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Rapporti tra mediazione e giudizio contenzioso nel d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 - Judicium

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MARIA PIA GASPERINI

Rapporti tra mediazione e giudizio contenzioso nel d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28

Sommario. 1. Premessa. – 2. La mediazione obbligatoria ex lege e i profili di legittimità costituzionale. – 3. Problematiche applicative connesse alla mediazione obbligatoria: a) la tutela cautelare ante causam e l’onere di instaurazione del giudizio di merito. – 4. (Segue): b) mediazione obbligatoria e trascrizione della domanda giudiziale. – 5. (Segue): c) mediazione obbligatoria e pluralità di domande. – 6. (Segue): d) mediazione obbligatoria e procedimenti

“bifasici”. – 7. La mancata partecipazione al procedimento di mediazione. - 8. Il rifiuto della proposta del mediatore e le ricadute sul governo delle spese di lite. – 9. La mediazione “delegata” dal giudice.

1. Premessa

La “mediazione finalizzata alla conciliazione” disciplinata dal d.lg. 28/2010 (in attuazione della norma delegante contenuta nell’art. 60 l. 69/2009, e prima ancora della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio) si esplica attraverso un percorso procedimentale che, pur essendo ispirato al principio generale dell’informalità, si caratterizza come procedimento “strutturato” destinato a svolgersi presso organismi costituiti da enti pubblici o privati che diano garanzie di serietà ed efficienza, e con modalità prestabilite da un apposito regolamento di procedura adottato dall’organismo stesso1. Con il nuovo istituto, il legislatore delegante (prima) e quello delegato (poi) hanno inteso mettere a disposizione delle parti in lite uno strumento alternativo al processo che, spostando l’ottica dalla tutela dei diritti alla realizzazione degli interessi, sia in grado di venire incontro alle aspettative dei “destinatari del servizio” (così, testualmente, l’art. 1, lett. b, del decreto legislativo) con efficacia perlomeno equivalente, e possibilmente anche superiore, al processo, con l’auspicata conseguenza - di fondamentale rilevanza sul piano della politica giudiziaria - di un effetto deflattivo del carico dei processi davanti al giudice dello Stato2.

1 Il riferimento alla mediazione come “procedimento strutturato” è presente già nell’art. 3, lett. a), della Direttiva 52/2008, quale contesto in cui “due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore”. Sui rapporti tra normativa italiana e normativa comunitaria v., ex multis, E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 653 ss.; G.IMPAGNATIELLO, La “mediazione finalizzata alla conciliazione” di cui al d.lgs. 28/2010 nella cornice europea, in www.judicium.it;G.ARMONE -P.PORRECA, La mediazione civile nel sistema costituzional-comunitario, in Foro it., 2010, IV, 372 ss.

2 Tra le principali opere a commento della nuova normativa in materia di mediazione si segnalano, senza pretese di completezza, AA.VV., La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali a cura di M.

Bove, Padova, 2011; F. CUOMO ULLOA, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011; R. TISCINI, La mediazione civile e commerciale, Composizione della lite e processo nel d.lg. n. 28 2010 e nei D.M. nn.

180/2010 e 145/2011, Torino, 2011; G.P. CALIFANO, Procedura della mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2011; AA.VV., Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile a cura di B. Sassani e F. Santagada, Roma, 2010; AA.VV. La mediazione civile e commerciale a cura di C.

Besso, Torino, 2010; AA.VV., La mediazione nelle controversie civili e commerciali a cura di F. Delfini e A.

Castagnola, Padova, 2010; C.VACCÀ-M.MARTELLO, La mediazione delle controversie, Ipsoa, 2010; AA.VV.,

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Per favorire la concreta operatività della nuova procedura per la composizione stragiudiziale delle liti, il d.lg. 28/2010 ha introdotto una serie di previsioni che individuano, a diversi livelli, delicati punti di raccordo tra mediazione e giudizio contenzioso. Il profilo di maggior impatto è stato ovviamente quello della previsione, per chi intenda esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia attinente alle materie specificamente indicate nell’art. 5. 1° co., dell’obbligo di esperire un previo tentativo di mediazione, configurato come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Il secondo aspetto è quello della possibilità, per il giudice che sia stato adìto successivamente al fallimento della mediazione, di valutare il comportamento tenuto dalle parti in quella sede per trarne conseguenze sanzionatorie, o comunque penalizzanti, per le parti stesse. Il tutto inserito in un contesto di incentivi alla mediazione anche di carattere fiscale, oggetto di un generale dovere d’informativa cui l’avvocato è tenuto nei confronti del cliente dal momento in cui assume la difesa3.

La sfida è stata quella di innescare un cambio di prospettiva, certamente epocale, che abituasse cittadini ed operatori all’utilizzo dei sistemi di composizione stragiudiziale delle controversie, e della conciliazione in particolare, e che contribuisse a promuovere una selezione delle liti che si prestano ad essere risolte in sede di mediazione da quelle che, in ragione dell’elevata complessità tecnico-giuridica o dell’insuperabile conflittualità che le connota, non possono che essere trattate e decise dal giudice. Su questo delicato processo di maturazione culturale è recentissimamente intervenuta la Corte costituzionale con una sentenza ad oggi ancora non depositata ma che, stando a quanto reso noto dagli stessi uffici della Consulta a mezzo comunicato stampa all’indomani dell’udienza pubblica del 23 ottobre 2012, ha deciso nel senso dell’illegittimità costituzionale dell’art. 5, 1° co., ergo della mediazione obbligatoria, per eccesso di delega rispetto all’art. 60 l. 69/2009. E’ ancora presto per dire quali possano essere le conseguenze immediate di tale decisione, ed in particolare se possano sopraggiungere a breve interventi normativi “riparatori” o “compensativi”; tuttavia, quel che appare chiaro è che non si possa tornare indietro e ricacciare la mediazione nel limbo degli strumenti di giustizia alternativa praticati da pochi conoscitori ed estimatori, ma si debba sfruttare la “ribalta” che l’istituto ha avuto nei due anni e mezzo circa dall’entrata in vigore del d.lg. 28/2010 per continuare a promuovere l’utilizzo volontario dello strumento, e quindi ad incentivare, specie con riguardo a determinate tipologie di controversie, l’avvio di un peculiare percorso diretto alla composizione della lite guidato da un soggetto terzo che, meglio del giudice, può comprendere le ragioni vere del conflitto, e dunque segnalare a ciascuna delle parti gli aspetti di convenienza di una certa soluzione conciliativa nonché i rischi dell’eventuale contenzioso giudiziario4.

La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali a cura di A. Bandini e N. Soldati, Milano, 2010.

3 Sul dovere d’informativa dell’avvocato previsto dall’art. 4, 3° co., d.lg. 28/2010, v. R. SANTAGATA, Sull’obbligo d’informativa dell’avvocato sull’accesso alla “mediazione”, in Giust. civ., 2011, II, 549 ss.; G.

TRISORIO LIUZZI, La nuova disciplina della mediazione. Gli obblighi informativi dell’avvocato, in Giusto proc.

civ., 2010, 989 ss.

