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CAPITOLO 1 TRADUZIONE DELLA LETTERATURA PER L’INFANZIA: PREMESSE TEORICHE

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CAPITOLO 1

TRADUZIONE DELLA LETTERATURA PER L’INFANZIA:

PREMESSE TEORICHE

1.1 La traduzione letteraria: una realtà problematica 1.1.1 Mancanza di riconoscimento

E’ noto che il mestiere del traduttore è impegnativo e spesso ingrato. Tale constatazione riguarda sia i traduttori letterari sia quelli che lavorano con i testi tecnici. Ognuna di queste categorie di traduzione presenta delle specificità ben precise e richiede delle competenze diverse. Certo è che se esiste un linguaggio giuridico, economico, medico, non ci può essere invece un linguaggio stabile e uniforme della letteratura. La funzione primaria delle opere letterarie è quella estetica e il godimento estetico è possibile solo grazie alla novità delle immagini e all’unicità delle parole. A questo proposito Lorenza Rega sottolinea come i traduttori letterari non possano affidarsi, per esempio, a delle regolarità di tipo morfosintattico o lessicale all’interno dei diversi testi. Non è così per i traduttori tecnici, i quali hanno a disposizione i testi paralleli ed espressioni standardizzate.

Una sfida del genere può provocare insicurezza nei traduttori alle prime armi, ma costituisce anche la parte più stimolante dell’arte del tradurre (Rega, 2001:51). Anzi:

[…] è proprio nel momento dello scacco subito che la traduzione si rivela essere una forma dinamica per eccellenza, un momento d’interpretazione e riformulazione continua del testo che così continua a vivere non solo inalterato nella sua lingua e cultura originale, ma anche in vesti sempre nuove in quella di arrivo (Rega, 2001:58).

Tuttavia, un compito così arduo e delicato molto spesso non viene ricompensato adeguatamente né al livello economico né, soprattutto, a quello intellettuale. Essere eclissati dagli autori originali e subire le taglienti ctitiche per le presunte discrepanze rispetto al testo di partenza ha sempre rappresento per il traduttore letterario la norma.

1.1.2 La posizione di Berman 1.1.2.1 Il concetto di critica

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Proprio la critica della traduzione, ma intesa in modo diametralmente opposto, una critica liberata dal giudizio negativo a priori, costituisce il tema dell’opera “Traduzione e Critica Produttiva” di Antoine Berman.

A partire dall’illuminismo, la critica, qualunque sia il suo oggetto, si pone in maniera negativa. Questo non deve far dimenticare l’altro aspetto del problema, non meno importante, come è appunto quello della positività. La critica è positiva per essenza, sia che operi nel campo della produzione letteraria, sia in quello dell’arte in generale, sia ancora negli ambiti dell’essenza umana. La critica non è solo positiva, ma questa positività è la sua verità, dal momento che la critica unicamente negativa non rappresenta una critica vera e propria (Berman, 2000:25).

La critica negativa sembra essere da sempre strettamente legata alla traduzione a causa di una sorta di peccato originale. I testi tradotti sono ritenuti, quasi per definizione, inferiori rispetto alle opere originali. Questa convinzione blocca lo sviluppo di una critica costruttiva e il vero riconoscimento del traduttore e della sua arte.

In definitiva il testo tradotto pare colpito da una tara originaria, della secondarietà. Questa antica accusa di non essere l’originale, di essere meno dell’originale (…), è stata la piaga della “psiche traduttiva”, nonché la fonte di tutte le sue colpe: questo lavoro difettoso comporterebbe un errore (non bisogna tradurre le opere, perché non lo desiderano) e una impossibilità (non si possono tradurre) (Berman, 2000:29).

Di conseguenza, come fa notare Berman, anche quando ci sono stati degli sviluppi nell’ambito della critica della traduzione, questi hanno riguardato essenzialmente un’ossessiva ricerca degli errori nei testi tradotti, nonostante in molti casi si sia trattato di ottime traduzioni. Ma il concetto di una traduzione buona o cattiva è estremamente relativo. L’effetto che una traduzione ha avuto sul lettore del passato non potrà essere uguale a quello prodotto sul lettore contemporaneo e un’ ”ottima”

traduzione oggi diventerà obsoleta domani. Volendo chiudere gli occhi sul fattore temporale, raggiungere un verdetto rimane comunque problematico in quanto esso deve tener conto delle premesse da cui è partito il traduttore. Il traduttore fa sempre delle scelte e può optare, ad esempio, per una traduzione vicina alla lingua e cultura d’arrivo oppure a quella del testo originale. Qualsiasi giudizio dovrà essere calibrato sulla base del progetto di partenza del traduttore.

