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LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO E DEL PROCURATORE LEGALE

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LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE

DELL’AVVOCATO E DEL PROCURATORE LEGALE

Prof. Massimo Franzoni*

SOMMARIO: 1. La colpa professionale dell’avvocato. – 2. La responsabilità dell’avvocato e del procuratore legale. – 3. Il danno patrimoniale da responsabilità professionale come pregiudizio da perdita di chance. – 4. La chance come lucro cessante o come danno emergente.

– 5. La liquidazione del danno da perdita di una chance. – 6. Il danno non patrimoniale derivante da responsabilità professionale dell’avvocato.

ABSTRACT

L’indagine mira a dimostrare che tra le obbligazioni dell’avvocato nascenti dall’incarico professionael incomincia ad affacciarsi anche il dovere di informazione, seppure in misura non rilevante come nel settore delle professioni mediche. La casistica continua a mostrare che la maggior parte degli illeciti riguardano violazioni proprie dell’attività del procuratore e non quella di difesa propria dell’avvocato in senso tecnico.

Il tipico danno patrimoniale cagionato dall’avvocato è quello da perdita di chance, quest’ultima intesa come la possibilità di conseguire un risultato favorevole e non, invece, il risultato favorevole in sé.

Non si può escludere che la violazione dell’incarico professionale possa ledere beni o interessi di rilievo costituzionale del cliente, dunque che l’avvocato possa essere chiamato a risarcire il danno non patrimoniale, nella rilettura costituzionale dell’art. 2059 c.c.

* Professore di Diritto Civile, Bologna

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2 1. La colpa professionale dell’avvocato.

L’attività illecita dell’avocato assume rilievo solitamente come inadempimento contrattuale, salvo che la natura degli interessi violati integri anche un illecito extracontrattuale o addirittura un illecito penale (artt. 380 e 381 c.p., in tema di patrocinio infedele). Normalmente, dunque, con la colpa professionale dell’avvocato ci si riferisce ad una disciplina che vale prevalentemente nell’ambito della responsabilità contrattuale, ma che può trovare applicazione anche in abito extracontrattuale. Pur mancando precedenti specifici, è da ritenere che anche in questo settore valga la regola stabilita in punto di onere della prova dalla Suprema Corte (1). Il creditore deve dimostrare il titolo dell’obbligazione ed allegare soltanto l’inadempimento, mentre il debitore deve dedurre il fatto estintivo o la prova liberatoria dell’art.

1218 c.c. A proposito della responsabilità medica è già stato deciso che, «il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto e/o il “contatto” e allegare l’inadempimento del professionista, che consiste nell’aggravamento della situazione patologica del paziente o nell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile» (2).

(1) Cfr. Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, c. 769, con nota di LAGHEZZA, Inadempimenti ed onere della prova: le sezioni unite e la difficile arte del rammendo; in Contratti, 2002, p. 113, con nota di CARNEVALI, Inadempimento e onere della prova; e in Nuova giur. civ., 2002, I, p. 349, con nota di MEOLI, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova: «il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento».

(2) Cass., 28 maggio 2004, n. 10297, in Mass. Foro it., 2004, in questa sentenza è affermato che

«porre a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova dell’esatto adempimento della prestazione medica soddisfa in pieno a quella linea evolutiva della giurisprudenza in tema di onere della prova che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità

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3 Quanto al contenuto della prestazione dell’avvocato, essa si cataloga come obbligazione di mezzi e non di risultato, pertanto l’inadempimento dell’avvocato «non può essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza, il quale trova applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del buon padre di famiglia, nel parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2º, c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata». Ed ancora: «la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, in altre parole la diligenza posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave» (3).

Nell’apprezzare la diligenza profusa dall’avvocato il riferimento allo standard medio dovuto dal professionista, si delinea con maggiore chiarezza per effetto degli interventi operati dal Consiglio nazionale forense che ha redatto il c.d. Codice deontologico. Così, ad esempio, gli artt. 12 e 13 del Codice Deontologico Italiano (4) stabiliscono rispettivamente che «l’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza» e che «è dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando ed accrescendo le conoscenze con

per l’una o per l’altra parte di offrirla. Infatti, nell’obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non consiste nell’inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l’oggetto è l’attività, l’inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell’esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia “vicina” a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell’inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto».

(3) Cass., 8 agosto 2000, n. 10431, in Mass. Foro it., 2000.

(4) Approvato con la delibera del Consiglio nazionale forense, in data 17 aprile 1997.

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4 particolare riferimento ai settori nei quali è svolta l’attività». Analogamente l’art. 3.1, comma 3º, del Codice Deontologico Europeo (5) dispone che

«l’avvocato non accetta un incarico se sa o dovrebbe sapere che egli non ha la competenza necessaria per occuparsene». Il primo aspetto rientra nell’ambito della imprudenza o della negligenza, secondo i casi in concreto, il secondo riguarda la perizia.

Altre norme del Codice deontologico indicano solo in via esemplificativa le diverse ipotesi di illecito di rilievo anche civilistico. Così, ad esempio, è fatto divieto di «proporre azioni o assumere iniziative in giudizio con male fede o colpa grave» (art. 6); di compiere «consapevolmente atti contrari all’interesse del proprio assistito» (art. 7), di «consigliare azioni inutilmente gravose, né suggerire comportamenti, atti o negozi illeciti, fraudolenti o colpiti da nullità»

(art. 36); «prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito».

Di fatto il vero problema della colpa professionale dell’avvocato ha finito per riguardare quella serie di negligenze ed imprudenze collegate alla violazione delle regole del processo: la mancata tempestiva impugnazione di un atto (6), la notifica errata (7), la decadenza dalle prove (8), l’omessa

(5) Approvato con la delibera del Consiglio degli ordini forensi d’Europa, in data 28 ottobre 1988.

(6) Tuttavia, con la precisazione del Trib. Milano, 25 marzo 1996, in Resp. civ., 1997, p. 1170, con nota di DE FAZIO, Responsabilità del legale e perdita della chance di vincere il processo: «quand’anche il cliente abbia effettivamente incaricato il suo legale di proporre appello, la mancata interposizione dell’impugnazione non può di per sé generare responsabilità a carico del difensore, occorrendo dimostrare che l’appello, qualora azionato, avrebbe avuto serie probabilità di accoglimento»; Trib. Roma, 11 ottobre 1995, in Danno e resp., 1996, p. 644, con nota di COSENTINO, Colpa professionale dell’avvocato e chance di vittoria del cliente: «l’avvocato, il quale abbia notificato tardivamente l’opposizione a decreto ingiuntivo determinandone l’inammissibilità, incorre in responsabilità professionale (senza, nella fattispecie, poter invocare la limitazione di cui all’art. 2236 c.c.) qualora sia ragionevole presumere che la suddetta opposizione, ove proposta nel termine, avrebbe potuto essere accolta»; conf. Cass., 26 febbraio 2002, n.

