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12 CAPITOLO 1 SCRIPTS E PSICOTERAPIA 1. SCRIPT: STORIA DI UN CONCETTO 1.1. Schank e Abelson: premesse e obiettivi Il concetto di “script”

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CAPITOLO 1

SCRIPTS E PSICOTERAPIA

1. SCRIPT: STORIA DI UN CONCETTO

1.1. Schank e Abelson: premesse e obiettivi

Il concetto di “script”4 viene introdotto in uno studio del 1977 di Roger C. Schank, esperto di intelligenza artificiale, e Robert P. Abelson, psicologo sociale, nell’ambito di una teoria della concettualizzazione della conoscenza umana.

Gli autori descrivono lo script come un tipo peculiare di struttura della conoscenza umana che agisce nella concettualizzazione di determinate tipologie di eventi. Per mezzo di questo concetto (di cui vedremo i dettagli nei prossimi paragrafi), gli autori cercano prevalentemente di cogliere un aspetto centrale dei processi interpretativi non tanto degli eventi in sé, ma del linguaggio in relazione alla concettualizzazione degli eventi. In altre parole, Schank e Abelson sono interessati a una parte di ciò di cui in un enunciato non è possibile trovare riferimenti espliciti, ma che è al contempo necessario alla comprensione dell’enunciato stesso: quell’insieme di elementi che viene dal contesto dell’interazione così come è concettualizzato grazie alle conoscenze previe degli interagenti. In uno scritto successivo, infatti, Schank descrive la teoria sviluppata con Abelson come una «teoria della elaborazione del linguaggio naturale» (Schank 1982: 11).

4. Letteralmente, nell’accezione cui fa riferimento la metafora che dà origine a questo uso tecnico, il termine indica il copione teatrale. Manterrò il termine inglese per la sua diffusione quasi esclusiva nella letteratura specialistica (originale e tradotta) in lingua italiana (per un’eccezione, cfr. Minsky 1985, in cui è utilizzato “copione”).

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L’interesse per il linguaggio deriva dal fatto che lo scopo primario dello studio è quello di raggiungere una formalizzazione della conoscenza atta ad essere utilizzata in applicazioni di intelligenza artificiale: «The artificial intelligence researcher wants to know how to program a computer so that it can understand and interact with the outside world» (ivi: 1). «If we understood how a human understands, then we might know how to make a computer understand, and vice versa» (ivi: 8). “Capire”, quindi, qui è indifferentemente capire come vengono concettualizzati gli eventi e capire il linguaggio che li racconta, in un’ottica che prelude a quella, già citata, teorizzata da Violi (1997). Infatti, perché un computer possa essere programmato in modo da comprendere le intenzioni comunicative e i meccanismi relazionali, serve un modello teorico che rappresenti le strutture della conoscenza all’opera quando un essere umano sta osservando uno scenario umano (ivi: 4) o sta interagendo (linguisticamente e non solo) in esso. Per questo, i due autori si interessano delle conoscenze riguardanti le relazioni umane e, nel loro percorso rivolto alla tecnologia informatica, sottolineano un meccanismo

psicologico e linguistico essenziale.

La psicologia aveva già tentato delle vie per la comprensione del repertorio di conoscenze che l’interprete degli eventi (al di là della ricezione linguistica) porta con sé, a partire dalla psicologia della Gestalt e poi con la psicologia sociale americana, soprattutto con Minsky e il concetto di “frame” e con Piaget e Rumelhart e le loro versioni del concetto di “schema”. Il concetto di “script” affonda le radici in questa tradizione psicologica (infra, cap. 2, § 1), ma come sottolineano Schank e Abelson:

«There is a very long theoretical stride […] from the idea that highly structured knowledge dominates the understanding process, to the specification of the details of the most appropriate structures […] In other words, a knowledge structure theory must make a commitment to particular content schemas.» (Schank, Abelson 1977: 10)

Schank e Abelson intendono andare a fondo nell’esplorazione non solo delle strutture di questa categoria concettuale, ma anche dei suoi contenuti. Come già accennato, infatti, lo script è un concetto che può essere applicato soltanto a un

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campo delimitato della conoscenza. Il presupposto su cui si basa questa teoria, cioè, è che non tutta la conoscenza sia strutturata allo stesso modo né funzioni secondo i medesimi meccanismi:

«We must be wary of the possibility that knowledge in one domain may be organized according to principles different from knowledge in another. Perhaps there is no single set of rules and relations for constructing all potential knowledge bases at will.» (ivi: 3)

Gli autori assumono cioè che la forma che assume la rappresentazione della conoscenza non sia irrelata dai suoi contenuti e che vari al variare di questi: «When the content changes drastically, the form should change, too» (ivi: 3). Legarsi le stringhe delle scarpe, scrivere un testo per una canzone, preparare una lettera ufficiale, procurarsi del cibo e molte altre attività presuppongono conoscenze talmente diverse che gli autori ritengono improbabile che possano strutturarsi nello stesso modo.5

Al tempo stesso, il loro interesse cade su tipologie di conoscenza ampiamente condivise, pertinenti ad ambiti della conoscenza di enorme rilievo, cui si riferiscono in termini di psicologia naif (le assunzioni tipiche del senso comune, che guidano gran parte delle nostre azioni e interpretazioni) e fisica naif (un’intuizione primitiva del mondo fisico, già esplorata dalla precedente teoria di Schank della conceptual

dependency, punto di partenza dello studio sugli scripts), e che vengono analizzate

nella misura in cui esse sono veicolabili dal linguaggio:

«Our focus will be upon the world of psychological and physical events occupying the mental life of ordinary individuals, which can be understood and expressed in ordinary language.» (ivi: 4)

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1.2. Lo script: aspetti generali

A partire dall’osservazione che le persone, rispetto alle varie situazioni interattive che vivono, sono capaci di comportarsi in modo appropriato perché hanno una conoscenza previa di tali situazioni, Schank e Abelson (1977) intendono definire il modo in cui tale conoscenza è organizzata.

Vi sarebbe intanto una conoscenza generale degli eventi, basata sulla comune appartenenza alla specie umana che porta con sé una capacità immediata di attribuire intenzioni e interpretare i comportamenti altrui sulla base della conoscenza dei propri bisogni standard e dei metodi usuali per raggiungere determinati scopi: «if someone asks you for a glass of water, you need not ask why he wants it» (ivi: 37) e, aggiungono, persino se il soggetto lo usasse per scopi atipici, purché chiari, ad esempio gettarlo in faccia a qualcuno per poi rubargli l’orologio, saremmo perfettamente in grado di interpretare le azioni di questo evento, anche se chi assiste alla scena non ne ha mai osservata una simile. Questa conoscenza generale riguarda ciò che gli autori chiamano piano (infra, § 1.6).

La conoscenza specifica, invece, è quella che sta appunto alla base degli

scripts. Uno script è all’opera in tutte quelle situazioni ricorrenti che si

compongono di una sequenza di azioni che, a un determinato livello di astrazione e in assenza di ostacoli imprevedibili, è sempre uguale a se stessa.

Lo script di una determinata situazione si forma quando questa è già nota e percepita come altamente standardizzata; da questo momento, esso dà un contenuto e una struttura alle aspettative che ci facciamo ogni qualvolta ci troviamo (riconosciamo di trovarci) in quella situazione. Secondo Schank e Abelson (1977: 38), chiunque abbia normali capacità intellettive elabora una conoscenza di questo tipo per ogni situazione ricorrente che incontra. La conoscenza specifica permette una grande economia di calcolo durante questi eventi: non abbiamo bisogno, ad esempio, di chiederci, all’ingresso di un teatro o di un cinema, perché qualcuno ci stia chiedendo di mostrargli il biglietto (ivi: 37). L’esempio che a partire dal testo di Schank e Abelson è divenuto prototipico è lo script del ristorante, in cui la sequenza delle azioni svolte dagli attori (cliente, cameriere, cassiere, eccetera) è

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tendenzialmente immutabile per qualità e ordine e dove persino i possibili ostacoli hanno delle soluzioni standard (infra, § 1.3).

