1.2 Il business plan
Per parlare di questo importante tassello della comunicazione aziendale, prendiamo spunto da una relazione di Michele Agostini, presentata a Pisa il 13 luglio del 2005, che si intitola proprio Redazione del business plan: metodi e
suggerimenti. L'autore lo definisce in una nota «la strada maestra sulla quale
indirizzare le attività, fornendo un quadro di riferimento omogeneo al
management».1 È vero, purtroppo, che le aziende sono molto gelose dei propri
business plan ed è difficile che lascino trapelare informazioni in proposito. Le società farmaceutiche oggetto del mio studio hanno manifestato la stessa chiusura e le stesse paure. In modo specifico, il timore che anche la sola visione di un piano di fattibilità risalente a qualche anno addietro potesse dare preziose indicazioni ai competitor del settore. Generose di dettagli e materiale esplicativo, di tempo e notizie aggiornate, si sono dimostrate inflessibili sulla questione “piano aziendale”. Il piano commerciale, come è chiamato alla Menarini Spagna, o semplicemente “il piano” come, invece, sono soliti indicarlo in Zambon, è un argomento top secret. Alla Bama-Geve Wassermann sostengono di non produrne neanche uno ufficiale, essendo la loro una realtà di dimensioni molto ridotte (nella sede di Barcellona lavorano solo venti persone). Per quanto riguarda le politiche di innovazione delle imprese minori, infatti, sostiene Ada Carlesi che «risulta assente, specie nelle piccole imprese, una “cultura finanziaria” che induca all'utilizzo di strumenti di valutazione economica degli investimenti e di “convenienza” dei diversi mix di finanziamento degli stessi».2
Il fatto è che la questione è più formale che sostanziale, come poi le stesse persone intervistate hanno rivelato con sincerità. Nel senso che, se non è possibile accedere direttamente al business plan, è stato pur sempre possibile conoscere molte informazioni che costituiscono il nucleo del lavoro aziendale. La Zambon, oltretutto, pubblica ogni anno il cosiddetto Value Report, destinato a tutte le filiali e a tutti i fornitori. Qui, oltre a notizie più generiche sul percorso aziendale nazionale ed internazionale, al lavoro del settore chimico e di quello farmaceutico, alla responsabilità sociale e molto ancora, si rintraccia
1 M. Agostini, Redazione del business plan: metodi e suggerimenti, Pisa, 13 luglio 2005, p. 3
2 A.Carlesi, A. Angelini, G. Mariani, Il finanziamento degli investimenti innovativi nelle piccole e medie imprese, C. Giappichelli Editore, Torino, 1999, p. 23.
una quantità di dati patrimoniali, di attivi e passivi, crediti e debiti, di tutto rilievo. E tutto a disposizione di tutti, scaricabile dal web nelle versioni inglese ed italiana. Ad ogni modo, sebbene ognuna delle 3 aziende sia arrivata in Spagna con collaborazioni già più o meno attive con imprese locali, da ognuna di queste 3 “incursioni” è nata ogni volta una nuova società. Quindi, è lecito pensare che almeno in quell'occasione, cioè in una fase di “semi start-up”, le aziende si siano dotate – Bama-Geve Wassermann inclusa – di un progetto imprenditoriale di supporto. Questo anche perché, come ricorda Giovanna Mariani, «l'azienda nasce solo se è realizzabile, sia dal punto di vista finanziario che economico, l'investimento che ne è alla base, il quale impone al redattore del business plan un atteggiamento forse ancora più “prudenziale” rispetto al caso di redazione dello stesso documento per un investimento innovativo di un'azienda già stabilmente operante sul mercato».3
Attraverso le notizie rilasciate dai dipendenti, i dati aziendali presenti su Internet e l'apparato teorico degli studi letti, si potrebbe, quindi, tentare di ricostruire un ipotetico business plan del settore farmaceutico.
