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1. – Il processo di fabbricazione della carta

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Academic year: 2021

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1. – Il processo di fabbricazione della carta

Il processo di fabbricazione di tutti i tipi di carta [Glossario] ha inizio con l’estrazione della cellulosa dagli alberi, prosegue con la lavorazione di miscele di cellulose diverse (sia per l’origine che per i trattamenti subiti), dalle quali si ottengono grandi bobine di carta e termina, infine, con la trasformazione delle bobine madri nei prodotti finiti.

Nelle fabbriche di cellulosa il legno viene prima scortecciato, poi sminuzzato in frammenti detti

chips e successivamente trattato; la cellulosa così ottenuta, con umidità residua intorno al 10%, viene raccolta in fogli, i quali, a loro volta, sono raccolti in balle di circa 200 kg di peso ciascuna, inviate alla cartiera per la successiva trasformazione in carta.

In cartiera, le miscele di cellulosa vengono spappolate con acqua e sottoposte a processi di epurazione e pulizia (per allontanare possibili inquinanti) e di raffinazione (per conferire le caratteristiche meccaniche desiderate): l’insieme di queste operazioni costituisce la cosiddetta “preparazione dell’impasto”.

L’impasto ottenuto, con concentrazioni di fibra inferiori all’1%, va ad alimentare la macchina

continua per la produzione della carta: grazie all’asciugatura, appunto, dell’impasto, si assiste alla formazione del foglio, fino ad ottenere bobine (con umidità intorno al 5%).

Successivamente, le bobine di carta vengono allestite in rotoli o formati dai quali si ricaveranno i prodotti finiti.

Il ciclo produttivo della carta può, dunque, essere riassunto in 4 grandi fasi:  Lavorazione delle materie prime

 Preparazione dell’impasto

 Asciugatura in “macchina continua”  Allestimento MATERIE PRIME IMPASTO MACCHINA CONTINUA ALLESTIMENTO MATERIE PRIME IMPASTO MACCHINA CONTINUA ALLESTIMENTO

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1.1 – Lavorazione delle materie prime

La carta è un prodotto costituito essenzialmente da 2 tipi di materie prime:  materie prime “fibrose”: costituiscono il corpo del prodotto stesso

 materie prime “non fibrose”: servono a conferire quelle caratteristiche tecnologiche e di stampabilità richieste dal prodotto (grammatura, spessore, permeabilità, lucido…)

1.1.1 – Materie prime fibrose

Le fibre della carta sono di origine vegetale e sono formate, per gran parte, da cellulosa (chimicamente, trattasi di un composto di carbonio, idrogeno ed ossigeno C6H10O5).

Per produrre paste cartarie, si utilizza quasi esclusivamente legname di recupero a basso costo (scarti di lavorazione), o legname proveniente da alberi non adatti alla lavorazione oppure da alberi a rapida crescita (6-8 anni) messi a dimora proprio ad uso industriale.

Il legno risulta costituito da fibre di cellulosa, vasi e lignina.

Le fibre di cellulosa si distinguono in:

 fibre lunghe: caratteristiche dei legni di resinoso (pino, abete, larice)

 fibre corte: caratteristiche dei legni di latifoglia (faggio, pioppo, betulla, eucalipto)

La lignina, invece, rappresenta il collante naturale che tiene unite le fibre; è la sostanza sulla quale agire per separare le fibre da utilizzare poi per la produzione della carta.

La diversa combinazione delle fibre (lunghe o corte) ed il diverso modo di affrontare industrialmente la lignina, quindi di separare le fibre (totalmente o parzialmente delignificate), danno luogo a diversi tipi di paste cartarie e, di conseguenza, a diversi tipi di carte e cartoni.

