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Revocatoria fallimentare e istituti di credito * * * MINIMASTER DI DIRITTO FALLIMENTARE

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Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bergamo

MINIMASTER DI

DIRITTO FALLIMENTARE

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Revocatoria fallimentare e istituti di credito

Intervento del 28 novembre 2011

Federico Clemente

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REVOCATORIA FALLIMENTARE E ISTITUTI DI CREDITO

L’innovativa riforma dell’istituto della revocatoria fallimentare, introdotta dal D.L. 35/2005, le modifiche apportate con il D. Lgs. 169/2007, l’ampio dibattito dottrinale sviluppatosi e le prime pronunce giurisprudenziali concernenti il nuovo impianto normativo offrono l’occasione per una panoramica delle problematiche e delle possibili soluzioni percorribili in tema di revocatorie, in sede di fallimento, agli istituti di credito.

Si richiamano le due modifiche normative introdotte sul tema nell’impianto normativo della legge fallimentare, ossia:

- il terzo comma dell’art. 67 l.f., a norma del quale “non sono soggetti all’azione revocatoria… b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”;

- il terzo comma dell’art. 70 l.f., a norma del quale “qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario…, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza, e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso”.

Le innovazioni qui richiamate vanno a modificare radicalmente il precedente quadro normativo e, soprattutto, il quadro applicativo che ne era scaturito.

Giova rammentare che l’approccio alle revocatorie al sistema bancario, prima dei richiamati interventi normativi, era saldamente radicato su un profilo interpretativo, vale a dire che erano ritenute revocabili tutte le rimesse pervenute nel periodo sospetto su un conto corrente scoperto (ossia passivo oltre il fido, ove concesso), nei limiti in cui tali rimesse avessero ricondotto l’esposizione del conto alla soglia di disponibilità per il correntista. Lo scoperto del conto, inoltre, secondo l’orientamento giurisprudenziale da ultimo radicato, veniva determinato sulla base del saldo disponibile.

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Si ritiene opportuno ripercorrere le differenti problematiche giuridiche e tecniche che caratterizzano il tema, in raccordo con le possibili interpretazioni e applicazioni conseguenti alla nuova normativa.

Il conto corrente

Contratto principe nei rapporti tra banca e cliente (non vi è pressoché nessun cliente di banca che non sia titolare di un rapporto di conto corrente), è peraltro dal punto di vista civilistico è un tipo di rapporto che trova la sua collocazione e configurazione di base (artt. 1823-1833). Il conto corrente, in base all’art. 1823 cod.civ., viene definito “il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto”. La definizione è al di fuori del corpo riservato ai contratti bancari, laddove vi è solo una sezione dedicata alle operazioni bancarie regolate in conto corrente (artt. 1852-1857).

L’impostazione codicistica ha dato corso a molteplici, diversificate interpretazioni in relazione alla definizione ed alla natura del contratto.

Lo sviluppo dottrinale si basa, nell’evoluzione più recente, su alcuni punti fermi.

Si muove dall’assunto secondo cui il codice civile non prevede il conto corrente bancario1 per statuire che il conto corrente bancario non è riconducibile al conto corrente ordinario. Conseguentemente, è esclusa la tipicità legale del contratto e la possibilità di ottenere una definizione giuridica dello stesso.

E’ stato quindi ritenuto che il conto corrente bancario sia un contratto autonomo, di tipo normativo, derivato dalla unione di prestazioni proprie di altri contratti, intorno ad una prestazione principale di mandato2.

In direzione non sostanzialmente dissimile è stato affermato3 che il conto corrente bancario sia un contratto innominato o misto, caratterizzato dal contratto bancario diretto a creare la disponibilità presso la banca a favore del cliente (es. apertura di

1 Liace, I contratti bancari, Padova, 2002, pag. 120; Ceccherini-Genghini, I contratti bancari nel codice civile, Milano, 2003, pag. 597; Silvetti, La banca: l’impresa e i contratti, Padova, 2001, pag. 477 e 479; sul tema anche, Tarzia, Il contratto di conto corrente bancario, Milano, 2001, pag. 70; Cavalli, Conto corrente bancario, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1989 pag. 1; Ferri, Conto corrente di corrispondenza, Enc. Dir., Milano, 1961, pag. 666; Caltabiano, Il conto corrente bancario, Padova,1967, pag. 89; Salanitro, Il conto corrente bancario, in Digesto, Discipline privatistiche, Torino, 1989, p.8

2 Molle, I contratti bancari, in Trattato dir. civ. econom., Milano, 1983, pag. 413; Fiorentino, Le operazioni bancarie, Napoli, 1964, pag. 221; Spinelli-Gentile, Diritto bancario, Padova, 1984, pag. 236; in giurisprudenza, Cass., 10 febbraio 1982 n. 815, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II, pag. 124

3 Pellegrino, Contratti bancari e procedure concorsuali, Padova, 2000, pag. 150; in forma di eventualità, Cavalli, Conto corrente, cit., pag. 2

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credito o deposito bancario) e dall’obbligo della banca di eseguire gli incarichi ricevuti dal cliente.

Secondo un’ulteriore corrente di pensiero, non si verte nell’ambito di un contratto unico a causa mista, ma si è innanzi ad una pluralità di contratti collegati sul piano funzionale, ma strutturalmente autonomi4.

Le pur autorevolissime posizioni dottrinali sopra richiamate non convincono, ad avviso di chi scrive, nell’escludere necessariamente una configurazione del conto corrente bancario più lineare, e immediatamente riconducibile alle disposizioni civilistiche del conto corrente ordinario, con le ulteriori specificazioni normative in termini di operazioni bancarie regolate in conto corrente.

Si considerino infatti le seguenti circostanze:

- il conto corrente ordinario, come accennato, costituisce una forma di regolamentazione tra le parti delle reciproche spettanze, derivanti da atti di diversificata natura;

- su tale conto quindi si annotano gli effetti, in termini di dare ed avere, di altri contratti tra le parti, contratti ben distinti dal contratto di conto corrente, e che non perdono la loro identità e la loro regolamentazione specifica per il solo fatto della annotazione del loro risvolto economico sul conto corrente (come confermato dall’art. 1827 cod. civ.)5;

- il saldo del conto corrente è esigibile alla scadenza stabilita.

Su questa schematica struttura, si innestano (ma non in via antitetica) le specifiche norme relative (come chiaramente indicato dall’art. 1852 cod. civ.) alle “operazioni regolate in conto corrente”.

Tali norme, che per l’appunto riguardano operazioni derivanti da differenti contratti intervenuti tra cliente e banca (quali, per menzione dello stesso art. 1852 cod. civ., il deposito o l’apertura di credito), non sostituiscono le norme sul conto corrente ordinario, ma anzi presuppongono la sussistenza di un contratto di conto corrente.

Tale contratto, in quanto di supporto alla regolamentazione di operazioni bancarie, viene ad assumere alcune specifiche (ulteriori) connotazioni di legge, ossia in particolare:

4 Ferri, conto corrente… cit., pag. 668

5 cfr. Cass., 26 ottobre 1968 n. 3572, in Banca, borsa e tit. credito, 1969, II, 1, con commento di Molle, Nota minima sul diritto della banca alla restituzione delle somme anticipate nel conto corrente bancario

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- il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme a suo credito, salva l’osservanza del termine eventualmente pattuito. Il che costituisce uno sviluppo di quanto contenuto nell’art. 1823 cod. civ., secondo cui il saldo del conto è esigibile alla scadenza stabilita, e può perfino portare ad una equivalenza (laddove la scadenza ex art.1823 sia prevista in spazi temporali ridotti, pari al termine di cui all’art. 1852 cod. civ.)6;

- la banca risponde secondo le regole del mandato per l’esecuzione di incarichi ricevuti dal correntista. Come è stato lucidamente evidenziato in dottrina7, il mandato è solo eventuale, in quanto il correntista può limitarsi a dare corso a depositi e prelevamenti eseguiti per cassa.