A livello linguistico, la conoscenza specifica degli scripts permette di economizzare il lavoro nella comunicazione circa questo tipo di eventi, sia in fase di produzione di testi, sia in fase ricettiva (lo vedremo meglio tra breve), sia nel linguaggio orale che nello scritto, sia con storie che con singole frasi (Schank, Abelson 1977: 37). Conoscere lo script di una situazione cui si accenna in un testo permette al ricevente di poter rintracciare i significati impliciti per comprendere che cosa sia ciò di cui si sta parlando e per interpretare certi usi linguistici che potrebbero apparire marcati:

«While giving his order to the waiter at Mamma Leone’s one evening, Spillane was approached by the owner, a notorious Mafia figure.» (ibidem, corsivi miei)

L’esistenza di uno script per la situazione tipo che si svolge all’interno di un ristorante, infatti, in questo esempio permette sia di comprendere perché una persona stia facendo un’ordinazione a qualcuno e di che natura sia questa ordinazione; sia di comprendere una tipica manifestazione della presenza di uno

script: l’uso di marche di definitezza («the», ivi: 40; 41; 42) per elementi che non

sono stati esplicitamente introdotti in precedenza, ma che sono parte di uno script cognitivo che li prevede e cui si fa riferimento.

Lo script, a differenza di altre strutture della conoscenza (infra, cap. 2), rende pertinente la temporalità. Esso tratta infatti catene di azioni in cui la tendenziale immutabilità della sequenza fa parte della struttura stessa e ne consente il riconoscimento. Inoltre, le azioni dello script sono prototipicamente legate a un preciso contesto spaziale («a sequence of spatially […] linked acts», Slackman, Nelson 1984: 329).

Ma la sequenza diacronica e l’unità di luogo non sono gli unici legami tra le azioni dello script, che sono soprattutto concatenate causalmente (secondo una logica che sarà chiarita meglio: infra, § 3). Già secondo la teoria di Schank della

conceptual dependency, il processo inferenziale alla base della comprensione della

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che rappresenta i vari stadi tra loro concatenati dell’evento descritto, alcuni dei quali vengono esplicitati e molti altri dei quali sono lasciati alla comunicazione implicita. Dato che alcune di queste catene di eventi occorrono frequentemente in un dato ordine, si sarebbero elaborati dei metodi più sintetici per trattarli e alcuni gruppi di catene causali sarebbero elaborate come singole, più ampie, unità concettuali, gli scripts appunto. La catena causale dello script può inoltre essere evidenziata sottolineando il fatto essenziale che tutto lo script è organizzato intorno a uno scopo principale (cfr. Slackman, Nelson 1984: 329).

Infine, una caratteristica strutturale dello script è la sua modularità, perché gli eventi vi sono concettualizzati in ordini di grandezza diversi e secondo un incassamento progressivo: lo script è parte di un evento, più o meno standard, più ampio; inoltre esso è suddivisibile in scene e composto da vari elementi; può infine ospitare a sua volta alcune sotto-sequenze standard (infra, § 1.3).

Tutto ciò presuppone che, in fase di ricezione linguistica (oltre che nell’osservazione degli eventi), esista una capacità inferenziale capace 1) di riconoscere lo script a partire da solo alcuni dei suoi elementi (secondo un principio gestaltico) e 2) di ricostruire l’intera sequenza dello script. A livello di produzione linguistica, invece, questi due meccanismi cognitivi hanno le loro controparti, che permettono di riconoscere, volendo raccontare una storia che si riferisce a uno

script noto, gli elementi su cui poter far leva (e quali, ridondanti, poter escludere)

per consentire all’interlocutore di riconoscere lo script pertinente:

«What [scripts] do is let you leave out the boring details when you are talking or writing, and fill them when you are listening or reading.» (Schank, Abelson 1977: 41)

Sebbene lo script sia comprensibile solo per chi lo conosce già, è possibile riconoscere quali elementi in un testo siano da imputare alla probabile presenza soggiacente di uno script ignoto. Ciò dunque, di fronte a un messaggio come: «John went to a park. He asked the midget for a mouse. He picked up the box and left» (ivi: 40; corsivi miei), può portare il ricevente a inferire, in base al principio già enunciato dell’utilizzo delle marche di definitezza, quantomeno che la frase si riferisca a uno script, sebbene a lui ignoto, secondo cui nei parchi (e altrove?) si

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possono avere dei topi (e cos’altro?), probabilmente comprandoli, rivolgendosi a dei nani che li terrebbero chiusi in scatole.6

1.3. Gli elementi dello script

In definitiva, uno script è una struttura che descrive sequenze appropriate di azioni in un particolare contesto. Ogni specifica azione della sequenza rappresenta uno slot (posto) e sono individuabili determinati requisiti circa che cosa possa riempire gli

slots. Questi sono naturalmente interconnessi e da ciò consegue che ciò che è in uno

può determinare ciò che può stare in un altro (Schank, Abelson 1977: 41).

Uno script prevede inoltre un certo numero di ruoli. Esso deve sempre essere descritto dal punto di vista di un determinato ruolo. L’insieme dei diversi punti di vista di tutti i ruoli coinvolti non è frequentemente richiesto dalla comprensione di un testo, ma nondimeno esso può essere considerato come una visione d’insieme («the “whole view”») dell’evento (ivi: 42).

Uno script prevede anche un qualche grado di opzionalità, può avere cioè dei

percorsi («tracks»), modi diversi di procedere, purché finiti (e in numero ridotto) e

prestabiliti; il concetto di “script” è però utilizzabile solo per situazioni stereotipate, che possono dunque avere dei bivi ed eventualmente dei modi di risolvere ostacoli standard, ma non uno spazio per una vera e propria progettualità, un’apertura alla creatività nel risolvere problemi (infra, §§ 1.5-1.6). Un caso tipico sono i diversi percorsi (che corrispondono a lievi variazioni nello script) in cui può instanziarsi lo

script più generico del ristorante, che mantengono però delle costanti che

permettono appunto di ascriverli al modello generale: il ristorante di lusso, il fast-food, il coffee shop prevedono possibilità di azione lievemente diverse, ma anche molte costanti. Il cliente che preleva il cibo per andare a mangiare fuori, o che attende il menu al tavolo, o il cameriere che versa il vino nel bicchiere non sono elementi che ricorrono in tutti questi esempi, ma pertengono appunto a percorsi diversi dello script del ristorante (Schank, Abelson 1977: 40; 42).

6. Alcuni problemi interpretativi possono emergere quando uno script sembra essere richiamato, ma non è possibile capire se sia stato portato a termine, o non è possibile capire perché vengano sottolineati elementi che dovrebbero essere “di sfondo”: «John went to a restaurant. He saw a

waitress. He went home» (Schank, Abelson 1977: 39, corsivo mio). In casi come questo,

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Uno script viene attivato.7 Possiamo dire che è un testo ad attivare uno script, o che un parlante attiva uno script. Il ricevente usa lo script per comprendere gli impliciti di un testo. Lo script è dunque una conoscenza condivisa, cui entrambi i partecipanti, almeno nel caso ideale, hanno accesso. L’attivazione di uno script passa per indicatori («headers», ivi: in part. 46), linguistici o più in generale contenutistici: per i primi, abbiamo già visto un esempio nelle marche di definitezza non giustificate dal cotesto (supra, § 2); per elementi più generalmente contenutistici, i diversi esempi dati nel capoverso precedente di elementi di diversi percorsi possibili di uno script, sono altrettanti elementi che, quando presenti, attivano i rispettivi percorsi. I concetti di “attivazione” e di “indicatore” saranno approfonditi più avanti in questo stesso paragrafo dopo aver presentato un esempio di script. Vediamo dunque uno schema indicativo di un percorso possibile dello

script del ristorante, quello del coffee shop, dal punto di vista del cliente:8

$: ristorante

PERCORSO: coffee shop ELEMENTI: tavoli menu cibo (F, “food”) conto soldi RUOLI: cliente (C) cameriere (Cam) cuoco (Cu) cassiere (Cas) proprietario (P)

PRECONDIZIONI: il cliente ha fame; il cliente ha soldi.

