici.

Il River Continuum Concept propone una visione unificante dell’ambiente fluviale che richiama l’attenzione sulla stretta dipendenza della struttura e delle funzioni delle comunità biologiche dalle condizioni geomorfologiche ed idrauliche medie del sistema fisico.

I vari tratti sono continuamente influenzati dalle condizioni di monte ed a loro volta influenzano quelli a valle. Dalla sorgente alla foce è infatti evidenziabile una successione di variazioni longitudinali del metabolismo della comunità, della diversità biotica e della quantità di materiale particolato (figura 3,[xx]). Nel tratto montano, le comunità biologiche acquatiche sono sostenute prevalentemente da detrito organico (frammenti vegetali come foglie e rami) fornito dalla vegetazione riparia mentre l’ombreggiamento di quest’ultima riduce lo sviluppo dei produttori fotosintetici (es. alghe). Il metabolismo fluviale risulta di tipo eterotrofico, sostenuto dagli apporti organici terrestri, e sulla struttura della comunità prevalgono organismi trituratori, sminuzzatori e collettori di detrito tra cui molti insetti mentre i pascolatori sono poco rappresentati, riflettendo la poca disponibilità delle loro risorse alimentari; il rapporto tra produzione primaria e respirazione (P/R), rappresentante il metabolismo della comunità, è molto inferiore all’unità.

Procedendo verso valle, nella parte centrale dei corsi d’acqua la riduzione della superficie ombreggiata ed il conseguente aumento della fotosintesi inducono il passaggio ad un metabolismo fluviale autotrofico, sostenuto dalla produzione organica acquatica. Le popolazioni acquatiche risultano energicamente autosufficienti rispetto agli apporti terrestri che, tuttavia, continuano ad essere utilizzati; aumentano i pascolatori a scapito dei trituratori, menter i collettori continuano ad abbondare sfruttando il articolato organico fine, prodotto dai

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trituratori nei tratti montani. Le alghe e le macrofite sono produttori primari attivi; il materiale organico è utilizzato da filtratori e raccoglitori (collettori) e il tipo di metabolismo autotrofo si svolge con rapporto P/R (produzione respirazione) maggiore o uguale ad uno. A causa dell’aumento di torpidità delle acque e della conseguente riduzione dell’attività fotosintetica, i tratti finali dei grandi corsi d’acqua tornano ad una condizione di metabolismo eterotrofo e si nota una scarsa varietà di specie. Dunque il corso d’acqua costituisce un continuum, in cui è comunque possibile isolare tronchi di relativa omogeneità per struttura trofica e metabolismo.

Tra vari metodi visti, solo la concezione del continuum fluviale non permette una descrizione dell’ecologia fluviale soltanto in termini di “macrohabitat”; tale visione pone in evidenza come le comunità acquatiche ed il metabolismo fluviale siano condizionate all’interno di uno stesso tronco, l’habitat può essere influenzato dai parametri o processi localmente presenti. Il River

Continuum Concept, quindi, propone una visione unificante dell’ecosistema

fluviale, che richiama l’attenzione sulla stretta dipendenza della struttura e delle funzioni delle comunità biologiche dalle condizioni geomorfologiche ed idrauliche medie del sistema fisico. La connettività di un sistema fluviale è determinata attraverso quattro dimensioni, le quali sono:

1. longitudinale: lungo tale dimensione sono distribuiti gli habitat e le diverse comunità ittiche secondo la teoria della zonizzazione fluviale. E’ la dimensione che risulta più sensibile alle alterazioni e modificazioni (briglie e sbarramenti) che possono intercorrere interrompendo bruscamente la naturale continuità e interconnessione fluviale, impedendo gli spostamenti dei pesci, il trasporto a valle dei nutrienti e dei sedimenti;

2. laterale: oltre alla sezione dell’alveo fluviale propriamente detta, in questa dimensione rientrano gli ambienti umidi laterali ed i terreni circostanti con i quali intercorrono scambi di nutrienti e di energia; il sistema risulta pertanto particolarmente vulnerabile secondo tale

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dimensione dato che sono frequenti e quasi ubiquitari gli interventi di artificializzazione delle sponde e di rettificazione dell’alveo; 3. verticale: secondo tale dimensione vengono considerati gli scambi

tra il fiume, la falda freatica, l’atmosfera nonché tutte le reazioni chimico-fisiche tra il confine aria-acqua e acqua –sedimento;

4. temporale: ogni modificazione che influisce sull’habitat fluviale genera delle risposte a carico delle biocenosi acquatiche mediate nel tempo. Le comunità biologiche necessitano, in genere, di tempi lunghissimi per assestarsi per esempio, se consideriamo una modifica di tipo morfologico; mentre se consideriamo fenomeni come inquinamenti, frane o pavimentazioni possono influire negativamente ed istantaneamente annullando intere comunità ittiche.