4 Cfr, sul punto, G. ARIETA, La domanda di mediazione e le regole di instaurazione del procedimento, in Corr.

giur., 2011, 566, il quale rileva come il mediatore possa fare ciò che il giudice non è normalmente in grado di fare (e che ha determinato il sostanziale fallimento della conciliazione giudiziale): lo studio preventivo della lite, l’individuazione delle principali ragioni di contrasto tra le parti e la segnalazione dei profili di convenienza di una soluzione conciliativa, anche al di là degli stretti termini della controversia.

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2. La mediazione obbligatoria ex lege e i profili di legittimità costituzionale

Ai sensi dell’art. 5, 1° co., d.lg. 28/2010, la procedibilità delle domande giudiziali relative a controversie nelle materie ivi indicate è stata subordinata al previo esperimento del tentativo di mediazione dinanzi agli organismi accreditati5. Come a tutti noto, l’innovazione è stata fortemente avversata dalla classe forense e criticata anche da parte della dottrina processualistica, sulla scorta del rilievo che l’obbligatorietà, non espressamente contemplata dalla legge di delega, così come concretamente congegnata dal d.lg. 28/2010 finiva per confliggere con il principio (sancito sia dalla Direttiva comunitaria 52/2008 sia dalla legge italiana n. 69/2009) secondo cui detta obbligatorietà non deve precludere l’accesso alla giustizia6.

Quanto all’eccesso di delega, cioè al vizio formale per il quale la Consulta ha dichiarato (sempre a quanto risulta dal comunicato stampa del 24 ottobre 2012) l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 5, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza merita osservare che l’art. 60, lett. c), della l. 69/2009, nel demandare al Governo di

“disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”, ben poteva essere letta come delega attributiva al legislatore delegato di un’ampia discrezionalità in ordine alla determinazione delle caratteristiche e delle modalità di funzionamento della mediazione. Se è vero infatti che, come più volte affermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, il rispetto dei limiti della delega da parte del legislatore delegato va verificato

“procedendo anzitutto all'interpretazione delle norme della legge di delegazione che determinano i principi e i criteri direttivi, da ricostruire tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalità che ispirano la delega”7, non sembra che la previsione dell’obbligatorietà della mediazione potesse dirsi estranea alle finalità della legge delega, che certamente persegue uno scopo deflattivo del contenzioso giudiziario, né tantomeno avulsa da un contesto normativo che, come esplicitato dallo stesso art. 60 della l. 69/2009, ricomprende anche la normativa comunitaria e, nello specifico, la direttiva n. 52/2008 (il cui art. 5, 2° co., fa salva la legislazione nazionale che renda il ricorso alla mediazione obbligatorio, o soggetto ad incentivi e sanzioni, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto all’accesso al sistema giudiziario)8.

5 Dal 20 marzo 2011 il ricorso preventivo alla mediazione è divenuto obbligatorio per le controversie in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazioni, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa, contratti assicurativi, bancari e finanziari, mentre dal 20 marzo 2012 è stato reso obbligatorio anche per le controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante da circolazione di veicoli e natanti. Sulla mediazione obbligatoria v., oltre alle opere generali citt. nella nt. 2, G. BALENA, Mediazione obbligatoria e processo, in Giusto proc. civ., 2011, 333 ss.;G.MONTELEONE,La mediazione “forzata”, ivi, 2010, 21 ss.; F.

SANTANGELI, La mediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www.judicium.it.

6 V. il Considerando 14 e l’art. 1, 2° co., della citata Direttiva, nonché l’art. 60, 3° co., lett. a), della l. 69/2009.

7 Così Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276 (in Foro it., 2000, I, 2752), in conformità con le proprie precedenti pronunce del 31 maggio 2000, n. 163 (ivi, 2428); 27 aprile 2000, n. 126 (ivi, 3431); 5 febbraio 1999, n. 15 (in Giust. civ., 1999, I, 936).

8 La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, 1° co., per contrasto con l’art. 76 Cost. – discussa nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2012 - è stata rimessa alla Consulta da TAR Lazio, 12 aprile 2011, n. 3202 (in Corr. giur., 2011, 995 ss., con il commento di I. PAGNI, La mediazione dinanzi alla Corte costituzionale dopo l’ordinanza del TAR Lazio n. 3202/2011). Nella fattispecie, il giudice rimettente ha ritenuto la questione non manifestamente infondata, “atteso il silenzio serbato dal legislatore delegante in tema di obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie, nonché tenuto conto del grado di specificità di alcuni principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, art. 60 della l. 69/09,

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Anche sotto i profili sostanziali inerenti al possibile contrasto con la garanzia dell’accesso alla giustizia (in relazione ai quali, nel momento in cui si scrive, non è noto se la Corte costituzionale abbia comunque preso espressamente posizione, o ne abbia dichiarato l’assorbimento), il d.lg. 28/2010 appare sostanzialmente in linea con i principi affermati sia dalla Corte di Giustizia europea, sia dalla stessa Corte costituzionale italiana. Entrambe le Corti, infatti hanno avuto modo di enunciare le condizioni alle quali può dirsi legittima una normativa nazionale che imponga l’esperimento di una procedura di conciliazione stragiudiziale prima di ricorrere al giudice, affermando che la legge interna debba in ogni caso fissare un termine massimo di durata della procedura conciliativa onde evitare che essa comporti un ritardo sostanziale per la proposizione dell’azione giudiziaria; debba ricollegare all’istanza di conciliazione effetti analoghi a quelli della domanda giudiziale sotto il profilo dell’idoneità a sospendere termini di prescrizione o a impedire decadenze; debba assicurare la possibilità di proseguire il processo qualora il tentativo di conciliazione non vada a buon fine;

infine, debba far salva la possibilità di richiedere all’autorità giudiziaria misure provvisorie e cautelari qualora sussista un periculum in mora per il diritto vantato9.

La normativa introdotta dal decreto delegato soddisfa, invero, tali condizioni.

La prima condizione è soddisfatta dall’art. 6, 1° co., d.lg. 28/2010, il quale prevede che il procedimento di mediazione non possa avere durata superiore a quattro mesi (precisando che tale periodo non è computabile ai fini dell’art. 2 della legge 89/2001, cd. legge Pinto). Ne consegue che qualora il procedimento di mediazione non abbia prodotto alcun accordo entro quel termine, e sempreché le parti non intendano concordemente proseguire il negoziato, l’obbligo di tentare la mediazione deve intendersi adempiuto e la parte interessata può, a seconda dei casi, instaurare il processo contenzioso o proseguirlo10;

La seconda condizione è soddisfatta invece dall’art. 5, 6° co., nella parte in cui dispone che l’istanza di mediazione, dal momento in cui è comunicata alle altre parti, produce sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale (ciò significa non solo che la comunicazione della domanda di mediazione interrompe la prescrizione, ma anche che la prescrizione resta sospesa per tutta la durata del procedimento), ed impedisce altresì la decadenza, sia pure per una sola volta, con la conseguenza che se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di fallita conciliazione presso la segreteria dell’organismo11;

che risultano stridenti con le disposizioni stesse” (sub 15.2.). Nel senso di cui nel testo, invece, Trib. Genova, 18 novembre 2011 (in www.ilcaso.it), secondo cui la previsione della mediazione come obbligatoria e come condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria è conforme alla normativa comunitaria ed anche alla legge delega interna che ha posto, come unico limite, la circostanza che l’obbligatorietà della mediazione non precluda l’accesso alla giustizia.