2836, in Resp. civ., 2002, p. 1373, con nota di FACCI, L’errore dell’avvocato, l’appello tardivo e la chance di vincere il processo, si trattava di un reclamo tardivo avverso la decisione del Commissario regionale agli usi civici del Veneto.

(7) Cfr. Trib. Roma, 27 novembre 1992, in Nuova giur. civ., 1994, I, p. 267, con nota di MARINELLI, Le nuove frontiere della responsabilità professionale dell’avvocato; Trib. S. Maria Capua Vetere, 6 febbraio 1989, in Foro it., 1990, I, c. 3315; Cass., 18 giugno 1996, n. 5617, in Giur. it., 1997, I, 1, c.

638, l’avvocato non aveva informato il cliente della possibilità di ricorrere in cassazione avverso la pronuncia di inammissibilità dell’appello, per mancato rinnovo della notificazione da parte dello stesso legale.

(8) Indirettamente Cass., 8 maggio 1993, n. 5325, in Foro it., 1994, I, c. 3188, con nota di

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5 richiesta di una prova testimoniale (9), l’integrazione del contraddittorio e le relative notifiche (10), omessa indicazione della data d’udienza a comparire nella copia notificata dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo (11) e così via.

Per queste c’è un orientamento risalente agli anni cinquanta che equipara tali lacune nell’attività difensiva del procuratore ad una grave negligenza, mai passibile di dare ingresso all’esimente dell’art. 2236 c.c., poiché nessun problema di speciale difficoltà è mai in questione (12). Così, ad esempio è stato deciso che «la corretta notificazione dell’appello civile a più parti non costituisce problema tecnico di speciale difficoltà (ai sensi dell’art. 2236 c.c.);

pertanto, dall’errore evitabile con l’impiego dell’ordinaria diligenza (art. 1176 c.c.), comportante, nel caso, l’inammissibilità dell’impugnazione, il professionista va tenuto responsabile delle spese inerenti alla soccombenza nel giudizio di impugnazione» (13).

Al contrario, si afferma che non costituiscono mai titolo di responsabilità,

BARONE; in Nuova giur. civ., 1994, I, p. 266, con nota di MARINELLI, Le nuove frontiere della responsabilità professionale dell’avvocato; e in Corriere giur., 1994, p. 1270, con nota di PORCARI, Obbligo di informazione: monito della cassazione ad avvocati e notai.

(9) Cfr. Cass., 6 febbraio 1998, n. 1286, in Foro it., 1998, I, c. 1917; in Danno e resp., 1998, p.

343, con nota di MAGNI, Responsabilità dell’avvocato per negligente perdita della lite tra «certezza» e

«probabilità» di un diverso esito del giudizio; in Danno e resp., 1999, p. 441, con nota di FABRIZIO- SALVATORE, La colpa professionale dell’avvocato: in crisi la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato; in Resp. civ., 1998, p. 650, con nota di DE FAZIO, Responsabilità dell’avvocato: per la perdita del processo e per la perdita della chance di vincere il processo; in Guida al dir., 1998, fasc. 13, p. 59, con nota di GUERRA, L’avvocato è responsabile verso il cliente se la lite non ha buon esito per sua negligenza – La perdita di opportunità è un bene patrimoniale che può giustificare il risarcimento del danno; e in Nuova giur. civ., 1999, I, p. 363, con nota di LEPRE, Nuovi spunti in tema di responsabilità civile dell’avvocato: «il nesso di causalità tra l’omissione di attività difensiva da parte dell’avvocato e il negativo esito processuale può essere valutato, nella causa di risarcimento danni contro quest’ultimo, in termini di semplice probabilità, anziché di certezza (nella specie, è stato ritenuto che, ove non omessa, la citazione di testimoni avrebbe potuto determinare un esito favorevole al danneggiato nel processo penale per l’accertamento della responsabilità del danneggiante)».

(10) Cfr. Cass., 24 marzo 1978, n. 1437, in Mass. Foro it., 1978.

(11) Cass., 23 aprile 2002, n. 5928, in Mass. Foro it., 2002.

(12) L’attualità di questo orientamento è ricordato anche dalla Cass., 1 agosto 1996, n. 6937, in Mass. Foro it., 1996: «la disposizione di cui all’art. 2236 c.c. – che, nei casi di prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, limita la responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave – non trova applicazione ai danni ricollegabili a negligenza ed imprudenza, essendo essa circoscritta, nei limiti considerati, ai casi di imperizia ricollegabili alla particolare difficoltà di problemi tecnici che l’attività professionale, in concreto, renda necessario affrontare (nella specie, è stata esclusa l’applicabilità della menzionata disposizione in relazione al comportamento di un avvocato che, pur avendo ricevuto dal proprio assistito un foglio in bianco contenente una procura, aveva omesso di impugnare il licenziamento subito dall’assistito stesso, cagionandogli, così, danni risarcibili)».

(13) Trib. Salerno, 29 febbraio 1980, in Foro nap., 1981, I, p. 271.

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6 e quand’anche potessero costituirlo legittimerebbero l’applicazione dell’art.

2236 c.c., quelle attività in senso lato riconducibili all’interpretazione della legge o alla qualificazione del fatto o dell’atto oggetto di giudizio (14). Così è stato deciso che rientra nella ordinaria diligenza dell’avvocato (art. 1176, comma 2°, c.c.) il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica (art.

2236 c.c.), salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine (15). Seppure sia opinabile, invece, è stato considerato problema tecnico di particolare difficoltà stabilire se il contratto preliminare debba essere provato per iscritto ove tale limitazione di prova sia prevista dalla legge per il contratto definitivo, di conseguenza è stato deciso che il professionista risponde solo per dolo o per colpa grave (16). Lo stesso vale per la scelta difensiva riguardo alla conduzione della lite ed alla possibilità di sollevare certe eccezioni di rilievo sostanziale, come quella sulla prescrizione.

