LA PALAZZINA DI CACCIA
DI
L a « biblioteca d’a rte» dell ISTITUTO BANCARIO SAN
PAOLO DI TORINO s’accresce quest’anno di un numero —
il suo settimo dal 1952 — dedicato a uno dei monumenti archi-
tettonici, pittorici e decorativi più preziosi di Torino, e, nel
suo assai raro genere, d’Italia: la Reale Palazzina di Caccia
di Stupinigi, capolavoro di Filippo Juvarra nella sua piena
maturità artistica, ordinata nel 1729 dal re Vittorio Amedeo l i
alla a Sacra Religione e Ordine Militare dei Santi Maurizio e
Lazzaro », e tuttora affidata alla tutela dell’Ordine Mauriziano,
cui fu restituita dopo secolare vicenda.
D I QUESTO L IB R O SONO S T A T I S T A M P A T I
3500 E SE M PLA R I D EI Q U A L I 999 N U M E R A T I
Carlo Andrea Van Loo - Camera da letto dell’appartamento della Regina - Particolare dell’affresco della volta.
13 novembre 1572) all’Ordine ospitaliere di San Lazzaro — sorto a Gerusalemme
durante il primo regno latino dei Crociati — in seguito alla rinunzia del suo
Gran Maestro Giannetto Castiglioni alla propria carica in favore del duca.
In qualità dunque di supremo reggitore dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Laz
zaro, il primo re di Sardegna, già prossimo all’abdicazione, significava al Consiglio
la sua volontà di far costruire « una nuova Fabrica nelle vicinanze di Stupiniggi
secondo il dissegno, che vi facciamo rimettere, qual Fabrica dovrà poi in avve
nire restar unita, et affetta a quella Commenda; e siccome intendiamo, che tal
Travaglio si faccia ripartitamente, cioè con far metter a coperto detta Fabrica nel
corso dell’anno corrente, e si compischi poi al rimanente nell’anno venturo 1730;
dovrete pertanto dar prontamente in tal conformità le vostre disposizioni per farvi
mettere quanto prima la mano » (Documento esistente nell Archivio dell Ordine
Mauriziano). La somma di 35.000 lire doveva esser versata al tesoriere dell’Or
dine entro l ’anno 1729 a titolo di anticipo per le spese dal Generale delle Regie
Finanze, con l’assicurazione che « a suo tempo vi faremo provvedere il rimanente
fondo » ; ma questo denaro sarebbe poi stato rimborsato alle Regie Finanze « con
far annualmente pagare alle medesime lire sette mila de’ redditi » della Commenda
di Stupinigi, primo nucleo — per dotazione del 29 gennaio 1573
dei possedi
menti dell’Ordine, comprendente il medioevale castello tuttora esistente e i boschi
e le terre circostanti che, prima di venire in possesso di Emanuele Filiberto, eran
stati feudo dei Pallavicino nel Quattrocento e poi dei De Brissac nel Cinquecento.
Va ricordato ancora che tutto il territorio della Commenda, accresciuto da Carlo
Emanuele I, era divenuto quasi una riserva ducale di caccia: ciò che giustificava
la costruzione in quel luogo di un apposito edificio per gli svaghi venatori
della corte.
li capi di questa Fabrica saranno operati con tutta perfezione », prescrive l ’abate
messinese « Primo Architetto Civile di Sua Maestà » ; e ricordando che « la detta
Fabrica sarà in stato di metterla in Coperto quest’a n n o», stabilisce le penali per
l ’eventuale ritardo.
passò alle dirette dipendenze deiramministrazione reale (v. la « Guida » della
Palazzina pubblicata dall’Ordine Mauriziano, Torino, 1937).
Purtroppo il disegno e la pianta originali del Juvarra per Stupinigi non sono
più stati ritrovati nell’Archivio dell’Ordine Mauriziano (v. Giovanni Chevalley,
G li architetti, l’architettura e la decorazione delle ville piemontesi del X V I I I secolo,
Torino, 1912), dove — secondo l ’affermazione dello Chevalley — esisteva (ma
a noi non è stato dato di rintracciarlo) un assai più tardo « Pian generale della
Reai Fabrica di Stupiniggi » con una nota « Copia desunta da un piano ritenuto
per originale del Juvara ». Questo piano fu dallo studioso riprodotto a pagina 67
del suo libro, e su di esso ci baseremo per alcune considerazioni. Presenta un
imponente complesso di edifici, parte dei quali non venne mai costruita: per
esempio quelli che avrebbero dovuto completare, racchiudendo due vasti cortili,
le ali laterali dell’esedra che costituisce l ’invitante ingresso al gran cortile della
Palazzina (e nel piano l ’esedra è sostituita da due elementi rettilinei); ed altri
che avrebbero dovuto di molto ingrandire i due attuali e non perfettamente sim
metrici appartamenti di Levante e di Ponente, portandone l ’estremo verso il parco
al filo del corpo di fabbrica che comprende il salone d ’onore, e riunendoli a questo
corpo con due altre gallerie. In proposito è interessante confrontare questo piano
con la bellissima « Pianta generale del Reai Castello di Stupiniggi » disegnata nel
1818 dal noto architetto Ignazio Michela. (Archivio dell’Ordine Mauriziano).
N el Catalogo dei disegni fatti dal Cav. Ah. D on F ilippo Juvarra dal 1714
al 1735, compilato dal suo discepolo G. B. Zacchetti (che segue la Vita del Cav.
D on Filippo Juvarra abate di Selve e prim o architetto di S. M . il Re di Sardegna,
« Pianta generale del Reale Castello di Stupiniggi » disegnata dall’architetto Ignazio Michela nel 1818 (Archivio del
suscettibili di ritocchi. Inoltre fra le disposizioni del Consiglio dell’Ordine dopo
la lettura del Viglietto (v. Archivio dell’Ordine Mauriziano) v e anche quella
di rimettere al direttore della Fabbrica, Giovanni Tommaso Prunotto, « il disse
gno d’essa, acciò lo porti al Sig. Abbate Juvara per farvi quelle aggiunte, e varia
zioni ordinate da S. A. R. » : evidentemente da Carlo Emanuele che già a Stupinigi
doveva interessarsi per la sua grande passione della caccia. Infine, come osserva
lo Chevalley (op. cit.), di mutamenti apportati al primitivo disegno fanno fede,
oltre la modesta entità del preventivo, i reclami presentati nel 1732 dall’impre
sario Bellotti per i maggiori lavori compiuti in confronto di quelli previsti. Tutto
ciò conferma quanto si legge nel regesto della vita e delle opere di Filippo Ju-
varra, parte essenziale del più importante testo finora pubblicato sull’architetto
siciliano (L. Rovere, V. Viale, A. E. Brinckmann, Filippo Juvarra, Milano, 1937):
che il progetto juvarriano della Palazzina di Stupinigi dovette « essersi maturato
e concretato in un piano definitivo e completo » fra il 1729 e il 1730.
Comunque, non sappiamo con esattezza coin’esso si presentasse, almeno nelle
parti secondarie. Non senza fondamento lo Chevalley suppose che la costruzione
fosse stata immaginata « più modesta assai che quella ora esistente » ; e riferendosi
(op. cit.) al « Pian du Jardin de la Royalle Maison de Stupinis » conservato nella
en Italie, Parigi, 1758), di Vittorio A l
fieri (La Vita, Firenze 1806, ina con
data fittizia Londra 1804), e di vari suc
cessivi autori circa l ’intervento a Stupi-
nigi dell’architetto astigiano — altret
tanto dubbia riesce la supposizione d’un
progetto di sviluppo troppo limitato.