9 Cfr. Corte di Giustizia 18 marzo 2010, nei procedimenti riuniti C-317/08, 318/08, 319/08, 320/08 (in Foro it., 2010, IV, 361) in materia di tentativo obbligatorio di conciliazione riguardante servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori del servizio, nonché Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276, cit., con riferimento all’ormai abolito tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie individuali di lavoro.

10 Il termine di quattro mesi è da ritenersi ordinatorio, posta la sua natura non processuale (in questo senso la Relazione illustrativa del decreto legislativo), sicché gli accordi conciliativi raggiunti successivamente al suo spirare sono da considerarsi pienamente validi (cfr. G. MINELLI, Art. 6, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali a cura di M. Bove, cit., 207 ss.; per la giurisprudenza v., in tal senso, Trib.

Varese, 20 giugno 2012, in www.ilcaso.it).

11 V., sul punto, G. ARIETA, La domanda di mediazione e le regole di instaurazione del procedimento, cit., 565 ss.; G. IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione: forma, contenuto ed effetti, in Giusto proc. civ., 2011, 701

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Per quanto concerne, inoltre, la possibilità di prosecuzione del processo in caso di conclusione negativa del procedimento di mediazione obbligatoria, l’art. 5, 1° co., prevede(va) a seguito dell’eccezione o rilievo dell’improcedibilità della domanda giudiziale un mero differimento dell’udienza per il tempo necessario allo svolgimento della mediazione, senza soluzione di continuità nell’iter processuale e dunque senza alcuna necessità, per la parte interessata, di compiere atti d’impulso successivamente alla chiusura del procedimento di mediazione con verbale negativo12.

Infine, l’art. 5, 3° co., esclude espressamente una preclusione alla concessione di misure urgenti e cautelari derivante dallo svolgimento della mediazione, con la conseguenza che la parte può richiedere ed ottenere al giudice un provvedimento volto ad neutralizzare un incombente pregiudizio al suo diritto, senza essere costretta a mediare preventivamente alcunché13.

Questione sulla quale è estremamente interessante verificare se, ed eventualmente come, la Corte costituzionale abbia preso posizione, è quella dei costi della mediazione, sottoposta anch’essa al sindacato di legittimità sulla base della considerazione per cui la mediazione non può essere obbligatoria ed al contempo onerosa14, in quanto ciò comporta che l’accesso al giudice sia condizionato al pagamento di una somma di denaro ulteriore, cui di regola si aggiunge l’onorario per il professionista che abbia assistito la parte nella procedura stragiudiziale15. E’ questo, in realtà, l’aspetto più problematico e delicato dell’obbligatorietà, da esaminare tenendo conto non solo degli incentivi fiscali normativamente previsti per chi utilizza, ancorché senza successo, il nuovo strumento di composizione delle liti, ma anche della possibilità riconosciuta agli organismi di derogare ai limiti minimi degli importi fissati dalla tabella ministeriale delle indennità di mediazione, in una prospettiva evidentemente tendente a favorire la concorrenza tra i soggetti abilitati ad offrire il servizio di mediazione16. Del resto, la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, nel ritenere rispettato il principio di effettività della tutela giurisdizionale dalla prescrizione di un previo tentativo di conciliazione stragiudiziale che comporti costi non ingenti per le parti, sta a dimostrare che, anche a livello europeo, l’obbligatorietà della mediazione non implica la gratuità della stessa

ss.; L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc., 2010, 575 ss.

12 Sotto questo profilo, va marcata la differenza rispetto all’abrogato art. 412-bis c.p.c. in materia di controversie di lavoro il quale, nell’ipotesi in cui fosse stata eccepita o rilevata l’improcedibilità della domanda proposta a causa della mancata previa presentazione dell’istanza di conciliazione obbligatoria dinanzi all’apposita commissione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro, prevedeva la sospensione del processo imponendo alle parti di procedere alla successiva riassunzione dello stesso.

13 Non risultava dunque vulnerato il principio di “integrale copertura” della tutela cautelare, il quale impone di escludere che diritti soggettivi minacciati da un periculum in mora possano essere sottratti ad ogni forma di tutela cautelare per un periodo di tempo non predeterminabile, con il conseguente venir meno della garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale (così G. ARIETA, Le cautele. Il processo cautelare, Padova, 2011, 12 ss.).

14 In questo senso v., soprattutto, G. SCARSELLI, L’incostituzionalità della mediazione di cui al d.lg. 28/10, in Foro it., 2011, V, 55.

15 La questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 d.lg. 28/2010 e 16 d.i. 180/2010, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevedono l’onerosità della mediazione obbligatoria, è stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata da Trib. Genova, 18 novembre 2011, cit., ed era anch’essa in discussione dinanzi alla Corte costituzionale nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2012.

16 La derogabilità da parte degli organismi degli importi minimi dell’indennità di mediazione stabiliti, per ciascuno scaglione, dalla tabella ministeriale è stata espressamente prevista dal d.m. “correttivo” 6 luglio 2011, n. 145.

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come imprescindibile corollario, bensì impone di trovare un punto di equilibrio tra garanzia di accesso alla tutela giudiziaria e giusta remunerazione dei servizi di mediazione17.

3. Problematiche applicative connesse alla mediazione obbligatoria: a) la tutela cautelare ante causam e l’onere di instaurazione del giudizio di merito

L’operatività della mediazione obbligatoria nelle materie indicate dall’art. 5, 1° co., d.lgs. 28/2010, ha determinato tutta una serie di questioni applicative che, in assenza di chiare ed univoche indicazioni contenute nel decreto stesso, sono state variamente affrontate dagli interpreti e dalla giurisprudenza di merito18. Una di tali questioni ha riguardato il caso della misura cautelare disposta ante causam e l’individuazione della strada percorribile dalla parte onerata di promuovere il giudizio di merito con procedibilità condizionata ex lege al previo esperimento del procedimento di mediazione19.

In caso di misure cautelari “ultrattive” ai sensi dell’art. 669-octies, 6° co., c.p.c.

(provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. o emessi a seguito di denunce di nuova opera e danno temuto, cautele anticipatorie in genere), l’insussistenza dell’onere per la parte di instaurare il giudizio di merito in un termine perentorio fa sì che detta parte possa presentare istanza di mediazione (obbligatoria o volontaria) e riservarsi all’esito di agire in giudizio senza alcun pregiudizio per la perdurante efficacia della cautela20.

Il problema si è posto, e si pone, invece, per le cautele a carattere conservativo, in quanto la loro concessione ante causam impone alla parte che le abbia conseguite di instaurare il relativo giudizio di merito nel termine fissato dal giudice o, in mancanza, entro sessanta giorni, pena l’inefficacia della misura. Qui, infatti, l’obbligatoria attivazione del procedimento di mediazione anteriormente all’instaurazione del giudizio contenzioso avrebbe potuto (e potrebbe tuttora, in caso di mediazione obbligatoria di fonte convenzionale) determinare la decorrenza di quel termine nelle more della procedura stragiudiziale, con conseguente vanificazione della tutela ottenuta dalla parte istante.