RISULTATI: il cliente è sazio; il cliente ha meno soldi; il proprietario ha più soldi.

7. Nell’originale: «“instantiated”» (Schank, Abelson 1977: 41; 47); «called up» (ivi: 42).

8. Farò astrazione dai primitivi di azioni, derivati dalla concetual dependency di Schank, utilizzati da Schank e Abelson nella descrizione degli scripts. Le azioni che riempiono gli slots dello script saranno dunque riportate qui in forma descrittiva.

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scena 1: Ingresso

C entra nel ristorante C osserva i tavoli C decide dove sedersi C si avvicina al tavolo C si siede

scena 2: Ordinazione

(menu sul tavolo) (Ca porta menu) (C chiede il menu)

C prende il menu C chiama Ca

Ca va al tavolo di C C chiede il menu a Ca Ca va a prendere il menu Ca va al tavolo di C Ca dà il menu a C C legge il menu *C sceglie F C chiama Ca Ca va al tavolo di C C ordina F a Ca Ca va da Cu Ca comunica l’ordinazione di F a Cu

Cu comunica a Ca “F non c’è” Cu prepara F (script F) Ca va al tavolo di Cl vai a scena 3

Ca comunica a C “F non c’è” (vai a *) oppure

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scena 3: Pranzo

Cu dà F a Ca Ca porta F a Ca C mangia F

(per ordinare ancora vai a scena 2) oppure (vai a scena 4) scena 4: Uscita C chiede il conto a Ca Ca scrive il conto Ca va al tavolo di C Ca dà il conto a C C dà mancia a Ca C va da Cas C dà soldi a Cas

(percorso con nessun pagamento:) C esce dal ristorante

Ora che è possibile osservare lo schema di uno script, osserviamone alcune caratteristiche generali.

Lo script prevede un comportamento prescrittivo; la sequenzialità temporale e il legame causale tra le azioni sono dovuti al fatto che nello script ogni azione ha il

risultato di produrre le condizioni che permettono di svolgere l’azione successiva.

Ne deriva che ogni azione deve essere svolta in modo soddisfacente; se una non può essere svolta, se ci sono difficoltà, è necessario prendere provvedimenti per poter comunque ottenere le precondizioni per le azioni successive: «Perhaps a new action not prescribed in the straightforward version of the script will be generated in order to get things moving again» (Schank, Abelson 1977: 45).

Tipicamente, lo script non prevede interruzioni; è però possibile immaginare disturbi di vario tipo e azioni riparatrici che sebbene interrompano momentaneamente lo script ne permettano anche la prosecuzione, e dunque ne consentano ancora l’attivazione cognitiva (infra, § 1.4).

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Uno script, come indicato nello schema, prevede inoltre delle precondizioni e dei risultati. Nel caso del ristorante (dal punto di vista del cliente) le precondizioni sono (almeno) due: “il cliente ha fame”; “il cliente ha i soldi sufficienti a pagare il conto”. Le precondizioni, sia nel caso siano osservate sia nel caso contrario, servono da principi inferenziali su cui basare le inferenze. Se non abbiamo evidenze del contrario, le precondizioni sono rispettate; in caso contrario, è necessario chiedersi chi ne è consapevole all’interno della situazione descritta dallo script ed è possibile fare previsioni, magari in forma opzionale, su quali problemi – la cui presenza è certa – sorgeranno: “se non ha soldi, o se ne accorgerà troppo tardi, al momento di pagare il conto, oppure cercherà di scappare senza pagare” (cfr. Schank, Abelson 1977: 45).

I risultati dello script sono che: “il cliente è sazio”; “il cliente ha meno soldi”; “il proprietario ha più soldi”. Per la loro importanza e il loro ruolo valgono considerazioni analoghe a quelle sulle precondizioni. L’esplicitazione delle precondizioni e dei risultati offre un importante potere predittivo, necessario per poter comprendere eventuali successive ambiguità (ibidem).

Lo script contiene delle azioni principali9 che caratterizzano ogni scena; ogni scena contiene almeno un’azione principale. La loro esplicitazione in una storia permette di comprendere che si sta richiamando la scena di uno script e, soprattutto, che questa si è svolta completamente e correttamente. Un intero script, come quello del ristorante, può essere richiamato attraverso le azioni principali di ogni sua scena, come nel breve brano: «John went to a restaurant. He asked the waitress for coq au

vin. He paid the check and left.» (ivi: 45), che richiama le azioni principali dello script del ristorante:

1 C entra nel ristorante = John went to a restaurant

2 C ordina F a Ca = He asked the waitress for coq au vin 4a C dà soldi a Cas = He paid the check

4b C esce dal ristorante = [he] left

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Il corretto svolgimento della scena 3 e il suo buon esito sono implicitamente comunicati dal fatto che la scena a questa successiva, la 4, che coincide tra l’altro con la conclusione dello script, è rappresentata aproblematicamente. Il fatto che la scena 2, quella dell’ordinazione, sia presentata aproblematicamente, comunica inoltre implicitamente che ciò che nella scena 3 è stato mangiato è esattamente ciò che nella scena precedente è stato ordinato, cioè «coq au vin». E così via.

È possibile affermare dunque che l’esplicitazione delle scene principali coincide con l’attivazione dello script. Gli autori sottolineano che, se una scena è attivata, le sue azioni principali sono obbligatoriamente accadute (ibidem).

La maggior parte delle storie reali contengono deviazioni dagli script standard (infra, § 1.4). In genere, si producono inferenze secondo cui gli elementi devianti che emergono da un confronto con lo script standard vengono collegati

causalmente tra loro. Ad esempio, se nell’attivare lo script del ristorante si esplicita

che 1) l’hamburger ordinato era freddo e 2) il cliente lasciò una piccola mancia, sono fornite due modifiche, rispettivamente, alle azioni: “C mangia F” e “C dà mancia a Ca”. Se queste modifiche sono le uniche, esse verranno collegate tra loro in un’inferenza del tipo: “il cliente ha lasciato una piccola mancia perché il cibo era freddo”, il che può portare a fare ulteriori inferenze circa il fatto che “cibo freddo” non soddisfa uno dei requisiti implicitamente richiesti dall’ottenimento standard del risultato “il cliente è sazio”: cioè che il cibo sia gradevole; in caso contrario, la reazione emotiva sarà di insoddisfazione e ciò può portare all’azione di lasciare una piccola mancia.10

Nonostante l’attivazione di uno script passi, come già detto, per degli indicatori interni a un testo (elementi linguistici e tematici), lo script non deve essere attivato ogniqualvolta compaia un indicatore, in quanto:

10. Può non essere irrilevante sottolineare una differenza culturale in uno script pur così diffuso e condiviso: negli Stati Uniti la mancia fa parte dello script standard dell’evento descritto e, evidentemente, ha anche degli standard quantitativi, tanto che è possibile valutare quando essa sia piccola e, dunque, da mettere in relazione all’insoddisfazione del cliente. In Europa, in Italia in particolare, l’insoddisfazione porterebbe piuttosto a non lasciare la mancia, in un contesto però in cui essa – soprattutto in un percorso del tipo fast-food – non è considerata obbligatoria. Nello schema dello script ciò porterebbe a una doppia opzione di percorso.

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– il contesto dello script può essere menzionato solo come luogo, non in riferimento allo script che lo riguarda: «Fuel oil was delivered to the restaurant» (Schank, Abelson 1977: 46, corsivo mio);

– lo script può essere solo menzionato cursoriamente («fleeting script»), comunicando, con un certo grado di probabilità, che tutto è andato come lo script stesso prevede. In questo caso non è necessario attivare lo script, né considerandolo nella sua interezza né limitandosi alle azioni principali, ma esso può essere considerato dettagliatamente se necessario: ovvero, viene stabilito un puntatore (ivi: 59-60), un collegamento potenziale tra la menzione cursoria dello script (“Ieri sono andato al ristorante e solo dopo sono andato in biblioteca”) e lo script stesso nei suoi dettagli, se fosse necessario richiamarne successivamente qualche azione o altro elemento per comprendere comunicazioni successive. Così, una storia come:

«John took a bus to New York. In New York he went to a museum. Then he took a train home.» (ivi: 46)

è immagazzinata nella memoria sostanzialmente come una sequenza di tre puntatori, rispettivamente agli scripts del bus, del museo e del treno, che sono considerati come andati a buon fine e senza ostacoli («it is presumed that each script proceeded normally», ivi: 47).

