• Non ci sono risultati.

La nascita di nuovi populismi nel panorama sunnita libanese

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "La nascita di nuovi populismi nel panorama sunnita libanese"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

11 | 2021 Annali XI

La nascita di nuovi populismi nel panorama sunnita libanese

The Emergence of New Populisms in the Lebanese Sunni Landscape Giulia Gozzini

Edizione digitale

URL: https://journals.openedition.org/tp/1853 Editore

Marcial Pons Edizione cartacea

Data di pubblicazione: 1 décembre 2021 Paginazione: 147-158

ISSN: 0394-1248

Notizia bibliografica digitale

Giulia Gozzini, «La nascita di nuovi populismi nel panorama sunnita libanese», Teoria politica. Nuova serie Annali [Online], 11 | 2021, online dal 01 février 2022, consultato il 07 février 2022. URL: http://

journals.openedition.org/tp/1853

Teoria politica

(2)

libanese

Giulia Gozzini * Abstract

The Emergence of New Populisms in the Lebanese Sunni Landscape

From 2011 to 2016, dramatic changes occurred within the Lebanese Sunni com- munity, eventually resulting in a significant rebalancing of intra-communitarian equilibria. Indeed, new political players have been able to cleverly ride on a wide- spread feeling of anger and frustration, stemming from a multi-level crisis that has affected the whole community since the traumatic events of 2005. This article explores the possibility of employing populism as an innovative analytical tool to interpret political trends currently underway in the Lebanese Sunni community.

Notably, starting from the definition of populism as stylistic repertoire, it delves into the nexus between populism and religion and then extends the analysis to the securitisation theory, with some insights from social psychology. Accordingly, religion is investigated as a winning variable in the construction of a successful securitisation. In the context of the Lebanese Sunnism, the combination of internal political fragmentation and broad sense of insecurity and alienation has eroded the representation’s monopoly, once owned by the Hariris, and paved the way to the emergence of new populist contenders. By fiercely deploying anti-shia claims

— where anti-Shiism discloses the protectionist and horizontal rationale of this pop- ulism, forging a religious securitisation— and anti-élites/State institutions rheto- ric —populism’s vertical component— they seek to politically capitalise the Sunni street’s anger, in an attempt to gain power and control over the community. The lack of a strong political leadership and the simultaneous sparkling rise of Hizbal- lah fuel a sense of impending crisis that entails to urgently act and find a strong man to redeem the community.

Keyword: Populism. Lebanese Sunni Community. Securitisation. Hizballah.

1. Introduzione

Il Sunnismo libanese è ormai protagonista di una lunga fase di declino, che ha portato ad una profonda trasfigurazione del suo volto e ad uno spostamento dei suoi stessi confini ideologici. Gli eventi traumatici del 2005 —l’assassinio di Rafiq Hariri e il conseguente ritiro delle truppe siriane dal territorio libanese—

hanno inaugurato, in un contesto di aspra e, a tratti, violenta polarizzazione

TEORIA POLITICA. NUOVA SERIE, ANNALI XI 2021: 147-158

* IAI - Istituto Affari Internazionali, g.gozzini@iai.it.

(3)

politica 1, una stagione di progressivo logoramento della posizione sunnita, che ha investito una molteplicità di ambiti distinti, generando un diffuso senso di rabbia e insicurezza. Di fronte alla sfavillante e incontrastata ascesa politica scii- ta, la comunità sunnita —per la prima volta nella sua storia— si percepisce come debole e marginalizzata politicamente, economicamente e socialmente. Saad Hariri, figlio di Rafiq e suo erede politico, ha dimostrato di non avere il carisma e le capacità del padre; ha perso credibilità nel confronto dialettico e fisico 2 con Hizballah, attore ormai determinante nell’agone politico nazionale. L’assenza di una leadership forte e rappresentativa ha internamente acuito un’impressione di smarrimento, in un quadro di preoccupante crisi socio-economica, ove l’incapa- cità del nuovo leader di assicurare servizi 3 ha alimentato un senso di ingiustizia e abbandono, che ha poi trovato conforto nell’idea che i Sunniti fossero bersagli di un’iniqua discriminazione settaria. La rappresentanza politica sunnita —un tempo monopolio indiscusso degli Hariri— si è così frammentata, creando spa- zio per l’inedita emersione di nuovi contendenti, che, mediante il dispiegamen- to di retoriche populisticamente securitarie e religiosamente tinteggiate, hanno cercato di capitalizzare politicamente il rabbioso risentimento diretto e contro gli Sciiti e contro una leadership comunitaria giudicata troppo debole e incon- cludente.

Il presente contributo si interroga sulla possibilità di impiegare il populismo

—con i dovuti adattamenti ad un contesto distinto da quello in cui tale categoria è nata (si parlerà di populismo comunitario)— come innovativa chiave di lettura delle dinamiche politiche attualmente in corso nella comunità sunnita libanese.

Si farà, in particolare, riferimento al quinquennio 2011-2016 per ritracciare le radici di importanti cambiamenti occorsi negli equilibri intracomunitari.