Conviene perciò rifarsi alle « idee »
juvarriane per piante di ville preludenti
a Stupinigi, ed ai suoi « pensieri », fis
sati sulla carta, riferibili con pt'ecisione
alla Palazzina di Caccia.
Sia nelle prime, affidate ai fogli
che si conservano nella Biblioteca Na
zionale di Torino, sia nei secondi,
del Museo Civico torinese (v. il ci
tato volume di Brinckmann, Rovere,
Viale), vediamo accennati dei carat
teri strutturali che si ritrovano nel
l’attuazione mauriziana: e anzitutto, e ripetutamente, la pianta stellata del
corpo centrale dell’edificio. In proposito il Brinckmann ha chiarito che queste
« bizzarre idee di costruzione a stella di tre o di cinque branche » si riscon
trano già nelle meditazioni romane del Juvarra, assai prima della sua venuta in
Piemonte: « e chi conosce l ’architettura barocca italiana, e specialmente quella
romana, sa quanto fossero amate, dopo l ’avvento del Borromini, analoghe compo
sizioni, e, nei dettagli decorativi, analoghe bizzarrie. Possiamo dunque affermare
che Juvarra anche qui non si è allontanato, ma si è connesso direttamente alla
tradizione italiana. E che in lui queste idee abbiano durato a lungo è dimostrato
da due disegni, dei quali il primo fu tracciato a Roma, l ’altro a Torino. Quest’ul
timo poi dimostra all’evidenza come Juvarra trasforma rimpianto normale di una
villa quadrangolare, estesa in larghezza, in una costruzione a corpi diagonali con
un grande salone centrale. Il che fu appunto il concetto già inizialmente tentato
dal nostro per Stupinigi, come si vede in un importante schizzo, che rappresenta
le prime idee del castello. La pianta a croce diagonale, i cui bracci sono
camerate disposti ad angolo retto, si trasforma in altra nella quale i bracci si incon
trano ad angoli alternativamente acuti ed ottusi. E questa seconda è la pianta di
Stupinigi ». Il Brinckmann parla di « bizzarrie ». In realtà, nel caso di una villa
in pianura, e, meglio, di un palazzo di caccia da riuscire un festoso convegno in
una natura pittoresca e variata per boschi, prati, campi ed acque, codeste « biz
zarre idee » paiono d ’una limpidissima logica e d’una razionalità assoluta. Esse
rispondono poi perfettamente a due essenziali concetti informativi dell arte juvar-
riana: chiudere uno spazio imprimendogli un movimento che di continuo lo tra
sforma e moltiplica pur senza alterare il senso di massa e di peso delle strutture
(vedi l ’atrio e lo scalone di Palazzo Madama a Torino); e creare ingegnosi aditi alla
luce che su nitide forme possa giocare con suprema eleganza. Stupinigi è il trionfo
dell’attuazione di questi concetti.
Disegno del Juvarra per il corpo centrale della Palazzina di Stupinigi (Museo Civico di Torino).
locale tradizione barocca. Anche Leonarda Masini, or è quasi un quarantennio
(La vita e l’arte di Filippo Juvara, in « Atti della Società Piemontese di Archeo
logia e Belle A r t i » , Torino, 1920), notava il carattere «fan tastico» assunto dal
l ’edifìcio di Stupinigi in virtvi di una pianta progettata — conforme al luogo e alla
destinazione — in « piena libertà di ideazione ». Il Telluccini (op. cit.) non
trascurava neppur lui di additare il partito tratto dall’architetto, per raggiungere
il suo « effetto prospettico e scenografico », dalla circostante topografìa. È un
punto sul quale, a distanza d’anni, la critica non ha mai tralasciato d’insistere;
e così l ’architetto Mario Passanti in un suo recente studio (La Palazzina di caccia
di Stupinigi, in « L ’Architettura», n. 22, Roma, 1957) scrive: «Q uando attirati
Primo disegno prospettico completo del Juvarra per la Palazzina di Stupinigi (Museo Civico di Torino).
come gioco di spazi allineati su un asse e definiti dalle pareti di costruzioni e di
bosco: unico volume in certo grado autonomo è quello formato dal salone e dagli
adiacenti appartamenti, protendentisi entro lo spazio a p a rterre». Quest’autono
mia coincide dunque col germe originario dell’idea della costruzione generale, ed
è di qui infatti che si evolvono i primi schizzi commentati dal Brinckmann. Se
non che tale coincidenza concordava anche pienamente con la nota simpatia juvar-
riana per la pianta centrale; ed esaminando il « taccuino emiliano-lombardo » del
l ’architetto, frutto di un viaggio del 1716 a Milano, Piacenza, Modena, Parma,
Reggio, Bologna, e notando l’interesse del Juvarra, manifestato con un delicato
disegno, per la pianta della chiesa dell’Annunziata dei Minimi a Parma, ellittica
con dieci cappelle radiali, Andreina Griseri acutamente ora osserva (Itinerari ]u-
varriani, in «P a ra g o n e », n. 93, Firenze, 1957): « U n o schema a cui Juvarra si
era dedicato fin dagli studi giovanili a Napoli, e che gli suggerirà soluzioni
arditissime nella maturità, nel nucleo centrale da cui si dipartono le ’ ali ’ di
Stupinigi ».
vere e Viale — sotto il titolo « Veduta della palazzina di Stupinigi ». È di qui che
dobbiamo muovere per rappresentarci il progetto del Juvarra nella sua genuinità,
non ancora, non vogliam dire alterata, ma modificata dagli ampliamenti compiuti
nel corso del secolo: il tamburo del salone centrale inserito nella croce di San-
t’Andrea degli appartamenti reali adiacenti, le due gallerie che si dipartono dai
bracci a nord-est, ed in prosecuzione di esse le due ali che, accogliendo stanze,
scuderie, canili, magazzini e gli « altri Commodi per il medesimo Palazzo di Cac
cia », chiudono fra quattro angoli ottusi il vastissimo cortile d’onore, protraendosi
poi verso Torino a costituire due corpi avanzati laterali all’ingresso.
Soltanto con un siffatto sistema pianimetrico, che ancora ignora i due « corni »,
spinti nel giardino, degli appartamenti cosi detti « di Levante e di Ponente », nep-
pur simmetrici nei profili e nei volumi, e che stentiamo a credere inizialmente
« pensati » dal maestro, così ligio al concetto unitario di una pianta, si ottengono
quelle « otto fughe raggianti » da un centro di visuale di cui parla il Passanti,
ma che in verità si limitano a sei, due essendo accecate dai vestiboli dei due sud
detti appartamenti. E soltanto così contenuta in limiti di mirabile equilibrio, la
pianta — ove si consideri una pianta come opera d’arte a sé, indipendentemente
dagli alzati — diventa davvero juvarriana, restituendo al corpo centrale, eminen
temente « regale », quell’importanza che, sempre sulla pianta, ha perduto con l ’ec
cessivo sviluppo dei fabbricati a nord-est. N e deduciamo che i due corpi « a
corno » non appartennero al progetto originale del Juvarra e furono aggiunti più
tardi per crearvi gli appartamenti dei duchi del Chiablese e di Savoia. Del resto,
nel preventivo del 1729 si elencano le spese « per il Palazzo » e « per le Scuderie
laterali » coi loro annessi, e non v ’è parola per altri edifici. Inoltre né i fratelli
Valeriani, né il Crosato, né il Van Loo, cioè i frescanti che sotto il diretto con
trollo del Juvarra decorarono entro il 1733 il «p a la z z o », intervennero nelle de
corazioni degli altri due appartamenti: esse sono tutte dovute ad artisti, tolto
l ’Olivero, morto però circa vent’anni dopo il Juvarra, specialmente operosi nella
seconda metà del Settecento, come Vittorio Amedeo e Michele Rapous, Cristiano
Wehrlin, Cignaroli.