17 Sul punto vale la pena segnalare il parere espresso dalla Commissione Europea in data 2 aprile 2012 nella causa C-492/11 in sede di rinvio pregiudiziale disposto da Giud. Pace Mercato San Severino, 21 settembre 2011 (l’ordinanza di rimessione può leggersi in Giur. it., 2012, 661), nel quale la Commissione ha concluso nel senso che la Direttiva 2008/52/CE osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che preveda una mediazione obbligatoria ed altresì onerosa, ma “spetta al giudice nazionale stabilire caso per caso se i costi di una mediazione obbligatoria sono tali da rendere la misura sproporzionata rispetto all’obiettivo di una composizione più economia delle controversie”.

18 Per una interessante rassegna v. M. A. LUPOI, Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile, in www.judicium.it.

19 Si è già detto che, anche nelle controversie relative alle materie a mediazione obbligatoria, la parte che avesse necessità di richiedere un provvedimento cautelare a salvaguardia di un diritto minacciato da un periculum in mora poteva adìre senz’altro il giudice senza incorrere nell’improcedibilità della domanda cautelare, pena la compromissione del diritto di azione e difesa, nonché della garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale.

Ha osservato al riguardo G. BALENA, Mediazione obbligatoria e processo, cit., 339, che l’espressione

“provvedimenti urgenti e cautelari” utilizzata dall’art. 5, 3° co., per indicare forme di tutela per cui è prevista l’esenzione dall’obbligo di procedere previamente alla mediazione “parrebbe essenzialmente rappresentare un’endiadi, poiché sembra difficile individuare, al di fuori dell’ambito della tutela cautelare, dei provvedimenti normativamente caratterizzati dall’urgenza”.

20 Stesso discorso poteva dirsi valido con riferimento ai procedimenti di istruzione preventiva ai sensi degli artt.

692 ss. c.p.c., da sempre “sganciati” da un rigido collegamento temporale con il giudizio di merito, la cui natura cautelare è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. soprattutto Corte cost. 28 gennaio 2010, n. 26, in Foro it., 2010, I, 2978, nonché Corte cost. 16 maggio 2008, n. 144, ivi, 2009, 2634).

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Una prima proposta interpretativa ha ritenuto analogicamente applicabile, in caso di mediazione obbligatoria ex lege, il quarto comma dell’art. 669-octies, c.p.c., il quale, con riferimento al previo tentativo (ora non più) obbligatorio di conciliazione in materia di controversie di lavoro pubblico dispone tuttora che il termine per la proposizione della causa di merito successivamente alla concessione di misura cautelare “decorre dal momento in cui la domanda giudiziale è divenuta procedibile o, in caso di mancata presentazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, decorsi trenta giorni”21. Tale prospettazione, tuttavia, incontrava due ordini di ostacoli: in primo luogo, il dubbio sulla perdurante vigenza di questa disposizione, introdotta con riferimento ad una fattispecie di tentativo di conciliazione la cui obbligatorietà è venuta meno a seguito della riforma recata dalla l. 4 novembre 2010, n. 183 (cd. “collegato lavoro”). In secondo luogo, la specialità della stessa, che riferendosi allo specifico ambito delle controversie relative a rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni ne avrebbe reso in ogni caso problematica l’interpretazione analogica22.

Una seconda opinione ha ipotizzato l’applicabilità dell’art. 5, ult. co., d.lg. 28/2010, ritenendo che l’effetto impeditivo della decadenza collegato dalla citata norma alla comunicazione dell’istanza di mediazione alle altre parti possa intendersi come riferibile, in senso più ampio, anche alle decadenze connesse alla decorrenza di termini processuali, come quello previsto dall’art. 669-octies, 1° e 2° co., c.p.c.23 Sulla scorta di tale prospettazione, dunque, la parte che abbia richiesto ed ottenuto una misura cautelare conservativa potrebbe evitare la perdita di efficacia della misura stessa anche comunicando alla controparte (o alle altre parti) la sola istanza di mediazione entro il termine previsto dal codice di rito per l’introduzione del giudizio contenzioso, fermo restando che, in caso di fallimento del tentativo, la domanda giudiziale dovrebbe essere proposta entro il medesimo termine, decorrente dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell’organismo24.

Anche questa soluzione, cui pure va riconosciuto il pregio di un’indiscutibile linearità, comporta alcune forzature. In primo luogo, già ponendo attenzione al termine previsto dall’art. 669-octies c.p.c. non appare agevole prospettarne un inquadramento come termine di decadenza in senso proprio25. In secondo luogo, anche nell’ottica specifica della disciplina contenuta nel d.lg. 28/2010 vi è una certa difficoltà a riconoscere all’istanza di mediazione (che avvia un procedimento di natura pur sempre stragiudiziale) effetti processuali diversi ed

21 Cfr. G. MINELLI, Art. 5, in La mediazione, cit., 186 ss.

22 Per questi rilievi R. TISCINI, La mediazione civile e commerciale, cit., 164.

23 Così D. DALFINO, Dalla conciliazione societaria alla “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, in Rass. forense, 2010, 59; R. TISCINI, La mediazione, cit., 164 s.

24 L’art. 5, 6° co., d.lg. 28/2010, prevede infatti che “la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 presso la segreteria dell’organismo”.

Si tratta, come giustamente è stato osservato, di un “impedimento sui generis”, posto che l’esito negativo della mediazione comporta la decorrenza di un nuovo termine di decadenza rispetto al quale assumerà rilievo l’effetto impeditivo riconducibile unicamente alla domanda giudiziale: cfr. G. IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione, cit., 715.

25 Con riferimento alla decorrenza del termine in questione, infatti, non può certo dirsi che la parte decada dall’esercizio di un potere o di una facoltà processuale, in quanto il potere/la facoltà da esercitare entro il termine (l’instaurazione del giudizio di merito) resta impregiudicato.

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ulteriori rispetto a quelli cui il legislatore delegato ha espressamente riconosciuto rilevanza ai fini della valutazione giudiziaria della procedibilità del giudizio contenzioso26.

Non si può non riconoscere che l’ampiezza dell’ambito operativo della mediazione obbligatoria avrebbe reso opportuno su questo, come su altri aspetti, un esplicito intervento normativo chiarificatore. In mancanza, è stato facile prevedere il consolidamento di una prassi per cui la parte tenuta ad instaurare il procedimento di mediazione, una volta che si sia vista accogliere un ricorso ante causam per la concessione di una misura cautelare conservativa (ad es. un sequestro giudiziario o conservativo) non si limita a presentare la sola istanza di mediazione, ma (nell’incertezza se questa sia ritenuta idonea o meno ad impedire la perdita di effetti della misura) propone anche la domanda dinanzi al giudice (con successivo eventuale differimento dell’udienza per consentire lo svolgimento della procedura di mediazione)27.

L’inconveniente, come è agevole comprendere, è quello dei costi gravanti sulla detta parte, comprensivi sia degli oneri connessi all’instaurazione del giudizio contenzioso (necessaria al fine di preservare l’efficacia della misura cautelare ottenuta ante causam), sia dei costi della mediazione obbligatoria, avviata contestualmente alla proposizione dell’azione giudiziaria ovvero successivamente, a seguito dell’eccezione di parte o (in caso di mediazione obbligatoria ex lege) del rilievo officioso dell’improcedibilità della domanda28.