1.1.2.2 La critica della traduzione e la “dignificazione” dell’attività traduttiva

L’obiettivo di Berman è quello di superare l’antico cliché della secondarietà, in cui è intrappolata la traduzione. Per questo motivo egli sottolinea l’importanza dello sviluppo di una vera critica delle opere tradotte, che sia paragonabile alla critica dei testi originali, la quale aveva ottenuto il pieno

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riconoscimento già nel XIX secolo. Indubbiamente anche la critica dei testi tradotti risale ad alcuni secoli fa, ma essa non ha mai sfruttato pienamente le sue potenzialità, limitandosi alla sola ricerca dei difetti. Ecco che riconsiderare il concetto di “critica” diventa fondamentale. Una critica costruttiva, o meglio: “produttiva”, fornita di una metodologia propria ben precisa, che vada oltre alla valutazione delle singole traduzioni, costituisce per Berman l’unico modo per far uscire dall’ombra i traduttori e le traduzioni.

Ciò che le manca [alla critica della traduzione], e manca anche alla traduzione, è un certo statuto simbolico, una certa dignificazione segreta, senza la quale nessuna pratica discorsiva può avere diritto di cittadinanza. Contribuire a questa dignificazione […] è una delle ambizioni della traduttologia. E’ pressoché superfluo aggiungere che tale dignificazione si estenderebbe alle traduzioni, alla traduzione in generale e forse anche ai traduttori (Berman, 2000:30).

Berman insiste sul fatto che la traduzione sia assolutamente necessaria alla vita delle opere, come lo è la critica dei testi letterari. Grazie alle varie traduzioni gli originali svelano pienamente il loro significato, si realizzano nella loro ricchezza, continuano ad esistere nel tempo e nello spazio. Ma per durare nel tempo, sostiene Berman, le traduzioni devono ambire a diventare opere a loro volta.

Quando questo avviene, il testo tradotto non solo rende l’originale, ma diventa un nuovo originale:

“è così che le grandi traduzioni vengono considerate “grandi opere”, perché influenzano tutta la cultura ricevente come pochi testi nazionali fanno.” (Berman, 2000:29).

1.1.2.3 Il metodo critico di Berman

Nella sua ricerca Berman individua solo due analisi della traduzione, che, secondo la sua visione, presentano una “forma rigorosa” e una vera metodologia. La prima è rappresentatta dal lavoro di Henri Meschonnic, la seconda è quella della scuola di Tel-Aviv, fondata da Even-Zohar.

Pur riconoscendo dei grandi meriti a Meschonnic, Berman non condivide il suo tono “militante”

e aggressivo che si limita a denunciare l’errore traduttivo, ma non ad analizzarlo.

La metodologia della scuola di Tel-Aviv, di cui il maggior esponenete è Gidéon Toury, parte al contrario da una prospettiva non prescrittiva. Secondo i rappresentanti di questa scuola la traduzione non va giudicata, dato che il traduttore ubbidisce sempre alle norme di accettabilità dettate dalla cultura d’arrivo e, di conseguenza, il testo d’arrivo non può essere diverso da come è stato redatto.

La metodologia della scuola di Tel-Aviv mira ad essere neutra e scientifica. Tuttavia, Berman sottolinea come questo impedisca di criticare o lodare il testo di arrivo e lo releghi per l’ennesima volta ad una condizione di secondarietà. Per Berman:

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E’ appunto perchè responsabile del proprio lavoro, che il traduttore può e deve essere giudicato. Una traduzione è sempre individuale, è sempre una traduzione con un nome preciso, dal momento che procede da una individualità, anche se sottomessa ad alcune norme precise (Berman, 2000:46).

Tenendo in considerazione sia l’analisi di Meschonnic sia quella della scuola di Tel-aviv, Berman sviluppa un proprio metodo analitico, dotato di una forma ben precisa e suddiviso in alcuni passaggi successivi che includono lettura delle diverse traduzioni, lettura dell’originale e il confronto tra il testo di partenza con i testi di arrivo. Nella sua analisi Berman cerca di raccogliere più informazioni possibile sul traduttore, di scoprire la sua posizione traduttiva e il suo progetto traduttivo:

Con un’autentica passione e con una rigorosa metodologia, Berman si pone l’obiettivo di superare l’eterna condizione di “ancella” in cui da troppo tempo è costretta la traduzione (Berman, 2000:10).

1.1.3 La posizione della letteratura tradotta secondo Even-Zohar. Il concetto di polisistema

Non condivisa da Berman, la teoria del polisistema letterario che ispirò il lavoro di Gidéon Toury ebbe riscosso molto successo. Formulata negli anni ’70 dallo studioso israeliano Itamar Even-Zohar, questa teoria vede letteratura come un polisistema gerarchico, composto da diversi sottosistemi. In questo complesso gerarchico, la letteratura tradotta costituisce uno dei sottosistemi, che occupa normalmente una posizione periferica. La letteratura tradotta, quindi, non può essere considerata solo come un insieme casuale di testi. E’ il polisistema letterario della cultura d’arrivo a decidere quali testi debbano essere tradotti e pubblicati e in che modo questi trateranno le norme del polisistema ricevente. Bisogna specificare che secondo Even-Zohar la letteratura tradotta non sempre occupa la posizione periferica nel polisistema letterario. Solo quando la sua posizione è secondaria i testi tradotti adotteranno le norme e i modelli esistenti nella letteratura d’arrivo.