Perché uno script sia effettivamente attivato, secondo Schank e Abelson

almeno due sue stringhe («lines») devono occorrere, un indicatore e un’altra

stringa:

«If such an input is found, then the script is “instantiated”; that is, a copy of its general details is made, with slots filled in by known properties of the story at hand.» (ibidem)

Le azioni esplicitate attivano dunque lo script e ne richiamano tutti gli elementi; ma si tende a non voler presumere troppi elementi della sequenza quando le azioni comunicate sono nello script molto distanti tra loro. Così, in una storia come: «John

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went to a restaurant. He left a large tip» (ivi: 48), sebbene sia altamente probabile che John abbia mangiato, non vorremo semplicemente assumerlo.

Gli indicatori sono classificati dagli autori a seconda della forza (dalla minore alla maggiore) con cui determinano l’attivazione dello script, che si configura dunque come un’entità graduabile:

1) precondizioni: è possibile che lo script sia attivato quando viene esplicitata una

precondizione dello script o di una sua azione principale (o elementi da cui possiamo inferirla, ad esempio scopi che ne sono determinati, che a loro volta prefigurano i risultati dello script): “aveva fame” (oppure “voleva mangiare”; “voleva mangiare del cibo italiano”) può attivare lo script del ristorante, in quanto precondizione della azione principale “C mangia F”. Uno scopo specifico del tipo “voleva mangiare un hamburger” può attivare uno script adeguato con una forza maggiore se chi riceve l’informazione è a conoscenza di un percorso specifico di uno script che soddisfi quel tipo di scopi, come, rispetto all’esempio fatto, il “percorso fast-food” dello script del ristorante. La relazione tra precondizione e

script è che questa normalmente è vera quando lo script è attivo, ma non è possibile

affermare la relazione inversa. Le precondizioni permettono dunque solo inferenze deboli.

2) indicatori strumentali:si hanno quando un testo descrive almeno due elementi, dei quali l’uno, o tipicamente o solo in riferimento al contesto specifico – sebbene non necessariamente – prepara le precondizioni per avviare l’altro, che rimanda a uno script; è dunque probabile che la prima azione sia strumentale allo script: “prese il sottopassaggio per il ristorante”. Questa situazione ci ricorda che anche uno script frequentemente fornisce lo sfondo per altre azioni, rispetto alle quali svolge una funzione strumentale: «An important function of scripts is to provide the background in which more planful activities are carried out» (Schank, Abelson 1977: 49).

3) indicatori di setting («locale headers»): essi esplicitano il setting tipico di uno

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un luogo adibito a una situazione caratterizzata da uno script comunica l’attivazione di questo con una forza predittiva maggiore rispetto ai tipi di indicatori precedenti: “John andò al campo di calcio”; “John andò al museo d’arte moderna” o anche semplici sintagmi preposizionali, che, sebbene locativi, «can usually be paraphrased as a temporal clause of the form “When X was at the locale Y”» (Schank, Abelson 1977: 50): “Sull’autobus, rubarono il portafogli a John”.

L’indicatore di setting fa riaffiorare il problema della citazione cursoria dello

script: “Il corriere portò un pacco al ristorante”. Sebbene lo script del ristorante può

essere una parte di uno script più ampio (come quello del viaggio), non può in genere essere parte dello script della consegna dei pacchi da parte del corriere; ma il postino potrebbe mangiare lì, potrebbe sedersi improvvisamente e ordinare: dobbiamo insomma essere pronti ad attivare lo script.

4) concettualizzazioni interne: i più forti indicatori predittivi di uno script si hanno

quando le sue concettualizzazioni interne, quali un’azione principale o un ruolo, sono esplicitamente espresse. Ma, come nel caso del setting, il ruolo potrebbe essere citato senza voler attivare lo script: “Sono uscito con una cameriera”. Resta il fatto che, dato il principio dei due indicatori per attivare lo script, un secondo indicatore attiverebbe lo script anche se uno soltanto sarebbe stato lontano dal farlo:

«John went to visit his friend Mary who was a waitress. While he was waiting for her, he ordered a hamburger.» (Schank, Abelson 1977: 50, corsivi miei)

1.4. Deviazioni dallo script

Lo svolgimento di uno script può incontrare delle situazioni che ne minano la prosecuzione, dette “deviazioni”. Schank e Abelson (1977: 52) ne elencano alcune tipologie, così suddivise:

1) interferenze: stati o azioni che prevengono il normale svolgimento dello script.

Esse ci portano ad esplicitare il presupposto secondo cui, durante l’esecuzione di uno script, di fronte a un ostacolo è preferibile far sì che l’impedimento che

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disabilita l’atto successivo sparisca (attraverso delle sequenze di riparazione) piuttosto che modificare l’atto da abilitare, perché la prima operazione consente di mantenere lo script, che, per definizione, è uno strumento molto economico per affrontare una situazione. Le interferenze possono essere di due tipi: ostacoli, dati dall’assenza delle condizioni che abilitano un’azione imminente, cui si può rispondere con delle sequenze di riparazione in forma di prescrizioni ad hoc (oppure uscendo di scena); o errori, riconoscibili dal fatto che un’azione è portata a termine con risultati inattesi e inappropriati, per i quali la soluzione è completamente diversa e consiste nella ripetizione («loop») dell’azione fino alla sua corretta esecuzione. È importante ricordare che in conseguenza delle interferenze (e ancora di più dei fallimenti nel tentativo di correggerle) un attore prova, in genere,

reazioni emotive: frustrazione, rabbia, sconforto, eccetera, altrettanti elementi

testuali per comprendere la presenza di una deviazione nello script anche in assenza di informazioni più esplicite.

2) distrazioni: azioni o stati inattesi che inaugurano nuovi scopi dell’attore,

portandolo temporaneamente o permanentemente fuori dallo script.

Emerge dunque un set di domande che sorge quando un elemento inatteso compare in uno script: esso comunica esplicitamente o implicitamente un ostacolo, un errore, una prescrizione, una ripetizione per ovviare a un errore, una reazione emotiva a un’interferenza? oppure un nuovo scopo o l’abbandono dello script da parte dell’attore principale? Se a una di queste domande si può rispondere affermativamente, allora siamo di fronte a una deviazione, temporanea o definitiva.

Quando le sequenze di riparazione (prescrizioni o ripetizioni) hanno esito positivo o quando la distrazione termina tornando allo script, la sequenza di questo riprende al punto successivo a quello da cui la catena delle azioni si era ramificata. Le sequenze di riparazione sono tipicamente cicliche, e nelle applicazioni agli

scripts della psicoterapia saranno rappresentate così:11

11. Nelle raffigurazioni degli scripts utilizzerò i blocchi esagonali per raffigurare delle opzioni, luoghi della sequenza le cui fasi successive sono determinate in base a certe condizioni: si

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Esse possono incontrare diversi fallimenti prima dell’eventuale esito positivo, producendo una sequenza del tipo: “ostacolo, prescrizione, fallimento, prescrizione, fallimento…”. Queste catene possono terminare anche con una sequenza: “fallimento, reazione emotiva, distrazione” (in cui la frustrazione di non riuscire a risolvere l’ostacolo allo script ne porta fuori l’attore) o più semplicemente con un abbandono. Nei casi di abbandono, naturalmente, lo script non continua ad essere la traccia per l’interpretazione delle azioni seguenti.

