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GIUSTIZIA E PROCESSO COME FONTE DI DANNI Dr. Giancarlo Giusti

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TAGETE 3-2004 Anno X

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GIUSTIZIA E PROCESSO COME FONTE DI DANNI Dr. Giancarlo Giusti

1. Introduzione.

L’emersione della figura del danno esistenziale può essere accostata alla ricerca di nuove forme di risarcimento del danno che la giurisprudenza aveva sperimentato per superare la stretta dicotomia danno patrimoniale, danno non patrimoniale-morale, ristretto dai limiti imposti dall’art. 2059 c.c., che il codice civile ha tramandato. La giurisprudenza, alla ricerca di nuove figure di danno (ad es. danno figurato, danno alla vita di relazione, danno estetico, danno sessuale, danno alla serenità familiare, danno edonistico, danni riflessi, danni indiretti, danni a cascata, danni di rimbalzo ecc.) ha poi trovato, cosa nota, sulla sua strada l’essenziale aiuto della Corte costituzionale.

Ben conosciuto lo scardinamento, avvenuto ad opera delle sentenze della Corte costituzionale, della rigida dicotomia tra danno patrimoniale e danno morale, voluta dal legislatore del 1942 ed incentrata sugli artt. 2043-2059 c.c.

Si legga, Corte cost. 14.7.1986, n. 184, GI, 1987, I,1,392, sentenza che sottolinea la matrice medico-legale del danno biologico, riportandolo alla sfera del danno non patrimoniale, non nel senso di rimetterlo all’art. 2059 c.c., ma nel senso di inquadrare il danno alla salute nella sfera di incidenza non patrimoniale del danno, riguardando tutti i requisiti ed attributi biologici della persona. E la successiva sentenza della Corte cost. 27.10.1994, n. 372, DF, 1995, 457, che pone le basi si un successivo ripensamento dei rapporti fra l’art. 2043 e 2059 c.c.: la differenza fra le due sentenze della Corte costituzionale riguarda l’inquadramento normativo del danno biologico, l’una ponendolo direttamente sotto l’egida dell’art. 2043 c.c., l’altra ricomprendendo nell’art. 2059 c.c.

non solo il danno morale, ma tutti i danni non suscettibili di valutazione economica; l’art. 2059 c.c.

non viene interpretato quale categoria chiusa e residuale del danno morale, ma quale contenitore di tutta una serie di danni non patrimoniali. Ma ciò non sposta l’importanza dell’avvenuta

Magistrato, Tribunale di Reggio Calabria

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2 insinuazione nel sistema risarcitorio del danno non patrimoniale sganciato dagli stretti limiti di cui all’art. 2059 c.c..

La creazione del danno biologico si sostanzia, infatti, nella negazione del tradizionale assunto che subordinava la tutela risarcitoria ad un processo di patrimonializzazione del pregiudizio.

Il principio ha significato la possibilità di liberare il risarcimento del danno dai vincoli della necessaria logica “patrimonialistica”, primo passo di un più ampio processo di evoluzione dell’istituto di cui all’art. 2043 c.c., attraverso la creazione di fattispecie inedite di danno, riguardanti lesioni suscettibili di riverberarsi nella sfera relazionale dell’offeso.

Ma lo stesso sistema di risarcimento derivante dal riconoscimento del danno biologico, quale danno evento, derivante dalla compromissione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), risulta angusto (AA VV. 2000, 324; Monateri 2000, 836 e ss.). Vediamo.

Nell’attuale assetto risarcitorio trovano certa tutela: 1) il danno biologico, costituito da un peggioramento della qualità della vita conseguente alla lesione dell’integrità psicofisica del soggetto; 2) il danno morale, coincidente con la sofferenza, il patema d’animo, il perturbamento dell’anima ed 3) il danno patrimoniale, che si identifica nella perdita di un’utilità economica.

Non sembra che l’assetto possa dirsi soddisfacente.

Queste categorie di danno escludono dal loro ambito tutta una serie di pregiudizi che assumono crescente rilevanza in un contesto sociale attuale, nel quale lo sviluppo economico ha determinato, sul piano sociologico, la valorizzazione della persona in quanto tale, collocata al centro di un progetto di realizzazione individuale che si concretizza su molteplici versanti, tutti esplicanti in qualche modo la propria personalità.

La centralità della tutela da assicurare al pieno sviluppo della persona umana (art. 3 Cost.) trova un suo esplicito riconoscimento nelle norme che toccano, comunque, il campo della vita, della dignità, della salute, della promozione sociale dell’individuo: viene sostenuto sempre più frequentemente, in sede di legislazione ordinaria, il perseguimento della piena realizzazione dell’individuo. “Benessere”, “qualità della vita”, “protezione degli interessi fondamentali della persona” sono, infatti, molto spesso individuati espressamente quali obiettivi della produzione normativa più recente (Ziviz 1999a, 45; Monateri 1998, 5 e ss.).

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3 D’altro canto, l’art. 2043 c.c. non viene più interpretato quale norma secondaria, volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme, rispetto a norme primarie che apprestano una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui, ma quale norma che racchiude in sé una clausola primaria, espressa dalla formula del danno ingiusto, in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia in quanto lesivo di interessi ai quali l’ordinamento, prendendoli in considerazione sotto vari profili, attribuisce rilevanza

La Corte (sentenza 184/1986 cit.) ha dunque affermato: a) non emerge dal tenore letterale dell’art. 2043 c.c. che oggetto della tutela risarcitoria sia esclusivamente il diritto soggettivo (e tantomeno il diritto assoluto); b) la scissione della formula “danno ingiusto” riferendo l’aggettivazione alla condotta e non al danno costituisce indubbia forzatura della lettera della norma, secondo la quale l’ingiustizia è requisito del danno. Nella disposizione in esame risulta al contrario la centralità del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia ingiusto, mentre la colpevolezza della condotta attiene all’imputabilità della responsabilità.

L’impossibilità di fermarsi, a questo punto, sulla strada della tutela complessiva della persona umana è ribadita dalla Corte costituzionale. La menomazione dell'integrità psico-fisica del soggetto offeso costituisce quindi danno integralmente risarcibile di per sè stesso. L'autonomia del danno biologico rispetto alle altre ed eventuali conseguenze dannose di esso ed il principio costituzionale della sua integrale e non limitabile risarcibilità determinano l'impossibilità di considerare esauriente non soltanto una tutela risarcitoria limitata alle perdite o riduzioni di reddito, effettive o potenziali, conseguenti alla menomazione dell'integrità psico-fisica, ma anche una tutela risarcitoria che prenda in considerazione soltanto quanto riguarda l'attitudine a svolgere attività produttive di reddito.