4. (Segue): b) mediazione obbligatoria e trascrizione della domanda giudiziale Un ulteriore problema in un certo senso contiguo al precedente si è posto nei casi in cui l’obbligo di mediazione riguardi controversie con domanda giudiziale soggetta a trascrizione ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c. Anche in queste ipotesi, infatti, l’esigenza lato sensu cautelare in capo alla parte attrice di assicurarsi l’inopponibilità di eventuali atti dispositivi aventi ad oggetto il bene controverso può dirsi garantita esclusivamente dalla proposizione della domanda giudiziale e, più precisamente, dalla sua notificazione alla controparte seguita dall’iscrizione a ruolo della causa. Anche sul piano della formulazione testuale, del resto, le problematiche risultano prese in (sintetica) considerazione nell’ambito di un’unica disposizione, l’art. 5, 3° co., d.lg. 28/2010, a norma del quale l’obbligo di procedere alla mediazione “non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”29.

26 Si pensi alla previsione contenuta nell’art. 5, 1° co., secondo cui il giudice, ove avesse rilevato che la mediazione era già stata avviata, ma non si era ancora conclusa, si sarebbe limitato a rinviare l’udienza a data successiva, tenendo conto del termine massimo di durata del procedimento di mediazione stabilito dall’art. 6, ma senza fissare alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di mediazione.

27 Invero, il sequestro è, e resta anche se correlato ad una mediazione, strumentale ad una forma di tutela suscettibile di concludersi con un provvedimento – necessariamente giudiziario - che sia in grado di “assorbire”

gli effetti della misura cautelare (nel caso specifico del sequestro conservativo, strumentale ad una sentenza di merito che determini la conversione del sequestro in pignoramento, in ossequio all’art. 686 c.p.c.). In generale, sul principio di assorbimento della misura cautelare nella sentenza di merito sul diritto cautelato v. G. ARIETA, Le cautele. Il processo cautelare, cit., 186 ss.

28 La giurisprudenza di merito (v. Trib. Brindisi, sez. dist. Francavilla Fontana, 9 gennaio 2012, in www.ilcaso.it) ha avuto modo di porre in evidenza il problema dei costi per la parte che abbia conseguito una cautela conservativa ante causam, ancorché con riguardo ad una fattispecie cui (a torto) non è stato ritenuto applicabile, ratione temporis, l’art. 5, 1° co., d.lg. 28/2010 (nella fattispecie la litispendenza si è fatta risalire al deposito del ricorso cautelare, anteriore al 21 marzo 2011). Il tribunale pugliese ha adombrato, in proposito, un possibile dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 669-octies c.p.c. per contrasto con l’art. 24 Cost.

29 La formulazione normativa è stata giudicata sotto questo profilo “poco limpida” da F. DANOVI, Mediazione, processo e ruolo dell’avvocato, in Giusto proc. civ., 2011, 1052 s., il quale ha reputato paradossale che si potesse

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E’ stato esattamente rilevato che la possibilità di trascrivere la domanda giudiziale proposta sia prima dell’avvio della mediazione, sia nel corso del relativo procedimento, non può escludersi neppure in assenza di espressa previsione, giacché l’aver configurato il previo tentativo obbligatorio di mediazione come condizione di procedibilità (e non di proponibilità) del giudizio contenzioso comporta che il processo radicato davanti al giudice dalla parte che abbia omesso il tentativo di mediazione sia comunque un processo validamente instaurato con una domanda idonea a produrre tutti i suoi effetti, dunque anche trascrivibile nei casi previsti dagli artt. 2652 ss. c.c.30 In altri termini, l’obbligatorietà della mediazione (quale che ne sia la fonte, legale o convenzionale) non preclude alla parte che intenda proporre una domanda soggetta a trascrizione di accedere subito al giudizio contenzioso, ed assicurarsi in tal modo l’effetto “prenotativo” della trascrizione medesima, salvo il successivo differimento dell’udienza per il tempo necessario allo svolgimento del procedimento di mediazione. Il problema è, semmai, ancora una volta, quello dei costi a carico della parte costretta, per cautelarsi nei confronti dei terzi, ad instaurare sia il processo che la mediazione, nonché quello della possibile incidenza della pubblicità della domanda giudiziale sulle chances di successo della mediazione, posto che chi riceve la notificazione di un atto di citazione o di un ricorso debitamente trascritti e successivamente la comunicazione di un’istanza di mediazione può facilmente ritenere che dall’altra parte non vi sia una reale disponibilità al raggiungimento di un accordo amichevole31.

Sul piano generale è certo, peraltro, che l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda giudiziale si produce unicamente rispetto all’eventuale sentenza di accoglimento della domanda, non già rispetto all’eventuale accordo conciliativo raggiunto all’esito della mediazione, ancorché trascritto (previa autenticazione delle sottoscrizioni da parte del pubblico ufficiale a ciò autorizzato: v. l’art. 11, 3° co., d.lg. 28/2010)32. Sempre in linea generale ciò significa che la trascrizione della domanda giudiziale può avere un senso nel solo caso in cui la mediazione fallisca, mentre, qualora le parti addivengano in questa sede ad un accordo, questo non potrà in alcun modo retrodatare i propri effetti alla trascrizione dell’atto giudiziario33.

Si è sostenuto, in proposito, che il legislatore delegato avrebbe potuto opportunamente prevedere la trascrivibilità dell’istanza di mediazione, al fine di assicurare alla parte istante la

pensare alla trascrizione della domanda nelle controversie relative alle materie previste dall’art. 5 del decreto legislativo, per le quali la mediazione avrebbe voluto porsi come filtro all’azione giudiziaria.

30 Cfr., in questo senso, R.TISCINI, La mediazione civile e commerciale, cit., 167.

31 V. G. MINELLI, Art. 5, in La mediazione, cit., 188 s.; R. TISCINI, loc. ult. cit.

32 Tale effetto, infatti, opera con riferimento ad entità omogenee (domanda giudiziale e sentenza), ed è quindi da escludere tra domanda giudiziale ed accordo conciliativo, che non sono legati da un collegamento strutturale (concordi G. MINELLI, op. cit., 189; R. TISCINI, loc. ult cit.; G. IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione, cit., 718).

33 Ne consegue che l’eventuale cessione a terzi del bene controverso intervenuta dopo la trascrizione della domanda giudiziale e prima della conclusione positiva della mediazione sarebbe opponibile alla parte che abbia acquistato il bene stesso a seguito dell’accordo raggiunto in sede di mediazione (ritiene in proposito G. MINELLI, op. cit., 189 s., che in tal caso il conflitto tra più acquirenti dal medesimo dante causa potrebbe risolversi subordinando l’efficacia dell’accordo conciliativo alla verifica, da parte dell’Agenzia del Territorio, della disponibilità del diritto in capo al dante causa). In ipotesi siffatte, a ben vedere, la parte cui il bene sia stato trasferito con l’accordo conciliativo difficilmente abbandonerà il processo precedentemente instaurato con domanda trascritta, mantenendo l’interesse al conseguimento della sentenza di merito di accoglimento, sul presupposto dell’inidoneità del predetto accordo a risolvere la controversia.