Augusto Telluccini (L e decorazioni della già Reale Palazzina di Caccia di
Stupinigi, Torino, 1924) scrisse che « i l nuovo edificio venne inaugurato ufficial
« Pensieri per il Salone di Stupinigij », schizzi e annotazione autografa del Juvarra (Musco Civico di Torino).
« Pensiero del spaccato del Salone di Stupinigij », disegno e annota zione autografa del Juvarra (Museo
Civico di Torino).
concluso a Venezia fra i due pittori e il cav. Marini, rappresentante dei commit
tenti, il 20 febbraio contemplava la decorazione di « tutta la sala e i voltini degli
anditi superiori a detta volta della sala... e saranno istoriate con esprimere il
Trionfo di Diana com’anco tutti gli ornati d’architettura che saranno necessari
per ornare detta sala». Riconoscevano i Valeriani: «Innanzi di dipingere saremo
obbligati di mostrare li Disegni all’Architetto, e concertare il modo, e quantità
di ornati, che si richiede in detta opera », ed aggiungevano che la « pittura sarà
a fresco di buoni ed ottimi colori secondo richiede la nostra maniera di di
pingere ».
negli episodi minori, si indirizzò a questa ’ misura ’ juvarriana; che resta come
l’ordine mentale della città ». E nei riguardi di tale «m is u ra » non va dimenti
cata la parte che v ’ebbe, quale esempio, Stupinigi, dove, nel massimo evolversi
dell’arte del Juvarra, « in un’acme di invenzioni ’ rocaille ’ ancora sarà posto per
uno svolgimento di poetiche immaginazioni, quasi isola d’una nuova arcadia; ora
lontano dal classicismo del decennio precedente, pure a quello debitore per più
d ’un lato, con risultati decisamente inediti accanto ai ’ jeux d’esprit ’ che trion
favano in quegli anni ».
I Valeriani (v. commento alle tavole che riproducono particolari del salone)
partirono da Venezia il 20 aprile 1731; a loro carico le spese di viaggio, cibo,
colori, pennelli; a spese invece della Fabbrica gli intonachi per gli affreschi, i
« pontaggi », l ’alloggio. Si misero tosto al lavoro. Quando lo terminarono? Se
condo il Telluccini, come s’è visto, meno di sei mesi dopo la prima pennellata
(non si sarebbe inaugurata la Palazzina con una splendida festa essendone ancora
ingombro di ponti il salone), ciò che indicherebbe un eccezionale rapidità esecu
tiva dei due pittori, e convaliderebbe quanto si trova nelle M em orie manoscritte
dell’Orioles (Biblioteca Reale di Torin o) sotto la data 9 maggio 1731: « L i fra
telli Valeriani pittori veneziani prendono il partito di pingere la casa di Stupiniggi
per 700 ducati e di terminare il salone per li 3 novembre », ch’era la vigilia del
l ’onomastico del re ( v. Alessandro Baudi di Vesme, Schede manoso itte uguar-
danti l’arte e gli artisti in Piemonte, depositate nel Museo Civico di Torino).
Viceversa nel volume sul Juvarra di Brinckmann, Rovere, Viale (op. cit.) si legge
che « g ià nel 1733 era... decorata la gran sala centrale con gli affreschi di Giu
seppe e Domenico Valeriani » ; e nel libro di Eugenio Olivero su La Villa della
Regina in T orin o (Torino, 1942), che i Valeriani « i n un periodo di tempo dal
Sua Maestà, et altro in detto apparta
mento, L. 1850 ». Poiché fra i lavori
eseguiti in quell’anno dai fratelli Vale-
riani a Palazzo Reale (v. Clemente
Rovere, Descrizione del Reale Palazzo
di Torino, Torino, 1858) non v ’è alcuna
pittura di volta che comporti una
somma per i tempi abbastanza notevole,
è chiaro che per « appartamento nuo
vo » si deve intendere quello di Stupi-
nigi: e precisamente o l ’anticamera o
la camera da letto dell’appartamento del
re, le cui volte furono entrambe affre
scate dai Valeriani con episodi del mito
di Diana. È ragionevole dunque rite
nere che realmente i due pittori romani
veneziani avessero terminato la vastis
sima decorazione del salone per la festa
di S. Uberto e l’onomastico di Carlo Emanuele I I I del novembre 1731, sì da
poter attendere nello scorcio dello stesso anno e sul principio di quello seguente
ad altri lavori.
Un bel touf de force, in meno di sei mesi; ma si deve anche riconoscere che
non diede il risultato artistico che certo il Juvarra s’attendeva da pittori così rino
mati; e ch’egli questa volta fu nella scelta degli artisti meno fortunato che col
Crosato ed il Van Loo. « Tutta la sudetta opera sarà eseguita e dipinta con tutta
la diligenza ed attenzione che si richiede per il servizio di Sua Maestà e per la
nostra riputazione » (Archivio dell’Ordine Mauriziano) avevano con un certo
orgoglio assicurato i Valeriani; e tuttavia lo stupendo vano del salone, in cui lo
spazio sembra esser modellato dalla luce nel ricorrente ritmo delle curve che
imprimono, si direbbe, un lento movimento alla massa dell’aria rotante intorno
ai quattro grandi pilastri sui quali s’imposta la sinuosa balconata e più in alto la
volta a vela, risulta appesantito e quindi architettonicamente snaturato dalla mac
chinosa figurazione del «T r io n fo di Diana » dipinto da Giuseppe Valeriani e dalla
pesante finta architettura eseguita tutt’intorno dal fratello Domenico, abilissimo
ma qui eccessivo quadraturista.
L ’effetto d’insieme è senza dubbio
di tipica grandiosità barocca, ma
il « cortonismo » ritardatario che
spesso aduggiò il dipingere di que
sti settecentisti, contrasta con la
deliziosa vivezza ed eleganza già
tutta rococò dell’ideazione juvar-
riana. Giustamente Vittorio Viale
(La pittura in Piemonte nel Sette
cento, Rivista Torino, 1942) ha
notato le ligure massicce, il pen
nellare greve, le ombre dure, il
colore opaco e senza trasparenza
di questo « Trion fo di Diana » e
delle volte affrescate nelle due
stanze dell’appartamento del re; e
vogliamo credere che l’errato giu
dizio di Leonarda Masini
(op.
cit.), là dove parla del « gioco falso
e artificioso del salone centrale della palazzina di Stupinigi », sia dovuto proprio
a una parte della decorazione pittorica che le impedì di valutare lo splendore
dell’architettura.