L’adozione di una declinazione particolare di populismo —quella, cioè, di repertorio stilistico— consente di insistere sulla correlazione esistente tra il con- testo e lo scopo dell’atto comunicativo, e il significato conferito a “significanti vuoti” 4 come “popolo” ed “élite”. Tale impostazione tiene, pertanto, unite una dimensione macro, legata ai processi di strumentalizzazione messi in atto dalle élites, e una micro, radicata nell’importanza che in tali processi riveste la per- cezione del pubblico. All’interno della comunità sunnita libanese, il repertorio populista è dispiegato sia da attori facenti parte dell’establishment politico tra-

1 Si ricordi che all’indomani della Rivoluzione dei Cedri (2005) il confronto politico si svilupperà secondo uno schema bipolare attorno a due coalizioni politiche: quella dell’8 marzo (gli sciiti di Hizbal- lah, Amal e il cristiano Free Patriotic Movement) e quella del 14 marzo (forze sunnite, le cristiane Forze Libanesi e i drusi del Partito Socialista Progressista). Tre i controversi temi di rottura: il disarmo di Hizballah, il ritiro siriano e l’avvio di un’inchiesta sull’uccisione di Hariri.

2 Si allude qui, in particolare, a tre episodi cruciali in cui la forza degli Sciiti ha impietosamente messo a nudo la vulnerabilità sunnita: la guerra contro Israele del 2006, l’assedio di West Beirut del 2008 e la caduta del governo Hariri nel 2009 con il conseguente esilio autoimposto, che lo porterà per cinque anni lontano dal Paese con pessime conseguenze.

3 La fornitura di welfare rappresenta, a fronte di uno Stato che ha abdicato alla sua funzione di distributore, un canale di produzione e riproduzione delle identità comunitarie, nonché il cardine di un sistema di dipendenza clientelare sul quale si fondano le volatili fortune politiche.

4 Cfr. Laclau, 2008. Un significante vuoto è un “contenitore” generico e neutrale, di per sé privo di significato, che dà nome ad una totalità che non esiste oggettivamente, ma è sempre costruita di- scorsivamente.

(4)

dizionale sunnita sia da rivali interni che, rompendo il monopolio della rappre- sentanza politica, alimentano uno scontro intestino volto all’acquisizione della leadership e, quindi, del controllo della comunità. Al tempo stesso, la diffusa percezione di insicurezza e il conseguente stato di paura, esperiti dalla comunità sunnita nel quotidiano, ne hanno influenzato il comportamento politico, incen- tivando un ricorso a retoriche populiste e securitarie, che, alimentando il senso di minaccia, hanno al contempo incrementato il bisogno percepito di protezio- ne, che fonda il successo politico di coloro che si presentano come “protettori”

di una comunità. L’articolo si ripropone, dunque, di promuovere un approccio eclettico, che attinga alle tradizioni provenienti da vari repertori teorici. All’in- terno del dibattito sviluppatosi attorno al concetto di populismo, si affronterà il tema del peculiare rapporto tra populismo e religione per poi allargare lo spettro di analisi alla securitisation theory 5 includendo anche alcuni spunti provenienti dall’ambito della psicologia sociale. Tale ampliamento consente di spostare il focus analitico dalle intenzioni e moventi che animano le scelte degli attori po- pulisti alla costruzione di senso e all’iter retorico attraverso il quale le identità sono prodotte, riprodotte e securitizzate. La religione è stata, quindi, indagata come variabile potenzialmente vincente nella costruzione di una securitisation di successo.

2. Framework teorico

All’interno del vasto e controverso dibattito sul populismo 6, si è deciso di abbracciare l’idea di populismo come repertorio stilistico 7, cui gli attori politici possono costantemente attingere. Tale definizione rende, infatti, possibile rico- struire le diverse gradazioni e variazioni che la politica di stampo populista può assumere in contesti e con finalità diversi 8. Mediante processi comunicativi, gli attori populisti cercano di costruire la comunità, compattandola attorno al senso di appartenenza ad un gruppo positivamente connotato e serrandola rispetto agli out-groups. A tal proposito risulta cruciale la critica mossa da Brubaker a Mudde 9. L’essenza oppositiva del popolo, infatti, non si qualifica soltanto in sen-

5 Il concetto di securitisation, cardine della cosiddetta Scuola di Copenaghen, si riferisce al pro- cesso attraverso il quale problemi concernenti la sicurezza vengono costruiti da attori che posizionano discorsivamente qualcosa (l’oggetto referente) in una condizione di minaccia esistenziale e dunque rivendicano il diritto all’impiego di misure extra-ordinarie per difenderne la sopravvivenza. Attraverso tale atto discorsivo (che ha poi implicazioni politiche e strategiche), la sicurezza assume una forma retorica peculiare, intersoggettiva: un oggetto referente viene incasellato in una condizione di minaccia e di lotta per la sopravvivenza; la minaccia allogena ha rapidità e sufficiente drammaticità per poter rendere credibile l’idea che si sia giunti ad un punto di non ritorno; la conseguenza: tale questione non può essere relegata nella politica ordinaria, perché rappresenta una minaccia all’esistenza stessa della comunità. Affinché la securitisation abbia successo è, tuttavia, necessario che il pubblico a cui si rivolge condivida queste stesse percezioni e accetti l’attivazione di strumenti extra-ordinari. Sul tema si veda:

Buzan, Wæver-de Wilde, 1998; Laustsen-Wæver, 2000.