Quando invece il sistema della letteratura tradotta gode di una posizione centrale, allora detterà anche le sue norme e potrà arricchire il polisistema d’arrivo con i nuovi modelli (Nitsa Ben-Ari in Millàn and Bartrina, 2013:146). Lo studioso israeliano sostiene che questo può verificarsi nei seguenti casi:

- quando il polisistema ricevente è giovane ed aperto alle innovazioni derivanti dalle opere straniere;

- quando una letteratura nazionale è periferica o debole rispetto alle letterature dominanti a livello mondiale;

- quando il polisistema ricevente si trova in una fase di crisi, vuoto o stagnazione.

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Literary systems will always strive to be stratified, with centre and periphery combating for domination of symbolic and material goods (Nitsa Ben-Ari in Millàn and Bartrina, 2013:147).

Anche la teoria di Even-Zohar affronta quindi la questione della presunta secondarietà della traduzione e, come sottolinea Nitsa Ben-Ari, il suo merito consiste nel aver contribuito a leggittimare la traduzione come attività centrale nella cultura e letteratura ricevente:

Above all, the polysystem theory contributed to research in translation studies, providing the legitimization to deal with translation as a central activity in culture and as a central component in the various text industries, such as literature.

(Nitsa Ben-Ari in Millàn e Bartrina, 2013:147).

Per Berman tuttavia:

Il fatto che la traduzione abbia sempre occupato una posizione problematica nella società non significa che sia periferica. Infatti la letteratura tradotta non è né periferica, né centrale; è stata ed è quel fattore senza cui nessuna letteratura autoctona può esistere nello spazio del colinguismo (Renée Balibar), rappresentato dall’Occidente (Berman, 2000:41).

1.2 La traduzione della letteratura per l’infanzia

Se la posizione della traduzione nella società è sempre stata problematica o, volendo adottare la visione della scuola di Tel-Aviv, periferica, allora quale posto spetta alla traduzione della letteratura per l’infanzia in uno scenario del genere? E ancora: dove si colloca la letteratura per’infanzia autoctona all’interno del polisistema nazionale? Ma prima di tutto: cosa si intende per letteratura per l’infanzia?

1.2.1 Definizione

Gli studiosi si trovano concordi sul fatto che dare una vera definizione all’espressione “letteratura per l’infanzia” è un compito problematico. Quel che è certo è che si tratta di una categoria estremamente eterogenea ed eterogenei sono i suoi destinatari. Essi comprendono bambini picolissimi, bambini di età prescolare fino ad arrivare a dei giovani adulti. Il materiale scritto per un pubblico così vario comprende tipologie di testo diverse che svolgono funzioni diverse. Emer O’Sullivan riassume il complesso mondo della letteratura per l’infaniza nel modo seguente:

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[Children’s literature] encompasses a wide range of material such as board books for the smallest readers, picture books both conventional and sophisticated, fairy tales, poems, information books, psychological novels, serious fiction and complex adolescent novels, […]. These range from literary texts with primarily aesthetic functions to occasional texts for younger readers like lullabies, jog-along knee songs or bedtime stories, which bear a greater affinity to folklore […]

than to written literary texts. […] This breadth should make evident that a universal definition of children’s literature cannot be gleaned from the actual texts themselves in terms of specific thematic, stylistic or formal textual features shared by every book in this domain (O’Sullivan in Millàn e Bartrina, 2013:451).

Nella traduzione sia la forma dell’originale sia la sua funzione (estetica, informativa ecc.) dovranno essere tenute in considerazione. Ma c’è un altro elemento cruciale nella letteratura per l’infanzia di cui anche la traduzione dovrà inevitabilmente tener conto. I testi per bambini si rivolgono in realtà anche agli adulti. Non solo sono gli adulti a scegliere, comprare e spesso leggere ad alta voce i libri per l’infanzia, ma sono loro anche a produrli. Sono gli autori, editori, insegnanti a decidere cosa sia appropriato e interessante per i più giovani. Questo sbilanciamento nel rapporto tra adulti e bambini rappresenta una delle caratteristiche fondamentali della letteratura per l’infanzia e costituisce anche la fonte di molte differenze tra i libri per adulti e quelli per i piccoli (O’Sullivan in Millàn e Bartrina, 2013:452). Sicuramente il fatto che gli autori per bambini debbano conquistare anche i loro genitori trasforma il lavoro dello scrittore in una sfida unica. Ed è proprio grazie a questa duplice natura della letteratura per l’infanzia che sono nati dei capolavori capaci di incantare sia bambini che grandi. Un esempio classico è rappresentato da Le avventure di Alice di Lewis Caroll.