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medesima tutela conseguibile dalla trascrizione della domanda giudiziale34. Tale soluzione, però, oltre a presentare evidenti ostacoli generali di ordine sistematico connessi alla natura stragiudiziale della mediazione35 comporterebbe una serie di difficoltà operative e di incongruenze rispetto alla configurazione stessa dell’istituto. Ad esempio, per le istanze di mediazione in ipotesi trascrivibili si renderebbe necessario un maggior rigore tecnico nella loro redazione, in contraddizione rispetto al criterio generale dell’informalità che governa il procedimento e all’assenza dell’obbligo di patrocinio legale36. Inoltre, anche la retrodatazione degli effetti dell’accordo alla trascrizione dell’istanza si presenterebbe problematica tenuto conto delle peculiari caratteristiche della conciliazione stragiudiziale, nella quale, a differenza del giudizio contenzioso, nulla assicura la coincidenza delle pretese originarie con il contenuto dell’accordo finale37.

La giurisprudenza di merito, per parte sua, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, d.lg. 28/2010, e dell’art. 2653, 1° co., n. 1, c.c., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedono la trascrivibilità della domanda di mediazione obbligatoria e, in ogni caso, l’effetto prenotativo della stessa rispetto alla sentenza nell’ipotesi di fallimento della mediazione. Il giudice rimettente ha reputato irragionevole che in materia di diritti reali immobiliari la mediazione debba essere sempre “doppiata” dal giudizio ordinario, e che conseguentemente la parte istante sia comunque costretta a sostenere sia i costi della mediazione, sia il pagamento del contributo unificato per l’instaurazione del giudizio, senza potersi giovare dell’effetto deflattivo della procedura stragiudiziale38.

5. (Segue): c) mediazione obbligatoria e pluralità di domande

Altra questione di notevole impatto pratico alimentata dall’assenza di indicazioni nel d.lg. 28/2010 è stata quella relativa alla sussistenza dell’obbligo di attivare la mediazione anche con riferimento alle eventuali domande, relative a controversie nelle materie indicate nell’art. 5, 1° co., proposte in corso di causa (si pensi, in primo luogo, alla domanda riconvenzionale, ma anche alle ulteriori domande proponibili pendente lite – ad es. la domanda di accertamento incidentale – nonché alle domande proposte da o nei confronti di terzi intervenienti o chiamati in causa)39. In proposito si trattava di stabilire se, valorizzando la lettera normativa, si dovesse ritenere obbligato a presentare istanza di mediazione qualunque

34 Così G. MINELLI, op. cit., 190.

35 Già F.P. LUISO, La delega in materia di mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, 1259, avvertiva circa la difficoltà di attribuire all’istanza di mediazione tutti gli effetti della domanda giudiziale, ed in particolare quello “prenotativo” conseguente alla trascrizione. V. altresì, successivamente, F. DANOVI, Mediazione, cit., 1051, secondo cui “la domanda di mediazione rimane un atto stragiudiziale e sarebbe quindi incongruo presentarla come surrogato della domanda giudiziale”.

36 Per questa considerazione v. G. IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione, cit., 717.

37 Cfr. R. TISCINI, La mediazione civile, cit., 168, a quale osserva come non sia “facile contemplare ex lege nella mediazione una consequenzialità tra domanda ed accordo corrispondente alla consequenzialità (nel processo) tra domanda e sentenza”.

38 In questi termini Trib. Genova, 18 novembre 2011, cit. (anche tale questione era in discussione nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2012 dinanzi alla Consulta).

39 E’ bene precisare, con riferimento all’intervento di terzi, che il problema si sarebbe posto nel caso di interventi

“innovativi”, nei quali cioè il terzo (interveniente volontario) propone un’autonoma domanda nei confronti delle parti originarie oppure (terzo chiamato in causa) è destinatario di una domanda della parte chiamante. Non si sarebbe posto, invece, nel caso dell’intervento adesivo dipendente di cui all’art. 105, 2° co., c.p.c., nel quale il terzo interviene unicamente per “sostenere le ragioni di alcuna delle parti”, senza richiedere direttamente la tutela di un proprio diritto (sul punto cfr. F. SANTANGELI, La mediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www.judicium.it).

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soggetto che, anche a processo iniziato “intende esercitare in giudizio un’azione” inerente ad una controversia nelle materie dell’art. 5, oppure se, privilegiando la ratio deflattiva che indubbiamente permea l’istituto disciplinato dal d.lg. 28/2010, fosse preferibile la soluzione che obbligava alla mediazione la sola parte che attraverso l’esercizio dell’azione intendesse dare causa al processo, indipendentemente dalla complessità oggettiva e soggettiva che questo può acquisire nel corso del suo svolgimento40.

Si trattava di questione non nuova, che già aveva avuto modo di porsi con riferimento sia alle controversie agrarie, sia alle controversie laburistiche, per le quali la legge prevede (prevedeva, nel caso delle controversie di lavoro) un tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale da esperire prima dell’instaurazione del giudizio contenzioso41. In materia agraria, ad esempio, la giurisprudenza di legittimità ha affermato la sussistenza dell’obbligo di tentare previamente la mediazione anche per la domanda proposta in via riconvenzionale, escludendolo tuttavia ove la domanda stessa si ricolleghi direttamente al contrasto tra le parti e alle pretese fatte valere dall’attore che abbia già esperito la procedura conciliativa ovvero qualora il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura già sperimentata dall’attore42. In materia di lavoro, in assenza di orientamenti espressi dalla Suprema Corte, è stata la giurisprudenza di merito ad affrontare il problema con esiti contrastanti43, benché la dottrina maggioritaria si fosse orientata per la soluzione negativa44.

Argomentazioni analoghe a quelle prospettate con riguardo agli specifici ambiti sopra menzionati hanno indotto a preferire la ricostruzione che escludeva, in via generale, l’obbligo di presentare istanza di mediazione in relazione alle nuove domande che possono essere introdotte nel corso del processo, ciò al fine di evitare tutta una serie di possibili diseconomie ed allungamenti dei tempi processuali che, già intollerabili in un contenzioso settoriale, lo sarebbero stati vieppiù nel ben più esteso ambito delle materie elencate nell’art. 5 d.lg.

28/201045.

Nell’ipotesi in cui già la domanda originaria fosse soggetta per legge a mediazione obbligatoria, e il relativo tentativo fosse fallito, l’attivazione di un’ulteriore fase conciliativa sulla domanda riconvenzionale pure attinente alle materie del predetto art. 5 avrebbe avuto

40 Per uno specifico contributo su questo tema si veda G. BATTAGLIA, La nuova mediazione “obbligatoria” e il processo oggettivamente e soggettivamente complesso, in Riv. dir. proc., 2011, 126 ss.

41 Per le controversie agrarie, l’obbligatorietà del previo tentativo di conciliazione è tuttora previsto dall’art. 46 della l. 3 maggio 1982, n. 203. Per le controversie di lavoro siffatta obbligatorietà è venuta meno a seguito della

“riscrittura” dell’art. 410 c.p.c. nonché dell’abrogazione dell’art. 412-bis c.p.c. ad opera dell’art. 31 l. 4 novembre 2010, n. 183 (cd. collegato lavoro”).