6 A tal proposito, per un’esaustiva e puntuale fotografia dell’attuale stato dell’arte si veda Gi- dron-Bonikowski, 2013.

7 Brubaker, 2017: 360.

8 Gidron-Bonikowski, 2013.

9 Brubaker, 2017: 363.

(5)

so verticale, nella sua contrapposizione all’élite, ma delinea uno sviluppo anche orizzontale di veemente distinzione da un’alterità demonizzata e dipinta come pericolosa minaccia all’esistenza stessa della comunità/popolo.

La sensazione di una crisi imminente e di uno scontro —per così dire— vitale è al centro di quello che Brubaker definisce protezionismo populista 10: attraver- so il dispiegamento di una retorica della “crisi”, gli attori populisti drammatizza- no —e, spesso, distorcono— le minacce dalle quali offrono protezione e, quando occupano le sedi del potere, esagerano le risposte a tale crisi.

Quest’ultimo aspetto risulta essere particolarmente significativo nel contesto libanese. Uno dei pochi autori ad aver applicato il concetto di populismo a tale realtà è Imad Salamey, che analizza l’impatto ambiguo e, ad ogni modo, anti- tetico rispetto al processo di democratizzazione che il populismo ha avuto sui percorsi di nation-building in società costitutivamente divise, come il Libano 11. L’esperienza consociativa libanese ha, infatti, permesso l’emersione di movimenti populisti di carattere settario, portatori di distinte nozioni di appartenenza. La cornice politica e istituzionale del Paese ci svela una forma di populismo unica, che potremmo definire comunitaria. Se, generalmente, il repertorio populista insiste sull’idea di Nazione, nel caso libanese esso attiene unicamente alla di- mensione delle singole comunità. Del resto è difficile parlare di un nazionalismo propriamente libanese, dal momento che, storicamente, le identità comunitarie hanno inibito l’affermazione di un’unica identità nazionale 12. I movimenti popu- listi libanesi si distinguono, dunque, per strutturarsi attorno ad interessi e riven- dicazioni squisitamente comunitari. La loro attitudine verso lo Stato è pertanto mutevole e dipende dalle capacità di controllo delle sue risorse 13.

All’interno della compagine sunnita l’adozione di retoriche populiste incen- trate sull’urgenza della crisi sunnita e connotate religiosamente nelle loro forti istanze anti-sciite sembra essere finalizzata all’ottenimento o al consolidamento del potere e del controllo sulla comunità. Del resto, quando l’identità religiosa (l’essere sunniti o sciiti) viene a definirsi attraverso comportamenti propriamente politici —tanto da opacizzare le frontiere tra un campo meramente politico e uno intimamente religioso— le élites politiche o aspiranti tali hanno un incen- tivo non solo ad enfatizzare le proprie credenziali spirituali, ma anche a costru- ire discorsivamente una minaccia e un senso di insicurezza a partire proprio da connotati religiosi. La mobilitazione di un discorso connotato religiosamente è, perciò, parte integrante di questa forma di populismo.

Nonostante siano recentemente apparsi contributi significativi in questa direzione, l’affinità tra populismo e religione rimane significativamente sotto studiata. Gli studi sin qui prodotti hanno riguardato soprattutto il contesto oc-

10 Ivi: 366.

11 Salamey-Tabar, 2012. Salamey si occupa anche di Iraq, Sudan e Yemen.

12 La “libanesità” passa anche attraverso l’accettazione della complessità della questione identita- ria, che implica una costante negoziazione tra più livelli di appartenenza (quello confessionale, quello nazionale e quello sovranazionale). Si veda a tal proposito Nammour, 2007.

13 Salamey-Tabar, 2012: 500-501. Il “populismo comunitario” rafforza, dunque, le singole comu- nità nel loro scontro di potere e contribuisce, al tempo stesso, a creare un meccanismo di equilibrio che impedisce l’emergere di un’autorità statale autonoma dominante.

(6)