Abbiamo definito provvisoria l ’inaugurazione della Palazzina il 3 novembre
1731. Infatti ancora nei preventivi del 1733 son contemplate (Archivio dell’Or
dine Mauriziano) « 36 placche di legno intagliate a L. 12 caduna », cioè appli-
ques destinate al salone, e la spesa di 1080 lire per dorarle. L o stesso anno eran
versate 2500 lire a Carlo Andrea Van Loo (nel documento « M. Vallò » ) per
l ’affresco sulla volta della camera da letto dell’appartamento della regina, e 2400
a Giovanni Battista Crosato (nel documento « Pittore Veneziano » ) per quello
sulla volta dell’anticamera del medesimo appartamento; pitture di cui si discorre
nei commenti alle tavole relative, e con le quali il Juvarra, scegliendo gli artisti,
consigliandoli, e talvolta intervenendo direttamente con disegni com’è probabile
abbia fatto per le finte architetture della stanza che, pur essa affrescata dal Crosato,
«Pensieri per finimento delle porte del Salone della Palazzina di Caccia di Stupinigij », schizzi con annota zione autografa del Juyarra (Museo Civico di Torino).
sarebbe poi divenuta l ’anticappella di S. Uberto, si prese piena rivincita dell’esito
un po’ dubbio ottenuto con l ’opera dei Valeriani: perché è soprattutto per merito
dell’arte altissima del Crosato che Stupinigi può vantare la più bella pittura ese
guita nel Settecento in Piemonte, prima dei due famosi quadri di Bernardo
Bellotto.
Non dimentichiamo che pro
prio a Torino era nato nel 1695,
e da Torino partito per Parigi
intorno al 1720, Giusto Aurelio
Meissonnier, definito recentemente
« l ’homme qui a orchestré le style
rocaille sous Louis XV »
(Alain
Jouffroy, Meissonnier in « Connais-
sance des arts », n. 63, Parigi, 1957):
e Meissonnier prima di riuscir pit
tore, disegnatore ed architetto, s’era
educato nella bottega paterna come
orafo, cioè come artigiano eletto.
Similmente Francesco Ladetti (La-
datte), nato a Torino nel 1706 ma
già a Parigi nel 1718, protetto dal
principe di Carignano, aveva alter
nato la scultura vera e propria con
l ’ornamentazione, in quest’ultima
forse dando le migliori prove della sua capacità. Ma pur disponendo di colla
boratori d’altissime qualità, il Juvarra non allenta mai la sua sorveglianza, s ad
dentra anche nelle minuzie, sembra persino che si diverta a far sentire ovun
que la presenza del suo gusto. Fra i suoi disegni del Museo Civico di Torino tro
viamo un foglio con l’annotazione: « Pensieri per finimento delle porte del salone
della Palazina di Caccia di Stupinigij » ; e vi sono schizzati con elegantissimo tocco
di penna cervi accosciati a coppia sopra l'architrave delle porte e nel cavo delle
nicchie, ed altri gruppi con un animale in piedi ed uno sdraiato accanto. È chiaro
che, nell’intenzione dell’architetto, queste sculture, forse in bronzo dorato, eran
destinate a profilarsi al sommo delle porte, e con ben altro effetto dei quattro fri
gidi busti di Cerere, Pomona e due ninfe dei fratelli Collino (Augusto Telluccini,
Ignazio e Filippo Collino e la scultura in Piemonte nel secolo X V I I I , in « Bollet
tino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione », nn. 5 e 6, Roma, 1922),
collocativi molto più tardi intorno al 1770.
Chi avrebbe dovuto modellare quegli incantevoli cervi? Evidentemente il
datte. Questi, come s’è detto, ancor ragazzo era stato condotto a Parigi e precocissimo
aveva dato ottime prove all’Accademia di Belle Arti, ottenendovi vari premi. Si
sa poi che nel 1743 espose nel « Salon Carré » del Louvre, partecipando a un
concorso con Adam, Lemoyne, Vinache e Bouchardon, un progetto di mausoleo
per il cardinale Fleury, e che fu incaricato dal municipio di Rouen di fornire
una statua di Luigi XV (Vesme, Schede, op. cit.; André Michel, Histoire de l’art,
Parigi, 1905-1929). Era stato anche a Roma, e il suo definitivo ritorno a Torino
è del 1744. Ma nella città natale, dove una delle sue due figlie sposò Vittorio
Amedeo Cignaroli, si trovava anche nel 1732, testimonio alle nozze del suo amico
e coetaneo Carlo Andrea Van Loo con Cristina Somis. Certamente in quell’anno
egli conobbe il Juvarra. Fu allora che questi gli diede l ’incarico di fornire (forse
insieme coi gruppi di animali per il salone, purtroppo non eseguiti) il bellissimo
cervo che sulla cupola della Palazzina così pittorescamente ne annunzia la funzione
di ritrovo di caccia? Che questa elegante scultura sia del Ladatte tutti i testi su
Stupinigi lo affermano; ed essa è ricordata anche dal pittore Ignazio Nepote nel
suo mediocre poemetto (I l pregiudizio smascherato da un pittore, Venezia, 1770),
ai versi che riguardano lo scultore torinese: « E '1 cervo sì magnifico — In Stupi
nigi mirasi ». Strano è tuttavia che nessuno dei documenti concernenti il Ladatte
nei vari archivi menzioni un lavoro così importante; mentre tanti altri, anche mi
nori, furono elencati dal Vesme
(op. cit.), compreso un progetto d’una fontana in
Piazza San Carlo. V ’è inoltre una diceria che si può riferire a puro titolo di
curiosità: che questo cervo si trovasse prima sul portale d’ingresso della Venaria
Reale, come si vede in un quadro secentesco d’autore incerto, di proprietà del
marchese Medici del Vascello a L,a Mandria, che rappresenta Carlo Emanuele II
con la moglie Maria Giovanna Battista in procinto di partir per la caccia, e che
fosse portato in seguito a Stupinigi: fatto poco credibile se si considera il carat
tere stilistico della scultura. Inoltre v ’è da tener presente che quando Ignazio
Nepote scriveva il Pregiudizio il Ladatte (morto il 18 gennaio 1787 e sepolto nel
cimitero di S. Pietro in Vincoli) era vivo e quindi in grado d’informar diretta-
mente il pittore-poeta. Comunque la mancanza di documenti vieta di precisare
l’anno della collocazione dell’attraente segnacolo sulla cupola.
Interno della galleria di Levante, purissima architettura juvarriana.
trasfor-marsi della Palazzina in una resi
denza estiva, si avvertì l ’esigenza
di ampliamenti sia per la Corte,
sia per gli accresciuti servizi.
Quando ripresero i nuovi la
vori di costruzione e di decora
zione? Probabilmente non vi fu
una netta soluzione di continuità
fra quelli iniziali ed i seguenti, che
continuarono poi per quasi tutto
il secolo, durante il quale l ’insieme
degli edifici assunse l ’aspetto ripro
dotto nelle stampe dello Sclopis,
del 1783; ed è anche supponibile
che lo stesso Juvarra, in vista dei
futuri bisogni, già studiasse
co-desti ampliamenti e ne lasciasse
Avancorpo terminale dell’appartamento di Levante.
disegni al Prunotto:
COSÌ SÌSpie
gherebbe il citato documento del
1737
circa la riconosciuta direzione
di questo « delli travagli » da terminare
dopo la morte dell’architetto ideatore.