42 V., in tal senso, Cass. 14 novembre 2008, n. 27255 (in Foro it., 2010, I, 240); Cass., 16 novembre 2007, n.

23816; Cass., 4 aprile 2001, n. 4982; Cass., 1 dicembre 1999, n. 13359.

43 Hanno escluso l’obbligo del previo tentativo di conciliazione per le domande proposte pendente lite Trib.

Ivrea, 22 dicembre 2004, in Giur. it., 2005, 1684; Trib. Taranto, 18 aprile 2002, ivi, 2003, 78, con nota di RASCIO; Trib. Milano, 10 febbraio 2001, in Lav. giur., 2001, 997. Di contrario avviso Trib. Milano, 10 marzo 2005, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 634; Trib. Voghera, 21 dicembre 2004, ivi, 315, con nota di BUSICO; Trib.

Pordenone, 13 febbraio 2001, in Dir. lav., 2001, 271, con nota di PAMIO.

44 Così G. TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1999, 40; G. TRISORIO LIUZZI, La conciliazione obbligatoria e l’arbitrato in materia di lavoro, in Riv. dir. proc., 2001, 989; G.DELLA PIETRA, Domande in corso di causa e tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale, in Dir. giur., 2003, 406; R. TISCINI, Brevi ritorni sull’incompatibilità tra tentativo obbligatorio di conciliazione e domande proposte in corso di causa, in Giur. mer., 2003, 1394. Contra, C. CECCHELLA, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro privato e pubblico, in Mass. giur. lav., 1999, 452; A. TEDOLDI, Appunti sul processo del lavoro, in Giur.

it., 2001, 1541.

45 Per questa considerazione v. G. BALENA, Mediazione obbligatoria e processo, cit., 341.

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scarse, o nulle, possibilità di successo46, prestando altresì il fianco ad eventuali tattiche dilatorie del convenuto che avrebbe potuto introdurre nuove domande al solo scopo di provocare il differimento delle udienze47. L’esclusione dell’obbligo di mediazione avrebbe potuto senz’altro predicarsi per la domanda riconvenzionale propriamente connessa ai sensi dell’art. 36 c.p.c., ovvero fondata sul medesimo titolo posto dall’attore a fondamento della domanda principale o su quello posto a fondamento delle eccezioni sollevate dallo stesso convenuto, mentre qualche dubbio si sarebbe posto per la riconvenzionale non connessa (ammessa dalla giurisprudenza ove rientri nella competenza del giudice adìto), in relazione alla quale l’esigenza di evitare l’allungamento dei tempi per la trattazione della domanda attorea avrebbe potuto giustificare l’adozione, da parte del giudice, di un provvedimento di separazione ai sensi dell’art. 103, 2° co., c.p.c.48

Considerazioni analoghe sono state svolte con riferimento agli interventi dei terzi, volontari o provocati, che producano un ampliamento dell’oggetto del processo. Anche in queste fattispecie, infatti, la sussistenza di una connessione oggettiva tra la domanda proposta dal terzo (l’art. 105, 1° co., c.p.c.) o addirittura di una “comunanza di causa” nell’ipotesi di chiamata (art. 106 c.p.c.) ha sconsigliato la soluzione rigorista che avrebbe imposto un nuovo tentativo di mediazione, dovendosi realisticamente tener conto che l’ormai conclamato conflitto in atto difficilmente avrebbe potuto risolversi in sede conciliativa per il solo fatto che la relativa iniziativa fosse assunta da, o nei confronti di, un soggetto diverso dalle parti originarie, senza contare che l’eventuale sussistenza di un nesso di dipendenza tra la domanda nuova (si pensi alla chiamata in garanzia cd. propria) e quella originaria di fatto avrebbe impedito che parte chiamante e terzo chiamato potessero addivenire ad una conciliazione quando fosse ancora incerto l’esito della causa principale49.

In definitiva, quantomeno con riferimento alle domande proposte in corso di causa legate da un nesso di connessione propria con la domanda principale, è sembrato preferibile accedere all’interpretazione che escludeva l’obbligo del tentativo di mediazione evitando, con ciò, l’attivazione di meccanismi che potessero determinare una frammentazione del contenzioso, in spregio all’esigenza del simultaneus processus e al principio di economia processuale. Peraltro, come anche da più parti rilevato, questa interpretazione appariva avvalorata dalla formulazione testuale dell’art. 5, 1° co., d.lg. 28/2010, nella parte in cui, disciplinando modalità e tempi del rilievo dell’improcedibilità della domanda, legittimava il convenuto alla relativa eccezione individuando il limite preclusivo nella “prima udienza”, il

46 Ha rilevato a tal riguardo G. BATTAGLIA, La nuova mediazione “obbligatoria”, cit., 136, che “non appare logico obbligare il convenuto, che vuole proporre una domanda riconvenzionale, a promuovere il procedimento di mediazione, posto che il rapporto giuridico si svolge nel contesto di una situazione di litigiosità ormai irreversibile”.

47 Cfr. G. MINELLI, Art. 5, cit., 175.

48 Così G. BALENA, op. cit., 342; analogamente, G. BATTAGLIA, op. cit., 136 s. In caso di riconvenzionale non connessa, peraltro, si sarebbe riproposto il distinguo, noto alla giurisprudenza agraria (v., supra, nt. 42), tra pretese dedotte nella fase conciliativa, che avrebbero esentato il convenuto dall’obbligo di richiedere la mediazione, e pretese non dedotte in quella sede, che invece sarebbero state soggette, come riconvenzionali cd.

“inedite”, all’obbligo della mediazione. Anche questa distinzione, tuttavia, non sarebbe stata sempre utile in ragione della duttilità dell’oggetto della mediazione, nel quale può non essere facile individuare gli esatti confini di una pretesa coincidente con una domanda giudiziale (conf. R. TISCINI, La mediazione civile e commerciale, cit., 144).

49 Alla stregua di queste considerazioni, si poteva viceversa ipotizzare la sussistenza dell’obbligo di mediazione in capo alla parte che intendesse chiamare in causa un terzo per garanzia impropria, stante la natura di mero fatto del collegamento esistente tra domanda principale e domanda di garanzia (cfr. G. BATTAGLIA, op. cit., 143).

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che sembrava comprovare la scelta normativa di gravare la parte attrice, ed essa soltanto, dell’obbligo di presentare istanza di mediazione50.

6. (Segue): d) mediazione obbligatoria e procedimenti “bifasici”

Secondo quanto espressamente disposto dall’art. 5, 4° co., d.lg. 28/2010, l’obbligo di presentare domanda di mediazione non sussiste con riferimento ad una serie di procedimenti ivi previsti. La disposizione (che anche dopo la sentenza della Corte costituzionale conserva operatività nell’ambito della mediazione obbligatoria di fonte pattizia) traccia una differenza tra procedimenti con esenzione totale dall’obbligatorietà (opposizioni esecutive, procedimenti in camera di consiglio, azione civile esercitata in sede penale), e procedimenti con esonero dall’obbligatorietà solo iniziale, limitato alla fase a cognizione sommaria, nei quali l’obbligo di esperire il tentativo di mediazione sorge in un secondo momento, in caso di prosecuzione o conversione nella fase a cognizione piena (come nel procedimento per decreto ingiuntivo, per convalida di sfratto, nonché nelle azioni possessorie)51.