Riassumendo quindi possiamo dire che:

Children’s literature is literature that is assigned to children by adults (see Ewers 2009); it is defined by its audience and by those who address that audience. […] Ostensibly addressed to young readers, children’s literature is written, translated, published, reviewed and recommended by adults. […] This mediating role of adults is a vital one – without children would have no literature – but a children’s book that does not gain adult approval has a harder time making its way to the young addressees (O’Sullivan in Millàn e Bartrina, 2013:452).

La dualità adulto – bambino interessa anche la studiosa Gillian Lathey, la quale si chiede se la letteratura per l’infanzia comprenda i testi intenzionalmente scritti per bambini da parte degli adulti, i testi che si rivolgono agli adulti ma che vengono letti dai bambini oppure i testi letti da entrambe le tipologie di distinatari. Indubbiamente, la traduzione è in grado di causare il cambiamento del tipo di lettore previsto dal testo di origine, come nel caso di Robinson Crusoe o de I viaggi di Gulliver (Lathey in Baker e Saldanha, 2009:31). Tuttavia, la presenza più o meno ovvia dell’adulto rappresenta il denominatore comune nei diversi scritti per i giovanissimi:

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[…] the adult presence taking on many guises in children’s books, from the spectre of the didactic narrator of the eighteen-century moral tale to the playful ironic asides intended for the adult reading aloud to a child in Winnie-the- Pooh (Lathey in Baker e Saldanha, 2009:31).

Ache Riitta Oittinen riflette sulla questione della definizione della letteratura per l’infanzia e su come essa non possa essere determinata in base allo stile o al contenuto. La definizione di questo tipo di letteratura sembra possibile unicamente in termini del suo pubblico destinatario e non considerando l’intenzione dell’autore o le caratteristiche del testo.

Thus it seems that compared to literature written for adults, children’s literature tends to be more directed toward its readers. This is very important: for me, this is the key to translating for children, which, as I find it, should rather be defined in terms of the readers of the translation (Oittinen, 2000:61).

Interessante è la posizione dell’autore svedese per bambini Lennart Hellsing, citato dalla Oittinen.

Egli considera la letteratura per l’infanizia dal punto di vista sociologico e psicologico e sostiene che essa comprende tutto ciò che i bambini leggono o ascoltano, compresi i show televisivi, le trasmissioni radio ecc. (Oittinen, 2000:62) Inoltre, si potrebbero includere in questo tipo di letteratura anche i testi prodotti dai bambini stessi. A questo punto, suggerisce Oittinen, potremmo chiederci come vedono i bambini in prima persona la letteratura per l’infanzia, come raegiscono ad essa e come le loro reazioni siano diverse da quelle degli adulti. (Oittinen, 2000: 62)

1.2.2 Valori educativi vs qualità letteraria

Un’ulteriore forma di dualismo, oltre a quello di dover rivolgersi sia ai bambini che ai grandi, tormenta la letteratura per l’infanzia. I libri per bambini infatti sono legati non solo alla sfera letteraria ma anche a quella dell’istruzione e dell’educazione. Rinunciare agli intenti pedagogici a favore della qualità estetica non è affatto facile. Tuttavia, il libero sfogo della fantasia è più stimolante e spesso più istruttivo del crudo insegnamento contenuto in molti testi per bambini, che hanno come scopo primario quello di trasmettere valori morali e regole sociali di una determinata cultura. Nell’educare, “Mӓrchen” non sono affatto meno efficienti delle “Fabeln” ed entrambe giocano un ruolo cruciale nella letteratura per l’infanzia. Roberta Pederzoli sottolinea come tale letteratura presenti una natura molto comlpessa, sempre in cerca appunto di un equilibrio tra il sistema letterario e quello educativo (Pederzoli, 2012:34). La studiosa riflette inoltre su come questa situazione delicata debba fare i conti anche con le logiche commerciali del mondo editoriale. La produzione presente sul mercato riflette l’eterogeneità tipica della letteratura per l’infanzia, anche se

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i rappresentanti del sistema educativo e quelli del sistema letterario scelgono solo ciò che è conforme alla loro concezione della vera letteratura per l’infanzia. Tale concezione cambia però a seconda dell’epoca storica.

Dans les dernières décennies, on a donc assisté à l’épanouissement d’une production littéraire particulièrement appréciable du point de vue esthétique, mais celle-ci coexiste avec des textes caractérisés par une matrice éducative très lourde, dénouée de toute recherche esthétique, ou avec d’autres ouvrages, très nombreaux, qui recherchent le succès commercial sans se poser de questions ni de nature pédagogique ni de nature littéraire. Il existe, enfin, des œuvres qui incarnent de façon complexe et souvent contradictoire toutes ces tendances (Pederzoli, 2012:34).