È fatta salva l’ipotesi che dietro una certa scelta difensiva si celino veri e propri errori del legale, come ad esempio non aver considerato certi fatti dedotti in causa o l’aver lasciato decorrere un termine di prescrizione (17). Così aver incominciato una lite relativa ad un diritto prescritto di per sé non costituisce colpa professionale, poiché quell’eccezione non è rilevabile d’ufficio

(14) Cfr. Cass., 18 novembre 1996, n. 10068, in Dir. ed economia assicuraz., 1998, p. 616, con nota di DE STROBEL, Responsabilità professionale dell’avvocato: «la responsabilità del professionista, per danni causati nell’esercizio della sua attività postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello di diligenza che va a sua volta valutato con riguardo alla natura della attività; in rapporto alla professione di avvocato, deve considerarsi responsabile verso il suo cliente il professionista, in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia compromette il buon esito del giudizio, dovendosi invece ritenere esclusa detta responsabilità, a meno di dolo o colpa grave, solo nel caso di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili»; Pret.

Perugia, 17 giugno 1998, in Rass. giur. umbra, 2000, p. 52, nel caso di specie è stata affermata la responsabilità del professionista che aveva omesso di dare avviso al cliente circa la possibilità che la controparte sollevasse l’eccezione di prescrizione con riguardo al diritto da azionare».

(15) Cfr. Cass., 18 luglio 2002, n. 10454, in Mass. Foro it., 2002, che ha escluso l’applicazione dell’art. 2236 c.c.

(16) Cfr. Pret. Taranto, 19 febbraio 1982, in Arch. civ., 1982, p. 761; e in Giur. it., 1982, I, 2, c.

581.

(17) Cfr. Cass., 28 aprile 1994, n. 4044, in Resp. civ., 1994, p. 635, con nota di RUTA, La responsabilità dell’avvocato: alcune considerazioni in margine ad una riaffermazione della Suprema Corte, in motivazione.

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7 dal giudice (18); a meno che, nell’attività di studio della controversia e di consultazione con il cliente, quella circostanza sia stata totalmente ignorata ed il cliente non ne fosse consapevole (19).

2. La responsabilità dell’avvocato e del procuratore legale.

La casistica in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, a ben vedere, non si è formata con riguardo alla posizione del difensore in giudizio, ma a quella del procuratore legale (20). È una conferma di ciò la circostanza secondo la quale «la proposizione di appello manifestamente infondato non integra presupposto di responsabilità dell’avvocato in quanto non esclude la prestazione di attività defensionale apprezzabile e di vantaggio per l’appellante» (21). Inoltre, pur non interessando immediatamente il profilo della colpa professionale, va ricordato che, anche qualora questi criteri selettivi risultassero infruttuosi per l’avvocato, questi può utilmente dedurre che l’esito del processo sarebbe stato comunque estremamente incerto, con conseguente rigetto della pretesa risarcitoria sotto il profilo del difetto del danno patrimoniale (22).

Più di recente c’è chi ha criticato questo orientamento. Anche per l’avvocato incomincia a far breccia l’idea che lo standard più elevato di diligenza dell’art. 1176, comma 2º, c.c. non possa essere scollegato dalla richiesta di un certo grado di perizia nell’attività svolta. È questa la ragione per la quale è stata affermata la responsabilità dell’avvocato che abbia diffidato il

(18) Cfr. Trib. Perugia, 12 ottobre 1999, in Rass. giur. umbra, 2000, p. 52: «il mancato rilievo, prima dell’introduzione del giudizio, dell’avvenuta estinzione per prescrizione del diritto vantato dal cliente non integra presupposto di responsabilità dell’avvocato in quanto la prescrizione estintiva non è rilevabile di ufficio, ma opera soltanto per effetto di eccezione di parte»; Pret. Perugia, 17 giugno 1998, ivi, 2000, p. 52; App. Perugia, 14 febbraio 1995, ivi, 1996, p. 1.

(19) Cfr. Cass., 29 novembre 1973, n. 3298, in Foro it., 1974, I, c. 678.

(20) Tra questi vanno certamente catalogati quelli di esercizio extra districtum sui quali si intrattiene VIGOTTI, La responsabilità civile dell’avvocato, in La responsabilità civile – Aggiornamento 1988-1996, diretta da Alpa e Bessone, II, Torino, 1987, p. 796.

(21) App. Perugia, 14 febbraio 1995, in Rass. giur. umbra, 1996, p. 1.

(22) Cfr., fra le tante, Cass., 6 maggio 1996, n. 4196, in Foro it., 1996, I, c. 2384; COSENTINO, Colpa professionale dell’avvocato e «chance» di vittoria del cliente, in Danno e resp., 1996, p. 645.

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8 locatario di un immobile a rilasciarlo in favore del locatore, suo cliente, sulla base del contratto di locazione non più esistente perché novato (23); che, in un giudizio relativo alla cessione di un’azienda, non abbia eccepito la necessaria forma scritta dell’atto, ed abbia, invece, dedotto prove testimoniali risultate disastrose per il proprio cliente, il quale dovette transigere la lite a condizioni sfavorevoli (24); che abbia «promosso un appello palesemente infondato e proposto nell’interesse di un soggetto diverso dalla persona del cliente» (25).

La tesi di alcuni interpreti, talvolta accolta anche dalla giurisprudenza, è di mutuare da altri settori professionali una regola di comportamento dalla quale fare scaturire anche la responsabilità dell’avvocato. È questa la ragione per la quale taluni profili dell’attività forense vengono ricondotti al dovere di informazione che l’avvocato deve assolvere nei confronti del proprio cliente.

Così, si afferma, l’avvocato può scegliere di non intraprendere una causa nell’ambito di una complessa lite che vede protagoniste due o più parti, ma di ciò deve rendere edotto il cliente, il quale, in questo modo, potrà essere libero di scegliere un altro professionista oppure potrà condividere la scelta difensiva (26). L’omessa informazione può costituire un titolo di responsabilità dell’avvocato, allo stesso modo in cui l’omessa informazione del medico assume rilievo ai fini di valutare l’efficacia del consenso del paziente (27). Di questa regola la giurisprudenza ha incominciato a fare applicazione anche a

(23) Cfr. Cass., 14 agosto 1997, n. 7618, in Foro it., 1997, I, c. 3570.

(24) Cfr. Cass., 18 maggio 1988, n. 3463, in Corriere giur., 1988, p. 989, con nota di DANOVI, Prove testimoniali e responsabilità dell’avvocato; e in Arch. civ., 1988, p. 1052.