Nonostante l'ostacolo incontrato nell'indagine pratica, mi sembra tuttavia fondamentale spendere qualche parola su cosa sia il piano aziendale, quali siano i suoi destinatari e quali gli elementi tipici. Innanzitutto Agostini ci fa entrare in quello che chiama il “sistema della comunicazione aziendale”, che nasce attraverso la creazione di condizioni di vita e di sviluppo che le aziende portano avanti grazie ai continui scambi con soggetti interni ed esterni, quelli che prima abbiamo chiamato “i portatori di interessi”. «La comunicazione aziendale», scrive Agostini, «può essere intesa come “comunicazione tecnico-specialistica”, finalizzata, ad esempio, ad evidenziare le caratteristiche tecniche dei prodotti [...] ed anche come “comunicazione economico-finanziaria”, che esprime attraverso i valori gli andamenti della gestione e consente quindi di valutarne la bontà ed i probabili sviluppi futuri».4 Secondo lui, quest'ultimo tipo
di comunicazione può essere a sua volta interpretato come “comunicazione ordinaria” - ovvero quella regolare sugli andamenti gestionali, quali bilanci, relazioni infrannuali o budget – e come “comunicazione straordinaria” - che dà
3 Ivi, p. 90
informazioni su momenti particolari e strategici per l'azienda, come il business plan o i prospetti informativi ufficiali -.
Una breve ricerca storica situa il termine “business plan” in Italia a partire dal 1992, in seguito all'introduzione della Legge 488/92 (“disciplina madre” delle agevolazioni finanziarie italiane). Le imprese che presentano domanda di finanziamento diventano obbligate a predisporre un piano aziendale con una dettagliata descrizione degli investimenti previsti. Che ci si rivolga a consulenti esterni o che si usino software specifici presenti sul mercato, l'importante è che l'autore resti l'azienda stessa. Ada Carlesi sostiene, infatti, che l'imprenditore deve svolgere direttamente il ruolo di “compilatore” o in ogni modo essere fortemente coinvolto nel processo di compilazione, anche se, è bene ricordarlo, al tempo stesso «l'imprenditore deve essere capace di “estraniarsi” dal progetto da lui stesso ideato e di porsi in una posizione di assoluta “neutralità”».5 Tuttavia, a differenza di Agostini che in proposito è meno netto,
l'autrice predilige il piano di fattibilità redatto direttamente dal gruppo dirigenziale. Così scrive: «risultano a nostro parere meno efficaci business plan creati da società specializzate o, comunque, da esperti esterni all'azienda, che non permettono all'imprenditore di esaminare il progetto nella sua globalità».6
La proposta che viene fuori da piano, inoltre, dovrebbe essere il più possibile accattivante (lo si può interpretare come vero e proprio documento di vendita di un progetto o di un'idea). Il fatto, però, di collegare la stesura di un piano di fattibilità ad una business idea può essere deviante. Può sembrare, cioè, che tale documento sia redatto solamente nel caso di aziende in fase di start-up, quando, in realtà, si tratta di un piano predisposto normalmente per un periodo di quattro o cinque anni che annualmente è aggiornato e rivisto. Ecco anche perché le società non vogliono in alcun modo che soggetti esterni ad esse possano visionare un loro piano passato: perché, in ogni caso, si scopriranno gli obiettivi che sono stati raggiunti, ma anche quelli che hanno dato problemi e, quindi, sono stati posticipati di anno in anno. Magari, si scoprirà pure la business idea che stava dietro, cioè quella che Ferraris Franceschi sostiene nascere «come “visione” nella mente di qualche operatore acuto [ed entrare]
5 A. Carlesi, A. Angelini, G. Mariani, cit., p. 25 6 Ibidem
come linea strategica nella “formula imprenditoriale” solo quando la sua fattibilità è stata analizzata e specificata».7
L'idea imprenditoriale analizza il campo d'azione, i bisogni da soddisfare (sistema di prodotto), il vantaggio competitivo da conquistare nei confronti dei concorrenti (segmento di mercato), nonché le modalità per raggiungere l'obiettivo (organizzazione). Al livello della concorrenza, si dovrebbero individuare i concorrenti attuali effettivi e futuri, diretti e indiretti – operanti, cioè, nello stesso settore ma non nello stesso segmento -. Una volta identificati, si dovrà procedere «alla compilazione di una scheda d'identità con i loro dati anagrafici fondamentali, all'analisi del comportamento attuato e alla previsione di quello potenziale».8 Per quanto riguarda, invece, i bisogni da
soddisfare, Paolini sostiene che questi possano essere previsti – insieme a nuovi sbocchi e clienti o a nuovi prodotti – solo attraverso l'analisi quantitativa e qualitativa della domanda.9
Ecco gli elementi necessari affinché l'idea possa poi concretizzarsi: tecnologie/attrezzature necessarie, politiche di prezzo, soci coinvolti, risorse umane necessarie, immagine aziendale, mercato da servire, capitale necessario,...