Pederzoli mette in evidenza come la visione della letteratura per l’infanzia sia plasmata storicamente citando l’analisi di Ewers (2009 e 2000). Ewers individua quattro norme fondamentali che hanno dominato nella letteratura per l’infanzia nei diversi periodi storici e che la caratterizzano tuttora. La prima di queste norme, la più antica e influente, prevede che la letteratura per l’infanzia debba trasmettere la conoscenza e i valori che siano pertineti dal punto di vista educativo rispetto ad un determinato periodo storico. La seconda norma riguarda l’adeguatezza del testo rispetto alla conoscenza linguistica del bambino, alle sue capacità mentali e alla sua esperienza del mondo. Allo stesso modo dovrebbero venire presi in considerazione gli interessi e le preferenze del bambino.

Secondo la terza norma, la letteratura per l’infanzia dovrebbe ispirarsi ai generi letterari della sua epoca e seguire le convenzioni e i principi estetici dominanti nel suo periodo storico. In alternativa a quest’ultima norma, Ewers ne cita una quarta, secondo la quale la letteratura per l’infanzia non dovrebbe invece basarsi sui criteri estetici del suo tempo, ma dovrebbe ispirarsi alla poesia popolare e ai generi popolari come saghe, leggende, fiabe, canzoni e proverbi popolari. La predominanza di una o dell’altra norma non esclude l’esistenza delle altre nell’arco dello stesso periodo storico.

In un articolo sulla concezione della traduzione della letteratura per l’infanzia di Berman, la Pederzoli sostiene che tradurre per bambini vuol dire essenzialmente essere al centro di una negoziazione, di una lotta, di un conflitto tra le tendenze antogoniste: tra l’opera e il lettore, tra la letteratura e la pedagogia, tra il bambino e l’adulto (Pederzoli in Di Giovanni, Elefante & Pederzoli, 2010:187). Questa tensione riflette del resto anche l’essenza della lettertura per l’infanzia:

[…] cette traduction ne fait par ailleurs souvent que refléter les dilemmes de la littérature pour les enfants, qui est elle aussi partagée entre la volonté de se conformer aux exigences du destinataire, et le désir de s’affranchir de toute contrainte afin de poursuivre des fins purement esthétiques, entre des considérations pédagogiques et des aspirations

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littéraires (cf. Ewers, 2000:240-241): en cela réside son essence, et chaque époque assiste à la prédominance de l’une des deux tendances au détriment d’autre (Pederzoli in Di Giovanni, Elefante & Pederzoli, 2010:187).

1.2.3 La posizione della letteratura per l’infanzia

La studiosa Emer O’Sullivan condivide la teoria di Even-Zohar secondo cui la letteratura per l’infanzia occupa una posizione periferica nel polisistema letterario e spiega come questo sia dovuto proprio alla sua duplice natura: letteraria e socio-educativa. Il voler educare e insegnare spesso prevale sulla qualità letteraria e, di conseguenza: “[Children’s literature] is generally perceived to be a more pragmatic than purely literary phenomenon.” (O’Sulivan in Millàn e Bartrina, 2013:452).

Secondo la studiosa, un esempio significativo di controtendenza è rappresentato dai romanzi di Harry Potter che hanno notevolmente alzato il profilo della letteratura per l’infanzia.

O’Sullivan vede la prova della marginalità dei libri per bambini all’interno del polisistema nel fatto che i traduttori di questo tipo di letteratura non vengano adeguatamente riconosciuti. Anzi, citando il sottotitolo di uno studio di Gallian Lathey, i traduttori della letteratura per bambini si potrebbero definire come “narratori invisibili”:

The peripheral position of children’s books is reflected in a resulting lack of status for its translators. Picking up Venuti’s (1995) metaphor of ‘invisible translators’, Gillian Lathey (2010: 5) writes that ‘translators for children seem to be the most transparent of all’. She subtitles her study, the first extensive history of the translation of children’s texts into English, ‘Invisible Storytellers’, placing the role of the translator firmly in the centre of her account.” (O’Sulivan in Millàn e Bartrina, 2013:452)

Anche Annalisa Sezzi evidenzia come il traduttore di libri per ragazzi sia discriminato, addirittura più del traduttore letterario in generale. La causa di tale mancanza di stima e di riconoscimento è dovuta all’infondata convinzione, secondo la quale tradurre libri per i giovanissimi sarebbe più facile e richiederebbe molta meno bravura. Anzi:

[…] esiste anche una sotto-categoria della sotto-categoria, un traduttore ancora più Cenerentola: sono i traduttori che si occupano di libri per bambini in età pre-scolare, quindi paradossalmente per “non lettori”, o meglio per i “non ancora lettori” (Sezzi in Palumbo, 2010:83).