Assolutamente juvarriani infatti, anche
nell’ipotesi — per noi molto attendibile — che non prendessero forma durante
la vita del maestro, sono gli elementi architettonici esterni, esemplari per il
nitore delle superfìci e la sobrietà della decorazione a lisce lesene e a piccoli
capitelli ionici, del corpo di fabbrica che racchiude l’appartamento di Levante; ma
conviene anche notare che si tratta d’un modulo il quale non fa che ripetere, con
un diverso andamento della fronte terminale, quello dei due bracci meridionali
della croce di Sant’Andrea dell’edificio centrale; e l ’abile Prunotto poteva benis
simo essere il diligente esecutore. Se viceversa penetriamo nell’interno, meno ci
persuadono, con la loro compostezza un po’ scolastica, gli atrii dei due apparta
menti, di Levante e di Ponente, dove son collocate le statue marmoree di Diana
e Atteone, Atalanta e Meleagro, che il Vesme (op. c it), seguito poi dall’Olivero,
attribuì a Giovanni Battista Bernero, mentre più attendibilmente il Telluccini
(.Ignazio e Filippo Collino, ecc., op. cit.) le disse dei Collino, e posteriori al 1769.
Queste sculture del tardo Settecento
s’intonano alla perfezione con l ’am
biente freddino, quasi a cancellarne
la firma del Juvarra.
Partito questi per Madrid a
fine febbraio del 1735 quando la
sua concezione iniziale di Stupinigi
poteva dirsi compiuta, e colà scom
parso dopo meno di un anno, poco
si sa degli architetti che gli suben
trarono nei successivi lavori alla
Palazzina di Caccia. La supposizione
relativa all’Alfieri non ha, lo si
è visto, fondamento. Lo Chevalley
(op. cit.) ha parlato d’una « mo
mentanea ingerenza »
(l’abbiamo
riscontrata nel 1754-55) di Ignazio
Bertela, certo poco importante, sì
che s’ha da concludere che per
almeno un venticinquennio la fabbrica sia stata nelle mani del Prunotto. È durante
la sua sovrintendenza che nel 1753 (v. Archivio dell’Ordine Mauriziano) si pagano
le decorazioni di una sala, due camere, un gabinetto dell’appartamento del duca
del Chiablese (ch’era allora il dodicenne principe Benedetto Maurizio), lavoro ab
bastanza notevole che potrebbe far supporre la recente costruzione dell’appartamento
di Levante. È lui che nel 1761 fornisce disegni per le scalinate dalle gallerie al
giardino, progetta nel 1763 una «nu ova fabbrica attigua al giardino potaggiere
della Palazzina Reale » (e nello stesso anno Carlo Emanuele I I I addossa al
proprio bilancio 48.044 lire di spese, ed in quello seguente altre 49.890, prova
che Stupinigi andava sempre sviluppandosi), dà nel 1770 modelli di camini da
provvedere in numero di 14 entro il 1771. Però nel 1767 compare nei docu
menti d’archivio il nome di un nuovo architetto: il conte Birago di Borgaro,
per la costruzione di una cappella « nello sfondato della prima camera attigua
alla scala nell’appartamento di S. M. ». È la cappella di S. Uberto, il cui altare
sarà disegnato dal Birago di Borgaro l ’anno dopo. Non è un intervento
gero: perché il medesimo architetto
(che proprio in quel tempo stava per
succedere a Benedetto Alfieri nella carica di « primo architetto del Re » ) nel
gennaio del 1769 provvedeva disegni — e un preventivo di 48.933 lire — per « la
fondamenta e piano terreno dell’aumento di fabbrica da farsi alla Reale Palaz
zina di Stupiniggi ». Ciò ci fa pensare, a parte i nuovi canili disegnati nel 1772,
che l’attività del Birago di Borgaro a Stupinigi sia stata, o per le opere o per i
consigli, di un’importanza assai maggiore di quanto non risulti dai documenti.
Infine nel 1774 entra in scena con un progetto di 15 appartamenti, nientemeno,
« sopra la scuderia di Levante » Ludovico Bo, che lo Chevalley (op. cit.) chiama
«assistente», ma che nel 1789, quando studiava un nuovo appartamento per i
reali principi « con camere per li Cavalieri, Dame e Valletti a piedi » si firmava,
oltre che Regio Misuratore Estimatore Generale, anche « architetto » ; si sarà forse
accontentato di costruire, come nel 1782, scuderie per i cavalli ammalati, ad ogni
modo della sua presenza si deve tener conto.
specialmente all’umidità, richiedeva ritocchi, mutamenti, ridipinture. Nessun af
fresco importante delle volte di Stupinigi è oggi interamente leggibile nel suo testo
genuino: in quelli del Crosato e del Van Loo le altrui pennellate, più o meno
abbondantemente, sono intervenute a snaturarne alcuni caratteri.
Ma un caso è particolarmente notevole. Giuseppe Fiocco ( Giambattista Cro
sato, Venezia, 1941) si sorprese che non solo i vecchi testi, ma lo stesso Telluccini
(Le decorazioni, ecc., op. cit.) « per imbarazzo singolare » avesse tralasciato di
parlare del « Trion fo di Fetonte » (che per noi è invece la rappresentazione di
Apollo che uccide il drago Pitone) dipinto sulla volta della Sala degli Scudieri,
affresco che il Fiocco stesso volle rivendicare al Crosato, giudicandolo « non meno
eminente » degli altri lasciati dal veneziano a Stupinigi. Sia pure del Crosato la
stesura originaria; però quanto vi è ancora di essa? Rifatto in gran parte il nudo
di giovinetto, ripassato interamente il drago con un colore sciatto e sordo, ridi
pinte (tranne forse quella dell’Inverno) le Stagioni negli ovali e, con un gusto
addirittura ottocentesco, le nature morte e le teste di cervo e di lupo, alterato il
cielo col cocchio dai volanti cavalli, l’autografo crosatiano, sempre ammesso che
si tratti d’autografo, non ritiene più che uno schema arieggiante a quello del sof
fitto del salone da ballo di Ca’ Rezzonico, ma che potrebbe benissimo esser stato
rielaborato da Angelo Vacca. E a questo proposito, una segnalazione curiosa. N el
l ’Archivio dell’Ordine Mauriziano un documento del 1791 assegna al pittore
Angelo Vacca un compenso (allora cospicuo) di lire 4500 per lavoro a Stupinigi.
N el « Diario » inedito di Carlo Felice di Savoia proprio alla data 30 settembre
1791 (v. Vesme, Schede, op. cit.) si legge: « Mangè la polenta à Stupinigi; après
la chasse nous sommes allés voir la nouvelle chambre, qui a été peinte par Vacca ».
L ’« imbarazzo singolare » del Telluccini potrebbe essere abbastanza giustificato.
Parimenti pesantemente ridipinti sono i putti del Rapous (non dell’Alberoni
come di solito s’afferma) nell’anticappella di S. Uberto; e se in questa stanza si
osservano con luce favorevole gli ornati che intorno agli ovali corrono sulle pareti,
si scorge, sotto, il disegno settecentesco, lieve e grazioso, e, sopra, il rifacimento
ottocentesco. Del resto, forse che anche il bel mattone rosso del pavimento del
salone e d’altri ambienti non fu ricoperto, per praticità di pulizia, da un piancito
di malta colorata?
nel gabinetto di Madama Felicita, ch’era la ormai cinquantaduenne figlia di Carlo
Emanuele I I I da nove anni defunto), così geniale era stata la prima attuazione
juvarriana, che al di sopra dei mutamenti del gusto essa continuava ad influire
sugli artefici successivi, i quali, pur attraverso forme diverse, seguitavano, rispet
tandola, ad uniformarvisi. Ed insistiamo sulla genialità dell’opera in quanto la sua
autonomia veniva già posta in questione dal francese Germain Boffrand (Livre
d’architecture, Parigi, 1745), il quale asseriva « che l ’idea di Stupinigi Juvarra
l’avesse tolta dal suo progetto del castello di Malgrange, che era caratterizzato
dalla stessa pianta a croce diagonale. Certamente Juvarra nel 1720, passando da
Londra e poi da Parigi, ha potuto fare la conoscenza di Boffrand e questi ha
potuto mostrargli il suo primo progetto della Malgrange del 1712. Ma in-realtà
quel castelletto francese non fu mai costrutto in questa forma... » (Brinckmann,
Rovere, Viale, op. cit.). Se mai, come ha notato il Brinckmann controbattendo la
tesi del Gurlitt d’una derivazione francese dell’arte juvarriana, codesta idea com
positiva era già stata svolta nel 1697 nel palazzo Althan presso Vienna, e l ’archi
tetto siciliano poteva averla conosciuta da un’incisione; se non che allora conviene
rifarsi al monito di Goethe, che non importa tanto una prima idea quanto ciò che
con essa un genio sa fare (A. E. Brinckmann, T re stelle nel cielo del Piemonte,
Torino, 1957).