Alcune sequenze di riparazione (ostacolo-prescrizione o errore-ripetizione) sono tanto frequenti da divenire parte dello script (come chiedere il menu per poterlo vedere quando non lo si trova sul tavolo e il cameriere sembra essersi dimenticato di portarlo, oppure ordinare qualcosaltro quando ciò che abbiamo ordinato è terminato, elemento che, dal punto di vista del cameriere o del proprietario, nell’ottica delle sequenze di riparazione, può essere considerato un errore del cliente). Ovviamente, per rientrare nello script le sequenze devono andare a buon fine e assumono dunque necessariamente la forma tripartita “ostacolo, prescrizione, successo” o “errore, ripetizione, successo”. In questo modo lo script cresce con l’esperienza, si formano dei rami possibili che sono a loro volta standard, da seguire in caso di interferenza: «Indeed, occupational role members must have very elaborate scripts from their situational points of view, e.g., a trial lawyer’s conception of the courtroom script» (Schank, Abelson 1977: 55). Tale espansione ha un confine, difficile da stabilire, nella variabilità inividuale: ma esiste pur sempre un nucleo comune che permette di parlare di uno script come di un’entità basata su «stereotyped details which are culturally consensual» (ibidem).

Applicare prescrizione o ripetere procedura Esistono le condizioni per proseguire nello script? SÌ NO

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Al di là delle interruzioni che è possibile osservare dal suo interno, uno script può essere deviato anche dalle interferenze di due (o più) scripts contemporaneamente attivi. In alcuni casi si tratta semplicemente di uno script che si inserisce all’interno di un altro, ha inizio, si chiude e permette quindi all’altro di riprendere (ad esempio: un tentativo di furto interrotto dall’intervento della polizia all’interno di un ristorante).

Casi molto frequenti di questo tipo si hanno in presenza degli scripts

strumentali: scripts finalizzati in genere a creare le precondizioni per un’azione che

fa parte di più ampi scripts o sequenze di azioni orientate a uno scopo. Gli scripts strumentali sono molto rigidi, con un solo attore, in genere non interrotti da sottosequenze se non del tipo “errore, ripetizione”, anch’esse standard e previste dallo script; alcuni esempi sono: accendere l’auto, rompere un uovo, eccetera (ivi: 65-66).

In altri casi, più scripts possono essere contemporaneamente attivi in una data situazione. Lo script del treno può interferire con quello del ristorante all’interno della carrozza-ristorante. Il caso in cui una frenata improvvisa del treno provoca il rovesciamento della zuppa del cliente è un semplice esempio di interferenza in cui un’azione di uno script ha disabilitato le condizioni per un’azione dell’altro.12

In altri casi i passi dei due scripts possono intrecciarsi. Vediamo un esempio di interazione tra lo script del ristorante e quello dell’incontro romantico:

«John was wooing his girlfriend in the restaurant He asked her for the salt.

Then he asked her for her hand.» (ivi: 58)

In un caso come questo, è necessario conoscere entrambi gli scripts all’opera per capire a quale script appartenga ogni azione che seguirà. Ma si potrebbe incorrere in un caso di ambiguità di script nel caso non si riesca ad attribuire l’azione

12. Schank e Abelson affermano che in casi come questo può essere mantenuto il valore cognitivo dello script trattando, all’interno dello script del ristorante, l’invalidazione dell’evento “C mangia F” come conseguente a un errore standard (ad esempio come se il cameriere avesse servito una portata errata), e risolverla con una semplice sequenza di riparazione, ad esempio ordinando una nuova pietanza: «A next sentence such as “John called the waiter” would have to be handled as an Error-Loop detour path within the restaurant script» (Schank, Abelson: 58).

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seguente con precisione a uno dei due scripts: «He asked her for money» (ivi: 58). In genere, si tratta di ambiguità rese comprensibili da altri dati contestuali, quali la personalità di uno dei protagonisti, o rimandando la comprensione alla conoscenza delle azioni che seguiranno.

Un caso problematico di interferenza si ha quando viene attivato uno script nuovo (o comunque appare un evento non previsto nello script attuale) e non è possibile capire se esso rappresenti una distrazione o segni l’inizio di un nuovo

script, e dunque implicitamente la fine del precedente; è necessario aspettare nuova

informazione (se lo script precedente non è stato esplicitamente chiuso) perché l’inferenza di chiusura non è certa:

«Yesterday John was in New York He went to a restaurant

[…] he bought a watch.» (ivi: 58)

Un caso particolare di interferenza è il caso dello script personale. Gli scripts personali sono dovuti, come lo script in genere, a una ripetizione di una situazione in modo standardizzato, ma che riguarda il singolo individuo senza che siano previste interazioni standard con altri attori che condividono la conoscenza dello

script. In genere lo script personale è meno stilizzato degli scripts che abbiamo

illustrato finora, perché la mancanza di condivisione dello script implica che il soggetto dello script personale debba portare l’eventuale altro partecipante a fare la cosa che quello desidera che faccia senza poterglielo chiedere esplicitamente e senza che l’altro possa aiutarlo spontaneamente. Nondimeno lo script personale è comunque procedurale e povero di pianificazione perché utilizza un metodo rigoroso che prevede una sequenza di condizioni da ottenere che potrebbe essere perfino insegnata: «It consists of a sequence of possible actions that will lead to a desired goal» (ivi: 62, corsivo mio). Normalmente, in ogni situazione reale, gli

scripts situazionali (ovvero quelli standard), strumentali e personali interagiscono

tra loro (ivi: 66).

Molto spesso gli scripts personali sono non solo costanti per l’individuo ma diffusi e ricorrenti tra gli individui e dunque riconoscibili (anche dagli altri attori

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coinvolti): l’adulatore, la moglie gelosa, la spia, eccetera. Alcuni non sono neanche orientati a uno scopo, ma sono piuttosto rituali, azioni abitudinarie o reazioni tipo. Alcuni scripts personali possono essere ovviamente estremamente soggettivi, e molti possono essere di grande interesse per lo psicologo:

«These are the stuff of neuroses, especially when they are activated inappropriately and create interferences in the ongoing social behavior of the individual.» (ivi: 63)13

In relazione agli scripts personali, Schank e Abelson utilizzano l’espressione «hidden agenda» (ivi: 64), ovvero “secondo fine nascosto”, in cui gli altri partecipanti all’interazione non sono a conoscenza né degli scopi né dei modi procedurali del soggetto per ottenerli. È interessante notare che si tratta di un concetto chiave nella letteratura di stampo microsociologico che si interessi dell’interazione psicoterapeutica (cfr. Peräkylä et alii 2010a, passim, ma anche in generale gli interventi tenuti ai convegni europei annuali su “Conversation Analysis of Psychotherapy”) per riferirsi al fatto che i percorsi e i criteri interpretativi del terapeuta sono ignoti al paziente. Ma in questo secondo caso, però, è bene sottolineare che solo gli scopi strumentali o accessori sono ignoti al paziente, mentre lo scopo principale del terapeuta è alla base del loro accordo: la cura o l’aiuto del paziente stesso (infra, § 2).

1.5. Tra proceduralità e progettualità: il meta-script e il trans-frame

La pubblicazione del saggio di Schank e Abelson portò a una proliferazione di applicazioni del concetto di “script”. Sembrava, afferma Schank, «che nessuno avesse una buona idea su quelli che erano i limiti teorici di uno script. Se era conveniente farlo, allora una struttura veniva etichettata come script» (Schank 1982:

13. Gli autori, sebbene disinteressati per i loro scopi di teoria generale della conoscenza a scripts per definizione asociali come quelli riguardanti i disturbi psicologici, sottolineano che il concetto stesso di “script” possa di per sé essere rilevante per una demistificazione del concetto di “comportamento nevrotico”, riferendosi probabilmente al fatto che lo script inserirebbe un ordine dove viene supposto il caos, e trovano un precedente simile nella concezione – meno rigorosa – di “script” della psicologia transazionale di Steiner (cfr. Schank, Abelson 1977: 63).

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7); «la nozione […] è stata usata da molti ricercatori per denotare quasi qualsiasi cosa» (ivi: 11).