O’Sullivan auspica lo sviluppo della letteratura per l’infanzia comparata, ma constata come gli studiosi di lingue e letterature straniere non abbiano capacità o voglia di dedicarsi a questo ramo della ricerca probabilmente perché la letteratura per l’infaniza è considerata essere ai margini degli

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studi letterari. O’Sullivan fa notare come, nei casi in cui la letteratura per l’infanzia viene affrontata nelle istituzioni accademiche, essa sia considerata parte della letteratura nazionale del paese in questione e come, di norma, il suo aspetto internazionale non venga sviluppato. Così, ad esempio, in Inghilterra la letteratura per l’infanzia viene studiata e insegnata esclusivamente dagli studiosi della lingua e cultura inglese in quanto parte della letteratura nazionale ( O’Sullivan, 2005:47). Tuttavia, già questo rappresenterebbe una conquista considerato che la prima cattedra per gli studi della letteratura per l’infanzia in Inghilterra nacque solo nel 1990. La primissima cattedra in assoluto di questa disciplina fu invece istituita a Francoforte nel 1964.

In Germany until the 1960s, discussion of children’s literature was almost entirely confined to the didactic context, in relation to teacher training. In the late 1960s James Fadimann identified the level of institutional development, together with a primarily educational interest in children’s literature, as the aspects distinguishing research in Germany. The much-cited paradigm change in literary studies in Germany after the late 1960s which opened the area to fields other than ‘high culture’, combined with new approaches such as structuralism and reception aesthetics, allowed children’s literature to develop as an academic subject (O’Sullivan, 2005: 47).

1.2.4 Qualche cenno storico

Nel suo articolo intitolato Approaches to the translation of children’literature. A review of critical studies since 1960, Tabbert (2002) presenta le varie analisi critiche svolte a partire dagli anni ’60 nell’ambito della traduzione della letteratura per l’infanzia e i passi fatti verso la “dignificazione” di questo tipo di letteratura.

Children’s literature, a traditional domain of teachers and librarians, has, in the past 30 years, been made a subject of academic research. Simultaneously, more and more studies have been dedicated to the translation of children’s literature. There are four important factors which have prompted such studies: (1) the assumption that translated children’s books build bridges between different cultures, (2) text-specific challenges to the translator, (3) the polysystem theory which classifies children’s literature as a subsystem of minor prestige within literature, and (4) the age-specific addressees either as implied or as real readers (Tabbert, 2002:303).

Prima di presentare diversi studi accademici, Tabbert ricorda una data fondamentale per la letteratura per l’infanzia: 1953 – l’anno in cui a Zurigo fu fondata l’International Board on Books for Young People (IBBY). Si tratta di un’organizzazione no-profit che si pone l’obiettivo di promuovere la letteratura per l’infanzia in tutto il mondo. Il ruolo della IBBY nel miglioramento della qualità e della distribuzione di libri per bambini è importantissimo. In particolare, ogni due anni l’organizzazione conferisce ad un autore e ad un illustratore che abbiano contribuito in modo

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eccezionale alla letteratura per l’infanzia il Premio Hans Christian Andersen. Tale premio è considerato il riconoscimento più alto per quanto riguarda la letteratura per bambini. Esso è stato conferito, tra gli altri, ad Astrid Lindgren ed Erich Kästner. Nel 1970 seguì la fondazione dell’

International Research Society for Children's Literature (IRSCL) – un’organizzazione che sostiene e promuove la ricerca nell’ambito della letteratura per l’infanzia.

Parallelamente iniziano a comparire le prime enciclopedie sulla letteratura per l’infanzia, in cui vengono citate anche le traduzioni di libri per bambini e discussi i fenomeni cross-culturali, come appunto la traduzione (Tabbert, 2002:304). Inoltre:

Children’s literature, a traditional concern of educationists and librarians, has in some countries gained a foothold in university departments of literature. There are also research institutes in places such as Cologne, Frankfurt, Helsinki, London, Osaka, Paris, Stockholm, Vienna and Zürich, not to mention the International Youth Library in Munich, founded back in 1949, and now treasure-house of research material in numerous languages (Tabbert, 2002:304).

Molti libri per bambini hanno attirato l’attenzione degli studiosi impegnati nel campo della traduzione e sono diventati oggetto di diverse ricerche. Tale interesse prova il loro stato di classici internazionali. E’ il caso di Piccole donne di Louisa May Alcott, Pinocchio di Carlo Collodi, Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren, Winnie the Pooh di A. A. Milne e molti altri (Tabbert, 2002:307).

Tabbert inizia la sua presentazione delle analisi e ricerche nel campo della traduzione di libri per bambini dalla raccolta di Persson (1962), in cui appare evidente la volontà di bibliotecari, editori e traduttori di promuovere una comprensione internazionale reciproca per mezzo della letteratura per i giovanissimi e contribuire a garantire un’infanzia sicura e protetta ai bambini dei propri paesi. Un proposito simile è perfettamente coerente con il contesto del dopoguerra. Molti autori di questa collezione insistono sull’importanza della letteratura tradotta per l’arricchimento culturale che ne deriva, ma sottolineano come la letteratura per l’infanzia straniera debba essere adattata per il paese d’arrivo. L’approccio è di conseguenza fortemente “target-oriented” e rimarrà tale circa fino agli anni ’70. L’idea che i bambini debbano essere protetti da tutto ciò che non gli è familiare risale a L’emilio ovvero dell’educazione di Rousseau:

[…] the subjection of translation to conventions, in this case shared belief, initiated by Rousseau, that children have to be protected against anything culturally unfamiliar or morally unbecoming. This leaves little room for vicarious experience of foreignness (Tabbert, 2002:308).