Il conto corrente bancario, in conclusione, può essere definito come un contratto di conto corrente ordinario nel quale, salvo patto contrario, il saldo a credito del correntista è a disposizione di quest’ultimo in qualsiasi momento8.

A conforto della tesi sviluppata, si consideri che la dottrina, nel giustificare l’estinzione automatica del conto corrente bancario in caso di fallimento, si rapporta al fatto che esso non è più in grado di perseguire il proprio scopo, ossia quello di liquidare per saldo ed a termine, anziché di volta in volta, i rapporti di credito e debito intercorrenti tra le parti (scopo tipico del conto corrente ordinario ex art. 1823 cod. civ.)9.

6 non così per Cass., 14 dicembre 1971, n. 3638, in Foro it., 1972, I, pag. 326, secondo cui il conto corrente di corrispondenza si distingue dal contratto di conto corrente perché quest’ultimo è caratterizzato dalla libertà e dalla reciprocità delle rimesse nonché dalla indisponibilità ed inesigibilità del saldo fino alla chiusura del conto, mentre nel primo, che ha per oggetto una prestazione della banca, a favore del cliente, di un servizio sostanzialmente corrispondente ad un servizio di cassa, il saldo è disponibile in ogni momento

7Tarzia, Il contratto di conto corrente bancario, Milano, 1990, pag. 162; Fiorentino, Conto corrente, cit., pag. 160

8 da registrare, per completezza, la posizione di Morelli, Materiali per una configurazione del conto corrente bancario come contratto legalmente tipico, in Giust. Civ., 1998, II, pag. 139, secondo cui il conto corrente bancario costituisce un contratto legale tipico, essendo le tre componenti essenziali del contratto - rapporto di provvista, attività gestoria, regolamento contabile - prefigurate e disciplinate negli art. 1852 e 1856 del codice civile.

9 Bonsignori, Il fallimento, in Trattato di diritto civile e commerciale, Padova, 1986, pag. 419; Ragusa Maggiore, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Le procedure concorsuali, Torino, 1997, pag. 295; Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1996. Si richiama anche, in giurisprudenza, Cass, 11 ottobre 1971, n. 2840, in Foro it., 1972, I, pag.

1321, secondo cui nel contratto di conto corrente bancario, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1823, 1827, 1831, 2697 del codice civile, la banca non può esigere il pagamento di singole voci del suo avere senza prima aver proceduto alla chiusura del conto e dimostrato l’esistenza di un saldo attivo a suo favore. La Suprema Corte, quindi, ritiene applicabili le norme basilari del conto corrente ordinario (ancorché non richiamate dall’art. 1857 cod. civ.) al conto corrente tra banca e cliente

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Le rimesse

Precisato quanto precede, il primo aspetto su cui cade l’accento è l’introduzione del concetto di rimessa nell’ambito della revocatoria bancaria.

Sotto un profilo strettamente concettuale, l’impostazione può apparire come una stortura, posto che la revocatoria, per quanto di specifico interesse, viene ad operare nel caso di pagamenti.

Il termine rimessa va ricondotto all’art. 1823 cod. civ., laddove si enuncia che “il conto corrente è il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in conto i crediti derivanti da reciproche rimesse…”. La rimessa, quindi, viene a costituire l’atto dal quale sorge il credito di ciascuna delle parti da annotare in conto corrente.

Come precisato in dottrina10, “la rimessa è tecnicamente un atto neutro, perché rappresenta l’accreditamento di una somma su un conto. Diviene revocabile quando costituisce un atto solutorio, cioè quando rappresenta un pagamento”.

A prescindere dalle pur comprensibili censure dottrinali circa l’uso di un termine, rimesse, che non conosce una definizione normativa, proprio in questa direzione pare muoversi l’orientamento del legislatore, ossia:

- la volontà di porre un freno allo sviluppo giurisprudenziale ante riforma, secondo cui le rimesse disposte dal correntista sul conto corrente, ossia tutti gli accreditamenti, potevano venire in considerazione quali “pagamenti” di un debito (con l’artificioso calmieramento costituito dalla distinzione tra conto scoperto e conto passivo, ossia negativo nei limiti dell’apertura di credito in conto corrente);

- l’intenzione di prendere in considerazione le rimesse nella loro accezione di pagamento, quando gli accrediti sul conto valgano a ridurre l’esposizione della banca.

Confortano l’assunto interpretativo i lavori della Commissione ministeriale per la riforma delle procedure concorsuali, dalla quale era stato approvato un testo che, senza specifico riferimento alle rimesse, in un primo momento esentava da revocatoria i pagamenti “compiuti nell’ambito di rapporti contrattuali continuativi per i

10Arato, La revocatoria delle rimesse bancarie nel “nuovo” art. 67 l. fall., in Il Fallimento, 2006, 853.

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quali siano provati la corretta esecuzione e il regolare andamento “, così da portare il regolare andamento del contratto quale discrimen per la revocabilità o meno delle rimesse11.

Di fatto, mentre l’andamento regolare del conto non lascia ipotizzare estremi per ipotesi di revocatoria, le rimesse assumono veste di pagamento, con valenza solutoria, quando escono dall’operatività ordinaria consentendo alla banca un riposizionamento della propria esposizione ad un livello inferiore12.

La soluzione prospettata si riavvicina alle prime, risalenti interpretazioni dottrinali13 e giurisprudenziali14 della normativa ante riforma, che riconducevano la revocabilità delle rimesse alla sola ipotesi di quelle pervenute dopo la chiusura del conto, in stretta aderenza alla qualificazione normativa del contratto di conto corrente.

Di fatto, anche, è una soluzione che si avvicina alla tesi per cui il sostanziale congelamento del rapporto di conto, anche in assenza di una sua cessazione formale o di una revoca espressa del fido, conduce alla revocabilità degli accrediti15 (revocabilità che ora viene “allargata”alle rimesse che, pur in presenza di un conto con una residua vitalità, abbiano ridotto l’esposizione in modo consistente e durevole).

11Guglielmucci, La nuova normativa sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Il Diritto fallimentare, 2005, I, 806

12Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Il Diritto fallimentare, 2006, I, 260, secondo cui il legislatore “ha dovuto chiarire, una volta per tutte, che le rimesse non sono pagamenti …. Per altro verso, però, è sembrato doveroso impedire che le banche possano approfittare della predetta immunità ...”; Trib. Udine, 24 febbraio 2011, in Il fallimento, 2011, 688, secondo cui è la riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca a conferire natura solutoria alle rimesse

13 Legnetti, Note sulle rimesse in conto corrente bancario e sull’art. 67, comma 2, legge fall., in Banca, Borsa, tit. cred., 1973, I, 88; Tacchini, Apertura di credito in conto corrente e attività cognitiva nell’ammissione del saldo al passivo del fallimento, in Mon. Trib., 1974, 270, secondo cui il versamento sul conto corrente da parte dell’accreditato non comporta l’inversione della disponibilità del denaro, tipica del pagamento, in quanto il correntista continua a disporre della liquidità versata sul conto corrente e non subisce una diminuzione patrimoniale.