cidentale ed enfatizzato la logica strumentalmente utilitaria che vi sottendereb- be 14. Altre analisi hanno, invece, sottolineato l’importanza del fattore culturale nel successo popolare di tali narrative 15. «Religious symbolism, tropes and ap- peals are avai lable to populists as a part of ‘the cultural toolkit’ and allow them to engage in meaning-making (concerning the nation, the community, the state), construct a specific collective identity and evoke collective memory» 16. Le istanze populiste vengono spesso presentate, dunque, attraverso argomenti, immagini e metafore religiose che hanno come conseguenza la santificazione della cau- sa nel nome della quale si combatte. Il “populismo religioso” va, pertanto, a coprire un’area fenomenologica che combina una rivitalizzazione religiosa con l’attivismo politico e sociale, con la crisi identitaria legata alla modernità e la crescente disillusione e resistenza verso quest’ultima e le attuali regole del gioco dominanti 17. L’uso specifico che viene fatto dell’evocativo concetto di giustizia sociale è, per esempio, secondo Priego un elemento che legittima la possibili- tà di parlare di un populismo propriamente islamico 18. Pur nell’assenza di un corpus teorico strutturato concernente lo studio del rapporto tra populismo e Islam 19, Priego individua quattro punti di contatto: i continui riferimenti a per- sonaggi storico-religiosi (in primis Muhammad), ormai assurti ad un rango di intoccabilità; la conseguente mitizzazione di un modello di società passata alla quale si desidera ritornare; la costruzione del concetto di popolo e di comunità di puri attraverso l’ideale della Oumma e infine, come anticipato, l’idea di una mobilitazione sociale dal basso che trova nella carica morale del concetto di giustizia sociale un elemento di grande forza 20. Quando le espressioni religiose sono vigorosamente artefici dei sentimenti di appartenenza e della percezione di moralità oltre che di dovere, esse sono prontamente evocate nella costruzione delle qualità assolute del “popolo” 21. La religione rappresenta prima di tutto un marcatore identitario il cui ruolo è primariamente negativo: attraverso di essa si costruisce quel senso di distinzione ed unicità che è proprio del popolo populista 22. Il sentimento di appartenenza e superiore moralità che la religione alimenta può essere creativamente utilizzato dai populisti nella loro chiamata alla resistenza verso l’Altro, la cui sola esistenza rappresenta una minaccia all’in- tegrità comunitaria.

In questo quadro, il riferimento alla securitisation theory consente di coniuga- re l’interesse per la politica di potenza —implicata, inevitabilmente, in contesti di produzione populistica di rivendicazioni settarie— e l’attenzione rivolta ai processi di costruzione sociale all’interno dei quali le identità settarie vengono

14 Brubaker, 2017a; Roy, 2016.

15 DeHanas-Shterin, 2018. Proprio questi autori recuperano il concetto durkheimiano di “sacro”

per sottolineare come il populismo religioso costruisca un’immagine del mondo politico che asseconda una logica binaria di lotta metaforica del sacro contro il profano.

16 Yabanci, 2020: 94.

17 Apahideanu, 2014; Yates, 2007.

18 Priego, 2018.

19 Si ricordi tuttavia lo studio di Hadiz sul caso indonesiano, in cui si afferma che l’Islam può fornire ai politici populisti una «cultural resource pool». Vedi Hadiz, 2014.

20 Priego, 2018.

21 Colaianni, 2019.

22 DeHanas-Shterin, 2018.

(7)

attivate e discorsivamente incorniciate come minacce alla sicurezza 23. Nella teo- ria classica il concetto centrale di identità è strettamente collegato ai processi di State-formation europei e, dunque, poggia sulla nozione di Nazione e di appar- tenenza ad una comunità nazionale 24. Nell’ambito mediorientale, d’altro canto, l’adozione di toni settari da parte di élites politiche e non insiste sulla securitisa- tion di un’identità che è primariamente concepita come comunitaria e religiosa.

Il processo securitizzante raggiunge così una particolare intensità e diffusione quando la comunità sente che è la propria fede ad essere minacciata. Sebbene l’articolo pionieristico di Laustsen e Wæver 25 abbia negli anni ricevuto molte cri- tiche 26, esso rivela un’intuizione brillante: essendo la religione qualcosa di molto radicato e intimamente potente, il suo dispiegamento in chiave securitaria può tradursi in una maggiore probabilità di successo del processo di securitisation.

«A successful macrosecuritisation depends not on power but more on the existence of shared fundamental values/principles, shared threat perceptions and ‘on the con- struction of higher level referent objects capable of appealing to, and mobilizing, the identity politics of a range of actors within the system’» 27. Un approccio esaustivo al fenomeno deve, dunque, dirigersi verso l’analisi del pubblico, a cui l’atto di securitisation si rivolge, e del suo orientamento psico-culturale. Si impone, per- tanto, la necessità di sviluppare un’analisi anche a livello micro, attingendo agli stimoli offerti dalla psicologia sociale 28 che rivela quanto la percezione di una mi- naccia sia un fattore estremamente rilevante nel determinare il sostegno politico.

Una sensazione diffusa di crescente paura generalmente implica una maggiore probabilità di ricorso alla securitisation, facilitandone la possibilità di successo.

Vi è dunque un incentivo, in condizioni di crisi generalizzata, da parte dei leaders politici o aspiranti tali, ad impiegare discorsi populistici, che, drammatizzando l’entità delle minacce poste alla comunità —magari costruendo una securisation che ha come oggetto referente la fede stessa— accrescono il bisogno percepito di protezione. Il dispiegamento di tale narrativa alimenta quello stesso senso di paura e timore che fonda il successo politico dei “protettori”. L’aspetto vincente di tale strategia discorsiva risiede, dunque, nella creazione di un meccanismo vizioso che nel panorama sunnita libanese ha trovato piena attuazione; qui, nuovi attori politici hanno saputo sapientemente cavalcare un diffuso sentimento di rabbia e frustrazione, prodotto di una crisi multilivello che ha investito l’intera comunità. Paura e insicurezza mostrano così il loro enorme potenziale politico.