(25) Cass., 19 novembre 1992, n. 12364, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1638, con nota di TRAVERSO, Appunti sulla responsabilità del professionista legale.

(26) Cfr. Cass., 18 giugno 1996, n. 5617, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 638, sulla omessa informazione della possibilità di ricorrere in cassazione, nonostante la nullità del giudizio di appello per mancata riassunzione nei termini; contra Cass., 17 febbraio 1981, n. 969, in Mass. Foro it., 1981, su un caso analogo che riguardava un difensore d’ufficio, probabilmente oggi la medesima vicenda avrebbe un diverso epilogo.

(27) Cfr. Cass., 14 novembre 2002, n. 16023, in Danno e resp., 2003, p. 256, con nota di FABRIZIO-SALVATORE, L’avvocato e la responsabilità da parere, nella specie, è stata riconosciuta la responsabilità dell’avvocato che non aveva provveduto ad informare il cliente, formulando parere stragiudiziale, della possibilità che venisse eccepita la prescrizione; Cass., 4 dicembre 1990, n. 11612, in Mass. Foro it., 1990, la corte suprema ha confermato la decisione con cui è stata ritenuta la responsabilità di un avvocato verso il cliente, per avere – tra l’altro – trattenuto immotivatamente la documentazione fornitagli dal cliente precludendo a questo ultimo la possibilità di ricorso all’autorità giudiziaria, senza – inoltre – alcun avviso circa l’eventualità di prescrizione del diritto da azionare.

(9)

9 proposito degli obblighi nascenti dal mandato alle liti, che si ritiene non sia limitato alla sola fase processuale per la quale è stato rilasciato, ma che dipende «dalla natura del rapporto controverso e dal risultato perseguito dal mandante nell’intentare la lite o nel resistere ad essa» (28).

Letta la vicenda nell’ambito della dinamica processuale, quando il cliente deduca un errore nell’attività del difensore, occorre che questi provi un sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, quindi, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del legale gli sarebbero stati vantaggiosi (29). Occorre inoltre che quell’errore sia in rapporto si causalità con il rigetto della domanda conseguito nel giudizio, poiché se la stessa domanda fosse stata comunque rigettata per altre cause, il professionista non potrebbe essere condannato (30).

Dal canto suo, invece, il professionista deve dimostrare l’impossibilità a lui non imputabile della inesatta esecuzione della prestazione (31), in via di eccezione può controdedurre sulla insussistenza di un danno patrimoniale patito dal cliente (32). Se il cliente è in mora nel corrispondere il compenso, l’avvocato non può avvalersi di una sorta di eccezione di inadempimento sub specie di abbassamento dello standard di diligenza richiesto nell’adempimento, ma può soltanto esercitare il diritto di recesso nelle forme e nei termini previsti dall’art.

(28) Cass., 18 aprile 2003, n. 6264, in Mass. Foro it., 2003, nel caso di specie la suprema corte ha affermato che l’incarico – concernente l’azionato giudizio di responsabilità del professionista – conferito al legale per la difesa in una data controversia non si esauriva nell’instaurazione del giudizio davanti al giudice ritenuto fornito di giurisdizione, ma si estendeva per obbligo di legge anche agli atti successivi necessari per il suo compimento ai sensi dell’art. 1708, comma 1º, c.c., e quindi, alla tempestiva comunicazione dell’esito del regolamento di giurisdizione – nel caso deciso dalla corte di cassazione nel senso della giurisdizione del giudice amministrativo – nonché all’informazione sulla necessità di una nuova procura ad litem per l’instaurazione del giudizio avanti a detto giudice, ferma la scelta del cliente se insistere o meno nell’instaurata controversia mediante la nuova iniziativa processuale.

(29) Già Cass., 11 maggio 1977, n. 1831, in Mass. Foro it., 1977.

(30) Cfr. Cass., 25 settembre 1997, n. 9400, in Dir. ed economia assicuraz., 1999, p. 294: «in mancanza di nesso causale tra l’errore commesso dal patrocinatore legale incaricato di azione di risarcimento danni e il pregiudizio avvenuto per effetto della maturata prescrizione, non può sussistere la responsabilità civile del professionista».

(31) Cfr. Cass., 5 maggio 1985, n. 4386, m, in Mass. Foro it., 1985; Cass., 5 aprile 1984, n. 2222, in Mass. Foro it., 1984, si trattava di una mancata impugnazione in appello; FORTINO, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1984, p. 65 ss.

(32) Ancora, in motivazione, Cass., 28 aprile 1994, n. 4044, in Resp. civ., 1994, p. 635, con nota di RUTA, La responsabilità dell’avvocato: alcune considerazioni in margine ad una riaffermazione della Suprema Corte.

(10)

10 2237 c.c. (33).

È certo che l’avvocato non può andare esente da responsabilità qualora adotti mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, sebbene questi siano stati sollecitati dal cliente stesso, poiché è «compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale» (34).

Non pare, dunque, che in questo settore possa trovare ingesso la figura del nudus minister tipica dell’appalto.

Beninteso, l’avvocato deve «mantenere il segreto sull’attività prestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato» (art. 9, Codice deontologico forense), con estensione della tutela agli ex clienti ed a coloro in favore dei quali l’incarico professionale non fu assunto. Inoltre l’art. 40 del medesimo codice stabilisce che «l’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito delle caratteristiche e della importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili.

L’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qual volta l’assistito ne faccia richiesta […]. È obbligo dell’avvocato comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli. Il difensore ha l’obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato».

Pare dunque che anche per l’avvocato incomincino ad assumere pregio quei doveri di informazione sui quali in numerosi casi è stata pronunciata la

(33) Cfr. Cass., sez. un., 26 marzo 1997, n. 2661, in Mass. Foro it., 1997; la regola non vale per il caso inverso, Trib. Milano, 5 ottobre 1995, in Foro pad., 1997, I, c. 103, con nota di LUONGO, Brevi considerazioni sulla responsabilità civile dell’avvocato: «nulla deve il cliente stante il palese grave inadempimento dell’avvocato che ha posto in essere un’attività priva di qualsiasi utile risultato per il cliente e ciò in dipendenza di sua rilevante colpa professionale».

(34) Cass., 28 ottobre 2004, n. 20869, in Mass. Foro it., 2004, nel merito, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva accertato la responsabilità professionale dell’avvocato per avere questi proposto una domanda di risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dinanzi ad un giudice diverso da quello che aveva deciso la causa di merito, così esponendo il cliente alla soccombenza nelle spese. Cass., 14 settembre 2000, n. 12158, in Danno e resp., 2001, p. 519, con nota di CALDERONE e CRESTA, Insussistenza della responsabilità dell’avvocato per l’estinzione di una procedura esecutiva infruttuosa.