14 App. Venezia, 10 giugno 1969, in Banca, Borsa, tit. cred., 1970, II, 428; Trib. Napoli, 16 febbraio 1966, in Foro It., Rep. 1966, voce Banca, n. 40; Cassazione, 12 gennaio 1971, n. 38, in Foro It., 1971, I, 378, secondo cui la banca, quando accredita ad un suo correntista la somma pervenutale dal debitore di costui, diviene debitrice del correntista accreditato e, inserendo il debito nel conto corrente, si opera una compensazione legale ex art. 1853 c.c. con il saldo a debito del correntista; analogamente, Cassazione, 15 dicembre1970, n. 2685, in Foro It., 1971, I, 2886, secondo cui le operazioni attive e passive di un conto corrente di corrispondenza non sono equiparabili a compensazioni convenzionali suscettibili di revocatoria.

15 Cassazione n. 3657/1984; Cassazione n. 26823/2007

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Conto scoperto e conto passivo

Come è noto la giurisprudenza, nell’impostazione ante riforma (fondata sulla revocabilità di tutte le rimesse “solutorie” nel periodo sospetto), aveva introdotto una distinzione tra conto scoperto e conto passivo, fissando come segnalato i seguenti concetti:

a. sono revocabili tutte le rimesse su conto corrente scoperto, e quindi che abbiano ridotto l’esposizione del correntista;

b. il conto corrente è da considerarsi scoperto quando la banca ne abbia consentito il passivo oltre i limiti del fido, e per la sola quota di passivo extra fido, ovvero quando il conto passivo non sia assistito da alcun affidamento (e quindi lo scoperto è pari al saldo negativo).

Il tutto, con la conseguenza che gli accrediti su conto corrente in presenza di affidamento sono revocabili nella misura in cui abbiano ridotto il passivo nei limiti del fido16.

Ci si pone la questione se la distinzione tra conto passivo e conto scoperto abbia ancora ragione di sussistere.

La dottrina maggioritaria, con cui si concorda, ritiene che venga meno l’importanza della eventuale apertura di credito e quindi la distinzione tra conto passivo e scoperto: “quello che conta ora è solo l’individuazione delle rimesse che hanno ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione debitoria del correntista”17.

D’altro canto, se la nuova disciplina (come poc’anzi affermato) che dichiara la regola generale della irrevocabilità delle rimesse si concentra su quelle sole che abbiano concretamente contribuito a ridurre l’esposizione del correntista assumendo per tale via la qualifica di pagamento, viene a perdere di significato la soglia dell’affidamento.

Tra le prime posizioni giurisprudenziali permane contrasto.

16Cfr. Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413, in Il fallimento, 1982, 1249 ss.

17Cfr. Arato, La revocatoria …,cit., 856; analogamente Silvestrini, La nuova disciplina della revocatoria delle rimesse su conto corrente bancario, in Il Fallimento, 2005, 847, secondo cui la oggettiva funzione solutoria o ripristinatoria può

“essere accertata soltanto ex post, con la conseguenza di revocare non soltanto gli accrediti che abbiano comportato un rientro dagli sconfinamenti, ma anche le rimesse che, seppur avvenute entro i limiti dell’apertura di credito, non siano state più seguite da successivi prelievi”;Guglielmucci, La nuova normativa sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Il diritto fallimentare, 2005, I, 805 ss.

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Un orientamento volge in questa direzione, attestando che la pregressa impostazione, poggiata sulla distinzione tra conto passivo e scoperto, “era coerente con lo sforzo di dover necessariamente inquadrare ex ante – per poter parlare di rimessa solutoria e quindi revocabile – ogni singola rimessa a credito nelle esposizioni di conto corrente bancario nello schema del pagamento, visto che il legislatore ante riforma non riconosceva espressamente la revocabilità delle rimesse bancarie...”18, attestando altresì che la riforma prevede la revocabilità di tutte quelle rimesse che, invece di essere utilizzate per espletare il servizio di intermediazione del pagamento, vengono utilizzate per ripianare rapporti tra correntista e banca.

Altre posizioni19 rinnovano, invero senza particolari motivazioni, l’impostazione per cui “rivestono natura solutoria soltanto le rimesse intervenute a conto corrente scoperto”20, ossia passivo oltre il fido.

Saldo contabile e saldo disponibile

Tra le elaborazioni interpretative retaggio della precedente normativa, vi è quella della individuazione dello scoperto di conto tra le possibili alternative del saldo contabile, del saldo per valuta e del saldo disponibile.

Dopo una serie di oscillazioni la giurisprudenza, in ciò confortata dalla dottrina, si è orientata per la scelta del saldo disponibile21 al fine di determinare l’esposizione giornaliera del conto corrente.

La nuova normativa, ad avviso di chi scrive, non comporta alcuna variazione sul punto cosicché, correttamente, si dovrà continuare a vagliare l’andamento del rapporto in base al saldo disponibile22.

18 Trib. Udine, 24 febbraio 2011, cit.

19 Trib. Milano, 25 maggio 2009, in Il fallimento, 2010, 602; Trib. Milano, 21 luglio 2009, in Il diritto fallimentare, 2010, II, 2

20 Trib. Milano, 21 luglio 2009, cit., il quale d’altra parte applica anche alle rimesse confluite sul conto anticipi, con impostazione non condivisibile, l’affidamento di cassa concesso sul conto ordinario

21 Cfr. Cassazione, 22 marzo 1994, n. 2744

22 Cfr. Rebecca, La nuova revocatoria delle rimesse in conto corrente, profili tecnico contabili, in Il Diritto fallimentare, 2006, I, 1223; Guglielmucci, La nuova normativa ….. , cit, 808; contra, Trib. Milano, 25 maggio 2009, cit.

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Rapporto tra l’art. 67, comma 3, lett. b) e l’art. 70, comma 3, l.f.

Estremamente complessa è la determinazione del rapporto tra l’art. 67, comma 3, lett.

b) e l’art. 70, comma 3, della legge fallimentare.

L’art. 67, infatti, come si è avuto modo di esaminare fissa la regola base della esclusione delle rimesse effettuate su conto corrente bancario, fatta esclusione per quelle che abbiano ridotto “in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”.

L’art. 70, invece, attesta che “quando la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario …. il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza, e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso”. Si rimanda all’esempio numerico in allegato.

La dottrina ha sviluppato diversificate ipotesi interpretative; le principali, pur con diverse sfumature, possono così essere sintetizzate:

a) la differenza di importi fissata dall’art. 70 l.f. coincide con la riduzione ex art. 67, terzo comma, lett. b).

A sostegno di tale assunto è stato osservato che l’art. 70 non dice che il terzo deve “al massimo” restituire la differenza ivi prevista, ma che tale differenza costituisce quanto deve essere restituito, cosicché l’art. 70 assume valenza di interpretazione autentica dell’art. 67 in tema di rimesse, nel senso che i versamenti seguiti da successivi prelievi non costituiscono rimesse revocabili perché non hanno ridotto in maniera durevole l’esposizione debitoria del fallimento23.

Inoltre, è stato sostenuto come sia da escludersi un principio di specialità tra le due norme (art. 70, norma generale, art. 67 norma speciale), in virtù della mancanza di diversità di disciplina tra le due norme, da intendersi come completamento l’una dell’altra, cosicché “ la riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria di cui fa parola l’art. 67, terzo comma, lett. b), legge fallimentare coincide in tutto e per tutto con la differenza tra l’ammontare massimo

23Arato, La revocatoria delle …, cit., in Il fallimento, 2006, 858.

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delle pretese della banca verso il fallito nel periodo in cui è provata la conoscenza dello stato di insolvenza … e il residuo delle stesse al momento in cui si è aperto il concorso”24.