Una festa nel giardino della Palazzina di Stupinigi, sotto Vittorio Amedeo III. Incisione del conte Sclopis del Borgo (1783).
molte-plicità delle relazioni e l ’unità
dell’insieme: e più l ’opera si
avvicina ad essere una e per
fetta, più le relazioni fra le
parti si fanno numerose e in
tense ».
La fine del Settecento
suggella l ’opera, e gli ulteriori
lavori, specialmente interni,
meno interessano. Dal 1772
la gestione della Palazzina era
passata alle Finanze Regie,
rimanendovi fino all’avvento
del Governo francese portato
dalla Rivoluzione in Piemon
te, che soppresse l ’Ordine dei
SS. Maurizio e Lazzaro e
cedette la reale dimora a un
privato, il cittadino Francesco
Antonio Garda, il quale nel
1801 ne permutava la pro
prietà con altri beni. Così Stu-
pinigi fu assegnato per breve tempo all’Università degli Studi di Torino, quindi
compreso nel 1804 fra le residenze imperiali di Napoleone, che vi soggiornò nel
maggio 1805 recandosi a Milano a cingere la corona reale d’Italia. Paolina Bonapar-
te amò abitarvi nel periodo che il marito Camillo Borghese era governatore gene
rale del Piemonte, e accanto al Gabinetto degli Specchi dell’appartamento di L e
vante si fece allestire un gabinetto da bagno del quale resta la vasca marhiorea.
Possiamo immaginare allora nelle stanze della principessa un’apparizione di mo
bili e arredamenti Impero, che lasciò alcune tracce nell’attuale museo. Con la
Restaurazione la Palazzina tornava ad essere tenuta di caccia e luogo di villeggia
tura del re di Sardegna, che nel 1820 faceva costruire nel parco (v. Archivio del
l ’Ordine Mauriziano) un « serraglio per i cervi ». Il luogo, infatti, annesso nel 1832
all’Azienda generale della Reai Casa, continuava ad esser molto amato dai
s oL ’insieme attuale degli edifici della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Veduta dall’aereo.
vrani: vi si celebravano le nozze di Vittorio Emanuele II, ancora principe, con
Maria Adelaide nella primavera del 1842, quelle di Amedeo, duca d’Aosta e poi
re di Spagna, con la principessa Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna nel ’67,
e assai più tardi, dopo la morte di Umberto, vi trascorreva giorni dell’estate la
regina madre Margherita nell’appartamento di Levante; ospite sua, Maria Pia di
Savoia, ex regina del Portogallo, vi moriva nel 1911 nella camera da letto affre
scata dal Van Loo. Ma, facendo un passo indietro, troviamo nella Descrizione di
Torino di Davide Bertolotti (Torino, 1840) questa notizia curiosa: « S i rendono
Quando nel 1919 parecchi beni della Corona passarono al demanio dello Stato,
e fra essi Stupinigi, il ministero della Pubblica-Istruzione vi iniziò quel « Museo
d’arte e di ammobiliamento » che oggi accresce interesse storico e godimento
estetico alla visita della Palazzina. A i mobili che l’arredavano ne furono aggiunti
vari che in origine si trovavano in altre dimore reali, come del resto già era avve
nuto precedentemente con trasferimenti dalla Venaria, da Rivoli, da Moncalieri;
ed allorché con le leggi del 1925 e ’26 Stupinigi ritornò, a sua giusta istanza,
all’Ordine Mauriziano, questo si assunse l ’obbligo « di conservare l ’antica Casa
di caccia, il suo Museo del mobilio e il parco annesso nelle condizioni necessarie
perché il magnifico documento architettonico e la raccolta preziosa dei suoi arredi
fossero assicurati nella loro esistenza » : un compito assolto egregiamente anche
nel triste periodo dell’occupazione della Palazzina, fra il 1943 ed il ’45, dei tede
schi, che vi fecero guasti, ora in gran parte con diligenza encomiabile rimediati,
ma per fortuna non danni irreparabili.
N O T A B IB L IO G R A F IC A
Germain Boffrand, L i v r e d ’a r c h i t e c t u r e , Parigi, 1745.
G. G. Craveri, G u id a d e ’ f o r e s t i e r i p e r la R e a l e C i t t à d i T o r i n o , Torino, 1753. C. N. Cochin, V o y a g e e n I t a l i e , Parigi, 1758.
Ignazio Nepotf., I l P r e g i u d i z i o s m a s c h e r a to d a u n p i t t o r e , c o lla d e s c r iz io n e d e lle m i g l i o r i p i t t u r e d e lla R e a i C i t t à d i T o r i n o , Venezia, 1770.
Bevilacqua, M e m o r i e d e lla v it a d i G ia n B e t t i n o C i g n a r o li , Verona, 1771.
Francesco Bartoli, N o t i z i e d e ll e p i t t u r e s c u lt u r e e a r c h i t e t t u r e c h e o r n a n o ... le p i ù r i n o m a t e c it t à d ’I t a l i a , Venezia, 1776.
Onorato Derossi, N u o v a G u id a p e r la C i t t à d i T o r i n o , Torino, 1781.
Vittorio Alfieri, L a V it a , Firenze, 1806, ma con indicazione fittizia Londra, 1804. Modesto Paroletti, T u r i n e t ses c u r io s it é s , Torino, 1819.
Davide Bertolotti, D e s c r i z i o n e d i T o r i n o , Torino, 1840. Luig i Cibrario, S t o r i a d i T o r i n o , Torino, 1846.
Clemente Rovere, D e s c r iz io n e d e l R e a l e P a la z z o d i T o r i n o , Torino, 1858.
Adamp Rossi, V it a d e l C a v . D o n F i l i p p o J u x m ra a b a te d i S e lv e e p r i m o a r c h i t e t t o d i S .M . i l R e d i S a r d e g n a , seguita dal C a t a lo g o d e i d is e g n i f a t t i d a l C a v . A b . D o n F i l i p p o J u v a r r a d a l 1714 a l 1735, c o m p i l a t o d a l s u o d is c e p o lo G . B . Z a c c h e t t i , in « Giornale di erudizione artistica », Perugia, 1874. V. E. Giannazzo di Pamparato, I l P r i x i c ip e C a r d in a le M a u r i z i o d i S a v o ia m e c e n a te d e i l e t t e r a t i e d e g li a r t i s t i , Torino, 1891.