3. Populismi sunniti nel Paese dei Cedri

La comunità sunnita libanese è protagonista di una fase di declino genera- lizzato, il cui lungo processo di gestazione trova nei traumatici e rivoluzionari eventi del 2005 —l’uccisione di Rafiq Hariri e l’ufficiale e definitivo ritiro delle

23 Malmvig, 2015.

24 Darwich-Fakhoury, 2016.

25 Laustsen-Wæver, 2000.

26 Sheikh, 2014.

27 Ivi, 2014: 270.

28 Cammett-Kruszewska, 2017; Cammett, 2019.

(8)

truppe siriane— un roboante principio. Orfana del suo leader e preoccupata per l’inettitudine del suo erede e la contemporanea ascesa degli Sciiti di Hizballah, la comunità ha gradualmente sviluppato un parossistico senso di vittimizzazione e frustrazione, che alimenta una costante percezione di insicurezza e paura 29.

All’interno di un quadro di crescente polarizzazione politica e nell’assenza di una causa militante positiva che plasmasse una nuova identità sunnita, l’opposi- zione al regime siriano di Bashar al-Assad e la crescente rancorosa ostilità verso gli Sciiti e Hizballah hanno rappresentato l’unico trait d’union che connettesse le eterogenee anime che popolavano la coalizione del 14 marzo 30. Il giovane e inesperto Saad Hariri non solo non riesce ad individuare una causa militante e ad incontrare le sfide del Libano post-protettorato siriano, ma politicamente colleziona scelte che lo indeboliscono e ne minano la legittimità. Episodi come l’assedio di West Beirut nel 2008 e la crisi istituzionale del 2011 31 contribuivano a rafforzare nel popolo sunnita un senso di alienazione e impotenza, acuito dalla perspicua assenza di una leadership forte e rappresentativa.

L’incerta e sfibrata direzione di Saad non solo permetteva l’emersione di pre- dicatori e sheikhs della strada —dei quali egli cercherà ambiguamente l’appog- gio, adottando un insidioso doppio registro che porterà ad una revisione dei confini ideologici stessi del Sunnismo, sempre più lontano dalla moderazione e dal pragmatismo dell’Harirismo del padre 32—, ma prestava il fianco ad una preoccupante competizione intestina proveniente dalle élites sunnite stesse. Il monopolio della rappresentanza politica, un tempo nelle mani di Hariri, si erode pertanto di fronte all’emersione di nuovi contendenti populisti che, mobilitando una retorica veementemente anti-sciita e frontalmente oppositiva rispetto alle élites tradizionalmente al potere, cercano di capitalizzare politicamente quei sen- timenti di frustrazione e smarrimento provati da una popolazione desiderosa di un leader forte, capace di proteggere gli interessi sunniti e restaurare il giusto ruolo che, a loro avviso, la comunità avrebbe dovuto rivestire nel Paese.

A partire dal 2012, infatti, un gruppo di politici sunniti, interno al blocco parlamentare del Future Movement e legato alle regioni di Tripoli e dell’Akkar, iniziò ad esternare il proprio disappunto in merito alle scelte politiche operate da Hariri 33. Pur non istituzionalizzandosi in un movimento indipendente, questi andarono progressivamente a costituire un blocco distinto, che potrebbe rientra- re nella categoria di populismo come sopra definita. Essi si configuravano come

“confessionali”, nella loro insistente richiesta di “Sunnis Rights” e nei loro toni violentemente anti-sciiti.

Tra il 2012 e il 2016 si consuma una vera e propria rottura con Hariri sulla questione delle Lebanese Armed Forces (LAF), divenute oggetto di una feroce polemica interna alla scena politica sunnita. La spinosa questione dei rapporti tra esercito e civili —esasperatasi a seguito di episodi controversi collezionatisi

29 Meier-Di Peri, 2017.

30 Gade, 2012.

31 Saouli, 2017.

32 Meier-Di Peri, 2017.

33 Gade-Moussa, 2017.

(9)

a partire dal 2011— fu da essi trasformata in un affaire sunnita, cavalcando la diffusa sensazione che la comunità fosse vittima di un trattamento persecuto- rio 34. L’applicazione di un presunto doppio standard di trattamento che pre- miava gli Sciiti, discriminando i Sunniti, veniva sbandierata dai populisti come la prova evidente della complicità dell’esercito nei presunti piani egemonici di Hizballah. In particolare, il sostegno accordato al regime di Assad dal “partito di Dio” in occasione della guerra siriana fu da essi presentato come una con- ferma dell’esistenza di un progetto sciita volto a soggiogare i rivali sunniti per poi imporsi come potere dominante anche in Libano. Parte integrante di questa narrativa fu il continuo riferimento alla cosiddetta teoria della cospirazione, se- condo la quale l’esercito avrebbe collaborato concretamente alla realizzazione di tale disegno 35.

Dopo il 2011 (anno dello scoppio delle rivolte della cosiddetta “Primavera Araba”), del resto, il settarismo diventa, a tutti gli effetti, una risorsa di potere essenziale sia per i politici tradizionali “laici” sia per gli islamisti; l’opposizione a Hizballah è, infatti, il principale motore mobilitante nella Sunni street 36, dove i politici populisti costruiscono una vera e propria campagna di demonizzazione del “partito di Dio” 37.