La considerazione della salute come bene e valore personale, in quanto tale garantito dalla Costituzione come diritto fondamentale dell'individuo, nella sua globalità e non solo quale produttore di reddito, impone invece di prendere in considerazione il danno biologico, ai fini del risarcimento, in relazione alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva ed ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, e cioè a tutte “le attività realizzatrici della persona umana” (sentenza n. 184 del 1986). Si veda, per quanto attiene alla portata del termine “ingiustizia” la decisione delle Sez. U., 22.7.1999, n. 500,

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4 CorG, 1999, 1367, in cui si precisa che “caratteristica del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., inteso ... come norma primaria di protezione, è ... la sua atipicità”, cosicché non assume più rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto (ad esempio, la qualificazione dei diritti che ciascun coniuge ha nei confronti dell'altro), “poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma (sganciata cioè dalla colpevolezza della condotta, che attiene all'imputabilità della responsabilità) contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante”. Sul punto, in generale, Rodotà 1964, 84, 187; Trimarchi 1970, 92; De Matteis 2002, 565; Ziviz 1999b, 376.

2. Il necessario superamento della figura del danno biologico.

Qualsiasi lesione e dunque qualsiasi perdita (patrimoniale, biologica, morale od esistenziale) può dar luogo ad un risarcimento, a condizione che l’interesse leso: a) sia protetto da disposizioni specifiche; b) sia oggetto di norme che rivelano un’esigenza di protezione. Nel primo caso il risarcimento sarà sempre dovuto, nel secondo sarà dovuto se il giudice accerti nel caso concreto, la prevalenza dell’interesse leso rispetto a quello, eventualmente concorrente, dell’offensore.

Ma la carica, pur dirompente, della figura del danno biologico non è riuscita a dare risposte soddisfacenti alle esigenze di tutela viste, con la conseguente fluidità delle decisioni giurisprudenziali, alla ricerca del completamento della tutela della persona, troppo stretta fra le maglie di un danno rivolto al ristoro della sola lesione psicofisica del soggetto (Non può bastare, ad es., il riferimento alla capacità di guadagno generica, intesa come “lesione del generico modo di essere del soggetto, e risarcibile tramite il danno biologico”, Cass. 19.2.1998, n. 1764, AGC, 1998, 881; vedi, Bassi Luciani 2000, 1054;

voci più o meno dissonanti, in Ponzanelli 1999, 360; Navarreta 2001, 10 e ss.).

L’evoluzione giurisprudenziale, il trend evolutivo del risarcimento, è chiaramente diretto, infatti, alla estrema valorizzazione del profilo “esistenziale” delle implicazioni del fatto ingiusto (che si pone nella equiparazione con lo schema risarcitorio del danno biologico, consistente nella lesione di un diritto costituzionalmente garantito, cui segue l’ingiustizia del danno e la necessità di risarcire il danno arrecato. Ricerca di una categoria capace di colmare le lacune esistenti nel sistema del risarcimento del danno, che così come strutturato non è in grado di comprendere tutti i risvolti della compromissione degli aspetti

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5 rilevanti nella vita della persona, raggruppando, altresì, e attribuendo rigore logico e sistemazione definitiva, alle varie figure di danno elaborate proprio dalla necessità di uscire dalle strettoie che il danno alla salute oramai rappresentava. Vedi, anche, Bona 2002, 953).

Il danno esistenziale viene qualificato come la compromissione della sfera areddituale e che attiene, pertanto, alla realizzazione della persona. Si dirige alla tutela del diritto alla

“realizzazione personale” di ogni uomo, il quale non deve essere costretto, dal fatto illecito altrui, a modificare le attività precedentemente svolte, anche dal solo punto di vista qualitativo o quantitativo, o a svolgerne altre non preventivate, non volute.

Questa categoria serve a convogliare il pregiudizio corrispondente alla modificazione peggiorativa della sfera personale del soggetto, vista come insieme di attività attraverso le quali egli realizza la propria individualità.

La determinazione di un simile pregiudizio ha luogo non già attraverso il riferimento ad una generica modificazione peggiorativa del modo d'essere della persona, bensì tramite un preciso inventario delle singole attività compromesse dall'illecito. In particolare, bisogna prendere in considerazione, da un lato, gli impedimenti sofferti dalla vittima rispetto ad attività che contribuiscono alla realizzazione personale e, dall'altro lato, l'imposizione di attività che concorrono a ridurre i margini di esplicazione individuale.

Il risarcimento, quindi, è accordabile solo ove ricorrano gli estremi tecnici dell'ingiustizia del danno e del pregiudizio arrecato alla vittima.

3. Il punto di arrivo attuale della giurisprudenza della Corte di Cassazione.

L'ingiustizia del danno consiste nella lesione di una situazione giuridicamente rilevante (diritti assoluti, di credito, interessi protetti, prerogative costituzionali ecc.): in particolare la valutazione del danno dovrebbe essere conformata ai dati che emergono dalla realtà sociale costituita.

Il pregiudizio è individuabile nella lesione di un'attività meritevole di tutela (studiare, lavorare, coltivare i rapporti familiari, viaggiare, svagarsi ecc.) e cioè che trovi corrispondenza in un modello tipicamente accettato dalla coscienza sociale.

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6 Permaneva, comunque, il problema dell’inquadramento del danno non patrimoniale, stretto fra le maglie limitanti dell’art. 2059 c.c. E nell’ambito dell’inquadramento del danno non patrimoniale, la nozione di danno esistenziale veniva ad assumere una essenziale funzione di semplificazione e completamento del sistema risarcitorio dei danni alla persona.

La giurisprudenza tendeva a ritrovare sempre ulteriori voci di danno, conscia della insufficienza della tricotomia del risarcimento derivato dalla sentenza della Corte costituzionale Dell’Andro, la quale, pur nella sua funzione chiarificatrice della tutela da assicurare alla persona in quanto tale e non alla persona in quanto percettrice di reddito, aveva imposto una ulteriore riflessione attorno al come difendere gli interessi rilevanti della persona.

Il rilievo attribuito agli aspetti non economici dell’agire e dell’essere umano non poteva che portare ad un allargamento della tutela a tutta la gamma, indeterminata a priori, di attività, sentimenti, affetti, propensioni, speranze, progetti, relazioni con persone ed oggetti, gioie, che rappresentano il contenuto della vita della persona, al di là della tutela, che può apparire ovvia, di quegli aspetti della personalità oramai ritenuti inscindibilmente connessi all’uomo e come tali sempre risarcibili in caso di lesione (diritto all’onore, alla riservatezza, all’immagine, al nome, ecc.).

Le prese di posizione della Corte di Cassazione erano, dunque, attese.

Ecco uno stralcio della motivazione della sentenza 31.5.2003, n. 8827, cui segue la sentenza 31.5.2003, n. 8828:

Il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall'art. 2059 c.c. (“Danni non patrimoniali”), secondo cui: “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.”

All'epoca dell'emanazione del codice civile (1942) l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 del codice penale del 1930. Ritiene il Collegio che la tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059, in relazione all'art. 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza), non può essere

ulteriormente condivisa.

Nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che,

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7 all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo -, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. Tale conclusione trova sostegno nella progressiva evoluzione verificatasi nella disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo atteggiamento assunto, sia dal legislatore che dalla giurisprudenza, in relazione alla tutela riconosciuta al danno non patrimoniale, nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica (in tal senso, v. già Corte cost., sent. n. 88/79). Nella legislazione successiva al codice si rinviene un cospicuo ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 della legge 13.4.1988 n. 117:

risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, 9° co., l. 31.12.1996 n. 675: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, 7° co., del d.lgs. 25.7.1998 n. 286:

adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2, l. 24.3.2001 n. 89:

mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo) (Cass. 31.5.2003, n. 8827, D&G, 2003, f. 24, 26).

Nota la Corte che appare significativa l'evoluzione della giurisprudenza della S.C., sollecitata dalla sempre più avvertita esigenza di garantire l'integrale riparazione del danno ingiustamente subito, non solo nel patrimonio inteso in senso strettamente economico, ma anche nei valori propri della persona (art. 2 Cost.).

In proposito va anzitutto richiamata la rilevante innovazione costituita dall'ammissione a risarcimento (a partire dalla sentenza n. 3675/81) di quella Peculiare figura di danno non patrimoniale (diverso dal danno morale soggettivo) che è il danno biologico, formula con la quale si designa l'ipotesi della lesione dell'interesse costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) alla integrità psichica e fisica della persona. Non ignora il Collegio che la tutela risarcitoria del c.d.

danno biologico viene somministrata in virtù del collegamento tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 32 Cast., e non già in ragione della collocazione del danno biologico nell'ambito dell'art. 2059, quale danno non patrimoniale, e che tale costruzione trova le sue radici (v. Corte cost., sent. n. 184/1986) nella esigenza di sottrarre il risarcimento del danno biologico (danno non patrimoniale) dal limite posto dall'art. 2059 (norma nel cui ambito ben avrebbe potuto trovare collocazione, e nella quale, peraltro, una successiva sentenza della Corte costituzionale, la n. 372 del 1994, ha ricondotto il

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8 danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria). Ma anche tale orientamento, non appena ne sarà fornita l'occasione, merita di essere rimeditato.

Nel senso del riconoscimento della non coincidenza tra il danno non patrimoniale previsto dall'art.

2059 e il danno morale soggettivo va altresì ricordato che questa S.C. ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale, evidentemente inteso in senso diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche; soggetti per i quali non è ontologicamente configurabile un coinvolgimento psicologico in termini di patemi d'animo (v., da ultimo, sent. n. 2367/00). Si deve quindi ritenere ormai acquisito all'ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di “danno non patrimoniale”, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale soggettivo”. Non sembra tuttavia proficuo ritagliare all'interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell'ammissione a risarcimento, in riferimento all'art. 2059, è l'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica (Cass. 31.5.2003, n. 8827, D&G, 2003, f. 24, 26).

La Corte, quindi, esamina la questione cruciale del limite al quale l'art. 2059 del codice del 1942 assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale, mediante la riserva di legge, originariamente esplicata dal solo art. 185 c.p. (ma v. anche l'art. 89 c.p.c.):

ritiene il Collegio che, venendo in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p. Una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti. Occorre considerare, infatti, che nel caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente protetto, la riparazione mediante indennizzo (ove non sia praticabile quella in forma specifica) costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a specifici limiti, poiché ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi (v. Corte cost., sent. n. 184/86, che si avvale tuttavia dell'argomento per ampliare l'ambito della tutela ex art. 2043 al danno non patrimoniale da lesione della integrità biopsichica; ma l'argomento si presta ad essere utilizzato anche per dare una interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 2959).D'altra parte, il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella

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9 Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale

(Cass. 31.5.2003, n. 8827, D&G, 2003, f. 24, 26; Cass. 31.5.2003, n. 8828, FI, 2003, I, 2273; De Matteis 2002b, 2985; in generale, Bordo e Palisi 2002, 105 e ss.; già Ziviz 1998, 84; Cendon 1998, 567; Cendon 2000, 257).

4. Il completamento dovuto (ancora una volta) alla Corte costituzionale.

La Corte di Cassazione riformula la nozione di danno non patrimoniale per collegarlo, sganciandolo dalle strettoie dell’art. 2059 c.c., alla tutela di posizioni giuridicamente tutelate dall’intero ordinamento giuridico, anche comunitario.

La Corte vuole che, basandosi sulla generale norma sanzionatoria di cui all’art. 2043 c.c., l’interprete trovi una posizione del singolo o della collettività tutelata dall’ordinamento. Il comportamento lesivo di tale interesse protetto sarà sanzionato tramite il risarcimento del danno subito.

Quindi, occorre innanzitutto collegare casualmente il comportamento alla lesione, e, con ulteriore analisi eziologia, selezionare i danni patrimoniale o non patrimoniali che la lesione ha comportato.

La Corte Costituzionale con sentenza 11.7.2003, n. 233, prendendo spunto dalle sentenze citate ha qualificato il “nuovo” danno non patrimoniale quale danno esistenziale.

Non vi è dubbio che l’articolo 2059 c.c., stabilendo che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge, circoscriveva originariamente la risarcibilità all’ipotesi, contemplata dall’articolo 185 c.p., del danno non patrimoniale derivante da reato, e le conferiva un carattere sanzionatorio, reso manifesto, tra l’altro, dalla stessa relazione al c.c., secondo la quale

«soltanto nel caso di reato è più intensa l’offesa all’ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo».

Coerentemente a ciò, si riteneva, poi, che il riferimento al reato, contenuto nell’articolo 185 c.p., dovesse essere inteso nel senso della ricorrenza in concreto di una fattispecie criminosa in tutti i suoi elementi costitutivi, anche di carattere soggettivo. Con la conseguente inoperatività, in tale ambito, della presunzione di legge destinata a supplire la prova, in ipotesi mancante, della colpa dell’autore della fattispecie criminosa.

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10 (Corte cost. 11.7.2002, n. 233, FI, 2003, I, 2273).

Nota la Corte che l’indirizzo interpretativo esposto risulta destinato ad entrare in crisi per effetto della richiamata evoluzione sull’area di risarcibilità del danno non patrimoniale.

Da un lato, infatti, il legislatore ha introdotto ulteriori casi di risarcibilità del danno non patrimoniale estranei alla materia penale, riguardo ai quali è del tutto inconferente qualsiasi riferimento ad esigenze di carattere repressivo (si pensi, ad esempio, alle azioni di responsabilità previste dall’articolo 2 della legge 117/88, per i danni derivanti da ingiusta privazione della libertà personale nell’esercizio di funzioni giudiziarie; dall’articolo 2 della legge 89/2001, per i danni derivanti dal mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).