Anche in questa ricerca, in effetti, la nozione è utilizzata in un’accezione più ampia di quella difesa dagli autori, ma proprio perché, nella tradizione di studi successiva, l’estensione del concetto ha trovato spesso delle motivazioni tuttaltro che secondarie. D’altra parte, già gli autori, sebbene intendano riferire il concetto di “script” a situazioni molto specifiche, standard e prive di progettualità, in realtà propongono alcuni esempi (cfr. lo script dell’aula del tribunale dal punto di vista dell’avvocato di un processo, ivi: 55) che, in termini di proceduralità e, invece, progettualità coinvolte, piuttosto che alla situazione del ristorante, sono decisamente più simili alla situazione della psicoterapia che prendo in esame in questa ricerca (infra, § 2) o ad altre, anch’esse complesse, studiate nella letteratura più recente sugli scripts (il primo appuntamento, cfr. Rose, Hanson Frieze 1989; l’incontro sociale e l’esame medico, le cui concettualizzazioni sono definite frames in Tannen, Wallat 1987: 210 ma nei termini qui adottati sono definibili come scripts).

Le stesse competenze cognitive necessarie per decidere se un evento segna un’interruzione momentanea di uno script o piuttosto l’inizio di uno nuovo e il conseguente abbandono di quello vecchio spingono alcuni elementi quali la modularità dello script (supra, § 1.2) e la capacità di gestire deviazioni (supra, § 1.4), verso una complessità e un’elasticità che mi sembrano inadatte ad essere ridotte a situazioni rigidamente procedurali.

Questi elementi sono stati spesso esplorati nella letteratura successiva a Schank e Abelson, non solo al fine di elaborare un concetto meno rigido e più progettuale di “script”, ma anche, appunto, di sottolineare quanto ci fosse già di procedurale nel concetto originario.

Zohar e Luria (2003: 841) evidenziano che lo script di Schank e Abelson, già nei termini originali, è in realtà un meta-script, a causa dei diversi percorsi individuali (supra, § 1.3) possibili all’interno dello script più generico (lo schema riportato supra, § 1.3, rigarda ad esempio un percorso specifico di uno script più generale), ognuno dei quali con diversi modi possibili e prestabiliti di risolvere problemi ricorrenti (supra, § 1.4).

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In pratica, Zohar e Luria propongono una maggiore varietà di strutture cognitive in gioco nella finalità di raggiungere uno scopo, una sorta di gerarchia interna allo script (2003: 841) ma anche esterna: il concetto di meta-script, appunto, ma anche un interessante ulteriore iperonimo, derivante direttamente dalla strategia militare: le missioni, «specific combinations of meta-scripts» (ivi: 848).

Il loro interesse è rivolto proprio alla gestione di strategie militari, in cui lo

script si evidenzia con forza come meta-script con percorsi strettamente dipendenti

dalle contingenze della situazione:

«the “Attack” meta-script includes such tracks (i.e., individual scripts) as: Well-initiated attack (an orderly planning process, including the gathering of intelligence data and deliberation of time and location of attack); Quasi-initiated attack (unanticipated constraints allowing little time for planning or gathering intelligence data); and Counter-attack (turning a defensive action into an offensive maneuver). Script paths in each script refer, however, to local adjustments to situations such as poor visibility, loss of radio communication, or unexpected flanking encounters during various phases of the attack» (ivi: 844).14

Marvin Minsky, il padre del concetto formale di frame (infra, cap. 2), rielabora i risultati di Schank a proposito dello script e dà anch’egli un contributo importante (Minsky 1985) nel rendere il concetto maggiormente progettuale ed elastico, introducendo al suo interno una variabile: il suo concetto di “trans-frame” si configura di conseguenza come una sorta di “script versatile”.15

14. Queste strutture della conoscenza sono considerate molto preziose nell’ambito militare – e in qualsiasi altro ambito in cui i pericoli legati alla velocità di esecuzione richiesta dovrebbero essere calcolati e previsti con precisione (cfr. il concetto di “rischio calcolato”, Zohar e Luria, 2003: 857) – in quanto offrono un’efficace soluzione del problema noto come “della varietà richiesta”, secondo cui nell’affidamento a gruppi di lavoro di compiti nei quali sia richiesta l’assenza totale di errori (a causa dei possibili effetti disastrosi di un errore), la varietà esistente nel sistema da gestire supera quella cognitiva delle persone che devono gestire il sistema stesso. Al livello di analisi dei

gruppi e delle organizzazioni, ciò sembra dipendere soprattutto dalla mancanza di coordinazione

tra le idee dei membri del gruppo. La sfida sta dunque nel creare nei team di lavoro e nelle organizzazioni dei modelli mentali condivisi (ivi: 837, con bibliografia di riferimento), di cui i

meta-scripts offrono appunto un efficace esempio e supporto teorico (ivi: 841).

15. Come già ricordato, nella traduzione di Minsky (1985), e dunque anche nelle citazioni da questo testo che seguiranno, il concetto di “script” è indicato con il termine “copione”.

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Il trans-frame determina i passaggi necessari per collegare due stadi o due situazioni lontane nel tempo, ognuna definita da un singolo frame, che in attesa di definizioni più rigorose (infra, cap. 2) può intanto essere definito come un insieme strutturato di attributi e valori che in parte si influenzano e determinano a vicenda. Ciò che Minsky aggiunge alla teoria di Schank e Abelson è qualcosa che permette di economizzare ampiamente i processi della conoscenza anche riguardo alle somiglianze, spesso enormi, tra scripts diversi, che la prima teoria non riesce a spiegare. Questo senza allontanarsi dalla proceduralità dello script, come invece accade, sempre nella teoria di Schank e Abelson, nel concetto di “piano”, molto più legato a una progettualità ad hoc (infra, § 1.6).

Secondo Minsky, l’apprendimento di un’abilità segue queste fasi: «Le prime volte che si cerca di fare qualcosa di nuovo […] sono necessari degli esperimenti. In seguito si può preparare un copione che eseguirà il compito con più rapidità e facilità», accumulando i ricordi di tutte le scelte che avevano avuto esito positivo (1985: 435-436). Per capire come gli scripts possano essere elastici, cioè volendo ammettere che uno script per spostare una mela in un secchio non debba essere ricreato attraverso il procedimento per tentativi ed errori nel momento che ne esiste già uno, ad esempio, per spostare un blocchetto delle costruzioni in un secchio, è ipotizzabile una divisione in due scripts: uno di assegnazione e uno di azione. Il secondo, che supponiamo già formato, è composto da elementi astratti, attributi il cui valore varia al variare delle condizioni. Di volta in volta, il primo script assegna appunto questi valori agli attributi del secondo.

Script di assegnazione:

Assegnare il valore di mela all’attributo ORIGINE.

Assegnare il valore di secchio all’attributo DESTINAZIONE.

Script di azione:

Attivare ORIGINE. Poi avviare CERCARE, SPOSTARE e AFFERRARE.

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Questo processo dallo script individuale a un trans-frame versatile sembra tra l’altro spiegare lo sviluppo della capacità dell’attenzione: inizialmente essa sembrerebbe prendere in considerazione elementi semplici16 (un oggetto in movimento, ad esempio, finché è percepibile); successivamente, si sviluppa sempre più verso la capacità di apprendere processi o scripts più complessi che tengono presenti intere trans-azioni con attributi generalizzati17 quali

OGGETTO, ORIGINE, DESTINAZIONE, SCOPO, eccetera. Ciò spiegherebbe come mai i bambini in età

precoce perdono immediatamente l’attenzione per un oggetto con il quale stanno compiendo una qualche attività, fosse anche solo quella di guardarlo, non appena vengono interrotti o non appena questo non è più percepibile (ad esempio una palla che rotolando si nasconde alla vista passando dietro un oggetto), mentre crescendo l’attenzione permane anche in questi casi evidentemente a causa della conoscenza di una struttura cognitiva sequenziale per cui la palla o altro oggetto, a meno che non abbia incontrato un ostacolo, dovrà riapparire al di là dell’oggetto; struttura cognitiva che non può essere uno script per la mancanza di specificità delle situazioni di cui sto parlando ma piuttosto, appunto, un più versatile ma altrettanto procedurale trans-frame (ivi: 436-437).