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Tabbert dimostra come cambia il paradigma nel campo degli studi sulla traduzione per bambini citando il lavoro del pedagogista svedese Göte Klingberg, il quale è stato anche il secondo presidente della IRSCL. Klingberg sostiene che nella traduzione della letteratura per l’infanzia l’integrità dell’originale deve essere manomessa il meno possibile. Il suo approccio è chiaramente prescrittivo e per indicare come, secondo lui, dovrebbe essere tradotta la letteratura per l’infanzia, egli scrive un manuale per traduttori, in cui riporta le tipiche deviazioni rispetto al testo di partenza.

Deviations he definitely rejects are “modernisation” (which, in his case, only involves the date and time of a story and explicitly excludes the problem of modernising the classics, 57), “purification” (i.e. the deletion of what adults in the target culture may consider to be taboo for children) and “abridgements” […] Klingberg’s book of 1986, which was preceded by two Swedish versions (1974, 1977), may be uninformed as regards new theories of translation, but it gives evidence of the attempt to take children’s literature seriously as literature (Tabbert, 2002: 313).

La prospettiva di Katharina Reiss è invece descrittiva. Basandosi sulle teorie di Karl Bühler e il suo modello strumentale del linguaggio, Reiss sostiene che i diversi tipi di testo - informativo, espressivo, operativo - possono essere individuati anche nella letteratura per l’infaniza. Secondo la studiosa, ogni tipo di testo richiede alla traduzione un genere di equivalenza diverso (nei testi informativi, ad esempio, i contenuti dovranno essare resi più precisamente possibile) (Tabbert, 2002:313).

Reiss indica tre fattori che, secondo lei, sono spesso causa di deviazioni nella traduzione di libri per l’infanzia: (1) il fatto che bambini non possiedano la perfetta conoscenza linguistica, (2) l’evitare di rompere i tabù che gli adulti, guidati da dei propositi pedagogici vogliono sostenere, (3) la limitata conoscenza del mondo da parte dei bambini. A questi va aggiunto un quarto fattore fondamentale: l’interesse commerciale degli editori (Tabbert, 2002:314).

L’approccio della storica letteraria israeliana Zohar Shavit è completamente incentrato sul testo d’arrivo e si basa sulla teoria del polisistema. La studiosa considera le manipolazioni testuali caratteristiche non solo per la traduzione di libri per bambini ma per la letteratura per l’infanzia in generale, poiché essa costituisce un sottosistema di scarso prestigio all’interno del polisistema letterario (Tabbert, 2002:315).

Deviations from the source text in translated children’s literature, which at first glance seem to be caused by the child reader’s stage of development (Reiss) and from a sociocritical standpoint by the capitalist market situation (Krutz- Arnold), in Shavit’s approach are seen even more generally as symptomatic of the minor cultural status of children’s literature (Tabbert, 2002:315).

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1.3 Il background teorico: sviluppi nella scienza della traduzione 1.3.1 Skopostheorie, adeguatezza, accettabilità e il concetto di “lealtà”

Tabbert offre una visione dell’evoluzione delle teorie della traduzione che hanno influenzato anche l’ambito della traduzione per l’infanzia. Egli illustra come a partire dagli anni ’70 ci sia stato un evidente cambio di rotta a favore del testo d’arrivo e come l’approccio prescrittivo abbia lasciato spazio a quello descrittivo. Diversi studiosi con le loro teorie innovative hanno avuto un ruolo chiave in tale slittamento di prospettiva. Hans Vermeer, ad esempio, considera la traduzione come un tipo di azione umana e come tale essa costituisce un comportamento guidato da uno scopo ed è situata in una determinata situazione. (Nord in Millán e Bartrina, 2013:203)

Considering that situations are embedded in cultures, human actions are determined by culture-specific norms and conventions. A person A in linguaculture X behaves (speaks, writes or is silent) according to the norms of this culture, whereas a person B in culture Y behaves (understands, interprets, evaluates) the behaviour of others in terms of the norms of their own linguaculture. […] the translator’s task is that of mediator between cultures. If the target text can be interpreted by the target receivers as coherent with their situation and with what they know about the world – in other words, if it ‘functions’ for them –Vermeer speaks of ‘intertextual coherence (Nord in Millán e Bartrina, 2013:203).

La Skopostheorie di Vermeer suggerisce che è il proposito del processo traduttivo a determinare quale strategia verrà adottata nella traduzione. La forma e le caratteristiche dell’originale vengono mantenute se lo scopo della traduzione è quello di rendere le caratteristiche del testo di partenza. Se invece è più importante tener conto dei bisogni e delle aspettative dei nuovi lettori il testo verrà adattato. In quest’ultimo caso Vermeer definisce il testo d’arrivo come “a functional communication instrument’ (Nord in Millán e Bartrina, 2013: 203).