Le rimesse, dunque, secondo questa linea interpretativa non vanno considerate in modo atomistico, ma come importo unico, coincidente con la somma algebrica ex art. 70 25.

b) l’art. 67 impone in primo luogo di individuare le rimesse revocabili (ossia quelle che abbiano ridotto in modo consistente e durevole il debito del correntista), la cui sommatoria non può in ogni caso superare il limite di cui all’art. 70 l.f. 26.

La seconda impostazione pare più convincente.

Argomentando per una lettura unitaria degli artt. 67 e 70 in tema di rimesse, infatti, perderebbe di significato la specificazione per cui le rimesse, per essere revocabili, devono aver ridotto in maniera “consistente e durevole” l’esposizione debitoria.

A nulla, infatti, nell’impostazione indicata servirebbe tale specificazione, mentre l’esegesi interpretativa porta in primo luogo a cercare di dare sempre un senso alla norma. Inoltre, l’impostazione in esame includerebbe nella possibilità di revoca, ad esempio, l’ipotesi di un conto corrente che abbia avuto nel periodo un andamento del tutto regolare, con rimesse e prelievi di modesto importo e in linea con l’operatività storica del rapporto, ma che abbia comunque conosciuto una riduzione dello scoperto, per effetto in ipotesi di una progressiva lieve differenza tra le rimesse e i prelievi, ovvero più semplicemente per una riduzione della attività d’impresa del correntista. L’ipotesi tracciata costituirebbe, ad avviso di chi scrive, una violazione dello spirito e delle finalità della norma, che invece evidentemente vuole mandare

24Farina, Alla ricerca delle rimesse revocabili: spunti critici per una riflessione sul nuovo art. 67, terzo comma, lett. b), l.

fall.; …

25 Castiello D’Antonio, La revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente e degli atti estintivi dei rapporti continuativi e reiterati in Il Diritto fallimentare, 2006, I, 645; Farina, Alla ricerca delle rimesse revocabili: spunti critici per una riflessione sul nuovo art. 67, terzo comma, lett. b), l. fall.”, cit., 233.

26 Patti, L’esenzione da revocatoria delle rimesse bancarie, in Il Fallimento, 2006, 238; Fortunato, La natura dell’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare, in La riforma della legge fallimentare, Milano, 2005, 7; Tarzia …; Trib.

Milano, 27 marzo 2008, in Il fallimento, 2008, 1213 ss.

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esenti da revocatoria i terzi che abbiano proseguito i rapporti con l’imprenditore secondo parametri di ordinaria operatività.

Inoltre, si osserva che la collocazione della disposizione limitativa (differenza tra massimo scoperto e credito residuo alla data di fallimento), posta nell’art. 70, rubricato “Effetti della revocazione”, non sia frutto di casualità o di errore, ma possa condurre ad una interpretazione che ponga la differenza contabile enunciata quale limite (massimo) dell’importo da restituire, per “effetto” della revocazione27.

In definitiva, una lettura che salvaguardi la significatività di entrambe le prescrizioni in commento (art. 67 e art. 70) può essere la seguente:

- devono essere colpite le sole, singole rimesse che abbiano ridotto in modo consistente e durevole il passivo del correntista, in quanto le stesse costituiscono espressione della volontà dell’istituto di credito di “rientrare”, ancorché a svantaggio degli altri creditori, per effetto della percepibile insolvenza del debitore;

- in ogni caso, l’entità di tali rimesse non può superare la somma algebrica di cui all’art. 70, terzo comma, poiché la lesione della “par condicio creditorum”

(o, se si preferisce, il vantaggio conseguito dall’istituto) non può essere superiore a tale importo.

Si è osservato28 che, ove l’importo azionato in revoca fosse inferiore al limite di cui all’art. 70, “si determinerebbe ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri creditori che hanno intrattenuto rapporti continuativi o reiterati”.

Tuttavia, non va dimenticato che per primo l’art. 67 fissa una regola di esclusione, annunciando il principio per cui le rimesse di norma non sono revocabili. Esclusione che potrebbe trovare motivo proprio nella considerazione di fondo, per cui il conto corrente non evidenzia di volta in volta un saldo netto a favore di una delle due parti, ma costituisce un conto di annotazione delle movimentazioni tra le parti, in attesa in una loro regolamentazione, rinviata alla chiusura del rapporto.

27Cfr, sul tema, Appello Firenze, 28 gennaio 2004, in Foro italiano, 2004 ,I, 1, 2845; Trib. Bolzano, 14 gennaio 2003, in Il Fallimento, 2003, 1221

28 Arato, I primi orientamenti sulla revocatoria delle rimesse bancarie dopo la riforma della legge fallimentare, il Il fallimento, 2008, 1219

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Si tratta pertanto di una fattispecie ben diversa da quella di altri rapporti “reiterati o continuati”, in cui non si tratta di rimesse, ma sempre e comunque di pagamenti29, senza l’esclusione di principio di cui all’art. 67.

Non va altresì dimenticato che l’art. 70, comma 3, in un primo momento non comprendeva apertis verbis i rapporti di conto corrente bancario, cosicché era stata avanzata l’ipotesi che a questi ultimi si applicasse solo l’art. 67, comma 3.

La successiva modifica, introdotta con il D.Lgs 169/2007, non può comportare una abrogazione implicita dell’art. 67, comma 3, lett. b), né si ritiene che possa valere come interpretazione autentica, ma costituisce un chiaro intento di potenziare ulteriormente il raggio di azione dell’esenzione per le rimesse previste dall’art. 67.

Riduzione consistente e durevole

Come si è potuto analizzare, per una corrente di pensiero (a quanto consta, predominante) le rimesse che riducono in modo consistente e durevole l’esposizione debitoria dell’imprenditore e di cui all’art. 67 l. f. sono da considerare in modo unitario, quale equivalenza con la differenza di cui all’art. 70 l.f.. In tale ipotesi, quindi, le singole rimesse non devono essere analizzate.

Volendo invece conservare un significato autonomo all’art. 67 l.f., necessita analizzare quando le rimesse, singolarmente considerate, abbiano comportato una riduzione “consistente e durevole”.

Indubbiamente, la terminologia utilizzata dal legislatore è indeterminata, si espone a molteplici possibili interpretazioni e lascia integralmente al cammino giurisprudenziale l’onere di trovare una applicazione pratica.

Molteplici sono le proposte dottrinali, tra cui si annoverano le seguenti:

- la consistenza va paramentata all’esposizione debitoria al momento della rimessa, mentre la riduzione durevole deve essere persistente e stabile 30;

29 mentre, come già sviluppato, la intenzione del legislatore nel caso di specie appare quella di parificare le rimesse ai pagamenti solo quando hanno ridotto l’esposizione debitoria”.

30 Silvestrini, La nuova disciplina dell’art. 67 delle legge fallimentare, in Il diritto fallimentare, 2006, I, 873; Tarzia, relazione al Convegno “Diritto Fallimentare: un primo passo verso la riforma” Milano, 8 aprile 2005

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- la consistenza va considerata come sopra, mentre la riduzione è durevole quando è definitiva, nel senso che la “riduzione deve protrarsi fino all’epilogo del rapporto di conto corrente”31;

- la consistenza va valutata in base al risultato solutorio finale32;

- la consistenza e la durevolezza vanno valutate in relazione al regolare andamento del rapporto, cosicché quando c’è un abituale riutilizzo delle somme accreditate e si evidenziano riduzioni di modesta misura, non vi possono essere rimesse revocabili33;

- la durevolezza va determinata in base alla tempistica usuale delle operazioni effettuate su quel conto corrente;

- la durevolezza va parametrata all’intenzione delle parti34;

- la durevolezza è data dalla misura di un quarto del termine di sei mesi, ossia 45 giorni35.