Secondo Ada Carlesi è fondamentale, oltre alla ricchezza dei contenuti, «la visione unitaria e prospettica, allo scopo di elaborare un documento caratterizzato da una forte coerenza interna e in grado di aiutare l'impresa a raggiungere gli obiettivi fissati, nei tempi e secondo le modalità desiderate».10
Il piano di fattibilità, quindi, è uno strumento a molte facce: di analisi e gestione, di sviluppo aziendale, di pianificazione dei risultati, di progetto, di comunicazione e marketing aziendale,... ed il cui obiettivo dovrebbe essere dinamico per meglio adattarsi ai continui cambiamenti della realtà attuale e che possa realisticamente esprimere anche i suoi probabili punti deboli con annessa la spiegazione di come superarli o minimizzarli. L'obiettivo, o meglio gli obiettivi, di cui si parla sono ovviamente di medio-lungo periodo. «L'orizzonte temporale che può prendere in considerazione il business plan»,
7 R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo, Vol. I, C. Giappichelli Editore, Torino, 2007, p. 9
8 A. Paolini, Parte seconda: l'analisi del quadro ambientale, in L. Marchi, A. Paolini, A. Quagli, Strumenti di analisi
gestionale, Quarta Edizione, Giappichelli Editore, Torino, 2003, p. 100
9 Ivi, p. 105
sostiene ancora Carlesi, «è decisamente più limitato di quello che normalmente interessa i metodi di valutazione economico-finanziaria degli investimenti, che devono formulare una stima dei flussi per l'intera vita utile dell'investimento stesso».11 Secondo l'autrice, quindi, l'uso del piano di fattibilità può essere
“approcciabile” anche da imprese piccole, con cultura finanziaria circoscritta e scarse risorse umane e di tempo da dedicare alla pianificazione.
Il carattere ipotetico-probabilistico del piano si adatta perfettamente a ciò che afferma Ferraris Franceschi nel saggio dedicato all'Economia aziendale e
Management: «l'interesse dello studioso è di ordine esplicativo o interpretativo,
ma insieme anche di natura normativa o prescrittiva poiché, accanto alle esigenze primarie di conoscere la realtà nei suoi andamenti storici, attuali, probabilistici, è riconosciuta la necessità obiettiva di predisporre ipotetiche vie
di sviluppo, indicare mete concrete […]».12 Per quanto riguarda le modi per
raggiungere l'obiettivo, riportiamo ancora la posizione di Ferraris Franceschi, secondo cui «un processo di pianificazione appropriato deve dunque combinare in un mix, la cui composizione non può essere determinata a priori, obiettivi espliciti e chiari di lungo e di breve andare, impostazione delle risorse atte a raggiungerli, individuazione delle unità esecutive cui, nel breve, affidarli, insieme a condizioni e strutture organizzative ed operative [flessibili]».13
Dopo aver detto qualcosa su cos'è il business plan, concentriamoci sui suoi destinatari. All'esterno ci sono: amministrazioni pubbliche, istituti di credito (questi richiederanno informazioni finanziariamente dettagliate su piani di ammortamento, relazioni notarili, stima dei beni,...), alleati strategici (ricercati soprattutto dalle aziende in start-up o in fase di crescita), canali commerciali e distributivi e venture capitalist (questi sono solitamente i lettori più attenti, dato che investono in situazioni di rischio e dato che in percentuale solo un 2% degli investimenti proposti va a buon fine).14