(11)

11 responsabilità del medico. Rispetto alla violazione di questi, naturalmente, la diligenza non è un criterio di imputazione della responsabilità: il professionista si libera fornendo la prova dell’art. 1218 c.c.

3. Il danno patrimoniale da responsabilità professionale come pregiudizio da perdita di chance.

Il pregiudizio economico causato dalla negligente o imperita attività dell’avvocato non ha la stessa estensione del mancato risultato che la parte avrebbe potuto conseguire ove la prestazione fosse stata eseguita esattamente. Pertanto all’avvocato che non abbia presentato tempestivamente l’appello contro una sentenza, il cliente non può chiedere il vantaggio che avrebbe conseguito dalla vittoria in quella causa, a titolo di risarcimento del danno. Il danno assume pregio quale perdita della chance (35). Anche nell’ipotesi in cui la responsabilità dell’avvocato sia dipesa dall’aver divulgato notizie riservate e non da vera e propria imperizia, il riflesso economico di questo pregiudizio può essere ricondotto alla perdita di occasioni in conseguenza di quella attività illecita.

È bene premettere subito che l’esperienza giurisprudenziale degli ultimi anni, probabilmente influenzata dall’orientamento delle Corti francesi (36), ha decisamente collocato la perdita della chance, tra i danni risarcibili. I giudici affermano che la chance, intesa come concreta ed effettiva occasione

(35) È ancora attuale l’ampia rassegna di CLARIZIA e RICCI, La responsabilità civile dell’avvocato, in Nuova giur. civ., 1985, II, p. 153 ss.; CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 184 ss.; BOCCHIOLA, Perdita di una chance e risarcimento del danno, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, p. 81 ss. Anche di recente la giurisprudenza, in un caso di presentazione di un appello fuori termine, ha richiesto l’ardua prova che con una certa sicurezza il giudizio sfavorevole del giudice a quo sarebbe stato riformato, ed ha concluso che nel caso in decisione non sussistevano gli estremi: Cass., 26 febbraio 2002, n. 2836, in Resp. civ., 2002, p. 1373, con nota di FACCI, L’errore dell’avvocato, l’appello tardivo e la chance di vincere il processo.

La giurisprudenza francese ha ammesso il risarcimento da perdita di una chance in favore del paziente curato da un medico a prescindere dal collegamento con la colpa professionale, cfr. PRINCIGALLI, in Riv. critica dir. privato, 1985, p. 319 ss.

(36) Il riferimento è al saggio di PRINCIGALLI, Perdita di chances e danno risarcibile, in Riv. critica dir. privato, 1985, p. 315 ss., nel quale vi sono ampi ed esaustivi richiami alla casistica giudiziaria francese; ed al contributo di BOCCHIOLA, Perdita di una chance e risarcimento del danno, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, p. 55 ss. Recentemente l’intera vicenda è stata rivisitata da SEVERI, Perdita di chance e danno patrimoniale risarcibile, in Resp. civ., 2003, p. 296 ss.

(12)

12 favorevole di conseguire un determinato bene, «non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione [quale] perdita della possibilità di conseguire un qualsivoglia risultato utile» (37). Questa perdita, dunque, si delinea quale danno risarcibile «a condizione che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido elemento causale tra il fatto e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno» (38). In questo modo sono state superate le obiezioni di molti interpreti che, in passato, aveva qualificato la chance quale lesione di un interesse di mero fatto, come tale irrisarcibile (39).

In questo modo, la chance si pone quale «entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità di conseguire un qualsivoglia risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura una lesione all’integrità del patrimonio la cui risarcibilità è, quindi, conseguenza immediata e diretta del verificarsi d’un danno concreto ed attuale» (40). Con la conseguenza che il pregiudizio non consiste «in un lucro cessante, bensì nel

(37) Cass., 18 marzo 2003, n. 3999 (nella motivazione letta in Cd-rom InfoUtet, La Cassazione per esteso), è per un difetto di prova che, nella controversia decisa, il richiedente non ha ottenuto alcun risarcimento.

(38) Cass., 27 luglio 2001, n. 10291, in Mass. Foro it., 2001; Cass., 25 settembre 1998, n. 9598, in Danno e resp., 1999, p. 534, con nota di VIOLANTE, La chance di un giro di valzer (sul danno biologico dell’aspirante ballerino). In queste sentenze è accolta l’idea che si tratti di un danno futuro, ma su questo punto dissentirò fra breve.

(39) Così BUSNELLI, Perdita di una chance e risarcimento del danno, in Foro it., 1965, IV, c. 47 ss., il quale trae spunto da un caso singolarmente risolto dalla Corte d’appello parigina per giungere alle conclusioni del testo. La vicenda riguardava il danno subito da una banca che aveva pagato un assegno a vuoto emesso da un proprio cliente che non poté ripristinare la provvista a causa di un incidente colposamente provocato da un terzo. La causa si svolse tra la banca ed il terzo responsabile del sinistro ed ebbe ad oggetto proprio la perdita della chance consistente nella perdita della possibilità per il cliente di regolarizzare la propria disponibilità del conto corrente. L’a. esclude altresì il risarcimento del danno, poiché, mentre il lucro cessante si riferisce alla lesione di un diritto soggettivo, la chance si riferisce alla lesione di un interesse di mero fatto. Gli sviluppi del dibattito sull’ingiustizia del danno hanno superato una siffatta obiezione. In passato PACCHIONI, Delitti e quasi delitti, cit., p. 111, aveva sostenuto che la chance non ha un elevato valore di mercato, pertanto è irrisarcibile.

(40) Cass., 13 dicembre 2001, n. 15759 (nella motivazione letta in Cd-rom InfoUtet, La Cassazione per esteso), che cita ulteriori precedenti: Cass., 10 novembre 1998, n. 11340, in Mass. Foro it., 1998; Cass., 15 marzo 1996, n. 2167, ivi, 1996; Cass., 19 dicembre 1985, n. 6506, ivi, 1985.

(13)

13 danno emergente da perdita di possibilità attuale, e non di un futuro risultato»

(41).

4. La chance come lucro cessante o come danno emergente.

Se si considera la chance come perdita di un risultato favorevole, si tenderà ad equipararla al lucro cessante, qui inteso come danno futuro, se invece la si consideri come perdita della possibilità di un risultato favorevole, si tenderà ad equipararla ad un danno emergente (42).