Ad avviso di chi scrive, pare cogliere nel segno quella corrente di pensiero secondo cui occorre avere riguardo all’andamento del conto in una fase di ordinaria gestione, o comunque nella fase precedente agli ultimi sei mesi prima della dichiarazione di fallimento o il minore o maggiore termine a partire dal quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’istituto di credito. Si ipotizza a tale fine di operare una media di periodo (es. i sei mesi antecedenti il periodo sospetto) della entità delle rimesse (per ricavare una media, cui parametrare successivamente la consistenza36) e della frequenza dei prelievi (per determinare una “durata” media, cui parametrare la durevolezza).

31 Castello D’Antonio, La revocatoria …, cit, 613; L’autore muove dall’assunto, condivisibile in linea di principio, che il versamento effettuato dal correntista su conto scoperto non configura, in linea di diritto, pagamento di debito esigibile, ne cessitandosi a tale fine che il rapporto di conto corrente si sia sciolto, o comunque che il conto sia bloccato, cioè non più operativo

32 Cavalli, Considerazioni sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario dopo la riforma dell’art. 67 l. fall., in Banca, Borsa, titoli di credito, 2006, I, 1.

33 Guglielmucci, La nuova normativa …, cit, 807

34 Galletti, Le nuove esecuzioni della revocatoria fallimentare, in Giurisprudenza commerciale, 2007, I, 182

35 Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, Milano, 2006, 870

36 ancorché in modo opinabile, per cui potrebbe essere considerata una consistente rimessa pari alla media trovata, al suo doppio, alla sua metà …

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A ciò, si aggiunge una nota di riflessione in ordine alla consistenza. L’ipotesi che propone una percentuale sconta la difficoltà di determinare sia l’entità della percentuale, sia l’importo cui applicare la percentuale.

Si ritiene, al contrario, che la qualificazione della consistenza non debba essere approcciata esclusivamente con criteri relativi, ma che in prima battuta possa essere applicato un criterio assoluto, secondo cui la consistenza delle rimesse può essere fissata di per sé, a prescindere dai valori del passivo, dalle rimesse precedenti, dal carattere anomalo 37.

In questa ipotesi, la media fra l’entità complessiva delle rimesse e il loro numero in un periodo di tempo precedente potrà essere utilizzato quale criterio sussidiario, per determinare eventuali paramenti di consistenza inferiori rispetto a quelli assoluti che, quindi, verrebbero a costituire il limite sopra il quale le rimesse sono sempre consistenti.

A parametro della consistenza assoluta potranno essere presi costi di riferimento validi universalmente, quale ad esempio il costo del personale. Si consideri in quest’ottica che una rimessa tra 2.500 e 5.000 euro copre di norma il costo mensile di un dipendente della stessa ditta fallita (o di altri creditori del fallito). Ne deriva che una rimessa di tale importo, nell’ottica di una redistribuzione delle somme a tutti i creditori, ben potrebbe essere qualificata come consistente. Non va, infatti, guardato al solo rapporto banca-correntista pari fallito, ma alla generalità dei creditori.

Diversamente, l’importanza di un creditore in termini di esposizione o di rientro si porrebbe quale titolo per incrementare a suo favore la soglia di esenzione, con inique ripercussioni sugli altri (più modesti) creditori.

Per tale via si potrebbero altresì tacitare le eccezioni di incostituzionalità della norma, per la evidente disparità di trattamento con gli altri soggetti passibili di revocatoria.

I primi interventi giurisprudenziali

A fronte di un dibattito dottrinale così articolato, cominciano a pervenire le prime posizioni della giurisprudenza.

37 non si ravvisa infatti una necessaria correlazione tra la consistenza e l’esposizione del conto.

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In primo luogo, si desidera vagliare la sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 20 marzo 2008 38, la quale esprime alcuni decisi orientamenti:

- le rimesse devono essere analizzate singolarmente, devono avere avuto natura solutoria, devono aver ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito ex art. 67 l.f.;

- l’art. 70 l. f. interviene a fissare una ulteriore limitazione, autonoma rispetto a quella dell’art. 67 l. f.: “L’art. 70 l.f., quindi, pone un limite agli obblighi restitutori della banca, che non interferisce con i requisiti necessari, a monte, affinché vi sia la revocabilità delle rimesse in conto corrente effettuate dal fallito”.

Quanto alla consistenza, è stato escluso che ci si possa riferire ad un criterio quantitativo assoluto. Il tribunale ha quindi fissato una percentuale, del 10%, da applicare alla “differenza tra la massima esposizione debitoria raggiunta dal fallito nel periodo sospetto e quella riscontrata al momento di apertura del concorso”, laddove il periodo sospetto pare essere individuato in quello di sei mesi ex art. 67, c. 2, l. f. (o inferiore, se la conoscenza dell’insolvenza è provata in un termine più ridotto39).

In altri termini, fatta pari a 200 la differenza di cui all’art. 70 l. f., saranno consistenti le rimesse non inferiori a 20 (ossia 200 x 10%).

La posizione ha il pregio di essere chiara, e di non dare luogo alla continua variabilità delle rimesse da qualificarsi come consistenti.

Ci si permette peraltro richiamare le motivazioni che hanno indotto il collegio ad affidarsi ad un criterio percentuale anziché assoluto, motivazioni che poggiano sulla considerazioni per cui “l’inefficacia di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori va necessariamente fatto dipendere dalla sua idoneità a ledere l’interesse tutelato, il che si verificherà in tutti quei casi in cui la lesione della par condicio creditorum potrà essere ritenuta apprezzabile e non trascurabile”.

Il principio, dunque, rimanda (correttamente) agli interessi della massa, ed alla idoneità di un atto a ledere la par condicio creditorum.

38 in Il fallimento, 2008, 1213

39Si richiama Farina, Alla ricerca …, cit., 235, secondo cui il massimo scoperto può essere individuato anche in un periodo antecedente quello di sei mesi dalla dichiarazione di fallimento.

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Tuttavia, a fronte di tale principio, il parametro percentuale non viene applicato in raccordo al passivo fallimentare, ma alla specifica situazione del convenuto in revoca.

L’applicazione, inoltre, contiene un elemento distorsivo, in quanto come già rilevato maggiore è il rientro di cui ha beneficiato il convenuto, maggiore è la soglia di esenzione delle singole rimesse revocabili.

In realtà, proprio il rinvio agli interessi della massa induce a confermare la posizione enunciata nel paragrafo che precede, ossia che la consistenza delle rimesse debba essere esaminata secondo criteri assoluti.

In subordine, pare comunque più equo il riferimento percentuale alla media delle rimesse del periodo ante revocatoria, per evitare che l’ampiezza dell’esposizione della banca o del rientro nel periodo sospetto possano mandare indenni da revoca, in quanto “non consistenti”, rimesse di importo superiore alla media dell’andamento del conto.

Con riguardo al concetto di durevolezza, il collegio ha escluso che lo stesso vada equiparato a quello di definitività (“tale tesi non è fondata su alcuni indici normativi e non vi è dubbio che, se tale fosse stato l’intento del legislatore, l’esplicitazione della regola sarebbe stata doverosa”), oppure in direzione opposta all’ipotesi delle rimesse bilanciate (“dalla previsione del requisito della durevolezza deve derivare, necessariamente, pena l’inutilità della sua introduzione, che ci sia un quid pluris rispetto all’assenza del bilanciamento delle operazione sul conto corrente”).