Le paste possono essere classificate in:

 paste meccaniche: la sfibratura del legno (in genere pioppo e abete), cioè il trattamento della lignina e delle altre sostanze incrostanti che cementano le fibre tra loro, viene eseguita esclusivamente per via meccanica. Dopo la scortecciatura (la corteccia viene eliminata perché diminuirebbe la qualità della carta; essa troverà impiego come biocarburante), i tronchi di legno vengono premuti contro una mola rotante ed abrasiva che separa le singole

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fibre, ottenendo un prodotto simile alla segatura (di miglior finitura rispetto ai chips); al processo viene continuamente aggiunta acqua per mantenere la mola fredda, a causa del calore sviluppato dall’intensa frizione dei tronchi con la stessa. Le paste meccaniche presentano buone caratteristiche qualitative (stampabilità, voluminosità…), ma scarse proprietà meccaniche (lunghezza di rottura, resistenza alla lacerazione…) poiché il processo tende a lacerare le fibre, accorciandole; questo ha portato ad un rallentamento nell’impiego di tali paste. La resa in fibra, fatto 100 1 kg di legno secco, è del 90-95%: si parla, infatti, di paste ad alta resa.

Figura 2 – “Sfibratore a mola”

 paste chemitermomeccaniche (C.T.M.P.) e chemimeccaniche (C.M.P.): la lignina viene solamente ammorbidita attraverso un blando attacco termo-chimico (C.T.M.P.) impregnando i chips, ad una temperatura inferiore ai 100°C, con soda caustica NaOH, oppure con un blando attacco solamente chimico (C.M.P.). I chips vengono poi convogliati in appositi raffinatori a disco, allo scopo di elementarizzare le fibre per via meccanica. Si ottengono fibre di cellulosa ricoperte ancora in parte da lignina. Questi tipi di paste chimico-meccaniche presentano buone caratteristiche chimico-meccaniche (lunghezza di rottura, resistenza alla lacerazione…); sono usate per la produzione di quasi tutti i tipi di carta e cartoni, dal

tissue alle carte patinate. Risultano essere paste molto economiche grazie all’impiego di legni meno pregiati, al minor consumo di energia elettrica, ai bassi costi di depurazione… La resa in fibra è dell’80-90%: si parla, ancora, di paste ad alta resa.

 paste semichimiche: si ottengono sottoponendo i chips (prevalentemente di fibra corta) ad un blando attacco chimico con solfito di sodio Na2SO3 (cottura parziale); la lignina e le

sostanze incrostanti non vengono completamente disciolte. I chips subiscono, poi, un successivo trattamento meccanico di elementarizzazione delle fibre di cellulosa che risulteranno ancora in parte lignificate. Le paste semichimiche presentano soddisfacenti

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caratteristiche qualitative e trovano impiego nella realizzazione di carta da giornale e da stampa, nel cartone ondulato… La resa in fibra si attesta intorno al 60%. Tuttavia, gli elevati costi di produzione e depurazione, in relazione alla bassa resa, stanno portando gradualmente ad un sempre più scarso impiego di queste paste.

 paste chimiche (cellulosa): si ottengono sottoponendo i chips (sia di fibra lunga, che corta) ad un attacco di sostanze chimiche (cottura). I chips vengono inseriti in un grande serbatoio (bollitore), nel quale vengono introdotti opportuni prodotti chimici (ad esempio idrossido di sodio NaOH, ambiente alcalino, o solfito di calcio CaSO3, ambiente acido) che sciolgono

tutta la lignina; le temperature raggiunte nel bollitore sono di circa 150-200°C. A seguito di un modestissimo lavoro meccanico di raffineria, si ottengono fibre di cellulosa completamente delignificate. Sono le più pregiate tra le materie prime fibrose; infatti, il valore di una carta dipende dal maggiore o minore contenuto di cellulosa. Le paste chimiche risultano ottime sia da un punto di vista qualitativo che meccanico, ma anche come grado di purezza e di bianco raggiungibile; le carte di pura cellulosa sono quasi illimitatamente durevoli nel tempo e, non contenendo lignina, ingialliscono in modo trascurabile. La resa in fibra è molto bassa: 40-50%.