La catalogazione della chance al genere del lucro cessante conduce all’idea che da questo si differenzia solo per la maggiore incertezza circa la verificazione del pregiudizio. Invero, nel lucro cessante la prova della certezza del danno non riguarda il lucro in sé, bensì i presupposti ed i requisiti necessari affinché esso si determini. La certezza del mancato guadagno non può mai essere ottenuta allo stesso modo che per le perdite subite, dato che queste ultime normalmente esistono già al momento del processo nel patrimonio della vittima, mentre il lucro cessante non è entrato e non entrerà mai nel suo patrimonio se non nella forma del risarcimento. Certezza del danno con riguardo al lucro cessante significa, dunque, garanzia circa la sussistenza dei presupposti per la sua produzione in futuro. Se si osserva la chance dal punto di vista del lucro cessante, essa non può mai essere risarcibile, poiché non solo non è possibile dimostrare che l’utilità sarebbe stata conseguita, ma neppure che sono certi i presupposti per conseguirla (43). Anche volendo prescindere dalla distinzione tra il lucro cessante e chance, resta che, proprio sul piano

(41) Cass., 21 luglio 2003, n. 11322, in http://www.dirittoegiustizia.it/Dettagli.asp?ID=13630, nella motivazione l’estensore dissente dal precedente della Cass., 25 settembre 1998, n. 9598, in Danno e resp., 1999, p. 534, con nota di VIOLANTE, La chance di un giro di valzer (sul danno biologico dell’aspirante ballerino), che aveva attribuito alla chance la natura di danno futuro, giungendo per questa via ad assimilarlo al lucro cessante.

(42) Cfr. MONATERI, La responsabilità civile, in Tratt. di dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 1998, p.

283; BALDASSARI, Il danno patrimoniale, Padova, 2001, p. 180 ss.

(43) È questa la tesi di BOCCHIOLA, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, p. 78; dello stesso avviso è BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, sub art. 1223, p. 330; VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1996, p. 513.

(14)

14 causale, quest’ultima si qualificherebbe quale danno potenziale, eventuale o indiretto, come tale non risarcibile, poiché privo del requisito della certezza (44).Non è dimostrabile che il solo fatto di impugnare una sentenza garantisca al cliente un risultato più vantaggioso; neppure si può sostenere che impedire a qualcuno di partecipare ad un concorso dia titolo alla richiesta del danno pari al provento economico che la sua vincita avrebbe procurato; lo stesso discorso vale in tutte le altre ipotesi qualificabili come perdita di una chance.

Diversa prospettiva si apre qualora si consideri la chance quale perdita della possibilità di conseguire un risultato utile, anziché quale perdita del risultato utile. In altri termini se la si configura come «un’attitudine attuale del soggetto e non futura, costituente economicamente una componente del patrimonio professionale del soggetto, in modo molto simile ad un “avviamento professionale” dello stesso» (45). In questo modo, quando si verifica il danno, l’utilità si considera già presente nel patrimonio del danneggiato proprio nella forma della possibilità di conseguire un risultato favorevole. Seguendo questa impostazione, la chance viene considerata risarcibile di per sé, poiché ad essa viene attribuito un valore economico, il quale, esistendo già nel patrimonio del danneggiato, va qualificato come danno emergente (46). Con l’ulteriore conseguenza che il danno da perdita della chance si presenta un danno presente e non un danno futuro.

(44) Sotto questo profilo, pertanto, appare corretta la motivazione del Trib. Firenze, 12 novembre 1981, riportata nella Cass., sez. lav., 19 dicembre 1985, n. 6506, in Foro it., 1986, I, c. 388.

(45) Cass., 21 luglio 2003, n. 11322, in http://www.dirittoegiustizia.it/Dettagli.asp?ID=13630, anche se nel caso deciso ad un calciatore dilettante, gravemente infortunato in un incidente stradale, chiamato a far parte della rosa dell’under ventuno, è stata rigettata la richiesta di condanna sotto il profilo della perdita della chance, poiché ha ritenuto che il danno non fosse certo. Ha ritenuto l’estensore che quella convocazione di per sé non fosse sufficiente a dimostrare che il giovane calciatore avrebbe intrapreso la carriera di professionista.

(46) Così BOCCHIOLA, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, pp. 78 e 85, la cui impostazione è stata accolta dalla Cass., sez. lav., 19 dicembre 1985, n. 6506, in Foro it., 1986, I, c. 389, in motivazione; non invece dal Trib. Napoli, 21 maggio 1986, in Resp. civ., 1986, p. 568. Così anche App. Roma, 17 febbraio 1988, in Giur. it., 1991, I, 2, c. 640, con nota di NARDULLI, Perdita di chance: verso l’ampliamento dell’area del danno risarcibile, che configura la perdita come lesione del diritto alla integrità del proprio patrimonio e la liquida con riferimento all’utile economico complessivamente realizzabile, decurtandolo in relazione alla possibilità di conseguirlo: in fatto un’erronea levata del protesto da parte di una banca aveva interrotto la trattativa per l’opera prestata da un revisore dei conti in favore di una società. Il danno da lucro cessante sarebbe stato pari a centoventi milioni di vecchie lire, la Corte ne ha liquidati venti.

(15)

15 Per poter accertare la sussistenza della chance, occorre che la possibilità di realizzare il risultato favorevole si possa conseguire in percentuale superiore al 50%, diversamente verrebbe a mancare la certezza del danno (47). Tale probabilità di conseguire il risultato utile, tuttavia, non attiene ai criteri per determinare e liquidare il danno, giacché l’oggetto del risarcimento non è dato dall’equivalente monetario del risultato non ottenuto. Attiene, invece, alla sussistenza stessa dell’evento di danno, il quale, solo a queste condizioni, potrà essere stimato e liquidato in seguito. La perdita della possibilità di guadagnare un risultato utile si risolve in una lesione della libertà contrattuale e, pertanto, «in un danno certo consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale e non di un futuro risultato» (48).

La chance, dunque, deve presentare un certo grado di certezza del danno subito, da valutarsi secondo le circostanze del caso, con il criterio della causalità giuridica (49). È questa la ragione per la quale chi domanda «il ristoro del danno subito a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado non può limitarsi a dedurre l’astratta possibilità della riforma in appello della pronuncia in senso a lui favorevole, ma deve dimostrare l’erroneità della pronuncia in questione oppure produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova idonei a fornire la ragionevole certezza che il gravame, se proposto, sarebbe

(47) Lo ha affermato per la prima volta BOCCHIOLA, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, p. 101, ed il suggerimento è stato accolto dalla Cass., sez. lav., 19 dicembre 1985, n. 6506, in Foro it., 1986, I, c.