La durevolezza, quindi, esprime il concetto di stabilità “e si risolve nel ritenere che soltanto il versamento (con effetto riduttivo consistente) che non venga compensato da successivi prelevamenti (non necessariamente di importo corrispondente, ma anche superiore, o inferiore ma non tale da ridurre il ripianamento al di sotto dell’individuata soglia di

<<consistenza>>, sia caratterizzato dalla durevole riduzione”.

Il periodo successivo, poi, va parametrato alla movimentazione che caratterizza il conto (intensa od occasionale).

Lo stesso Tribunale di Milano, con sentenza del 25 maggio 200940, si è occupato di una vicenda antecedente il D. Lgs. 169/2007, attestando in primo luogo che il criterio

40 in Il fallimento, 2010, cit.

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di quantificazione dell’obbligazione derivante dall’azione revocatoria fallimentare, di cui all’art. 70 l.f. prima del D. Lgs. 169/2007, non si applica alle rimesse di conto corrente bancario.

Data questa limitazione, il Collegio ha asserito che ai fini dell’individuazione delle rimesse che abbiano ridotto l’esposizione debitoria verso la banca in modo consistente, bisogna individuare: l’importo medio delle rimesse affluite sul conto nel periodo sospetto; il saldo medio del conto a seguito di ciascuna rimessa; la misura percentuale della riduzione conseguente ad ogni rimessa (rapportando l’importo medio delle rimesse all’importo medio del saldo dopo ciascuna rimessa). Le rimesse che abbiano ridotto in maniera consistente l’esposizione diventano quelle che hanno avuto una incidenza percentuale sul saldo del conto da esse determinato (e non su quello medio) superiore alla media. Quanto alla durevolezza, è stata determinata la durata media della permanenza delle rimesse in conto corrente (ossia assenza di utilizzi dopo la rimessa); la riduzione è stata qualificata come durevole se uguale o superiore a tale durata media.

L’impostazione è stata oggetto di critiche dottrinali41, specie con riguardo all’esame della consistenza della rimessa avuto riguardo al saldo del conto successivo alla stessa42, alle modalità di calcolo della rimessa media e del saldo medio, alla durevolezza43.

L’organo giudicante ha altresì attestato che, nella disciplina di cui al D. Lgs. 35/2005, non ha più alcuna rilevanza la sussistenza di eventuali affidamenti.

La sentenza del Tribunale di Milano del 21 luglio 200944, il cui giudice estensore è il medesimo della sentenza del 27 marzo 2008, muove da una fattispecie in cui la società fallita era titolare di due conti correnti, un conto ordinario e un conto anticipi, ed analizza distintamente per entrambi le riduzioni tra massimo saldo passivo nei sei mesi (periodo sospetto) e saldo al momento del fallimento.

41 Rebecca e Sperotti, in Il diritto fallimentare, 2010, II, 15

42 Gli autori sostengono che la consistenza va riferita al debito che la rimessa va a ridurre, non al debito già ridotto dall’accredito

43 che, quantificata solo sulle rimesse consistenti, porta a richiedere una prolungata assenza di utilizzi

44 in Il diritto fallimentare, 2010, II, 2 e ss.

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Innanzitutto, pur trattandosi di fallimento antecedente il 1 genaio 2008, il Tribunale ritiene applicabile la limitazione dell’art. 70. Lo stesso ritiene altresì che conservi rilevanza la sussistenza del fido di cassa45.

In tema di consistenza, l’Organo giudicante ritiene che la stessa debba sussistere per le rimesse che, nel periodo, siano superiori al 10% dell’importo massimo revocabile, così come determinato dall’art. 70 l.f.. Ciò peraltro comporta che, più l’istituto è rientrato nel periodo, più si incrementa l’importo al di sotto del quale le rimesse divengono irrevocabili, in quanto non consistenti.

Quanto alla durevolezza, viene espresso un principio generale, di per sé condivisibile, per cui la stessa “indica l’apprezzabile stabilità nel tempo dell’effetto solutorio della rimessa, che si realizza soltanto se il relativo versamento non è seguito per un lasso di tempo variamente quantificabile in pochi giorni o in un periodo più lungo – a seconda della maggiore o minore intensità di movimentazione del singolo conto corrente – da prelievi in grado di ridurre il ripianamento al di sotto della succitata soglia di consistenza”.

A questo punto la sentenza valuta il rapporto in modo unitario, e quindi somma il massimo scoperto e il saldo all’apertura del fallimento del conto ordinario e del conto anticipi, e valuta:

- la consistenza della rimessa sul conto anticipi in percentuale sul massimo rientro complessivo;

- l’importo revocabile sulla base del massimo rientro complessivo.

L’impostazione unitaria non convince. Nel rimandare alle ulteriori considerazioni che seguono, si osserva fin d’ora che ciascuna tipologia di rapporto (c/ordinario e c/anticipi) può avere una consistenza ed una durevolezza differenti, dovute alla diversa natura e finalità dei rapporti, cosicchè le stesse non possono essere considerate come unicum.

Si segnala altresì all’attenzione degli interpreti una recente sentenza del Tribunale di Udine in data 25/01/201146, per alcune interpretazioni decisamente innovative e foriere di sviluppi.

45 Non è peraltro chiara la applicazione del fido di cassa. Dal tenore letterale della sentenza parrebbe che tale fido vada a selezionare le rimesse di importo ad esso superiore, non le rimesse che riducono lo scoperto superiore al fido. Parrebbe altresì che il fido di cassa venga applicato anche al conto anticipi, con ciò contravvenendo al costante insegnamento giurisprudenziale

46 in Il fallimento, 2011, 688

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Il casus esaminato dal giudice friulano riguarda il caso di un’unica consistente rimessa, pervenuta sul conto corrente dell’imprenditore poi fallito, comportando in primo luogo l’azzeramento del passivo di conto, con un residuo saldo attivo.

Pressoché contestualmente, la banca convenuta ha estinto alcuni finanziamenti scaduti, addebitando il conto corrente. Come conseguenza, il conto è diventato nuovamente a debito del correntista, per un importo superiore al passivo ante operazione.

Tecnicamente, non vi si avrebbe alcun importo revocabile in quanto, pur in presenza di una rimessa consistente, non vi sarebbero:

- né il requisito della durevolezza;

- né alcun rientro da parte della banca ai sensi dell’art. 70 l.f. (il massimo scoperto del periodo, infatti, è proprio il saldo passivo del conto all’apertura del fallimento)47.

D’altro canto, è di solare evidenza come, per effetto del meccanismo sopra descritto, la banca sia rientrata dal passivo sia dell’originario scoperto di conto, sia di alcuni finanziamenti (tramite prelievo dal conto attivo).

A fronte della descritta fattispecie, l’organo giudicante enuclea un primo principio, ossia che la riforma prevede “la revocabilità … di tutte quelle rimesse che invece di essere utilizzate per espletare il <<servizio cassa>> cioè di intermediazione del pagamento…

vengono dirottate per ripianare rapporti interni tra correntista e banca…”.

Sulla scorta di tale assunto, il giudice friulano afferma che il versamento de quo sia servito in parte per estinguere finanziamenti verso il cliente. Tali estinzioni, pertanto, divengono revocabili.

Considerato che l’oggetto della domanda non è la revoca delle rimesse sul conto, ma i pagamenti, ossia le estinzioni di spettanze della banca tramite rimesse pervenute sul conto, la sentenza sul punto non fa che affermare (pur con grande lucidità a fronte di una fattispecie complessa) un principio estremamente logico: la banca, utilizzando le disponibilità sul conto, ha dato luogo ad un meccanismo di pagamenti di proprie spettanze. I pagamenti sono quindi revocabili, ex art. 67 c. 2.