Dall’altro, la giurisprudenza – sia pure muovendosi nell’ambito di operatività dell’articolo 2043 c.c., nel corso di un travagliato itinerario interpretativo nel quale questa Corte è ripetutamente intervenuta - ha da tempo individuato ulteriori ipotesi di danni sostanzialmente non patrimoniali, derivanti dalla lesione di interessi costituzionalmente garantiti, risarcibili a prescindere dalla configurabilità di un reato (in primis il cosiddetto danno biologico). Il mutamento legislativo e giurisprudenziale venutosi in tal modo a realizzare ha fatto assumere all’articolo 2059 c.c. una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale (…)può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’articolo 2059 c.c. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass. 31.5.2003, nn. 8827 e 8828), che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata, con ricchezza di argomentazioni – nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale – un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. , tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (articolo 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale

inerenti alla persona

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11 (Corte cost. 11.7.2002, n. 233, FI, 2003, I, 2273; cfr. Cendon 2000, 1251; Cendon e Sebastio 2002, 1147; Bilotta 2001, 392; Iannarelli 1999, 601).

Il quadro che esce complessivamente dalla 233/2003 è ben chiaro. Vince un’indicazione di forte rilancio applicativo per questa norma.

Dopo anni di indicazioni normative diverse, che prendevano quale elemento propulsivo della tutela della persona l’art. 2043 c.c., ricalcando le linee tranquillizzanti tracciate dalla sentenza dell’Andro (unione di norma costituzionale ed art. 1043 c.c., al fine di tutelare nuovi interessi “costituzionalmente” protetti) mantenendo all’interno dell’art. 2059 c.c. il solo danno morale soggettivo - la Consulta, accogliendo in pieno le posizioni espresse da Cass. 8827 e 8828, avalla la divisione dei poteri fra l’art. 2043 c.c., dedicato alla tutela del patrimonio, e l’art. 2059 c.c. destinato ad operare quale ulteriore clausola generale per la tutela di interessi non patrimoniali.

Sganciando l’art. 2059 c.c. dai vincoli che la tradizione dottrinale e giurisprudenziale gli aveva assegnato, collegandolo essenzialmente alla presenza di una fattispecie di reato.

Come detto, (Cendon P., Anche se gli amanti si perdono l’amore non si perderà.

Impressioni di lettura su Cass. 8828/2003) “sciolta ormai nell’universo a 360° della Costituzione, la norma in esame appare oggi ben altra cosa rispetto a ieri. La riaggregazione dei materiali sofferenziali/areddituali mostra di avvenire nel segno di una cultura affatto diversa, di una linea statutaria per certi versi opposta a prima”.

L’art. 2059 c.c. assolverebbe in definitiva, secondo l’opinione della Consulta, una “funzione tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale” (Cendon P., Ziviz P., Vincitori e vinti (… dopo la sentenza n. 233/2003 della Corte costituzionale). Per gli Autori,

“Esce perdente, con questa sentenza, ogni possibilità di atteggiare di qui in poi il territorio non patrimoniale come realtà esaurentesi, distribuita a metà, nel semplice gioco del duetto “danno biologico” più “danno morale”.

Battute in breccia appaiono, in particolare, le tesi secondo cui pregiudizio “morale” e pregiudizio

“esistenziale” sarebbero, strutturalmente, la medesima cosa - due facce di un’unica medaglia, un quid da riparare una volta sola ( al di là delle parole impiegate) nel contesto di una stessa sentenza.

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12 Più precisamente, vengono elevate/ricomprese sotto l’egida di quest’ultimo, senza più reticenze di sorta (diversamente che nella sent. 8828 della Cassazione), tre partite generali di danno:

(a) il danno morale, (b) il danno biologico,

(c) il danno derivante da lesione di interessi inerenti alla persona costituzionalmente protetti

(quest’ultimo, definito, secondo le indicazioni dottrinarie, quale pregiudizio esistenziale).”

5. Il definitivo superamento della differenziazione ai fini del risarcimento della dicotomia danno patrimoniale – danno non patrimoniale.

In definitiva, la giurisprudenza supera la ripartizione del danno non patrimoniale nelle categorie del danno biologico e del danno morale, elaborando la categoria del danno esistenziale che comprende qualsiasi danno che l'individuo subisce alle attività realizzatrici della propria persona (Cass. 7713/2000). Attraverso le sentenze 8827/2003 e 8828/2003, con le quali si afferma che la tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059 c.c., in relazione all'art. 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato, non può essere ulteriormente condivisa. In tali sentenze si afferma, infatti, che deve intendersi ormai acquisito all'ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di danno non patrimoniale inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona e non più solo come danno morale soggettivo.

E tramite l’avallo autorevole della Corte Costituzionale 233/2003, che, come visto, ha affermato che può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall'art. 2059 c.c. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo e – richiamando anch'essa le sentenze della Suprema Corte sopra indicate (n. 8827/2003 e 8828/2003) – ha rilevato che è stato ricondotto a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, con la prospettazione di un'interpretazione costituzionalmente orientata dall'art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona; dunque, sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima,

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13 sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.

La Corte Costituzionale, quindi, ha posto una precisa denominazione al danno non patrimoniale riferendola ad una voce di danno che si volge alla protezione delle attività realizzatrici dell’interessato: la protezione del soggetto avviene tramite la rilevanza attribuita al fare non reddituale, alle menomazioni diverse dall’integrità psicofisica.

Un danno che tiene conto delle relazionalità interpersonali, dello svolgersi della personalità umana nei vari campi del diritto; dallo spoglio di attività realizzatrici, della vita quotidiana così come intessuta prima che il torto avesse luogo - o quale sarebbe venuta presumibilmente sviluppandosi. E quella, d’altro canto, che l’attore documenta di dover svolgere, per il presente come in avvenire, dopo il patimento dell’offesa.

Viene a spostarsi l’attenzione, entro il giudizio, dal polo della condotta illecita a quello del danno, dalla figura dell’agente a quella della vittima.

Un modo, quindi, per interessarsi dei campi impensabili altrimenti della persona: la vita familiare, la cultura, i gesti occasionali, i sentimenti, ossia, il vivo delle azioni umane.

Il danno esistenziale, quindi, quale ricerca di tutela della qualità della vita, della concreta felicità dell’uomo.

L’accento viene a porsi sulle conseguenze negative prodotte dall’illecito (in cui far rientrare anche la tutela contrattuale che possa avere conseguenze sulla affermazione personale che la parte riteneva di raggiungere, ossia, anche in tal caso, sulla diversa “qualità della vita” per la vittima): si avrà attenzione, infatti, in termini generali, al diminuito ventaglio (o il peggior smalto) delle attività personali che la vittima si trovi a svolgere dopo aver subito il torto, in confronto a ciò che essa avrebbe potuto fare laddove il fatto non avesse avuto luogo.

Fatto che impone, in definitiva, un diverso approccio alla tutela dell’integrità di vita della persona, nei rapporti con i terzi, con i familiari, con gli enti, con lo Stato.

Attenzione posta, in definitiva “all’universo dei bisogni correnti del vivere quotidiano”.