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L a R e a l e P a la z z in a M a u r i z i a n a d i S t u p i n i g i , M u s e o d i A r t e e A m m o b i l i a m e n t o , a cura del Gran Magistero dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Torino, 1937. Inediti: Alessandro Baudi di Vesme, S c h e d e m a n o s c r it t e , Museo Civico di Torino.
T
A VOX-AI
TRE VEDUTE
d e l l’e d if ic io c e n t r a l e
Tavola II
TRE ASPETTI
DEL SALONE CENTRALE
i
Tavola III
SACRIFICIO D’ iFIGENIA
ANTICAMERA DELL’APPARTAMENTO DELLA REGINA (Particolare dell’affresco della volta)
G IO V A N N I B A T T IS T A CROSATO
N e i p r e v e n tiv i p e r le p i t t u r e d a e se g u ire a S tu p in ig i n e l 1733 si tro v a (v. A rc h iv io d e ll’O r d in e M a u riz ia n o ) u n a n o ta c h e p e r m e tte d i fissare la d a ta d i q u e s to m a g n ific o affresco: « P e r d ip in g e r e le a n tic a m e r e c o n o r n a ti e fig u re d a l P itto r e V e n e z ia n o d e ll’o p e r a a c c o rd a ti 2400 ». V e ro è ch e l ’a ltr a a n tic a m e ra , q u e lla d e ll’A p p a r ta m e n to d e l R e , fu d e c o r a ta n e lla v o lta c o n fig u ra z io n i d e l m ito d i D ia n a e se g u ite d a i f r a te lli V a le r ia n i; m a l ’a n n o ta z io n e p a r la d i u n « p itto r e » (al sin g o la re ), n o n d i « p i t t o r i » (al p lu r a le ) , e si rife risc e q u i n d i a l l ’o p e r a f o r n ita q u e l l ’a n n o d a G io v a n n i B a ttis ta C ro s a to : a r tis ta , q u e sto , d a v v e ro « v e n e z ia n o » d i n a s c ita (n e l 1685 o d ’86; m . il 15 lu g lio 1758) e d i g u sto , e n o n d ’o rig in e e d i e d u c a z io n e r o m a n a c o m e G iu s e p p e e D o m e n ic o V a le ria n i, i q u a li tu tta v ia , p e r la d im o r a a V e n e z ia p r e c e d e n te la c h ia m a ta a T o r i n o (che la s c ia ro n o n e l 1742 p e r re c a rs i a lla C o rte d i P ie tr o b u r g o ) e la fre q u e n ta z io n e d e lla b o tte g a d i M a rc o R ic c i, e ra n o r i t e n u t i , e lo f u r o n o in se g u ito a lu n g o , v e n e z ia n i. A l C ro sa to d e d ic ò a m p i s tu d i (d i c u i il p i ù c o m p le to è :
Giambattista
Crosato, pittore di Casa Savoia,
V en ezia, 1941) G iu s e p p e F io cco , p re s e n ta n d o lo co m e il m a g g io r p itto r e d ’affreschi d e l S e tte c e n to v e n e z ia n o p r im a d e l T ie p o lo (e d a q u e s to m a e s tro in d ip e n d e n te ta n to c h e « se si dovesse p a r la r e d a v v e ro d i in flu e n z e q u e s te d o v r e b b e r o p iu tto s to a n d a r e a v a n ta g g io d e l C ro sa to »), e c o m e il « v e r o m o to r e d e lla p i t t u r a p ie m o n te s e r i n n o v a t a » . C h ’eg li ven isse a T o r i n o p e r d ip in g e r e a S tu p in ig i su in v ito d e l J u v a r r a , è p r o b a b ile , a n c h e se n o n si p u ò c o n d iv id e re l ’ip o te s i d e l F io c c o (op. citi),
c h e il p itto r e v e n e z ia n o fosse s ta to c o n o sc iu to d a l l ’a r c h ite tto d u r a n t e u n s u p p o n ib ile v ia g g io n e l V e n e to , d a M a n to v a d o v e e r a s ta to in v ita to a d a r e u n g iu d iz io c irc a la c u p o la d a c o s tru irs i s u lla c h iesa d i S. A n d re a . I n f a t t i il F io c c o p o n e il v ia g g io a M a n to v a n e l 1719, m e n tr e esso a v v e n n e n e l 1733, co m e d im o s tr ò L e o n a r d a M a s in i inTavola IV
SACRIFICIO D’ iFIGENIA
ANTICAMERA DELL’APPARTAMENTO DELLA REGINA (Particolare dell’affresco della volta)
G IO V A N N I B A T T IS T A CROSATO
L a n e c e ssità d e l « r is a r c im e n to » sto ric o e c ritic o c o m p iu to d a l F iocco (
op
.cit.)
a b e n e fic io d e l C ro s a to è c o n f e r m a ta d a q u a n t o a n c o r a t r e n ta tr e a n n i fa u n b e n e m e r ito s tu d io s o d e ll’a r te p ie m o n te s e , A u g u s to T e llu c c in i, scriv ev a d e l g r a n d e d e c o r a to r e v e n e z ia n o n e lla m o n o g ra fiaLe decorazioni della già Reale
Palazzina di caccia di Stupinigi
(56 ta v o le d a fo to g ra fie d i A u g u s to P e d r in i, T o r in o , 1924): « A llie v o d e l T ie p o lo s’is p ir a a lla m a n ie r a e d a l l ’a r te d e l m a e stro . N o n so lo q u i n e r ip e te il so g g etto , c h e l ’a ltr o a v e v a r a p p r e s e n ta to in u n a sa la d e lla v illa V a lm a r a n a s u lla c o llin a p re sso V icen za; m a so n o tie p o le sc h i i c ie li a p e r ti e sp azio si r i p r o d o tti i n q u e sto affresco, il c o lo rito b r illa n te , le tin te c h ia re e d a rio se c o n c u i l ’a r tis ta si sforza d i d a r e a m p ie z z a e sfo n d o a lle s c e n e » . A p a r te la sv ista ch e il « S a c rific io d ’Ifig e n ia » a ffre sc ato d a l T ie p o lo n e lla s a la c e n tr a le d i V illa V a lm a r a n a (v. P o m p e o M o lm e n ti,Tiepolo, La Villa
Valmarana,
V en ezia, 1928) è d i q u a s i v e n tic in q u e a n n i p i ù ta r d o d i q u e llo d e l C ro sa to a S tu p in ig i (v. A n to n io M o rassi,Tiepolo,
B e rg a m o , 1943); a p a r te il g ià n o ta to e r r o r e (v. c o m m e n to a lla ta v o la p re c e d e n te ) d i f a r d e l C ro sa to u n « a llie v o d e l T ie p o lo », e r r o r e r i p e t u t o a n c h e p i ù r e c e n te m e n te (v. L a u r a R o sso ,La pittura e la scultura del
’700a Torino,
T o r i n o , 1934); n o n è ta n to d i tie p o - lism o c h e q u i, a p r o p o s ito d e lla co m p o siz io n e , d e llo spazio, d e l c o lo re , s’h a d a p a r la r e , q u a n t o d i p ia z z e ttism o . « C i b a s ta a n a liz z a re — scriv e il F io cco — i tip i d i q u e s ti g r u p p i, a c o m in c ia re d a l v ecch io c h e a c c a n to a l l ’a lb e r o d e lla b a n c h in a la sc ia d ie tr o a sé le g r a n d i e g o n fie vele b ia n c h e d e lla f lo tta g re c a , p ro c e d e n d o v erso le p ro sp e ro se d o n n e p ia n g e n ti, e g iu n g e r e a lfin e a lle fig u re p r in c ip a li d e l d r a m m a , r a d u n a t e i n to r n o a l l ’in fe lic e Ifig e n ia , p e r a c c o rg e rc i c h e ta li fo rm e si c o lle g a n o i n m o d o in d u b ita b ile , a n c h e p e r l ’a m p ie z z a m a e sto sa e p e r la p a r c a m o v e n z a , a g li e s e m p la ri d e l P ia z z e tta . E d è q u e s to p a le se e felice c o n ta tto c h e ci sp ie g a c e rte so m ig lia n z e d i a tte g g ia m e n to d e l C ro s a to c o n le o p e re d e l T ie p o lo , v e n u te c o n l ’e d u c a z io n e d i q u e s to stesso m a e s tro sen za ch e si p o ssa i n a lc u n m o d o p a r la r e d i re c ip ro c h e in f lu e n z e » . A n c h e V itto r io V ia leTavola V
SACRIFICIO D’ iFIGENIA
ANTICAMERA DELL’APPARTAMÉNTO DELLA REGINA (Particolare dell’affresco della volta)
G IO V A N N I B A T T IS T A CROSATO
Tavola V I
SACRIFICIO D’ iFIGENIA
ANTICAMERA DELL’APPARTAMENTO DELLA REGINA (Particolare dell’affresco della volta)
G IO V A N N I B A T T IS T A CROSATO
C o m e s’è v isto n e i c o m m e n ti d e lle tr e ta v o le p r e c e d e n ti, il F io cco (
op. cit.)