 carta da macero (fibre di recupero): dal riciclaggio di prodotti cartari già usati (riviste, quotidiani, cartoni…) si ottengono le cosiddette fibre di recupero. Caratteristica fondamentale della cellulosa è, infatti, quella di poter essere sottoposta a ripetuti utilizzi; vale a dire che un foglio di carta, una volta usato, può essere reimpiegato per produrre nuova carta. Il processo di riciclaggio prevede un susseguirsi di fasi di epurazione (vengono tolti dai maceri elementi estranei “contaminanti” come vetro, metallo, plastica, colle…) e di disinchiostrazione (vengono tolti gli inchiostri dai maceri, grazie all’azione di opportuni saponi che vanno ad indebolire il legame inchiostro-fibre); più i sistemi di epurazione e disinchiostrazione sono sofisticati, più la qualità delle fibre di recupero si avvicina a quella delle fibre vergini. Va ricordato che il riciclaggio delle fibre può essere eseguito solo per un numero limitato di volte (di solito 6-7), poiché il ripetersi del processo deteriora le fibre stesse rendendole sempre più corte e deboli, fino alla completa eliminazione. Si ottengono paste di qualità inferiore a quelle descritte in precedenza, per cui sono prevalentemente impiegate nella produzione di cartoni e carte non pregiate.

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La pasta prodotta con uno qualsiasi dei processi descritti presenta una colorazione scura; per questo viene sottoposta ad un’operazione di imbianchimento per aumentarne il grado di bianco. Tale operazione è di fondamentale importanza soprattutto per la carta da editoria, poiché il bianco rende migliore la riproduzione dei colori. In passato venivano impiegati cloro Cl e biossido di cloro ClO2,

estremamente efficaci nello sbiancare la fibra di legno; oggi, però, i composti del cloro non sono più in uso poiché non possono essere completamente neutralizzati dall’impianto di trattamento delle acque reflue. I prodotti chimici utilizzati attualmente per l’imbianchimento sono: ossigeno O2,

ozono O3, perossido di idrogeno H2O2.

Figura 3 – “a: pasta non sbiancata - b: trattata con O3 - c: trattata con H2O2”

1.1.2 – Materie prime non fibrose

Trattasi di sostanze “ausiliarie” che, mescolate alle materie prime fibrose, vanno a formare il foglio di carta conferendogli determinate caratteristiche. Essenzialmente si distinguono in:

 sostanze di carica: carbonati (di calcio, magnesio…), ossidi (biossido di titanio), silicati (talco, caolino…), solfati (di bario, di zinco) e solfuri (di zinco). Vanno a riempire gli spazi che si formano tra le fibre, costituiscono circa il 50% in peso di un foglio di carta e conferiscono alla carta stessa importanti proprietà come: miglior stampabilità (ricettività dell’inchiostro), migliore lisciatura e grado di bianco. Le sostanze di carica hanno costi notevolmente inferiori alle materie prime fibrose.

 sostanze collanti: resine, amido, caseina, cere…; conferiscono alla carta una impermeabilità ai liquidi ed agli inchiostri (rendendola, così, scrivibile).

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1.2 – Preparazione dell’impasto

Poiché la carta non è generalmente costituita da un solo tipo di materia prima fibrosa, durante la preparazione dell’impasto è necessario dosare, miscelare e lavorare i diversi tipi di paste a cui vengono aggiunti prodotti ausiliari come le sostanze di carica ed i collanti.

Questa fase è di vitale importanza per l’intero ciclo produttivo della carta in quanto, solo una perfetta e controllata preparazione dei prodotti fibrosi, consente di ottenere le principali caratteristiche qualificanti il prodotto finale: resistenza meccanica, liscio, spessore, opacità… Vediamo adesso le varie fasi del processo di preparazione dell’impasto e le relative funzioni:

 spappolamento: i diversi materiali fibrosi previsti dalla ricetta dell’impasto, vengono spappolati in acqua dentro la vasca di un macchinario denominato pulper (spappolatore); sul fondo della vasca una girante, dotata di lame, genera un moto vorticoso che provoca lo sfaldamento dei fogli riducendoli in fibre elementari. Il prodotto finale di questa fase è denominato sospensione: trattasi di fibre in sospensione acquosa al 4% circa, che vengono pompate e scaricate nelle cosiddette tine di stoccaggio (eventuali inquinanti grossolani, come fili di ferro o sassi, sono trattenuti da un’apposita piastra forata).