Già, comunque, al livello legislativo, era assistito, all'aumento della casistica delle ipotesi rientranti nell'art. 2059 c.c.: art. 2, l. 117/1988 sulla responsabilità dei magistrati; art. 29,

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14 9° co., , l. 675/1996 sul trattamento dei dati personali; art. 43, d.lgs. 286/1998 sulla disciplina dell'immigrazione; art. 2, l. 89/2001 in tema di violazione del tempo ragionevole della durata dei processi. Tutti casi nei quali il legislatore dava rilevanza alla lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento anche a prescindere dalle conseguenze economiche della lesione.

Appare netta, a questo punto, la distinzione tra il danno morale (che considera il dolore e le sofferenze, cd “pretium doloris” ), il danno biologico (lesione dell’integrità psico-fisica, suscettibile di accertamento medico-legale e risarcibile indipendentemente dalla capacità di produzione di reddito del danneggiato ) ed il danno esistenziale (lesione della personalità del soggetto nel suo modo di essere sia personale che sociale, che si sostanzia nella alterazione apprezzabile della qualità della vita consistente in “un agire altrimenti” o in un “non poter più fare come prima”).

In particolare il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all’ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell’estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa.

Pertanto, in linea di principio, le tre voci risarcitorie potranno essere tutte individuabili , distintamente e cumulativamente, e potranno dar luogo, ciascuna, ad autonomo risarcimento

Per evitare duplicazioni risarcitorie sarà compito del giudicante specificare eventuali accorpamenti di danno sotto la voce del danno esistenziale o del danno biologico (frazione del danno esistenziale).

6. Le ragioni della inevitabile emersione del danno esistenziale.

La giurisprudenza, si deve notare, ha sempre cercato di uscire dagli stretti paletti imposti dal binomio danno patrimoniale – danno biologico, quali voci principali ed essenziali della tutela aquiliana.

Non sempre la compromissione biologica esiste; non sempre il risarcimento ad essa collegato può dirsi soddisfacente di tutti gli svantaggi che la persona ha subito a causa del danno.

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15 Cosa altro, infatti, può indicare la ricerca di nuove espressioni linguistiche (danno alla vita di relazione, danno estetico, ed altri) che permettano di andare oltre la sfera del puramente biologico, se non l’esigenza di andare oltre, di proiettarsi verso nuove frontiere della tutela della persona.

In un cammino necessitato, si può affermare.

Se si ragiona senza preconcetti sul punto, si deve ammettere che escludere una categoria generale di danno non patrimoniale, quale il danno esistenziale, porta a ridurre l’uomo al solo aspetto “salutistico”, come se l’unica aspettativa, l’unico interesse (oltre quello di non veder diminuire il proprio patrimonio), fosse quello di mantenere integro il corpo.

Nessuno, certo, nega l’essenzialità della figura, ma nessuno può negare la sua riduttività.

L’uomo non è solo patrimonio, questo ci disse la Corte Costituzionale aprendo al danno alla salute, confermando le tesi sostenute da tenace ed innovativa giurisprudenza di merito, ma anche momento non patrimoniale, ossia volontà di conservare le funzioni vitali del proprio corpo integre.

Intergo patrimonio ed integro corpo non può bastare.

E’ fin troppo semplice rendersi conto (e per questo stupiscono sempre le prese di posizioni dubbiose, problematiche, anche latamente insinuanti) che la persona umana va oltre, che essa non è solo patrimonio e salute. Ma è una intera vita che scorre, che muta, che interagisce con gli altri, in un continuo e necessario cambiamento.

E’ amori, dolori, felicità e dispiaceri, passioni, speranze, affetti, amicizie ed odi, impegno sociale, svago, partecipazione sociale, convivialità, procreazione, famiglia, contatti con la scuola, le istituzioni pubbliche e private, letture, sport, aspirazioni, lotta, cameratismo, lavoro. In un elenco infinito e vario, come varia è la vita; in un elenco sempre mutevole e sempre incompleto.

La vita quotidiana, allora, così come intessuta prima che il torto avesse luogo - o quale sarebbe venuta presumibilmente sviluppandosi. E quella, d’altro canto, che l’attore documenta di dover svolgere, per il presente come in avvenire, dopo il patimento dell’offesa.

Momenti relazionali spezzati (abbiamo detto) ma non soltanto: talvolta riflessi anche di natura corporea, muscolare; gesti o movimenti più o meno facili, qua e là ricadute di crescente pesantezza, con lo scorrere del tempo. Specialmente in presenza degli illeciti più gravi, compresi i

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16 torti a matrice non biologica: insonnie – ad esempio - oppure, emicranie, tic, dislalie, perdita della memoria; e poi spasmi, allergie, convulsioni, blocchi, vertigini, nausea, fobie, appannamento dei riflessi

(Cendon P. 2000, 1260; si legga l’intera, minuziosa casistica del “fare” compromesso dall’illecito altrui, per comprendere, anche so,o intuitivamente, quanto riduttiva fosse la visione “patrimoniale- salutistico-dolorosa” dell’uomo, e quali siano le potenzialità della figura del danno esistenziale nella ricerca della globale tutela civile dell’uomo).

Dopo un tale discorso, come ridurre il tutto a mera “tenuta del sistema” risarcitorio- assicurativo? Come paventare stravolgimenti dottrinari e fuoriuscite dai dogmi e dalle regole giuridiche (ma dobbiamo tutelare il dogma o la vita?), pretendendo di escludere qualcosa da ciò che è nato per includere il tutto?

Che gli artt. 2043 e 1059 c.c. siano delle clausole generali nessuno dubita.

Le espressioni danno non patrimoniale - ingiustizia del danno sono concetti elastici, che attendono presenti ai cambiamenti sociali, di essere riempite di significato, illuminate da varia luce ed angolazione in relazione al mutare delle relazioni economico-sociali, ed al conseguente necessario cambiamento della sensibilità complessiva della società.

In una società che ha superato (tendenzialmente) il problema dell’accesso al lavoro di tutti, del superamento di una soglia minima di sopravvivenza, che ha raggiunto la consapevolezza della necessaria tutela della dignità della persona in tutti i suoi aspetti, come lasciare al di fuori della tutela giuridica risarcitoria la gran parte della vita dell’uomo?

Sembrano (e, in fondo sono) domande retoriche. La risposta, per chiunque voglia riservarsi un minimo di lealtà intellettuale non può che essere univoca: si deve ampliare la sfera di tutela dell’uomo. Le sentenze, richiamate sopra, della Corte costituzionale, altro non sono se non un inizio di cammino verso l’ampliamento delle situazioni risarcibili, a partire da quello che, al tempo, era l’interesse che più reclamava tutela: la salute della persona. Il sistema, però, “non poteva reggere” (questo si!) alla riduttiva visione economica dell’uomo, ove unico problema era quello di evitare che “il portafogli” venisse intaccato; eludendo accuratamente di interessarsi alle sorti risarcitorie di chi patrimonio non aveva, o che pur nelle sofferenze fisiche derivanti dal danno, per varie ragioni, non aveva visto diminuita la sua capacità reddituale.