Altrettanto importante per il cambiamento dell’orientamento dal testo di partenza al testo d’arrivo è la figura di Gidéon Toury e la sua teoria delle norme che influenzano la resa dell’originale nella cultura d’arrivo. In particolare, Toury distingue tra l’adeguatezza e l’accettabilità dei testi tradotti.

Secondo la su teoria, la fedeltà alle norme della cultura di origine determina l’adeguatezza di una traduzione rispetto al testo di partenza. D’altro canto, il sottostare alle norme della cultura d’arrivo determina l’accettabilità della versione tradotta (Tabbert, 2002:324).

Interessante è il contributo di Christine Nord, la quale afferma che non è la “fedeltà” all’originale a contare ma la “lealtà” verso tutte le parti coinvolte nella traduzione:

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Der Translator ist verpflichtet zur ˶ Loyalität˝, und zwar sowohl gegenüber dem Zieltextempfänger im Sinne einer funktionsgerechten Übersetzung, als auch gegenüber dem Ausgangsautor, dessen Intention er nicht verfälschen darf.

(Stolze, 2005:191).

Il concetto di “lealtà” comporta per Nord la trasparenza delle scelte traduttive e le spiegazioni del perché di apparenti deviazioni dall’originale. La studiosa fa notare come i lettori erroneamente si aspettano che la traduzione renda esattamente l’impostazione dell’autore. Ma il pubblico d’arrivo non deve essere ingannato e proprio per questo ogni alterazione rispetto all’originale deve essere dichiarata apertamente:

Es liegt daher in der Verantwortung der Übersetzer, ihre Handlungspartner nicht bewußt zu täuschen, sondern eventuelle Abweichungen vom konventionellen Übersetzverständnis offenzulegen und zu begründen (Nord, 1993:17/18).

1.3.2 Equivalenza

Uno dei concetti chiave alla base degli studi sulla traduzione è sicuramente quello dell’equivalenza. Ancora nei tempi recenti, tra gli anni ’60 e ’70, la stragrande maggioranza delle teorie sulla traduzione erano basate proprio sul presupposto che tra il testo di partenza e quello d’arrivo ci dovesse essere una corrispondenza perfetta (Oittinen, 2000:8). Tale convinzione rappresentava anche la fonte principale di approcci fortemente prescrittivi sulla traduzione. Oggi le nozioni di equivalenza e di fedeltà all’originale sono state messe in discussione. Del resto, come fa notare Oittinen, il significato illusorio di tali termini può essere ben esemplificato guardando alla parola inglese equivalence e quella tedesca Äquivalenz:

[…] the English equivalence and the German Äquivalenz are often considered the same thing, and yet the different usage of the two shows that they are not “equivalent” (Oittinen, 2000:8).

Nonostante questa nuova consapevolezza, molti studiosi della letteratura per l’infanzia continuano a sostenere che una buona traduzione sia una traduzione “uguale” e “fedele” all’originale, in cui il traduttore rimane invisibile. Questa posizione viene duramente criticata da Riitta Oittinen, la quale nega la possibilità dell’esistenza di una corrispondenza assoluta tra il testo di partenza e quello di arrivo e non riconosce nemmeno l’equivalenza in termini della stessa funzione dei due testi.

Secondo la prospettiva di Oittinen, rilevante per la traduzione è solo il concetto di situazione. Esso

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può essere considerato come il contesto e cioè l’insieme di tempo, luogo e cultura, nonché l’interpretazione individuale del contesto e l’agire nel contesto (Oittinen, 2000:9).

When reading, writing, illustrating, we are always in a situation. Nothing we read or hear or see is simply a given;

instead all our knowledge is derived from a process of interpretation in an individual situation. Situations are not repeatable; each one creates a different set of functions and purposes that act on the concept derived from that particular situation (Oittinen, 2000:9).

Anche la lingua fa parte della situazione e i segni linguistici in situazioni diverse vengono decifrati diversamente. Inoltre:

If we think of translation in terms of target-language audiences and ask the crucial question, For whom? We cannot keep to the equivalence (in the sense of sameness) as our guiding principle. Rather we have to ask Is this translation successful for this purpose? Translations are always influenced by what is translated by whom and for whom, and when, where, and why. As the readers of translations are different from those of original texts, the situation of translations differs from that of originals, too (Oittinen, 2000:12).

Di conseguenza la figura del traduttore è inevitabilmente visibile all’interno del suo lavoro, anche se non riconosciuta pubblicamente. La sua traduzione non potrà e non dovrà essere “uguale”

all’originale perché il suo obiettivo sarà diverso. Si rivolgerà infatti ad un nuovo pubblico, che farà parte di una cultura diversa, parlerà una lingua diversa e leggerà in modi diversi. “Their situations are different.” (Oittinen, 2000:12).

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