Così, «dopo aver imparato a mettere una mela in un secchio, un bambino scoprirà che può anche mettere la mela in una scatola e una cipolla nel secchio» (ivi: 444). Ma questo processo di despecializzazione (ibidem) o generalizzazione (ivi: 445) comporta «un’immensa associazione di metodi diversi che usiamo per estendere l’efficacia delle nostre abilità» (ibidem). La generalizzazione deve cioè sapersi adattare ai vari contesti e ai diversi valori che sono dati agli attributi che compongono il trans-frame, per evitare pericolose generalizzazioni premature. E questo processo a sua volta cercherà delle regolarità strategiche nel saper adattare il

trans-frame (il modo in cui “apprendiamo ad apprendere” è uno degli interessi

centrali del testo di Minsky), anche se è impensabile che possa evitare qualsiasi eccezione:

16. Che sono detti polinemi in Minsky (1985: 388-389; 655). 17. Che Minsky (1985: 423) chiama prenòmi, al singolare prenomo.

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«Una volta accumulati abbastanza esempi di insuccesso o di riuscita di un nuovo copione in diverse situazioni, possiamo cercare di costruire un uniframe [un frame di livello superiore, più generale, ndA] per incorporarvi le condizioni positive. Ma qualunque tattica adottiamo, dobbiamo sempre attenderci qualche eccezione. Non si possono trasportare gli uccelli nei secchi, anche se vi entrano facilmente.» (ibidem)

1.6. Il piano e gli scopi

Da parte loro, Schank e Abelson non sottovalutano la tensione tra progettualità e proceduralità. Essi considerano lo script come il risultato, la cristallizzazione di uno specifico percorso in una struttura concettuale maggiormente aperta e progettuale, che chiamano piano.

Per spiegare come viene affrontata l’interpretazione di situazioni nuove, che prevedono la progettualità, Schank e Abelson introducono il concetto di “piano” («plan»). Un piano descrive, prospettivamente, un set di scelte che una persona ha quando vuole raggiungere un obiettivo oppure, retrospettivamente, ciò che lega causalmente tra loro gli eventi; esso si basa su quella che gli autori chiamano conoscenza generale (supra, § 1.2), che si diversifica sia dalla conoscenza specifica che sottosta agli scripts sia da quella che riguarda le catene causali più frequenti, standard.

Sono le conoscenze generali su come si raggiungono gli scopi che permettono in fase ricettiva di interpretare elementi apparentemente irrelati che invece descrivono tappe della realizzazione (o quantomeno del tentativo di realizzazione) di uno scopo. Come per gli scripts, comprendere i piani di un attore è parte integrante del comprenderne i messaggi, e dunque ha un ruolo fondamentale nella comprensione linguistica (Schank, Abelson 1977: 70; 73).18

18. Gli autori si dichiarano debitori a una tradizione di studi nell’ambito dell’intelligenza artificiale (citando: Fike, Hart, Nilsson, Sacerdoti, Newell, Simon) che ha molto lavorato sul concetto di pianificazione, ma unicamente in termini di problem-solving: il concetto che gli autori sviluppano è invece prettamente predittivo e interpretativo. Nell’ottica della script theory, infatti, non si tratta di giudicare se il piano intuito sia il migliore per l’ottenimento di un certo scopo in date circostanze, ma di comprendere, a partire da informazioni convergenti circa azioni, eventi ed eventualmente uno scopo, quale piano sia messo in pratica, così da poter fare inferenze circa le azioni successive (Schank, Abelson 1977: 72). Si veda l’esempio del bacio come possibile passo di piani diversi: entrare in un relazione, conoscere una persona o un tipo di esperienza, provare

(26)

L’elaborazione della conoscenza in termini di piani, in definitiva, è quanto permette di rendere intelligibili racconti come:

«John knew that his wife’s operation would be very expensive. There was always Uncle Harry…

He reached for the suburban phone book» (ivi: 70)

e, di fronte a racconti come:

«Willa was hungry

She took out the Michelin Guide» (ivi: 71)

di non interpretare la guida Michelin come il prossimo pasto di Willa, ma come uno strumento utile in quanto fonte di conoscenza circa la localizzazione e le caratteristiche dei ristoranti.

Dunque, quando l’input da comprendere è un evento direzionato a uno scopo ma non ha la forma stereotipata di uno script, secondo Schank e Abelson il processo della comprensione si divide in due parti:

«First we mut ascertain the goals of the actors in a story. Second we must ascertain which particular method is being used to realize each operating goal. This implies having a set of methods of which we are aware that will realize a gol, or at least being able to recognize the actions of an individual as a possible method for realizing a goal. Methods for realizing goals almost always involve chains of instrumental goals, i.e., necessary partial accomplishments along the path to the main goal.» (ivi: 73)

Gli scopi rintracciati vengono dunque per prima cosa suddivisi in catene di scopi strumentali per ottenere lo scopo principale. Gli scopi strumentali sono suddivisibili in due grandi categorie. I primi, gli scopi strumentali propriamente detti,

piacere, iniziare un contatto fisico che conduca a un rapporto sessuale, entrare in un rapporto per costruire una famiglia (ivi: 130).

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raggiungibili attraverso semplici e schematici scripts strumentali (supra, § 1. 4): ad esempio, lo scopo “mangiare” prevedere lo scopo strumentale “rendere il cibo appetitoso”, che può essere ottenuto con lo script “cucinare” (ivi: 74; 116-117).

Vi sono poi scopi strumentali più complessi, non necessariamente riconducibili a scripts, perché spesso realizzabili soltanto attraverso percorsi ad hoc. Per la loro intrinseca variabilità, riprendendo una terminologia matematica, Schank e Abelson li chiamano scopi delta («delta-goals») e ne individuano alcuni (mentre gli scopi principali e quelli strumentali sono innumerevoli, gli scopi delta sono un numero limitato: ivi: 74; 117) connessi ai più comuni cambiamenti di stato:

1) cambiamenti di luogo: ad esempio, per soddisfare la fame, è necessario per prima

cosa andare dove si trova il cibo (ivi: 74);

2) cambiamenti di chi detiene il controllo fisico su qualcosa: può essere ottenuto

con una richiesta esplicita, con la forza, con la persuasione, eccetera (ivi: 75; 84);

3) cambiamenti di conoscenza: ad esempio, quando ci perdiamo, generalmente

vogliamo ottenere informazioni su dove ci troviamo (ivi: 76-77);

4) cambiamenti nel controllo sociale su determinati eventi, nel potere o nell’autorità

di fare qualcosa: comprare biglietti, chiedere di poter partecipare a un evento, usurpare un trono, eccetera (ivi: 84);

5) passaggi della responsabilità di un’azione, che viene fatta eseguire, attraverso

vari mezzi possibili, a qualcun altro: ciò può avvenire per qualsiasi azione di un piano ad eccezione di quelle ascrivibili alla categoria “fare”, ivi: 84-5.

A questo punto, secondo il principio della necessità di «having a set of methods of which we are aware that will realize a gol» (ivi: 73), possiamo associare ad uno scopo delta, quando è riconosciuto, un set di azioni possibili, ovvero di

planboxes secondo gli autori, in base al fatto che sappiamo che essi possono

permettere all’attore di raggiungere il suo scopo (naturalmente, quando non esista già uno script adeguato, perché: «When a script is available for satisfaying a [delta goal], it is chosen. Otherwise a planbox is chosen», ivi: 77). Alcuni planboxes ricorrono in molti scopi delta, come quelli del cosiddetto “pacchetto persuadere”: “chiedere”, “invocare un tema”, “offrire dei buoni motivi”, “negoziare un oggetto”, “negoziare un favore”, “minacciare” (ivi: 84). Se, ad esempio, lo scopo delta è

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“conoscere x” e x è nella mente di qualcuno, il soggetto può usare un planbox del “pacchetto persuadere”.

A questo punto, il processo di comprensione basato su piani può essere specificato come segue:

1. determinare lo scopo principale;

2. determinare gli scopi delta (oltre agli scopi strumentali) che permettono di raggiungere lo scopo principale;

3. determinare quale dei possibili planboxes è effettivamente attivato.