Il piano di fattibilità ha anche un importante uso interno, anzi, a detta della Menarini Spagna, loro lo usano solo dentro l'azienda. In questo caso, assume la funzione di strumento di amministrazione e controllo, che costringe il
11 Ivi, p. 24
12 R. Ferraris Franceschi, Problemi attuali dell'economia aziendale, cit., p. 113 13 V. Antonelli, in R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo, cit., p. 194 14 Deloitte & Touch LLP, cit. in M. Agostini, p. 12
management ad analizzare in dettaglio il core business dell'azienda, permettendo di definire i benchmark in rapporto cui le performance aziendali future potranno essere confrontate.15 La pianificazione ed il controllo, infatti,
non dovrebbero essere separati, ma messi in atto proprio «attraverso il costante monitoraggio delle performance o dei risultati raggiunti [e attraverso] il feedback cui tale monitoraggio è ancorato, che è necessario per individuare in tempo reale gli scostamenti tra risultati ed obiettivi».16
Nonostante non esista una forma vincolante di business plan, la Legge 488/92 prevede uno schema come segue:
A. L'IMPRESA E I SUOI PROTAGONISTI
• presentazione dell'impresa
• vertice e management aziendale
• ubicazione
B. SINTESI DEL PROGRAMMA PROPOSTO
• caratteristiche salienti del programma
• presupposti e motivazioni che ne sono all'origine
• obiettivi produttivi e di redditività perseguiti
[rientrano in questa sezione tutte le informazioni riguardanti il mercato di sbocco, i prodotti/servizi, le risorse finanziarie, le prestazioni ambientali,...] C. PROIEZIONI ECONOMICO-FINANZIARIE ANNUALI (o budget) conseguenti alla realizzazione dell'iniziativa (dall'anno di avvio a quello di regime).
• Conti economici, stati patrimoniali, flussi finanziari previsionali
Ipotizzavo poco fa la possibilità di risalire ad un eventuale piano aziendale di un'azienda farmaceutica attraverso il supporto della bibliografia sull'argomento ed anche grazie alle informazioni volontariamente rilasciatemi dalle imprese intervistate. Molti dei punti previsti dallo schema della Legge 488/92, infatti, sono stati toccati dai dipendenti con cui ho avuto diretto contatto e, quindi, ho a mia disposizione sostanziosi elementi descrittivi e quantitativi – quelli costitutivi, nella loro complementarità, dello schema proposto da Agostini -.17
15 Ivi, p. 13
16 R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo, cit., p. 11 17 M. Agostini, cit., p. 16
È ovvio che poi molto dipenderà anche dalle “variabili operative”, quali la complessità dell'attività, la difficoltà di reperimento delle informazioni, il livello di approfondimento e l'eventuale aiuto esterno. Le fasi di stesura saranno fondamentalmente tre: riunire le informazioni e i dati, definire la struttura di massima e determinare il tipo di business plan. A questo proposito, si può scegliere il Summary Plan (10-15 pagine, usato spesso da aziende già avviate per sondare differenti ipotesi di investimento), il Full Business Plan (è il formato tradizionale, lungo non più di 40 pagine) o l'Operational Business Plan (indicato per le aziende già avviate come modello di corretto funzionamento aziendale. Perciò è necessario che superi le 40 pagine e si assesti su una lunghezza di almeno 100). Se la Bama-Geve Wassermann ha dichiarato di non redarre nessun documento ufficiale in tal senso, la Zambon ha sostenuto di vantare un piano aziendale addirittura superiore alle 100 pagine – anche per la sua lunghezza, ne rilevava la difficile analisi da parte di soggetti esterni all'azienda -.