 raffinazione: è forse la fase più importante nella produzione della carta; ha lo scopo di aumentare i legami tra le fibre per sviluppare solidità e resistenza nel futuro foglio di carta,

inoltre consente anche di migliorare parametri come l’opacità, la porosità, l’impermeabilità, la stampabilità… Un foglio con fibre non raffinate è caratterizzato, infatti,

da scarse proprietà meccaniche, risulta molto voluminoso e presenta una superficie irregolare ed aperta. La sospensione fibrosa, sottoposta a raffinazione, subisce ripetute sollecitazioni meccaniche di flessione, compressione e taglio, generate dalla rotazione di due piastre (rotore e statore) entrambe dotate di lame di metallo; si ricava una modifica della struttura fisica della parete interna delle fibre. Su di essa compaiono sottili filamenti (fibrille) che fanno aumentare i punti di contatto tra le fibre, le quali perdono la loro originaria rigidità, divenendo più plastiche e flessibili; si vanno, così, ad ottenere fogli più omogenei e consistenti.

 epurazione: ha il compito di eliminare eventuali impurità (sabbia, schegge di legno, grumi) dalla sospensione fibrosa, mediante l’azione centrifuga che nasce grazie alla particolare forma a vortice dell’epuratore: trattasi di un contenitore metallico, cilindrico nella parte superiore e conico in quella inferiore. Si fa entrare la sospensione fibrosa da una certa

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altezza, tangenzialmente alle pareti dell’epuratore, in modo da imprimerle una rotazione elicoidale vorticosa di discesa e, conseguentemente, di risalita fino all’apertura di uscita; durante questo moto, le particelle più grandi delle fibre sono filtrate attraverso un foro calibrato sul fondo dell’epuratore e scaricate, poi, all’esterno.

Terminate queste fasi, la sospensione fibrosa viene arricchita con i necessari additivi di carica e successivamente viene dosata mediante una valvola che regola la grammatura [Glossario]; infine, viene aspirata da una pompa di alimentazione (fan pump) che ha il compito di diluire, miscelare l’impasto ed inviarlo alla cassa d’afflusso della macchina continua.

SPAPPOLAMENTO RAFFINAZIONE EPURAZIONE FAN PUMP

SPAPPOLAMENTO RAFFINAZIONE EPURAZIONE FAN PUMP

Figura 4 – “Fasi di preparazione dell’impasto”

1.3 – Asciugatura in macchina continua

Per macchina continua (“cuore” della cartiera) si intende il complesso di operazioni e macchinari atti a drenare ed asciugare l’impasto fibroso, fino a trasformarlo in foglio di carta; l’aggettivo “continua” deriva dal fatto che il foglio si genera senza interruzioni. La consistenza dell’impasto passa dallo 0,2-1% (2-10g di fibra per kg di acqua) in cassa d’afflusso, a circa il 95% di fine processo.

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Analizziamo, di seguito, i settori principali che caratterizzano la macchina continua:  cassa d’afflusso

 formazione zona umida  pressatura

 asciugatura

 calandratura e avvolgimento

Figura 6 – “Settori principali della macchina continua”

1.3.1 – Cassa d’afflusso

Contenitore metallico opportunamente sagomato, ermeticamente chiuso e pressurizzato, che ha il compito di convogliare la sospensione fibrosa (mescolata, diluita, dosata ed epurata) nella zona di

formazione con la massima uniformità e regolarità.

L’elevato volume di acqua nell’impasto (consistenza dello 0,2-1%) ed un’opportuna turbolenza creata in cassa d’afflusso impediscono il fenomeno della flocculazione: tendenza delle fibre a formare grumi. La distribuzione, nella zona di formazione, avviene mediante uno o più canali: ognuno di essi è dotato di un’apertura regolabile che consente di impostare il corretto valore della grammatura.