Come nello script, “comprendere il significato di un’azione” (e anche in questo caso “comprendere” è da intendersi sia percettivamente sia linguisticamente) significa dunque comprenderne il ruolo in una catena di azioni, che nel caso del piano determinano una delle possibili strade per realizzare uno scopo delta, a sua volta subordinato a uno scopo principale (ivi: 75). Un’azione non è mai isolata, e la

sua comprensione può cambiare molto se considerata, ad esempio, come rappresentativa dello scopo principale piuttosto che come azione strumentale: per

cui, ad esempio, alla richiesta, durante la notte, dell’informazione di dove sia il telefono più vicino, non è possibile rispondere “nella banca là di fronte”, in quanto lo scopo principale del richiedente non è presumibilmente avere l’informazione ma poter usare il telefono, e la banca durante la notte è chiusa. Per ovviare a errori di interpretazione di questo tipo è necessario risalire a ritroso, a partire dallo scopo

principale, agli scopi che permettono di ottenerlo (ivi: 81-82).

Un altro fattore di cui tenere conto nell’interpretazione di sequenze progettuali è che, generalmente, al di là di contesti particolari, la selezione dalla serie di planboxes non è casuale, ma segue un ordine prestabilito. Se ad esempio il soggetto sta perseguendo un “cambiamento di chi detiene il controllo fisico su qualcosa”, e il planbox “minacciare (per avere l’oggetto)” non ha funzionato, è improbabile che proverà con “chiedere (l’oggetto)” (selezionato anch’esso dal “pacchetto persuadere”); è probabile che lo scopo venga abbandonato o che il soggetto passi, ad esempio, a un planbox diverso, ad esempio “rubare” (ivi: 82-93).

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Tra lo script e il piano, un’entità intermedia è il piano titolato («named

plan»), un piano caratterizzato da una fissità sequenziale e causale tra alcuni scopi

delta, ognuno dei quali però, per definizione, lascia aperta la possibilità di realizzazione attraverso diversi planboxes, fatto che distingue i passi di questa sequenza direzionata a uno scopo dalle azioni prestabilite di uno script. Alcuni esempi tipici sono “usare” ed “esperire”, che possono essere schematizzati con queste sequenze:

usare x = conoscere (località di x) prendere controllo di x

preparare x [scopo strumentale] fare (= usare x)

esperire x = conoscere (località di x) avvicinarsi a x

assicurarsi controllo sociale su x fare (= esperire x)

La sequenza può subire interpolazioni in quanto, a seconda dei valori che saranno attribuiti, ad esempio, allo scopo delta “avvicinarsi a x” nel piano titolato “esperire”, potrebbe essere necessario creare le condizioni perché il planbox o lo

script scelto (supponiamo: “guidare l’auto”) possa essere attivato (ad esempio,

avvicinarsi all’auto, controllare la presenza del carburante, avere con sé la patente di guida, eccetera). Inoltre, la sequenza ha alcune possibilità di cambiamento in quanto non è raro che le azioni per ottenere alcune precondizioni di vari scopi delta della sequenza possano essere iniziate indipendentemente l’una dall’altra (ivi: 80-81).

Se durante il processo di comprensione di un testo riguardante una qualsiasi sequenza di azioni rivolta a uno scopo, sia essa uno script, un piano o un piano titolato, abbiamo una forte aspettativa che non è soddisfatta dalle informazioni contenute nella frase che segue, in quest’ottica incentrata sulla conoscenza la frase è da considerare non comprensibile (ivi: 76). Ma la forza con cui possiamo prevedere un’azione dipende naturalmente da quanto l’evento che stiamo esaminando sia basato su uno script o comunque da quanto sia pianificato:

«Understanding […] is sometimes all plan-based, sometimes all script-based, and sometimes a mix. The main point is that in order to understand you must predict

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and in order to predict there must be knowledge of how events connect.» (ivi: 78, corsivo mio)

Ovviamente, mentre lo script non permette molta elasticità nell’attribuzione di significati, di fronte ai piani è necessario tenere conto della variabilità interpretativa individuale dell’osservatore/ricevente: «As understanders we have the right to reject what we have understood by resorting to beliefs about connectability»; «a knowledgeable understander (the more scripts, the more knowledge) could assigne a more sophisticated interpretation […]» (ivi: 78).

1.7. Classificazione e origine degli scopi

È necessario adesso soffermarsi più approfonditamente sugli scopi, elemento cardine dei meccanismi della comprensione che sono stati fin qui esposti, e che necessitano di modalità di previsione e comprensione che non si limitano alle modalità sequenziali dello script e del piano. Ampliando il raggio di osservazione, infatti, vediamo che gli scopi interagiscono tra loro in modi complessi. A volte, essi devono essere attribuiti sulla base di informazioni che non li riguardano direttamente, fatto che porta alla luce il problema della provenienza degli scopi (che sarà trattato alla fine del paragrafo), che si aggiunge a quello (analizzato nei paragrafi precedenti) delle dinamiche di comprensione dei percorsi atti a concretizzarli: ad esempio, l’informazione che una certa persona è stata assunta in una città diversa da quella dove risiede attualmente, creerà l’aspettativa, più o meno forte a seconda di altri elementi della situazione, che questa persona sviluppi e quindi persegua lo scopo di trasferirsi e, in definitiva, di cercare una casa; l’informazione, priva di elementi ulteriori, che un uomo in gita alla ricerca di divertimento, dopo non essere riuscito ad entrare ad un concerto, incontri una ragazza su un taxi che accetta di andare a casa sua, permette di inferire che l’uomo, nonostante il fallimento del primo scopo che ha cercato di ottenere, ha comunque raggiunto lo scopo di livello più alto inerente l’intrattenimento (cfr. Schank, Abelson 1977: 102-108).

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Gli scopi possono poi mutare, anche al di là dei casi già trattati a proposito di deviazioni (supra, § 1.4) e di necessità di creare precondizioni (supra, § 1.3; § 1.5). Possono variare ad esempio le condizioni stesse dell’azione, portando con sé mutamenti delle precondizioni o rendendo superati gli scopi originari, o presentandone altri più urgenti. Gli scopi possono presentare delle sostituzioni: in questo caso, i nuovi scopi che subentrano devono in genere mantenere il più alto numero di caratteristiche possibile dello scopo originale (ivi: 109-110). Si tratta di

sostituzioni di scopi di basso livello, che realizzano cioè una forma particolare di

uno scopo (ad esempio, “comprare una casa” o “affittare una casa” per “ottenere un’abitazione”). Quando ci troviamo di fronte a una sostituzione apparentemente bizzarra, è comunque necessario cercare quali tratti in comune sono stati mantenuti (“trovare un lavoro estivo” e “vendere il pianoforte” sono, ad esempio, due realizzazioni di “ottenere denaro”, ivi: 111). Ci sono però degli scopi di alto livello che non possono essere superati in livello, come “mangiare”. In questi casi, di fronte a un mutamento di scopo, non dobbiamo cercare i tratti comuni, ma piuttosto considerare che è stata effettuata una sostituzione di scopo di alto livello:

«John was visiting town and wanted to eat steak. Every eating place was closed tight for the afternoon, so he went swimming instead.» (ivi: 110)

Un altro tipo di mutamento di scopo è rappresentato dalle reazioni, specialmente emotive, tipiche dopo il fallimento di uno scopo.

Per affrontare la comprensione delle azioni in chiave di ricostruzione degli scopi che vi sottostanno, serve una tassonomia degli scopi il più possibile universale e generalizzabile, che aiuti in particolare a inferire quali sono gli scopi che possiamo assumere come attivi nel comportamento di una persona quando nessuno scopo è stato specificato. Schank e Abelson individuano le seguenti categorie:

1) scopi di soddisfazione: gli esempi tipici sono la fame, il sesso, il sonno, oltre a

quelli legati a qualsiasi condizione che crei dipendenza per il soggetto. Hanno spesso un oggetto da consumare (il sonno rappresenta un’eccezione). Per ottenere

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