387, in motivazione; in tempi più recenti la Cass., sez. lav., 22 aprile 1993, n. 4725, in Mass. Foro it., 1993, ha richiesto anche una percentuale inferiore. Sulla questione riflette anche MONATERI, La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ., cit., p. 284. Sulla scia si colloca anche PRINCIGALLI, in Riv. critica dir. privato, 1985, p. 324, la quale afferma che in questa specie di danno l’aspetto preminente è la liquidazione e l’accertamento del rapporto di causalità, mentre subordinata è la sua qualificazione quale perdita subita o lucro cessante.

(48) Coll. arb. Roma, 21 maggio 1996, in Arch. giur. oo. pp., 1998, p. 293.

(49) Cfr. Cass., 25 settembre 1998, n. 9598, in Danno e resp., 1999, p. 534, con nota di VIOLANTE, La chance di un giro di valzer (sul danno biologico dell’aspirante ballerino): «la c.d. perdita di chance costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro; come tale, essa è risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri (anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza d’un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno».

(16)

16 stato accolto» (50).

5. La liquidazione del danno da perdita di una chance.

Così accertato e determinato il danno da perdita di una chance, occorre poi liquidarlo. A questo fine l’unico criterio impiegabile è quello equitativo: il giudice, valutate tutte le circostanze del caso dalle quali emerge un giudizio prognostico positivo, determinerà in una somma di denaro il valore della chance perduta (51). Il giudizio equitativo deve tener conto: (a) di un criterio prognostico basato sulle concrete e ragionevoli possibilità di risultati utili; (b) del vantaggio economico complessivamente realizzabile dal danneggiato, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di possibilità di conseguirlo (52).

Valga a questo proposito una precisazione. L’aver riconosciuto la risarcibilità della perdita di una chance, quale specie autonoma di danno, non per questo deve condurre ad un doppio risarcimento in favore del danneggiato.

Deve cioè trattarsi di una perdita che altrimenti non potrebbe essere ricompresa in alcun’altra voce di danno. Dico questo pensando alla controversia nella quale il proprietario del cavallo da corsa chiedeva a titolo di

(50) Cass., 27 gennaio 1999, n. 722, in Danno e resp., 1999, p. 1123, con nota di LAZZARI, Perdita di chances in giudizio: la responsabilità del sindacato per omesso appello da parte del lavoratore.

(51) Secondo la Cass., sez. lav., 21 giugno 2000, n. 8468, in Mass. Foro it., 2000, al giudizio prognostico non può sostituirsi il giudizio equitativo. Ad esempio il Pretore di Firenze liquidò la somma di due milioni di lire quale risarcimento per non aver potuto partecipare ad un concorso; nel giudizio di cui alla sentenza della Cass., sez. lav., 19 dicembre 1985, n. 6506, in Foro it., 1986, I, c. 383; si richiama espressamente al criterio equitativo la Cass., 19 novembre 1983, n. 6906, in Giust. civ., 1984, I, p.

1842, in motivazione.

(52) Cfr. Cass., 13 dicembre 2001, n. 15759 (nella motivazione letta in Cd-rom InfoUtet, La Cassazione per esteso), che cita anche Cass., 9 novembre 1997, n. 11522, in Mass. Foro it., 1997; Cass., 15 marzo 1996, n. 2167, ivi, 1996; Cass., 29 aprile 1993, n. 5026, ivi, 1993; Cass., 7 marzo 1991, n.

2368, ivi, 1991; T.a.r. Marche, 12 maggio 2000, n. 682, in Trib. amm. reg., 2000, I, p. 1137. Ad es. Trib.

Monza, 21 febbraio 1992, in Corriere giur., 1992, p. 1021, con nota di CAPORALI, Alla ricerca della chance perduta; in Riv. dir. sport., 1994, p. 447, con nota di PACCES, Competizioni automobilistiche: nuovo terreno fertile per il risarcimento delle chances perdute?; e in Resp. civ., 1993, p. 862, con nota di DASSI, Sulla lesione da perdita di chance di un corridore automobilistico, per un danno subito da un corridore professionista escluso dalle competizioni sportive dalla sua stessa scuderia, ha valutato sufficienti criteri prognostici effettuati sulla base dei risultati desumibili dai risultati sportivi precedenti e dagli obblighi contrattuali assunti.

(17)

17 danno i proventi delle probabili future vincite dell’animale (53). A prescindere dalla motivazione adottata, non è pienamente condivisibile, la valutazione del valore economico del cavallo, accertato e liquidato in funzione della razza, della genealogia, delle intrinseche e specifiche caratteristiche del bene individuato, delle prestazioni fino a quel momento ottenute e dell’età (54), comprende già l’utilità che il cavallo avrebbe ancora potuto procurare al proprietario (55).

Nel caso di specie, dunque, il valore della chance è già contenuto nel valore commerciale del cavallo, in quanto nella sua stima è già compresa la probabilità di ottenere negli ultimi anni di carriera ulteriori vincite. Tutto questo per sostenere che la individuazione del danno da perdita di chance è un’attività di importanza pari a quella volta ad accertare la certezza, poiché attraverso di essa si può stabilire se vi sia una perdita o se questa non sia già altrimenti risarcita (56).

Ancora, si ha l’integrale ripristino della situazione originaria, qualora il datore di lavoro sia stato inadempiente all’obbligo di valutare comparativamente tutti gli aspiranti alla promozione per concorso alla qualifica superiore, tuttavia abbia riconosciuto l’illegittimità della graduatoria e l’abbia annullata, o abbia preso atto dell’annullamento giudiziale, e successivamente abbia bandito un nuovo concorso con effetti retroattivi. Pertanto è stato deciso che, soddisfatto interamente l’interesse procedimentale originariamente leso,

(53) Cfr. Trib. Napoli, 21 maggio 1986, in Resp. civ., 1986, p. 568.

(54) Trib. Napoli, 21 maggio 1986, in Resp. civ., 1986, p. 568.

(55) Segnalo anche che il danno da perdita di un animale può diventare rilevante anche sotto il profilo della lesione del diritto alla salute del suo proprietario nella forma del danno alla vita di relazione.