Artefici indiscussi di tale gogna mediatica furono i deputati Muin Merhabi, definitosi “uomo della strada” portatore delle istanze del vero popolo del Nord, e Khaled Daher, ovvero colui che guadagnò maggiormente da un punto di vista politico (e, a ben guardare, anche economico) dalla crisi siriana.

Alle polemiche inerenti all’esercito, nelle quali fu agitato anche lo spettro della diserzione “indotta” dei soldati sunniti 38, si aggiunsero, poi, altre campagne politiche ostentatamente settarie, quali, ad esempio, la disputa sulla rimozione delle bandiere islamiche dagli spazi pubblici, denunciata come una misura ma- nifestamente “anti sunnita” 39. Daher strumentalizzò la vicenda, promuovendo una retorica della crisi che alimentava la percezione di una incombente minaccia rivolta e al popolo sunnita e alla fede sunnita stessa.

34 Gade-Moussa, 2017.

35 Al-Mawla, 2015.

36 Gade, 2017; Knudsen, 2019.

37 Salloukh, 2017; Saouli, 2017. Il confitto siriano, in particolare, ha cristallizzato e sclerotizzato le contraddizioni interne alla comunità sunnita, confermando la debolezza di Hariri e la parallela forte presenza dei populisti, tra i più attivi sul campo nel sostegno (pubblicamente esibito) al popolo siriano.

38 Gade-Moussa, 2017. Si ricordi che l’esercito libanese riflette, nel suo assetto, la natura multi- confessionale del Paese e la composizione settaria del governo. Come si è avuto modo di accennare, i rapporti tra la comunità sunnita e le LAF si inasprirono sensibilmente a partire dal 2011. Il contesto di acuta polarizzazione politica e instabilità, che caratterizzò quegli anni, rese doveroso per Hariri ribadire il proprio incondizionato supporto all’esercito, nel tentativo di limitare il rischio di possibili diserzioni sunnite. Una frattura nelle LAF avrebbe portato, infatti, il Paese sull’orlo di una guerra civile. D’altro canto, i populisti adottarono una linea meno responsabile. In particolare, si fa qui riferi- mento alle dichiarazioni di Daher a seguito dell’incidente del 2012, in cui due religiosi sunniti furono uccisi presso un posto di blocco. In tale occasione, egli affermò che qualora tali episodi si fossero nuovamente ripetuti, egli avrebbe fatto appello ai Sunniti nel Nord affinché si dimettessero dai loro incarichi nell’esercito.

39 Si veda: http://yalibnan.com/2015/02/11/daher-suspends-political-alliance-after-christian-symbo- lism-outrage-in-lebanon/ (accesso Luglio 2021).

(10)

Sebbene Merhabi e Daher fossero, non casualmente, molto popolari nel Nord del Paese —una delle aree più povere e dimenticate dallo Stato centrale—

non riuscirono comunque ad affermarsi a livello nazionale, dove occorrevano una maggiore organizzazione, networks e, soprattutto, molto denaro 40.

Rivale populista di ben più alta caratura era Ashraf Rifi. Dopo una lunga e onorata carriera all’interno delle Internal Security Forces 41, tra il 2014 e il 2016 era stato scelto come Ministro della Giustizia del governo di unità nazionale presieduto da Tammam Salam; da Ministro, Rifi aveva progressivamente assunto un posizionamento sempre più indipendente, criticando duramente l’influenza di Hizballah sullo Stato e le troppo morbide scelte politiche di Hariri. Si dimise nel febbraio 2016 denunciando la progressiva infiltrazione sciita degli ambienti militari e reclamando la necessità di una posizione sunnita più intransigente al riguardo 42. Rifi guadagnò un’enorme popolarità per la sua netta opposizione al

“partito di Dio”; ma, pur dispiegando slogan evidentemente settari —che non raggiungeranno mai, tuttavia, la drammatica teatralità di Daher—, egli imperso- nava una corrente di Sunnismo politico laico, che si batteva per i “Sunnis rights”

in maniera non dissimile dalla strategia politica adottata dalle comunità minori- tarie che tradizionalmente avevano abitato l’agone politico libanese 43.

Quando si presentò, nel giugno del 2016, alle elezioni municipali nel Nord del Libano, Rifi era già un astro nascente della scena politica sunnita e incarnava il desiderio di un uomo forte che riscattasse l’immagine della città di Tripoli e reclamasse il giusto ruolo che i Sunniti dovevano avere nel futuro del Paese. La sua città natale fu tappezzata di manifesti che recitavano: «Ashraf Rifi: The city needs someone like you!» 44. La lista da lui sostenuta ottenne una schiacciante vit- toria (vinse, di fatto, 18 seggi su 24) contro una coalizione di notabili che riuniva Miqati, Safadi, Karami insieme allo stesso Hariri. Il suo slogan “Beware of the anger” toccava corde profonde, evocando un sentimento molto potente soprat- tutto tra quegli elettori ormai disillusi, allontanatasi da un partito che sembrava svendersi, dimenticando i suoi stessi valori e principi fondanti.