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17 Il risarcimento del diritto alla salute, agganciato alla Carta Costituzionale per la giustificazione di rilevanza della posizione di vantaggio da tutelare, non poteva essere negato. E di facile predizione era il suo successo, legato alla intuitività non giuridica della tutela apprestata e alla possibilità di accertamento “scientifico”. Cui si aggiunse la possibilità di trovare un criterio equitativo unitario, “tabellarizzando” il grado di lesione subita.

Non è il caso di soffermarsi sulle vicende legislative e giurisprudenziali legate al danno alla salute, noti essendo gli esiti.

Si deve porre attenzione, al contrario, sulla assurda ed antistorica volontà di ridurre il tutto alla meta raggiunta. Come se la vita del diritto trovasse ad un certo punto una sua sistemazione ottimale dalla quale non potersi in alcun modo discostarsi. Come se il tempo fosse terminato e non si potesse più uscire ed andare oltre i traguardi raggiunti.

Seguendo un atteggiamento che si potrebbe definire “antiumano”, ossia non confacente alla natura dell’uomo e, in definitiva, allo “stato delle cose”.

Che, in modo evidente, si pone contro ogni tentativo di cristallizzazione dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale, non solo nel campo del risarcimento del danno, si badi, ma in tutti i campi del diritto.

6.1. La ricerca di una definizione del danno esistenziale. La sua

“costituzionalizzazione”.

Il danno esistenziale, al contrario, viene a porsi quale categoria che aspira, neanche velatamente, al monopolio delle conseguenze di natura non patrimoniale dche il comportamento dannoso ha causato, anche con conseguente assorbimento del danno biologico. Il quale non sarebbe che una posta, se pur rilevante, dell’intero danno non patrimoniale – esistenziale che può essere in concreto risarcito. L’ingiustizia del danno serve quale clausola generale idonea a contenere gli interessi che, di volta in volta, l’evoluzione della società reclama come necessitanti protezione, e l’interesse alla tutela della salute si pone fra gli altri interessi di natura non patrimoniale che l’ordinamento può e deve garantire.

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18 Si rivolge agli effetti pregiudizievoli, diversi dai risvolti puramente interni dell’individuo, che la vittima ha subito, garantendo il risarcimento di tutte le conseguenze dannose che la lesione dell’interesse protetto ha causato.

Anche in tal caso sarà necessario evidenziare, nell’esame della fattispecie dannosa, il doppio nesso causale che lega, in prima battuta il comportamento del soggetto e l’evento lesivo, ed in seconda battuta, l’evento alle conseguenze dannose che ne sono derivate per la vittima.

Certo, il punto centrale della questione viene ad essere la selezione degli interessi meritevoli di tutela. Ed a fronte delle obiezioni di possibile “bagatellarizzazione” dei danni, si tende a rispondere agganciando gli interessi da tutelare a fonti “alte”, tali da permettere di non dubitare della importanza dell’interesse individuato. Ecco il richiamo alla Carta Costituzionale, che rende risarcibile il danno solo in quanto lede un diritto costituzionalmente garantito che abbia come conseguenza la limitazione di una attività realizzatrice della persona umana.

La Carta Costituzionale si pone quale selettore, criterio in base al quale discernere le perdite esistenziali meritevoli di tutela risarcitoria da quelle non risarcibili.

Un punto di riferimento potrà essere dato dal quadro dei valori costituzionali, più precisamente il progetto di vita che ogni individuo insegue dovrà essere “filtrato” attraverso quei valori su cui si fonda la Costituzione: solo attraverso questa astrazione mentale potremmo valutare con un basso margine di errore quali le attività realizzatrici della persona che reclamano tutela, quale la natura del bene che la condotta del convenuto ha violato, quali le ripercussioni sofferte dalla vittima. Non certamente l’interesse a una giornata costellata di negozianti cortesi, autostrade libere, neve in montagna, film divertenti, amanti fedeli e disinteressate, oppure di vicini di casa profumati, applausi ai propri discorsi, recensioni favorevoli, vittorie elettorali, oggetti smarriti e ritrovati, pesci ingenui e golosi (sì, invece, alla tutela esistenziale – ancora una volta – per chi si trovi ad essere sequestrato, reso orfano, violentato, truffato, ammorbato, assordato, maltrattato, spiato, disonorato, licenziato ingiustamente, bocciato con leggerezza, imprigionato senza motivo, discriminato per la sua pelle, e così di seguito); dovrà essere stata compromessa, dalla minaccia a quel bene, la possibilità di svolgere attività che non siano per se stesse illecite, né immorali - né (occorre aggiungere) tali da posizionarsi al di sotto di una certa soglia di eclettismo, futilità o insignificanza. Nessun riscontro quindi per pretese inerenti – mettiamo - al gusto o al mestiere dei

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19 duelli, del traffico di droga o di armi, del contrabbando: il che è abbastanza ovvio. E neppure - occorre aggiungere - al gusto della prostituzione, delle collezioni oscene, dei riti esorcistici, dello scambio di coppie, del sadismo. Ma nessuna protezione verosimilmente – pur dovendo distinguersi, in tutta una serie di casi, a seconda del grado di colpevolezza (che risulti) ascrivibile al convenuto: malizia, dolo specifico, premeditazione, dolo eventuale, colpa grave, colpa lieve, presenza di fattori rilevanti come criteri oggettivi d’imputazione – per attività quali l’invio sistematico di lettere anonime, la frequentazione giornaliera della sala-corse, il voyeurismo rispetto alla casa di fronte, le ubriacature del sabato sera, le scorribande da hooligan, la collezione di trofei amorosi, i bagni d’inverno nel mare ghiacciato, l’attaccare bottoni con tutti, il canticchiare sottovoce ai concerti sinfonici, l’appostamento a qualche Vip, le richieste di elemosina per strada, i travestimenti fuori carnevale, le ostentazioni aristocratiche, la promozione di società segrete. In relazione alla selezione degli interessi, inoltre, non coglie nel segno l’obiezione - secondo la quale, se per poter essere risarcibile il danno è necessario individuare la norma costituzionale o la norma di legge alla quale “ancorare” l’ingiustizia del danno non c’è bisogno di mettere in campo una nuova figura poiché già oggi la lesione di un interesse normativamente qualificato costituisce un danno risarcibile - in quanto l’interesse leso è cosa diversa dalle conseguenze che ne scaturiscono (comprese quelle esistenziali)

(Cendon P. 2000, 1265).

Quindi, un esame che passa dalla individuazione delle rinunce alla quotidianità, che si risolvono nelle “compromissioni delle proprie sfere di esplicazione personale”: la nozione di danno esistenziale comprende qualsiasi evento che, per la sua negativa incidenza sul complesso dei rapporti facenti capo alla persona, è suscettibile di ripercuotersi in maniera consistente e talvolta permanente sull’esistenza di questa. Diventa, allora, decisiva una considerazione non restrittiva degli eventi potenzialmente lesivi, non ancorata a valutazioni tecniche basate su parametri e tabellazioni, bensì capace di segnalare interferenze negative e pregiudizievoli in senso ampio. Un fatto-evento causato da terzi può rilevarsi dannoso quando risulta idoneo ad incidere sulle possibilità realizzatrici della persona.