Ciò accade quando, in seguito all’uccisione di un cane guida di un cieco, questi veda compromessa la possibilità di intrattenere una normale vita di relazione. L’acuta osservazione è di PECCENINI, La responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, in La responsabilità civile, diretta da Alpa e Bessone, II, 2, cit., p. 732, che rimanda a LAGOSTENA BASSI e RUBINI, La liquidazione del danno, III, Danni a cose ed animali, Milano, 1981, p. 368.

(56) Segnalo da ultimo App. Milano, 9 settembre 1975, in Arch. civ., 1976, p. 747, che ha escluso la risarcibilità del danno subito dal produttore di un pellicola cinematografica, in seguito al giudizio negativo riportato in una rubrica giornalistica la quale sconsigliava ai lettori la visione del film. Oltre che al tema della chance, il caso, tuttavia, può essere letto anche nella prospettiva della diffusione di notizie pregiudizievoli e della lesione della propria immagine commerciale. Sotto quest’ultimo profilo segnalo Trib. Milano, 6 maggio 1985, in Dir. informazione e informatica, 1985, p. 674; Trib. Roma, 5 febbraio 1959, in Temi romana, 1959, p. 86, nelle quali è stato negato il risarcimento a due esponenti politici, rispettivamente Caruso e Coccia, per non essere stati eletti a causa di un’attività diffamatoria lesiva della loro reputazione.

(18)

18 non residua più alcuna ulteriore ragione di danno per perdita di chance in favore del candidato illegittimamente pretermesso, sempre che, a causa del comportamento illecito del datore di lavoro, non si siano determinati effetti negativi non eliminabili o non riparabili con la sola rinnovazione delle operazioni concorsuali (57). Se la procedura non è stata ripetuta, l’illegittimo espletamento di un concorso comporta il risarcimento del danno corrispondente alla retribuzione della qualifica superiore solo qualora, accertata detta illegittimità e l’irregolare formazione della graduatoria dei vincitori, il dipendente provi che, se il concorso fosse stato legittimamente espletato, egli sarebbe stato certamente incluso nell’elenco dei promossi anche in relazione ai titoli e punteggi degli altri partecipanti, pur se non dichiarati vincitori. Qualora tale prova non sia assolta nel processo, il giudice può soltanto risarcire il danno costituito dalle spese sostenute per la partecipazione al concorso e la liquidazione in via equitativa del danno costituito dalla privazione della chance di vincerlo.

Nel valutare l’entità di tale danno, nei casi più gravi, può anche considerare l’importo delle retribuzioni corrispondenti alla qualifica superiore, in ragione della gravità, della illegittimità della procedura, della maggiore o minore possibilità di successo del dipendente e del successivo comportamento del datore di lavoro (58).

6. Il danno non patrimoniale derivante da responsabilità professionale dell’avvocato.

Da molto tempo era in atto una riflessione alquanto critica sull’art. 2059 c.c. I sintomi erano rinvenibili nei numerosi provvedimenti con i quali i giudici di merito avevano sollevato dubbi di costituzionalità sulla norma (59). Ancora, i

(57) Cfr. Cass., sez. lav., 14 giugno 2000, n. 8132, in Mass. Foro it., 2000.

(58) Cfr. Cass., 12 ottobre 1988, n. 5494 (nella motivazione letta in Cd-rom InfoUtet, La Cassazione per esteso).

(59) Tra gli ultimi, Trib. Roma, 20 giugno 2002, in Foro it., 2002, I, c. 2882, con nota di LA

BATTAGLIA, Uno, nessuno, centomila: il destino (costituzionale) del danno morale da perdita di congiunto;

(19)

19 sintomi erano evidenti nella progressiva e costante opera di erosione dei limiti con i quali per decenni è stato definito il contenuto della riserva di legge dell’art. 2059 c.c., limitata ai casi in cui lo stesso fatto illecito avrebbe potuto costituire astrattamente anche un fatto di reato. Il mese di maggio del 2003 ha visto di più. Il 12 maggio sono state pubblicate ben tre sentenze della terza sezione della Cassazione nelle quali è stato affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile anche quando il criterio di imputazione della responsabilità sia quello degli artt. 2050-2054 c.c. (60). Da ultimo, il 31 maggio, sono state pubblicate due sentenze il cui dictum ha poco dopo trovato conferma in una pronuncia del giudice delle leggi sulla legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. (61).

Da questo breve quadro, risulta profondamente cambiata la fisionomia del danno non patrimoniale, per via del ripensato collegamento fra l’art. 2059 c.c. e l’art. 185 c.p., e soprattutto per via del ruolo attribuito alla norma di rango costituzionale nell’ambito della responsabilità civile. Ora è «ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di “danno non patrimoniale” inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale soggettivo”» (62). Da

Trib. Genova, 14 gennaio 2003, in Danno e resp., 2003, p. 771, con nota di COMANDÉ, Sollevata nuova questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c., e di LA BATTAGLIA, La storia infinita dell’art. 2059 c.c.: quale via per le “nuove” esigenze di tutela?

(60) Il rinvio va alla Cass., 12 maggio 2003, n. 7282, pres. ed est. Preden, in http://www.dirittoegiustizia.it/Dettagli.asp?ID=12731, a proposito della responsabilità secondo l’art.

2054 c.c.; così come alla Cass., 12 maggio 2003, n. 7283, pres. ed est. Preden, in http://www.ipsoa.it/dronline/news/7283.asp, mentre la Cass., 12 maggio 2003, n. 7281, pres. ed est.

Preden, ibidem, riguarda la responsabilità del custode secondo l’art. 2051 c.c.

(61) Alludo alla Cass., 31 maggio 2003, n. 8828; alla Cass., 31 maggio 2003, n. 8827, pubblicate su tutte le principali riviste, fra le quali Corriere giur., 2003, p. 1017, con nota adesiva di FRANZONI, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta nel danno alla persona. Il dictum è stato confermato dalla Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, ibidem.

(62) Il passo è riportato nella motivazione di entrambe le sentenze: Cass., 31 maggio 2003, n.

8828, cit.; Cass., 31 maggio 2003, n. 8827, cit. In altra parte della motivazione della Cass., 31 maggio 2003, n. 8827, cit., è affermato: «la lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. va tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento generalizzato della poste di danno (e mai come strumento di duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto come mezzo per colmare la lacuna, secondo l’interpretazione ora superata della norma citata, nella tutela risarcitoria della persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale:

quest’ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto, del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso e dei pregiudizi diversi ad ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione

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