47 la sentenza concerne una procedura antecedente il 2008, periodo a partire dal quale è stato espressamente previsto che le limitazioni dell’art. 70 l. f., valgono anche per i rapporti di conto corrente.

Peraltro la sentenza ritiene pacificamente che si debba fare riferimento agli art. 67 e 70 l.f., fugando ogni dubbio circa l’applicabilità dell’art. 70 per le procedure apertesi tra il 17 marzo 2005 e il 31/12/2007

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Il principio è estensibile ad avviso di chi scrive anche agli addebiti di interessi passivi ed oneri, e lascia spazio ad un nuovo approccio per impostare la revocatoria delle rimesse in rapporto all’art. 70 l. f..

Il saldo di conto alla fine della procedura, infatti, potrebbe essere determinato espungendo dal conto tutti gli addebiti di spettanze della banca (interessi passivi, finanziamenti, rate di mutuo, oneri di conto, spese di gestione, commissioni ecc.).

Con un esempio, si ipotizzi un conto corrente che nel periodo sospetto abbia la seguente evoluzione:

movimenti cronologici saldo progressivo

// - 10 saldo all’inizio del

periodo

sospetto

+ 5 - 5 versamento

- 3 - 8 interessi passivi

- 4 - 12 bonifico a terzi

+ 11 - 1 versamento

- 8 - 9 estinzione

finanziamento

+ 2 - 7 versamento

- 1 - 8 oneri bancari

Intervenuto il fallimento, l’importo massimo revocabile ex art. 70 l. f. sarebbe 2, dato dalla differenza algebrica tra il massimo scoperto del periodo (-10) e il saldo all’apertura della procedura (-8).

Di fatto, però, la banca ha utilizzato rimesse a favore del correntista per pagare proprie spettanze per complessivi 14. Infatti la banca si è “pagata” 3 per interessi, 8 per estinzione finanziamento, 1 per oneri bancari, 2 per rientro dallo scoperto, e così per complessivi 14.

Neutralizzando il conto dagli addebiti di spettanze della banca, il saldo sarebbe stato positivo di + 4, con un rientro revocabile a favore della banca di 10.

La procedura dunque avrebbe beneficiato di 14 (4 di conto attivo, 10 per revoca del rientro, purchè le singole rimesse potessero essere qualificate come consistenti e durevoli).

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Un’altra statuizione della sentenza in esame merita approfondimento.

Muovendo dalla constatazione che “frequentemente, nella pratica bancaria, l’operatività del conto corrente si intreccia con le dinamiche degli utilizzi e dei rimborsi a valere su altri affidamenti”, l’organo giudicante attesta che “l’esposizione debitoria cui guardare è quella complessiva”.

Il principio è stato salutato in dottrina con ampi apprezzamenti48

Lo stesso apre l’ipotesi di una valutazione complessiva dei rapporti, che però suscita qualche perplessità.

Si immagini un rapporto impresa / banca connotato da più modalità di finanziamento:

1) conto corrente con apertura di credito

2) anticipazioni di fatture con apertura di un conto anticipi 3) finanziamento a medio termine con rientro rateale

Si tratta di figure contrattuali differenti, che oltretutto nell’ambito della revocatoria fallimentare sono assoggettate a regole differenti:

1) il conto corrente beneficia dell’esenzione ex art. 67 c. 3, e della limitazione dell’art. 70 l. f.;

2) le anticipazioni beneficiano ad avviso dello scrivente della limitazione dell’art.

70 l. f. (ove svolte in via continuativa), mentre più problematico è stabilire se beneficino di quella dell’art. 67 l. f. in quanto:

- il conto anticipi può ben essere inquadrato nel novero dei conti correnti, in quanto nello stesso vengono riportate a debito del correntista le anticipazioni disposte dalla banca ed a credito le rimesse rivenienti dal pagamento da parte di terzi del credito oggetto di anticipazione, ovvero dal conto corrente ordinario a copertura dell’anticipazione (sia perché i pagamenti di terzi sono pervenuti sul conto corrente ordinario, sia perché i terzi non hanno provveduto al pagamento, cosicché la provvista disponibile sul conto ordinario viene destinata a saldo dell'anticipazione);

- tuttavia detto conto anticipi, per quanto possa essere definito come un conto corrente, appare più un conto di memoria dei singoli contratti di anticipazione intervenuti tra banca e cliente e delle rimesse a chiusura;

48 Patti, Rimesse in conto corrente bancario: da una concezione atomistica ad una più realistica, in Il fallimento, 2011, 693 e ss.; Rebecca e Sperotti, Note a commento della sentenza n. 293/2011- Tribunale di Udine, in www.unijuris.it

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- le rimesse di terzi su conto anticipi sono sempre consistenti in assoluto, ma rischiano di non esserlo mai se rapportate percentualmente alle rimesse che pervengono sul solo conto anticipi (salvo adottare la tecnica dell’entità percentuale sul rientro complessivo ex art. 70 per stabilire la consistenza, così come proposto dal Tribunale di Milano);

- la durevolezza potrebbe non esserci mai, se non alla chiusura delle anticipazioni, considerato che ad ogni anticipazione che si chiude di fatto ne segue una nuova. In ogni caso, anziché la revoca delle rimesse di terzi sul c/anticipi si può ipotizzare la revoca dei singoli contratti di anticipazione, in modo da evitare le problematiche correlate a durevolezza e consistenza delle rimesse;

3) i finanziamenti non beneficiano di alcuna limitazione.

Non si riesce pertanto a cogliere come, dei vari rapporti tra imprenditore fallito e banca, se ne possa trarre un rapporto unitario a fini revocatoria.

Pare quindi necessario tenere distinte le singole posizioni contrattuali, e per ciascuna di queste applicare le rispettive regole per individuare gli atti revocabili e l’importo massimo di cui chiedere la restituzione, sebbene sovente si possa pervenire al medesimo risultato.

Infine, un’altra sentenza merita di essere richiamata, ossia quella emessa dal Tribunale di Brescia in data 29 aprile 2008 49. Il Collegio, nell’esaminare la fattispecie di accrediti pervenuti alla banca dopo la chiusura del conto, ha stabilito che gli accrediti de quo non possono essere qualificati come rimesse, e quindi per gli stessi non operi l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, l. f. .

Ulteriori fattispecie di revocatorie verso il sistema bancario

L’effetto fortemente limitativo delle revocatorie delle rimesse su conto corrente bancario, e la complessità dei possibili percorsi interpretativi, anziché riaccendere il dibattito su altri filoni di revoca nei confronti del sistema bancario, hanno semmai portato ad un atteggiamento contrario, quasi di rassegnazione, nelle note di una messa da requiem delle azioni revocatorie.

49 in Il fallimento, 2009, 101

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Pare invece a chi scrive che molteplici possano ancora essere gli spazi di operatività delle curatele per riequilibrare quelle situazioni che, ante fallimento, abbiano agevolato il contenimento dell’esposizione degli istituti di credito, a svantaggio degli altri creditori. Situazioni che, quasi per un senso di pudore, non rientravano nelle ordinarie iniziative giudiziali delle procedure, o venivano prese in considerazione essenzialmente al fine di precostituirsi una contropartita da spendere in sede transattiva.