4. Conclusioni

La panoramica proposta rivela lo svilupparsi, in seno alla comunità sun- nita libanese, di inedite tendenze, le cui implicazioni future devono, tuttavia, essere ancora tracciate. All’interno del Sunnismo libanese, assistiamo oggi ad

40 Gade-Moussa, 2017.

41 Lo Stato libanese ha due corpi di sicurezza: le Lebanese Armed Forces (LAF) e le Internal Security Forces (ISF). Questi si caratterizzano per un elevato grado di frammentazione interna, spec- chio di distinte e confliggenti lealtà politiche. In particolare, dopo il ritiro israeliano del 2000, l’aspra rivalità tra il Presidente cristiano Lahoud e l’allora Primo Ministro sunnita Rafiq Hariri si tradusse in un reclutamento selettivo del personale, che rese le ISF —addestrate ed equipaggiate da Francia e USA e composte quasi unicamente da Sunniti— una diretta emanazione del Primo Ministro sunnita.

Gade-Moussa, 2017.

42 Gade-Moussa, 2017; Knudsen, 2019.

43 Gade, 2017.

44 Knudsen, 2017.

(11)

una dura competizione volta all’ottenimento del controllo egemonico di una comunità disorientata, affetta da un profondo complesso di inferiorità e vitti- mismo e da una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni e delle élites tradizionali al potere. Il sostegno popolare si è allontanato dai politici tradizio- nali per approdare a “leaders di strada” populisti, che hanno abilmente mobi- litato l’argomento settario per farne uno strumento per convogliare la rabbia.

L’amalgama di frammentazione intestina e diffusa percezione di alienazione e insicurezza ha eroso il monopolio haririano della rappresentanza politica e ha reso appetibile per tutti gli attori coinvolti —élites politiche tradizionali e nuovi contendenti— il ricorso ad un populismo connotato religiosamente. I populi- sti, traendo profitto politico (e, talvolta, economico) da un contesto di crisi, hanno replicato, attraverso le loro violente invettive, la rabbia che animava la Sunni Street, parlando alla pancia dei più frustrati e disillusi (non è un caso che il loro successo politico abbia trovato radici proprio nel Nord, una delle aree più povere del Paese).

Nei discorsi da loro promossi affiora nitidamente la compresenza delle due dimensioni costitutive dell’identità di popolo. È onnipresente l’antagonismo nei confronti di una élite, considerata lontana dai sentimenti del popolo e viziata da un’intima corruzione, che la rende valorialmente inferiore rispetto alla presun- ta purezza della comunità. Pur costruendo una retorica che cavalca la diffusa disaffezione popolare nei confronti della politica e delle istituzioni dello Stato, giudicate sorde di fronte alle richieste sunnite, la più dura critica è, tuttavia, riservata proprio allo stesso Hariri, la cui legittimità come leader comunitario è costantemente contestata e messa in dubbio. La sua inazione di fronte alle ingiu- stizie e provocazioni subite è oggi percepita come un fattore di indebolimento della comunità, che ha privato i Sunniti di forza e onore, trasformandoli in com- parse prive di rispettabilità. Al tempo stesso, la dimensione orizzontale di tale identità si sviluppa attraverso la virulenta distinzione da un’Alterità demonizzata e presentata come pericolosa minaccia all’esistenza del popolo stesso. L’anti-sci- ismo —a ben vedere— non concerne una dimensione dottrinale, ma illumina, anzitutto, la logica protezionista di tale populismo: il popolo e la fede sunnita diventano, infatti, l’oggetto referente di un processo di securitisation in cui l’Al- tro sciita viene securitizzato. La sensazione di crisi imminente implica l’urgenza dell’agire e la necessità di un uomo forte che riscatti la comunità e la salvi da un destino di oblio e perdizione.

Bibliografia

Al-Mawla, S. (2015). Salafis in Lebanon: New Manifestations of a Movement. Policy Ana- lysis, Doha, Arab Center for Research and Policy Studies.

Apahideanu, I. (2014). Religious populism: the coup de grâce to secularisation theories,

«South-East European Journal of Political Science», II (1-2): 71-100.

Brubaker, R. (2017). Why populism?, «Theory and Society», 46: 357-385.

— (2017a). Between Nationalism and Civilizationism, «Ethnic and Racial Studies», 40 (8): 1191-1226.

Buzan, B., Wæver, O., de Wilde, J. (1998). Security: A New Framework for Analysis, Boulder, Lynne Rienner.

(12)

Cammett, M. (2019). Lebanon, The Sectarian Identity Test Tab, «The Century Founda- tion Policy Report», https://tcf.org/content/report/lebanon-sectarian-identity-test-lab/

(accessed October 2020).

Cammett, M., Kruszewska, D. (2017). Fear and Politics in Divided Societies: Assessing the Foundations of Political Behavior in Lebanon, Pre-Analysis Plan, retrieved from osf.io/3862v.

Colaianni, N. (2019). Populismo, religioni, diritto, «Questione Giustizia», 1: 151-171.

Darwich, M., Fakhoury, T. (2016). Casting the other as an existential threat: The securi- tisation of sectarianism in the international relations of the Syria crisis, «Global Dis- course», 6 (4): 712-732.

DeHanas, D. N., Shterin, M. (2018). Religion and the rise of populism, «Religion, State &

Society», 46 (3): 177-185.