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1.3.2 – Formazione

E’il settore della macchina continua dove ha inizio il drenaggio dell’impasto e la conseguente unione delle fibre di cellulosa in uno strato coeso ed intrecciato. In passato, la sospensione fibrosa, proveniente dalla cassa d’afflusso, veniva depositata su un unico nastro detto tavola piana o tela di

formazione: matrice-setaccio in materiale sintetico poroso (mono, doppio o triplo strato) avvolta a 2 o più cilindri che ne consentivano una rotazione continua. Su di essa il drenaggio avveniva, essenzialmente, per gravità e ciò portava ad ottenere un foglio con due superfici diverse (quella inferiore ben drenata, quella superiore meno: effetto del doppio viso) e proprietà meccaniche non uniformi: le fibre, orientate per gran parte nel verso della macchina, favorivano una maggiore resistenza della carta in questo senso, rispetto alla direzione trasversale.

Figura 8 – “Drenaggio su tela formatrice”

Per risolvere il problema del doppio viso ed ottenere una distribuzione più uniforme delle fibre con un conseguente miglioramento della resistenza meccanica della carta, si è passati all’utilizzo di macchine a “doppia tela (formatrice)”: l’impasto viene introdotto tra 2 tele (di larghezza talvolta superiore ai 10 m) che si congiungono e scorrono in versi opposti, favorendo il contemporaneo drenaggio (per pressione) dei 2 lati del foglio.

Al fine di avere una buona disposizione delle fibre, è importante che la velocità del getto in cassa

d’afflusso sia praticamente uguale alla velocità della tela formatrice: se il getto è troppo lento, l’impasto viene trascinato e le fibre risultano maggiormente orientate in direzione longitudinale; se, invece, è troppo veloce, si formano onde trasversali dell’impasto e si ha una disposizione non uniforme delle fibre. Si fa riferimento ad un valore (DRAG) indicante il rapporto tra velocità del getto e velocità della tela:

- se DRAG > 1: le fibre sono disposte in modo disomogeneo e casuale e la carta non presenta una buona formazione

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- se DRAG = 1: le fibre sono disposte in modo omogeneo; la carta che si ottiene è detta

quadrata poiché presenta una resistenza trasversale pari a quella longitudinale - se DRAG < 1: le fibre sono disposte prevalentemente lungo la direzione di macchina, per cui

la resistenza longitudinale risulta più elevata di quella trasversale

Nel settore formazione, gli elementi drenanti di maggiore importanza sono:

 foils: listelli in materiale sintetico (resistente all’abrasione), montati con un’inclinazione regolabile tra 0,5° e 4° rispetto alla direzione di macchina; hanno il compito di raschiare ed asportare l’acqua presente sotto la tela

 vacuum box: casse aspiranti chiuse, alle quali si ricorre quando lo spessore dell’impasto raggiunge valori considerevoli e l’azione idrodinamica dei foils non è più sufficiente a drenare l’acqua in eccesso. Ogni cassa, che presenta un coperchio (lato tela) costituito da piastre forate o robusti listelli rivestiti di materiale ceramico o sintetico, richiama a sé l’acqua d’impasto grazie all’azione dell’impianto di aspirazione cui è collegata

 cilindro aspirante: è l’ultimo elemento drenante del settore formazione. E’caratterizzato da un mantello esterno, forato e rotante (in bronzo o acciaio inox), all’interno del quale si trova una cassa fissa, costituita da uno o due settori di aspirazione direttamente collegati al relativo impianto; una volta che la tela avvolge il mantello, acqua ed aria vengono richiamate attraverso i fori. Spesso, sopra il cilindro aspirante è presente un altro cilindro rivestito in gomma morbida che ha il compito di aumentare la pressione su impasto e tele, per migliorare sia il drenaggio che la planarità del futuro foglio di carta.

Al termine del settore formazione, la consistenza dell’impasto è aumentata fino al 15-25% per la carta (25-35% per i cartoni).