Tavola V II
ANTICAMERA DELLA REGINA
(Angolo verso levante)
E ’ u n p a r tic o la r e d ’a n g o lo d e lla sa la c h ia m a ta « A n tic a m e r a d e lla R e g in a », su lla c u i v o lta è ra ffig u ra to il « S acrificio d ’Ifig e n ia », d ip in to d a l C ro s a to : u n o d e g li a m b ie n ti d i S tu p in ig i d o v e d e c o ra z io n e e d a m m o b ilia m e n to m e g lio d i c h ia r a n o le sq u isitezze e p re z io s ità d e l secolo. A r tig ia n i s c a ltr iti d a u n a lu n g a tra d iz io n e d i b o tte g a , e d e d u c a ti n e l g u s to d a lla q u o t i d i a n a c o lla b o ra z io n e c o n a r tis ti in s ig n i (a n c o ra a d is ta n z a d i d e c e n n i si facev a su d i essi s e n tire l ’in flu e n z a d e l J u v a r r a ) , c o n c o rse ro a c re a re c o n m a n o le g g e rissim a q u e lla s o ttile ele g a n z a d i r a p p o r t i fo rm a li e c ro m a tic i c h ’è il c o n tra s s e g n o c o sta n te , p u r n e ll’ev o lv ersi d e l te m p o , d e ll’a m b ie n ta z io n e d e lla P a la z z in a d i C accia. C osì u n e sp e rtissim o e ra ffin a to s c u lto r e - in ta g lia to r e e m o b ilie r e q u a le G iu s e p p e M a r ia B o n z a n ig o (1745-1820) n o n sd e g n ò d i f o r n ir e n e l 1785 le fasce a tr a lc i d ’e d e ra d o r a ti a p p l i c a ti su u n fo n d o d i v e tr o s m a lta to d i tu r c h in o ch e in c o r n ic ia n o le ta p p e z z e rie d i se ta d i p i n t a e r ita g lia ta c o n n a s tr i e fio ri, d iste se su lle p a r e ti (v. A r tu r o M id a n a ,
L ’arte del legno in Piemonte nel Sei e nel Settecento,
T o r in o , s. d. m a d o p o il 1924). P u r e d e l B o n z a n ig o sono le m a g n ific h e p o r te in ta g lia te e d o r a te c o n tro fe i d ’a r m i e tr ip o d i d i d ise g n o g ià neo classico . A d esse si rife risc e u n d o c u m e n to (v. A rc h iv io d e ll’O r d in e M a u riz ia n o ) d e l 17 m a g g io 1786 che p a r la d i q u a t t r o « p o r te v o la n ti » p e r la C a m e ra d i P a r a ta d e ll’a p p a r ta m e n to d i S. M . » e d e l lo r o prezzo p a t t u i t o col B o n z a n ig o , d u e a lir e tr e c e n to s e tta n ta e d u e a lir e tr e c e n to c in q u a n ta c a d u n a . A l m e d e sim o m a e s tro v a a t t r i b u i t o a n c h e il so n tu o so ta v o lin o , a lto m . 0,90, la rg o m . 0,75, lu n g o m . 1,50, in n o c e sc o lp ito , in ta g lia to e d o ra to , c o n p ic c o li f o n d i la c c a ti d i a z z u rro e g ia llo c h ia ro , e fig u re p ro fila te d i g u sto n e o classico (v. A u g u s to P e d r in i,Il mobilio, gli ambienti e le decora
zioni nei secoli X V II e X V I I I in Piemonte,
T o r i n o , 1953). G iu s e p p e M oraz- zoni, p u b b lic a n d o q u e s ta p re z io sa o p e r a(Il mobile neoclassico italiano,
M i la n o , 1955), la d ic e e se g u ita d a l B o n z a n ig o v e rso il 1790 p e r la c o rte d i V itto r io A m e d e o I I I ; e rile v a la « r a r a a b ilità » d e ll’a r tis ta a s tig ia n o n e l t r a tta r e la m i c r o s c u ltu r a e b u r n e a e lig n e a , c o n r i t r a t t i , fig u re a lle g o ric h e e c o m p o siz io n i e m b le m a tic h e e s e g u iti c o lla stessa m a e s tria d i m o d e lla z io n e e c o lla stessa im p e c c a b ile finezza d ’e secu zio n e d i u n o sc u lto re d i c a m m e i: a b ilità q u i m ir a b ilm e n te te s tim o n ia ta d a l m e d a g lio n e col p ro filo d i g u e r r ie r o , fo rse A le ssa n d ro M a g n o , e d a lle a ltr e f ig u re tte m ito lo g ic h e . I l c a n d e lie r e d i b ro n z o s u l ta v o lin o è u n a c o p ia o tto c e n te sc a ; m a l ’o r ig in a le è d i d ise g n o d e l L a d a tte , in q u a n to re c a l ’im p r o n ta d e l g u sto « ro c a ille » d i c u i il to rin e s e G iu s to A u r e lio M e isso n n ie r (1695-1750) fu il g r a n d e o rc h e s tr a to r e a lla c o rte d i L u ig i X V (v. A la in Jo u ffro y ,•
Tavola V i l i
APOLLO UCCIDE IL DRAGO PITONE SALA DEGLI SCUDIERI
(Particolare dell’affresco della volta)
G IO V A N N I B A T T IS T A CRO SATO (e im itatori)
L ’a u to r e d e lla d e c o ra z io n e affre sc ata i n q u e s ta sala, o r ig in a r ia m e n te c h ia m a ta « C a m e ra d e llo S ta to d e i C a v a lie ri », e ch e p e r la ra ffig u ra z io n e m itic a su lla v o lta le « g u id e » d i S tu p in ig i, q u e lla d e l T o u r i n g , s tu d io s i d a l F io cco
Tavola IX
GRUPPO RUSTICANO CON CACCIATORE SALA CHIAMATA « ANTICAPPELLA DI S. UBERTO »
(Affresco d’una lunetta della volta)