Per caratterizzare l’idrosistema lotico di un tronco fluviale e determinare la sua attitudine a favorire certi popolamenti o specie piuttosto che altre, risulta necessario monitorare le comunità lotiche presenti. Si tratta di campionare e classificare ciascuna delle componenti biologiche dell’acqua corrente senza limitarsi ai soli pesci. Gli studi finalizzati alla sperimentazione e realizzazione di opere come le scale di risalita per l’ittiofauna che prendono in considerazione l’aspetto biologico, analizzano le qualità idriche e le altre componenti abiotiche dell’idrosistema esclusivamente dal punto di vista della sopravvivenza ittica. Tuttavia i pesci rappresentano soltanto l’ultimo anello della catena trofica dell’ambiente lotico, per cui una combinazione di condizioni abiotiche per essi sufficiente può non essere tale per altri organismi, che risultano altrettanto rappresentativi della biocenosi lotica. Infatti, a differenza dei sistemi dotati di una struttura fisica poco variabile nel tempo (es. le foreste) nei quali la stabilità dell’ecosistema può essere mantenuta anche con bassa diversità biologica, negli ecosistemi fluviali- caratterizzati da marcate variazioni di condizioni abiotiche come la portata- il mantenimento della stabilità richiede una elevata diversità biologica è condizionata da una elevata diversità ambientale.

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Di nuovo, nella realizzazione di lavori fluviali [3] risulta importante rispettare al massimo la diversità ambientale (figura 4, pagina successiva) per evitare la rottura della stabilità dell’ecosistema locale e le sue ripercussioni sui tratti situati più a valle.

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Figura 1.4. Elementi morfologici di rilevanza ambientale ed ecologica in un alveonaturale. [3; AA.VV. 1988]

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1.2 Le componenti abiotiche

Le componenti abiotiche di un idrosistema lotico più interessanti ai fini dello studio dei passaggi per pesci sono:

- le componenti idriche relative al deflusso: le portate, la velocità e la turbolenza della corrente;

- le componenti geomorfologiche-ambientali (figura 4): la geometria della corrente ovvero la forma e le dimensioni delle sezioni trasversali (alveo e sponde), il tracciato planimetrico, la profondità e le pendenze dell’alveo; la presenza di vegetazione riparia, nicchie, barre (point bar), buche (pools) e raschi (ripples);

Analizzando i fattori abiotici caratteristici dei flussi idrici nella realizzazione dei passaggi per pesci, viene spontaneo specificare l’importanza di una costante presenza di acqua.

Oltre ad essere l’elemento fondamentale dell’habitat vitale per l’ittiofauna, risulta molto importante nella valutazione per la necessità e la fattibilità dell’opera fluviale. Infatti, si deve tener presente che la maggior parte dei corsi d’acqua, nel periodo seguente alla primavera, si trasformano in rigagnoli, creando zone più o meno estese dove i pesci non possono risalire. La portata influenza la scelta della zona soggetta d’ intervento, orientando la realizzazione di scale di risalita su corsi d’acqua perenni che anche nei periodi di magra continuano ad essere abitati da fauna ittica.

La velocità e la turbolenza della corrente risultano, come sarà spiegato più nel dettaglio in seguito, il principale elemento di attrazione dei pesci verso la scala di risalita. Infatti l’attrattività di questi manufatti oltre a dipendere dalla collocazione dell’entrata, è condizionata soprattutto dai parametri fisici - velocità e turbolenza - dei flussi idrici vicino ad essa, capaci di renderla ben visibile alla maggiore distanza possibile. Inoltre se non vi fosse portata sufficiente non sarebbe possibile alimentare le scale di rimonta, togliendo significato alla realizzazione dell’opera.

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Le componenti morfologiche-ambientali risultano i principali fattori abiotici che stabiliscono l’importanza di una diversità ambientale e condizionano l’idoneità ambientale dell’ittiofauna.