1.3.3 – Pressatura

E’il settore della macchina continua dove coppie di rulli (presse umide), in numero e dimensione variabile a seconda del tipo di carta da formare, esercitano una pressione meccanica sul foglio, consentendo di eliminare un’ulteriore percentuale di acqua. Una pressa è sostanzialmente costituita da 2 rulli contrapposti (in ghisa, acciaio o bronzo), uno mobile e l’altro fisso, sulla cui linea di

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contatto (NIP) si genera una pressione (il cui valore varia al variare di parametri come la grammatura, la temperatura del foglio, il tempo di pressatura…).

Figura 9 – “Pressa umida”

Il foglio di carta viene fatto passare, attraverso il NIP, adagiato su uno o interposto tra 2 feltri. Il

feltro è un nastro continuo, in tessuto sintetico poroso (meno rigido delle tele formatrici) e funge da:  sostegno fisico: la resistenza meccanica del foglio è ancora troppo bassa per sopportare la compressione tra i rulli, vista l’elevata percentuale di acqua ancora presente. Senza feltro, infatti, le fibre si muoverebbero disordinatamente distruggendo la struttura del contesto già formato. L’ausilio del feltro garantisce una distribuzione uniforme della pressione su tutta la larghezza del NIP, evitando allungamenti, restringimenti e doppio viso del foglio di carta  ricettore: essendo realizzato con materiali sintetici, che lo rendono soffice ed assorbente, il

feltro riesce a trattenere l’acqua spremuta nel NIP; essa verrà poi aspirata via dal feltro prima che questo incontri la carta al ciclo successivo.

Alla fine della sezione presse, termina la parte della macchina continua denominata zona umida; la consistenza dell’impasto è salita al 40-55% ed il foglio è in grado di supportarsi autonomamente.

Figura 10 – “Pressa con feltro singolo”

1.3.4 – Asciugatura

E’la fase durante la quale viene rimossa, per evaporazione, l’acqua ancora presente sul nastro di carta; questo settore della macchina continua è comunemente definito seccheria (da qui ha inizio la cosiddetta zona secca). Risulta inopportuno, però, parlare di essiccazione vera e propria, mentre è

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più consono il termine asciugatura: la carta, infatti, non viene mai portata al grado di secco assoluto, bensì fino ad una soglia limite di umidità (5% circa) sufficiente per ottenere una superficie priva di ondulazioni e ben adattabile ai successivi trattamenti ed utilizzi.

Il nastro, la cui consistenza è del 40-55%, entra in seccheria ad una temperatura di 15-25°C (valore dipendente dalla temperatura ambiente e da quella dell’impasto); qui, viene portato gradualmente ad un valore di poco superiore ai 100°C per consentire la trasformazione dell'acqua in vapore. La trasmissione del calore avviene principalmente per:

 conduzione: attraverso il contatto tra il mantello di uno o più cilindri essiccatori (riscaldati all’interno da vapore d’acqua in pressione) ed il nastro di carta. Per il primo principio della termodinamica, l’energia fluisce dal corpo più caldo (cilindro) verso quello più freddo (nastro) con un’intensità direttamente proporzionale alla differenza di temperatura tra i corpi; la trasmissione del calore risulta migliore, quanto più stretto ed uniforme è il contatto tra i due corpi. In base al numero di cilindri essiccatori presenti, distingueremo:

- seccheria monocilindrica (compatta) [Appendice 1]: è costituita da un solo cilindro

essiccatore (detto monolucido), di grandi dimensioni e peso, caratterizzato da una superficie esterna di ottima finitura. La seccheria monocilindrica è utilizzata nella produzione di carte a bassa grammatura: prevalentemente tissue (carta per uso igienico-sanitario con grammatura, per velo, di 12-25 g/m2; fazzolettini, rotoli industriali e da cucina, carta igienica, tovaglioli…), ma anche carta monolucida (MG

paper, “machine glazed paper”: carta che presenta un solo lato lucido, a contatto col mantello del cilindro, mentre l’altro è più ruvido; ha una grammatura di 30-120 g/m2 e viene impiegata in tutti i casi in cui non è importante che entrambi i lati del foglio siano lucidi: manifesti pubblicitari, sacchetti, carta per pacchi…). Nel caso della produzione di carta tissue il cilindro essiccatore prende il nome di Yankee dryer, mentre nel caso della produzione di carta monolucida è definito MG dryer.