Nella opinione di chi scrive, tale sussunzione nella Carta Costituzionale dei valori da tutelare tramite la figura del danno esistenziale non è essenziale o necessaria. E’ solo complementare. Nel senso che pur in mancanza di una norma specifica che riconosca la tutela risarcitoria, non occorre che la violazione accertata abbia caratteristiche tali da

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20 costituire effettivo pregiudizio ai valori tutelati dalla Carta fondamentale, tali da incidere sulla loro mancata realizzazione. Costituisce si attuazione dei principi costituzionali della piena tutela dei diritti della personalità, compressi, in misura apprezzabile, a causa di fatto illecito altrui (anche ove non accompagnata dalla lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile), ma non necessariamente l’avallo costituzionale sarà necessario, potendo l’interprete individuare l’interesse leso dall’intero ordinamento giuridico, comprese le fonti del diritto internazionale applicabili nello Stato.

Oltretutto, a ben guardare, il solo richiamo all’art. 2 della Costituzione, che tutela i “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, è idoneo a ricomprendere anche le attività di svago, culturali , di intrattenimento, di riposo, di relax, ecc. che incidono, con modalità e gradi diversi, conseguenti alla diversa sensibilità individuale e struttura della personalità, nella sfera psichica del soggetto leso, alterando in misura non irrilevante l’ambito dei rapporti interpersonali (familiari sociali, culturali, affettivi,etc).

Ossia, si rivolge a tutte le alterazioni non riconducibili direttamente ad una lesione psichica, accertabile medicalmente, ma che, tuttavia, appaiono suscettibili di tutela, provocando una alterazione del modo di essere dell’individuo che, se non assume rilievo sotto il profilo del danno psichico in senso stretto, connesso ad una vera e propria patologia, accertabile medicalmente, tuttavia lede diritti fondamentali dell’individuo, che vanno tutelati dall’ordinamento, indipendentemente da limitazioni risarcitorie previste da singole leggi ordinarie.

Ciò significa di fatto riconoscere la illimitata funzione del danno esistenziale, vista le estrema ampiezza della norma che si richiama, e che ben potrebbe rappresentare uno dei tasselli normativi che servono ad individuare l’interesse leso, ma non l’unico.

Qualunque alterazione, purché di valenza apprezzabile (e questo è un giudizio di puro fatto, attribuito alla sensibilità del Giudicante), di diritti che costituiscono ostacolo alla realizzazione della libertà individuale va tutelata dall’ordinamento, nel senso della protezione di tutte le attività di svago, sociali e culturali che solitamente si svolgono all’interno ed all’esterno della abitazione familiare e costituiscono corollario alla libera estrinsecazione della personalità che può essere lesa sia nell’ambito familiare e privato, sia

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21 esterno, cioè sociale, culturale, ricreativo, senza che insorga necessariamente una vera e propria malattia psichica.

Il danno esistenziale è, quindi, individuabile, ove sia accertata una modificazioni peggiorative, purché, come già evidenziato, apprezzabile per intensità e qualità, nella sfera personale del soggetto leso, tra cui va fatta rientrare la alterazione del diritto alla “ normale qualità della vita” e/o “alla libera estrinsecazione della personalità”.

Occorre anche che sussista il nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi, oltre che nella consecutività temporale tra comportamento lesivo e danno, anche in un giudizio di proporzionalità o adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose.

7. Il dibattito all’interno della giurisprudenza di merito.

Ecco l’esigenza anelata dalla giurisprudenza che ieri cercava di svincolarsi dalla stretta norma del binomio danno patrimoniale – danno non patrimoniale ristretto nei limiti dell’art.

2059 c.c., ed oggi, cerca di superare il traguardo di ieri, andando oltre la mera individuazione della tutela della salute della persona, verso una valorizzazione totale delle esigenze vitali dell’uomo, anche nel campo del risarcimento del danno.

Viene individuata, infatti, una voce specifica di danno, capace di offrire lo strumento interpretativo necessario a penetrare una così complessa indagine, a indirizzare il ragionamento equitativo del giudice verso la comprensione dell’intera persona del condannato ingiustamente: il danno esistenziale.

Un cenno alla sua origine giurisprudenziale ed alla elaborazione dottrinale porterà a comprendere l’estrema necessità di una figura di danno che porti il risarcimento verso una completa tutela della persona umana.

L’escursus può iniziare con la sentenza della Cass. 11.11.1986, n. 6607, FI, 1987, I, 833, per la quale la soppressione del diritto del marito ai normali rapporti sessuali con la moglie, impediti da una mal riuscita operazione, menomando la persona del coniuge nel suo modo di essere e nel suo svolgimento nella famiglia, comporta un danno che senza essere né patrimoniale (art. 2056 c.c. in relazione all'art. 1223 dello stesso codice) né non patrimoniale (art. 2059 c.c. in relazione all'art.

185 c.p.), rientra comunque nella previsione dell'art. 2043 c.c. ed è di per sé risarcibile, quale

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22 modo di riparazione della lesione di quel diritto della persona (In generale, sul risarcimento per danni subiti dai familiari; Bilotta 2002, 80; Franzoni 1998, 179; Peccenini 2000, 1101).

Ancora, si può pensare al Trib. Milano 18.2.1988, RCP, 1988, 454, che in tema di lesione dei congiunti per morte del familiare, ha individuato nella lesione della “serenità familiare” il diritto autonomo che consentiva il risarcimento del danno, in riferimento agli artt. 2 e 29 Cost. letti congiuntamente con la clausola generale dell’art. 2043 c.c.. O al Trib. Milano 18.6.1990, RCP, 1991, 886, che ha individuato nel danno non patrimoniale, non solo il ristoro delle sofferenze patite (la pecunia doloris), ma anche “quello, non suscettibile di valutazione economica che deriva dalla impossibilità di ripristinare un normale menage familiare in relazione alle condizioni sociali, economiche e culturali del nucleo familiare”.

E le decisioni di merito non si fermano qui.

Il Trib. Verona, con la decisione del 15.10.1990, GI, 1991, I, 2, 697, inquadra nel danno conseguenza dell’illecito non solo la mera sofferenza provata dai congiunti nella perdita del familiare, ma anche la alterazione alla vita di relazione, “definitivamente compromessa dalla presenza di un essere umano ridotto ad uno stato di vita pressoché vegetativo” (le decisioni che hanno considerato tutelabile, tramite il danno esistenziale o altra figura di danno creata ad hoc, la posizione dei congiunti lesi dal pregiudizio arrecato al loro parente, si possono riscontrare in numero notevole).