La diversità ambientale riveste una particolare importanza per l’ittiofauna, manifestandosi sull’ambiente fluviale con sequenze buche-raschi, con la sinuosità dal tracciato planimetrico e la presenza di barre di meandro, di rive dolcemente digradanti, di ostacoli locali alla corrente (es. grossi massi, rami incastrati sul fondo, ecc…), di vegetazione sommersa e di radici sommerse proprie di alberi ripariali. Ciascuna specie ittica, infatti trascorre parte della propria esistenza trasferendosi dall’ uno all’ altro di questi ambienti per compiere le attività caratteristiche del proprio ciclo vitale: sosta, rifugio, esplorazione, alimentazione e riproduzione. In linea con gli aspetti del ciclo vitale, possiamo classificare le buche ed i ricoveri come aree di sosta e di rifugio, i raschi per l’alimentazione, mentre le aree di transizione comprese tra le buche ed i raschi forniscono un ottimo habitat per l’ovodeposizione.

I principali fattori abiotici che condizionano l’idoneità ambientale per i pesci risultano essere la disponibilità di adeguati ripari, buche e raschi, le fluttuazioni di portata, di velocità e di turbolenza della corrente, la temperatura (che oltre ad avere influenza sul tenore di ossigeno disciolto, incide indirettamente sul metabolismo).

Ciascuna attività comportamentale richiede una data combinazione di parametri ambientali (profondità e pendenza dell’alveo, velocità e turbolenza della corrente, ecc…), compresi entro degli specifici limiti di tolleranza. Ne consegue, ad esempio, che un lungo tratto canalizzato avente le caratteristiche di raschio, nonostante l’abbondante disponibilità di cibo (nei raschi si trova la densità di macroinvertebrati) , risulta inidoneo ad altre attività vitali dei pesci e, quindi, inadatto ad essi.

Va sottolineato che le esigenze ambientali proprie di ciascuna attività differiscono da una specie ittica all’altra e, all’interno di ciascuna specie nei vari stadi di crescita e di sviluppo. L’ambiente ideale per i pesci risulta quello caratterizzato da un alto grado di diversità, capace di fornire, in un tratto di alveo

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non esteso, l’intera struttura di ambienti necessari alle varie specie ittiche presenti e, per ciascuna di queste ai singoli individui nelle varie classi di età.

Buche di adeguata profondità sono fondamentali per la sopravvivenza dei pesci nei periodi di basse portate in cui i raschi restano quasi asciutti [3]. Particolare importanza, dati gli stimoli comportamentali territoriali nei pesci, riveste la presenza di ricoveri e di ripari in alveo o sottosponda (grossi massi, rami incastrati sul fondo, sponde sottoescavate, ecc…). Ogni individuo trascorre, infatti, la maggior parte in una sorta di habitat-rifugio, che occupa e difende da gli intrusi. L’abbondanza di rifugi, legata alla diversità ambientale, condiziona l’abbondanza dei popolamenti ittici.

Oltre a fornire protezione dalla predazione, i ripari risultano ambienti calmi che consentono all’ittiofauna di superare i periodi di elevate portate. Questo spiega, tra l’altro, il fallimento di alcuni ripopolamenti in tratti artificializzati, incapaci di fornire habitat-rifugio agli esemplari introdotti: gli individui vengono trovarsi in zone prive di ripari e costretti a vivere in piena corrente. Tutto questo risulta causa di un dispendio energetico ed un accumulo di acido lattico, fattori incompatibili con la sopravvivenza. La lentezza di metabolizzazione dell’acido lattico nei pesci è all’origine di morie ittiche conseguenti ad una piena; morie simili possono manifestarsi differite anche di alcuni giorni.

Le componenti abiotiche, con la loro mutevolezza spazio-temporale, non devono essere considerate in questa sede, come fattori indicativi di un “disordine idraulico” o deviazioni da un “ideale” modello di corso d’acqua che presenti lungo il suo percorso un profilo longitudinale regolare ed una sezione di determinata forma geometrica. Il modello ideale di fiume risulta quello creato dalla natura: in cui la forma geometrica, l’ordine e la regolarità sono eccezioni rarissime. Sono proprio il disordine idraulico e la diversità ambientale che rendono funzionale l’idrosistema fluviale e gli ecosistemi connessi.

Figura

Figura 1.1 :  Grafico delle pendenze in base al quale è possibile suddividere dal punto di vista  ittico qualsiasi tipo di corso d’acqua europeo
Figura 1.3:  Schema relativo alle variazioni strutturali e funzionali della comunità lotica
Figura 1.4.  Elementi morfologici di rilevanza ambientale ed ecologica in un alveonaturale

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