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- seccheria pluricilindrica: è costituita da un insieme di cilindri essiccatori suddivisi in gruppi “termici” (batterie) in base al tipo di carta prodotta ed in modo da poter controllare l’entità del restringimento del foglio durante l’asciugatura (scongiurando grinze o rotture), mediante piccole variazioni di velocità tra i gruppi stessi; ogni

batteria è mossa a velocità crescente rispetto alla precedente per garantire la giusta tensione del nastro di carta. Solitamente i cilindri essiccatori sono disposti su due file sfalsate e sovrapposte; il nastro passa alternativamente da un cilindro superiore ad uno inferiore e viceversa, accompagnato o da un’unica tela essiccatrice (detta anche

uno-run o slalom) oppure da due tele essiccatrici (doppia-tela, una per fila), in modo da migliorare il contatto carta-mantello, massimizzando l’asciugatura ed il rendimento termico; raramente il nastro è autoportante. La seccheria pluricilindrica è utilizzata nella produzione di carte a medio-alta grammatura (60-150 g/m2, carta da stampa, ufficio, imballaggio…), cartoncini (150-400 g/m2) e cartoni (oltre 400 g/m2).

Figura 12 – “a: seccheria pluricilindrica - b: singola batteria doppia-tela”

 convezione: grazie ad appositi ventilatori che insufflano aria calda e secca (la cui temperatura non deve mai scendere sotto il punto di rugiada [Glossario]) in prossimità del nastro di carta ancora bagnato. Nel caso di seccherie monocilindriche il getto d’aria lambisce trasversalmente il foglio, mentre questo si trova a contatto col monolucido; nel caso di seccherie pluricilindriche, invece, il getto lambisce il foglio quando questo si trova

a passare negli spazi intermedi (tiri liberi o pocket) tra i cilindri essiccatori. L’evaporazione è ottenuta sia grazie allo scambio termico tra aria calda e superficie umida

del foglio di carta, sia grazie alla rimozione di una parte del vapore stagnante in prossimità del foglio stesso (successivamente aspirata da opportune cappe) per mezzo di correnti “convettive” generate dai ventilatori; minore è la percentuale di umidità nelle vicinanze del foglio, maggiore sarà l’evaporazione. Poiché il moto dell’aria calda e secca non è naturale, ma provocato da agenti esterni (ventilatori), più che di convezione è giusto parlare di

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“convezione forzata”. Si possono registrare aumenti dell’evaporato anche pari al 17-30%, rispetto a quello ottenuto per conduzione.

1.3.5 – Calandratura e avvolgimento

Le due operazioni finali eseguite in “continua”, dopo che il foglio è uscito dalla seccheria, sono:

 calandratura: è l’ultimo trattamento di “finitura” superficiale della carta, eseguito da una macchina denominata calandra: essa è costituita da una serie di rulli disposti in verticale, alcuni in acciaio (riscaldati) ed altri rivestiti di materiali plastici più morbidi, tra i quali viene fatta passare la carta. Al termine dell’operazione, risulteranno eliminate eventuali piccole anomalie presenti sul foglio e risulterà aumentato anche il grado di lucido e di liscio.

Figura 13 – “Calandra”

 avvolgimento: è l’operazione conclusiva, eseguita dopo la calandratura; il foglio viene arrotolato, da una macchina denominata avvolgitore (pope), su un rullo che va a costituire l’anima della futura bobina di carta. Al termine dell’avvolgimento si ricavano bobine del peso di alcuni quintali e di larghezza pari alla larghezza utile della macchina continua.

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1.4 – Allestimento

Le bobine di carta ricavate al termine della macchina continua, prima di essere trasformate in prodotto finito, vengono generalmente “standardizzate” ed allestite in:

 carta da rotolo: mediante macchine chiamate bobinatrici, le quali trasformano la bobina madre in rotoli di altezza inferiore

 carta in formato: mediante macchine chiamate taglierine, le quali tagliano e raccolgono in fogli di opportuna dimensione la bobina madre.

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