La Relazione illustrativa del decreto legislativo ha giustificato tale scelta, con riferimento ai procedimenti di ingiunzione e di convalida di licenza o sfratto, osservando che in entrambi i casi ci si trova di fronte “a forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva” in cui “il procedimento è caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale, e mira a consentire al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo”, sicché appare “illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo”, anche se la mediazione può “trovare nuovamente spazio all’esito della fase sommaria, quando le esigenze di celerità sono cessate, la decisione sulla concessione dei provvedimenti esecutivi è stata già presa e la causa prosegue nelle forme ordinarie”52.

50 R. TISCINI, La mediazione, cit., 144; G. MINELLI, Art. 5, cit., 174.

E’ doveroso segnalare che le prime pronunce della giurisprudenza di merito (per lo più riguardanti domande riconvenzionali attinenti a materie previste dall’art. 5) hanno espresso sul punto orientamenti non univoci. Ad es., Trib. Palermo, sez. dist. Bagheria, 11 luglio 2011 (in Giur. merito, 2012, 336, con il commento di M.

FABIANI), ha escluso la necessità del previo espletamento del procedimento di mediazione sia per le domande riconvenzionali che si fondino sul medesimo titolo della domanda principale già oggetto di discussione nell’ambito della mediazione espletata sulla detta domanda, sia per le domande riconvenzionali cd. inedite, emerse cioè solo in sede giudiziaria (ha osservato, tra l’altro, detto giudice che la soluzione opposta non avrebbe garantito l’ “equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario” costituente principio cardine della normativa comunitaria in materia di mediazione, in forza dell’art. 1 Direttiva 2008/52/CE). Diversamente, Trib.

Como, sez. dist. Cantù, 2 febbraio 2012 (in www.ilcaso.it), in una fattispecie in cui la domanda principale non era soggetta a mediazione obbligatoria ha affermato la sussistenza in capo al convenuto dell’obbligo di proporre istanza di mediazione con riguardo alla riconvenzionale di usucapione, precisando che la separazione delle cause avrebbe potuto essere evitata ove le parti avessero aderito all’invito del giudice a procedere alla mediazione anche per la domanda principale (sulla stessa linea del tribunale lombardo v. Trib. Roma, sez. dist. Ostia, 15 marzo 2012, in www.ilcaso.it).

51 Tali procedimenti sono stati sottratti, ai sensi della citata norma, all’applicazione sia del primo che del secondo comma dell’art. 5, e dunque non solo alla mediazione obbligatoria ma anche a quella “delegata” dal giudice. La ragione sta nel fatto che anche questa seconda tipologia di mediazione, pur costituendo un modello nettamente diverso dalla prima, comporta una dilazione dei tempi processuali incompatibile con le caratteristiche dei procedimenti in oggetto (così R. TISCINI, La mediazione, cit., 169).

52 Il legislatore delegato ha voluto in buona sostanza evitare che la mediazione interferisse con l’urgenza legata alla pronuncia dei provvedimenti sulla provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, nonché delle ordinanze di rilascio provvisorio o di pagamento delle somme non controverse nel procedimento per convalida.

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La scelta di escludere i procedimenti possessori fino all’adozione dei provvedimenti interdittali è stata invece giustificata “per motivi analoghi a quelli che riguardano i provvedimenti cautelari (somma urgenza nel provvedere)”, evidenziandosi tuttavia “che il procedimento possessorio può conoscere una fase di merito … nella quale è incongruo non consentire la mediazione”53.

La stessa Relazione illustrativa non chiarisce però su quale parte grava l’obbligo di presentare istanza di mediazione, con la conseguenza che nel vigore della mediazione obbligatoria ex lege l’interprete è stato costretto ad una delicata opera di ricostruzione del funzionamento del meccanismo soprattutto in quelle procedure (in primis il procedimento d’ingiunzione, ma anche i procedimenti possessori) nelle quali l’iniziativa per l’apertura della fase di merito è (nel caso dell’opposizione a decreto ingiuntivo) o può essere (nel caso delle azioni possessorie) assunta dalla parte contro cui è fatta valere la pretesa sostanziale. Ci si è chiesto dunque chi dovesse instare per la mediazione obbligatoria successivamente alla pronuncia dei provvedimenti ex artt. 648 e 649 c.p.c. da parte del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, o nell’ipotesi in cui, ex art. 703, ult. co., c.p.c., una delle parti avesse proposto istanza per la prosecuzione del giudizio di merito.

Due sono le considerazioni che hanno condotto ad escludere che l’obbligo gravasse sempre sul ricorrente originario. In primo luogo, non è apparso ammissibile far “retroagire”

l’improcedibilità ex art. 5 all’azione esercitata con il ricorso originario, monitorio o possessorio, che dà origine ad una fase autonoma, posto che detta improcedibilità si configura quale sanzione per il mancato adempimento di un obbligo che scatta in una fase successiva. In secondo luogo, occorreva tener conto del fatto che le fasi sommarie (sia monitoria che possessoria) sono suscettibili di chiudersi con provvedimenti che diventano definitivi ove la successiva fase di merito non venga coltivata54, e questo dato incideva in maniera dirimente sulla questione qui affrontata, chiarendo che l’obbligo di attivare la mediazione non poteva che gravare sulla parte interessata alla procedibilità della fase a cognizione piena.

Se, dunque, come è apparso preferibile ritenere, l’eventuale improcedibilità per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione era (ed è, in caso di clausola di mediazione) da riferire al giudizio di merito a cognizione piena, era (ed è) l’opponente a decreto ingiuntivo o l’istante in prosecuzione per il giudizio di merito possessorio a dover intraprendere il procedimento di mediazione.

Con riguardo alla mediazione obbligatoria ex lege si sono distinte le seguenti ipotesi:

a) nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, pronunciati i provvedimenti sulla provvisoria esecuzione, il giudice avrebbe assegnato alle parti il termine di quindici giorni per la proposizione della domanda di mediazione, fissando la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 d.lg. 28/2010 e sarebbe stato il debitore opponente a dover attivarsi, pena l’improcedibilità dell’opposizione e, con essa, la definitività ed irretrattabilità del decreto ingiuntivo55;

53 Come noto, a seguito delle riforme intervenute negli anni 2005-2006, il giudizio di merito sul possesso (cd.

“merito possessorio”) si svolge nel solo caso in cui una delle parti presenti istanza di prosecuzione entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento che abbia deciso il reclamo avverso il provvedimento interdittale o, in mancanza di reclamo, entro sessanta giorni dalla comunicazione di quest’ultimo (art. 703, ult. co., c.p.c.).

54 Sull’attitudine alla definitività, e non alla mera ultrattività, del provvedimento interdittale possessorio in difetto di proposizione dell’istanza di prosecuzione del giudizio di merito nel termine di legge si è pronunciata Cass., 26 marzo 2012, n. 4845, in www.leggiditaliaprofessionale.it.

55 Per un cenno in tal senso cfr. BALENA, Mediazione obbligatoria, cit., 339, in nota. Una soluzione diversificata è stata prospettata da G. MINELLI, Art. 5, cit., 191, secondo cui l’iniziativa avrebbe gravato sul creditore opposto

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