Gade, T. (2012). Tripoli (Lebanon) as a microcosm of the crisis of Sunnism in the Levant,

«British Middle East Studies Society (BRISMES) paper».

— (2017). Limiting violent spillover in civil wars: the paradoxes of Lebanese Sunni jihad- ism, 2011-2017, «Contemporary Arab Affairs», 10 (2): 187-206.

Gade, T., Moussa, N. (2017). The Lebanese Army After the Syrian Crisis: Alienating the Sunni Community?, in Knudsen, A. J., Gade, T. (eds.). Civil-Military Relations in Lebanon: Conflict, Cohesion and Confessionalism in a Divided Society, London, Palgrave Macmillan, 23-50.

Gidron, N., Bonikowski, B. (2013). Varieties of Populism: Literature Review and Research Agenda, «Harvard University Weatherhead Center Working Paper Series», 13.

Hadiz, R. (2014). A New Islamic Populism and the Contradictions of Development, «Jour- nal of Contemporary Asia», 44 (1): 125-143.

Knudsen, A. J. (2017). Patrolling a Proxy-War: Soldiers, Citizens and Zu’ama in Syria Street, Tripoli, in Knudsen, A. J., Gade, T. (eds.), Civil-Military Relations in Lebanon:

Conflict, Cohesion and Confessionalism in a Divided Society, London, Palgrave Mac- millan, 71-99.

— (2019). Sunnism, Salafism, Sheikism: Urban Pathways of Resistance in Sidon, Leba- non, «HYRES Research Note», Norwegian Institute of International Affairs (NUPI), Oslo.

Laclau, E. (2008). La ragione populista. Roma-Bari, Laterza.

Laustsen, C. B., Wæver, O. (2000). In Defence of Religion: Sacred Referent Objects for Securitization, «Millennium: Journal of International Studies», 29 (3): 705-739.

Malmvig, H. (2015). Coming in from the cold: How we may take sectarian identity poli- tics seriously in the Middle East without playing to the tunes of regional power elites, POMEPS Studies 16 - «International Relations Theory and a Changing Middle East», 32-36.

Meier, D., Di Peri, R. (2017). The Sunni Community in Lebanon: From “Harirism” to

“Sheikhism”?, in Meier D., Di Peri, R. (eds.), Lebanon Facing the Arab Uprisings.

Constraints and Adaptation, London, Palgrave Macmillan, 35-53.

Nammour, J. (2007). Les identités au Liban, entre complexité et perplexité, «Cités», 29 (1):

49-58.

Priego, A. (2018). El populismo islámico: una respuesta no occidental a la globalización,

«Revista CIDOB d’Afers Internacionals», 119: 161-184.

Roy, O. (2016). Beyond Populism, in Marzouki, N., McDonnell, D., Roy, O. (eds.), Saving the People, London, Hurst, 185-202.

Salamey, I., Tabar, P. (2012). Democratic transition and sectarian populism: the case of Lebanon, «Contemporary Arab Affairs», 5 (4): 497-512.

Salloukh, B. (2017). The Architecture of Sectarianization in Lebanon, in Hashemi, N., Postel, D. (eds.), Sectarianization. Mapping the New Politics of the Middle East, New York, Oxford University Press, 215-234.

(13)

Saouli, A. (2017). Lebanon’s Salafis: Opportunities and Constraints in a Divided Society, in Cavatorta, F., Merone, F. (eds.), Salafism after the Arab Awakening. Contending With People’s Power, London, Hurst & Company.

Sheikh, M. K. (2014). The Religious Challenge to Securitisation Theory, «Millennium - Journal of International Studies», 43 (1): 252-272.

Yabanci, B. (2020). Fuzzy Borders between Populism and Sacralized Politics: Mission, Leader, Community and Performance in ‘New’ Turkey, «Politics, Religion & Ideo- logy», 21 (1): 92-112.

Yates, J. J. (2007). The resurgence of jihad and the specter of religious populism, «SAIS Review of International Affairs», 27 (1): 127-144.

Zuquete, J. P. (2017). Populism and Religion, in Kaltwasser, C. R., Taggart, P., Espejo, P. O., Ostiguy, P. (eds.), The Oxford Handbook of Populism, Oxford University Press.

Riferimenti

Documenti correlati

Il secondo caso è quello in cui il rettangolo più piccolo è solo parzialmente contenuto in quello più grande: è abbastanza evidente che, quanto più esso è esterno, tanto minore è

Lo mondo è ben così tutto diserto d'ogne virtute, come tu mi sone, e di malizia gravido e coverto;.. ma priego che m'addite la cagione, sì ch'i' la veggia e ch'i' la

[r]

[r]

• Società libanese frammentata: cristiani, musulmani, al cui interno, maroniti, druzi, sciiti, questi ultimi erano la parte più povera della popolazione (Valle della Beqa’a).. Dopo

If you would like to participate to the training and/or partnering event, you should obligatory register also to FISA/EURADWASTE Conference HERE!..

Concorso pubblico per titoli ed esami per l'assunzione con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato di una unità di personale profilo di Funzionario - V livello

• L’alunno legge e comprende testi di vario tipo, continui e non continui, ne individua il senso globale e le informazioni principali, utilizzando strategie di lettura adeguate