In breve carrellata:

A) la più significativa operatività che di norma si instaura tra banca e cliente è costituita dalle anticipazioni (rectius, da finanziamenti/aperture di credito) concesse al cliente, a fronte di crediti vantati da quest’ultimo verso terzi. Di norma, tali finanziamenti conoscono tre modalità esecutive che, a fronte dell’anticipazione, vedono alternativamente:

1) la cessione del credito (si pongono all’attenzione, in questo ambito, le anticipazioni su fatture all’esportazione);

2) l’emissione di ricevute bancarie, con un contestuale accordo tale per cui la banca, ricevendo i denari al momento del pagamento da parte dei terzi (debitori dell’imprenditore), può trattenere la somma ricevuta a compensazione dell’anticipazione concessa (cd. patto di compensazione);

3) l’emissione di ricevute bancarie, senza patto di compensazione.

Nei primi due casi, potrà essere revocato ex art. 67, comma 2, l’atto, ossia il singolo contratto (ancorché sulla base di un accordo – quadro) di finanziamento, ove al momento dell’anticipazione la banca conosceva lo stato di insolvenza 50. La banca quindi dovrà restituire quanto incassato dal terzo, o “rendere” la titolarità del credito al fallimento.

Nel terzo caso, potrà essere direttamente revocato ex art. 67, comma 2, l’incasso pervenuto alla banca dal terzo (debitore dell’imprenditore

50prescindendo in questa sede dalla tematiche legate alla opponibilità degli atti di cessione al fallimento

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fallito), in presenza di scientia decoctionis al momento dell’incasso ricevuto dalla banca.

Ad avviso di chi scrive, anche ai contratti di cessione di credito e di anticipazione sbf si applica la limitazione di cui all’art. 70 l.f. 51, laddove gli stessi siano ripetuti, assumendo quindi la qualifica di “rapporti continuativi o reiterati”.

In questo caso i contratti di anticipazione andranno riordinati in base alle singole anticipazioni ed ai successivi rientri, per determinare il massimo scoperto del periodo.

Non si ritiene invece che tali atti possono essere qualificati come

“anormali” 52 (con le conseguenti agevolazioni probatorie ex art. 67, comma 1, l. f.), salvo che per le specifiche circostanze 53 si possa ipotizzare un meccanismo solutorio anomalo.

Da vagliare infine l’ipotesi in cui vi sia l’operatività del cd. “fido mobile”, vale a dire il caso in cui l’impresa presenti elenchi di fatture di propri clienti e la banca, anziché anticipare il relativo importo con accredito sul conto corrente:

o consente all’impresa uno sconfinamento di pari importo sul conto corrente ordinario, con applicazione di un tasso inferiore a quello relativo alla apertura di credito per cassa;

o accrediti direttamente sul conto corrente ordinario gli incassi delle fatture, alle rispettive scadenze.

In quest’ipotesi, si ritiene che non si possa procedere alla revoca delle diverse operazioni di presentazione, non configurandosi giuridicamente singole anticipazioni, ma di volta in volta variazioni del fido di conto corrente;

51 come sembra essere affermato anche dal Tribunale di Udine, cit.

52 si richiama peraltro Trib. Ravenna, 14 giugno 2005, in Il Fallimento, 2005, 1321, secondo cui le operazioni di anticipo su fatture, essendo caratterizzate da uno strumento preordinato al sicuro pagamento di finanziamenti da erogare, danno luogo ad un mezzo satisfattorio diverso dal denaro e, pertanto, sono revocabili ai sensi dell'articolo 67, primo comma, numero 2, l.f.

53 ad esempio, specifica finalità di consentire il rientro dall’esposizione del conto corrente (sul tema, cfr. Trib. Brescia, 19 giugno 2000, in www.ilcaso.it

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B) è in linea di principio ipotizzabile la revoca dei singoli contratti di anticipazione, o comunque delle rimesse pervenute sul conto anticipi e la contestuale revoca dell’importo confluito sul conto corrente per effetto dell’anticipazione concessa dalla banca (che può quindi costituire una rimessa revocabile, nei limiti analizzati54).

Infatti, la giurisprudenza ha più volte affermato la revocabilità di ogni singolo atto solutorio, indipendentemente dalla revocabilità del negozio a monte55.

Peraltro, l’applicazione ai contratti delle limitazioni di cui all’art. 70 l.f. o comunque, secondo le recenti impostazioni giurisprudenziali, la considerazione unitaria del rapporto potrà evitare una reiterata duplicazione degli importi.

Con due esempi:

1) si ipotizzi un conto corrente ordinario con saldo -100 (a debito dell'impresa), e l'effettuazione di una anticipazione di un credito dell'impresa per 100 con accredito sul conto corrente ordinario e addebito del conto anticipi. Si ipotizzi di seguito che la banca riceva dal terzo debitore dell'impresa l'importo di 100, e lo accrediti sul conto anticipi a decurtazione delle proprie spettanze per anticipazione.

Intervenendo il fallimento, il saldo dei due conti sarà a zero. Il curatore potrà revocare sia rimessa sul conto corrente, sia il rientro sul conto anticipi (o lo stesso contratto di anticipazione), azionando quindi l'importo di 200.

Ad analogo risultato si perviene con la teoria della somma delle posizioni, in conformità alle ultime espressioni giurisprudenziali;

2) qualora, nella medesima configurazione, le anticipazioni fossero due (si immagini per comodità entrambe di 100), per entrambe la banca

54Bonfatti, Profili problematici della revocatoria delle rimesse sul conto corrente bancario, in Diritto Fallimentare, 2000, I, 1313.

55Cassazione, 30 gennaio 2003, n. 1391, in Giust. civ., 2003, I, 2761.

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ricevesse il pagamento da parte del terzo soggetto “anticipato” e vi fosse da parte del correntista un integrale utilizzo della prima somma anticipata, e nessun utilizzo della seconda (quindi, conto corrente e conto anticipi a zero all’apertura del fallimento) il curatore potrebbe revocare entrambe le rimesse sul conto corrente (200) ed entrambe le rimesse sul conto anticipi (200), ma sia sul conto corrente che sul conto anticipi scatterebbe la limitazione di cui all'articolo 70 l.f.. Il monte revocabile complessivo sarebbe quindi comunque di 200 (100 come rientro del conto ordinario, 100 come rientro del conto anticipi).

C) potranno, ovviamente, essere revocati ex art. 67, comma 2 l.f. i singoli pagamenti di rate di mutuo ancorché, si ritiene, gli stessi avvengano mediante addebito della contropartita sul conto. La disponibilità del conto, che il correntista avrebbe potuto utilizzare in altro modo, è stata infatti destinata al saldo delle posizioni di finanziamento (fatta salva la neutralizzazione dell’addebito sul conto, in sede di revoca delle rimesse sul conto corrente);

D) infine, si ritiene che potrà trovare più ampia applicazione da parte delle curatele il ricorso all’istituto dell’azione revocatoria ordinaria. In effetti, si ritiene che il termine di sei mesi (anziché quello precedente di un anno) per l’esercizio della azione revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 2 l. f. rappresenti una contrazione temporale di eccessivo favore per i possibili convenuti in revoca 56.

L’esperienza insegna infatti che i maggiori rientri da parte dei creditori si realizzano tra i dodici e i sei mesi ante dichiarazione di fallimento, e che gli ultimi mesi sono di norma occupati dalla istruttoria prefallimentare, a

56 mentre il limite di cui all’art. 70 l. f. può costituire, al contrario, una norma di ritrovato equilibrio, atta ad impedire l’uso distorto dell’istituto revocatorio ed a consentire che i terzi, pur in presenza di un imprenditore in crisi, possano continuare ad operare con lo stesso, così contribuendo alla salvaguardia del bene azienda

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