In particolare, per quanto riguarda il danno ai congiunti della vittima, la formula “danno esistenziale” è stata ritenuta idonea a ricomprendere tutti i pregiudizi, diversi dai patrimoniali e morali derivanti dalla lesione o dalla morte di un familiare. In sostanza, dall’esame delle sentenze richiamate, si può desumere, quale principio generale, (al di là della qualificazione del danno come evento in se stesso risarcibile che sembra essere sotteso in alcune sentenze), che è meritevole di considerazione non tanto la lesione dell’interesse in sé considerata quanto le sue conseguenze pregiudizievoli, e dunque in quest’ottica il danno del congiunto conseguente all’illecito si sostanzierebbe nell’adottare nella vita quotidiana comportamenti diversi dal passato, modificando frequentazioni abituali, interessi culturali e sociali. L’interesse sotteso alla legittimazione ad agire del congiunto è quello alla conservazione o non alterazione del rapporto familiare con il leso come esistente prima dell’illecito del responsabile, il quale, con il suo fatto imputabile ne ha modificato l’essenza. La lesione del rapporto familiare è dunque la primaria posta di danno che è diversa dal danno psichico - medicalmente accertabile - e dal danno morale - comprensivo dei danni

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23 emozionali, rappresentati dagli insondabili risvolti della psiche - derivante dal fatto che il familiare non è più quello di prima perché le lesioni non gli consentono di rapportarsi ed interagire con il congiunto come prima, sicché il congiunto ne subisce un impoverimento del suo rapporto, o anche della sua sfera di rapporti con i terzi, dovendosi occupare dell’assistenza dell’infortunato.

L’aggettivo riflesso viene così rivalutato in quanto richiama la natura relazionale dell’interesse in gioco “a che la relazione intersoggettiva non venga mutata dall’intervento di terzi”. E’ l’alterazione della compagine del consorzio familiare, per il solo fatto di essere esistente prima del fatto che ha leso o privato della vita la vittima iniziale, a rendere meritevoli di tutela le pretese dei familiari. Se per la modificazione del rapporto con il familiare sono derivati al congiunto anche cambiamenti in peius della sua sfera di rapporti con l’esterno della famiglia, anche questo aspetto ulteriore è da ritenersi meritevole di considerazione da parte del giudice al momento della quantificazione del risarcimento. Si parla allora di “danno per la lesione del rapporto familiare”, sussumibile nella categoria del danno esistenziale, diverso dal danno morale così come ridisegnato dalla Corte costituzionale: il pregiudizio del congiunto si concretizza nell’adottare nella vita di ogni giorno comportamenti diversi dal passato (come, senza volere essere esaustivi, il rinunciare alle abituali frequentazioni sociali, all’esistenza mondana precedente, per dedicare il proprio tempo all’assistenza dell’infermo). Si vedano, ancora: Trib. Torino 8.8. 1995, RCP., 1996, 282; Trib.

Firenze 21.2.2001, FT, 2001, 10; Trib. Milano 21.5.1999, DR, 2000, 67. Ancora, Trib. Torino 15.2.2001, GI, 2002, 953, pone anch’esso l’accento sulla qualità della vita dei soggetti lesi dall’atto ingiusto, attribuendo rilevanza alla compromissione della qualità della vita e anche Trib. Firenze 24.2.2000, GDir, 2000, 25, 46, che accanto ai riflessi economici della scomparsa del congiunto e del dolore che l’evento comporta, esiste la necessità di risarcire la perdita della stabilità delle posizioni connesse alla posizione che possedevano nei confronti della vittima. Vedi, anche, Trib.

Milano 4.6.2002, GDir., 2002, 24, 37; Cass. 2.4.2001, n. 4783, DR, 2001, 820.

7.1. Ia tutela della persona nella famiglia e nella società tramite la figura del danno esistenziale.

Ulteriormente, nelle decisioni giurisprudenziali, viene tutelata la quotidianità di una famiglia o di un gruppo di persone turbata da alcune immissioni, eccedenti, in misura grave o prolungata nel tempo, il limite della normale tollerabilità (Trib. Milano 21.10.1999, RCP, 1999, 1335).

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24 In generale, partendo dalla necessità di risarcire tutti i danni che anche potenzialmente ostacolino le attività della persona umana, pone l’accento sulle modificazioni dei normali ritmi di vita che incidono negativamente su attività reddituali, alterando le normali attività quotidiane, impedendo la piena realizzazione della personalità della vittima, provocando uno stato di malessere psichico diffuso che, pur non sfociando in una vera e propria malattia, provoca tuttavia, ansia, irritazione, difficoltà a far fronte alle normali occupazioni, depressione, ecc. (vedi, anche, Cass. 2.4.2001, n. 4783, RCP, 2001, 555, relativa allo stato d’animo di colui che, coinvolto in un grave incidente, si renda conto di non avere dinanzi a sé che poche ore di vita).

Viene condannato il medico ecografista, il quale non riesca a scoprire che il feto, nel grembo di una donna, soffre di gravi malformazioni, sicchè nessun aborto terapeutico avrà luogo, col risultato che la puerpera cadrà poi in uno stato di grave disagio.

Il Tribunale, nel caso detto, ha liquidato, oltre al danno morale ed a quello biologico, il danno esistenziale alla madre di una bambina nata con gravi malformazioni fisiche, affermando la responsabilità del medico per l’errata diagnosi effettuata sulla scorta di una lettura ecografica non corretta, in relazione al danno sofferto in ragione dell’impossibilità per i genitori di prepararsi psicologicamente ad affrontare una situazione delicata come la nascita di un figlio gravemente malformato (trauma prodotto dall’effetto sorpresa), nonché per la compromessa possibilità per la madre, una volta messa al corrente dell’esistenza dell’handicap, di procedere ad un intervento di interruzione della gravidanza, attraverso cui si sarebbe potuto evitare l’insorgere della sindrome ansiosa determinatasi (Così, Trib. Locri 6.10.2000, RCP, 2001, 409).

Si veda, altresì, Trib. Agrigento 4.6.2001, GI, 2002, 953. Lo scompaginamento nella vita di una famiglia, in particolare dei genitori e di una sorella, dinanzi alla violenza sessuale che abbia colpito una ragazzina di diciassette anni con preesistenti deficit di ordine psichico il nucleo fondamentale della tutela della persona nell’ambito familiare viene trovato nella figura del danno esistenziale “da intendersi come qualsiasi danno che l’individuo subisce alle attività realizzatrici della persona umana”, “ consistente nella alterazione della quotidianità della vittima dell’illecito”, teso alla protezione risarcitoria di interessi afferenti alla persona, lesi da un atto ingiusto e meritevole di tutela. L’intento, chiaro, è quello di realizzare un sistema risarcitorio che soddisfi l’esigenza di tutela di tutte le varianti e le sfaccettate caratteristiche che caratterizzano l’esistenza di un soggetto. Trib. Palermo 8.6.2001, GI, 2002, 953, che valuta il danno esistenziale nella incidenza

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