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1.1 L’evoluzione nel concetto di conservazione ... 5

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Indice  

Introduzione ... 3

 

CAPITOLO 1  Conservazione e sviluppo nei parchi antropizzati ... 5

 

1.1 L’evoluzione nel concetto di conservazione ... 5

 

1.1.1 I primi “parchi” ... 5 

1.1.2 La conservazione nei parchi nazionali ... 6 

1.1.3 La conservazione come dicotomia uomo‐natura ... 10 

1.1.4 La conservazione nella “Legge quadro sulle aree protette” ... 11 

1.2

 

La conservazione come politica di sviluppo ... 13

 

1.3

 

Identità e sviluppo ... 16

 

CAPITOLO 2  Analisi socio‐economica dell’area dei Tacchi...18

 

2.1 Introduzione ... 18

 

2.2 Identificazione dell’area di studio: L’area dei Tacchi ... 19

 

2.3 Struttura demografica ... 24

 

2.4 Struttura economica ... 31

 

2.5 Agricoltura e zootecnia ... 38

 

2.6 Infrastrutture e servizi ... 45

 

2.7 Dinamiche di lungo periodo ... 51

 

CAPITOLO 3  Le risorse dell’area dei Tacchi ...55

 

3.1 Introduzione ... 55

 

3.2 Valori del paesaggio naturale ... 56

 

3.2.1 Emergenze paesaggistiche ... 56 

3.2.2 Emergenze floreali ... 67 

3.2.3 Emergenze faunistiche ... 69 

3.3 Valori del paesaggio antropico ... 71

 

3.3.1 Paesaggio agrario ... 71 

3.3.2 Paesaggio edificato ... 74 

3.3.3 Valori monumentali e archeologici ... 78 

(2)

3.4 Valori del patrimonio immateriale ... 83

 

3.4.1 Cultura e identità ... 83 

3.4.2 Enogastronomia ... 85 

3.4.3 Valori del fare ... 89 

3.5 Criticità ambientali ... 93

 

3.5.1 Poligono Sperimentale Interforze del Salto di Quirra (PISQ) ... 93 

3.5.2 Parco Eolico di Ulassai ... 98 

3.5.3 Rischio idrogeologico ... 100 

CAPITOLO 4  Verso un sistema di governance nel PR dei Tacchi ... 101

 

4.1 Introduzione ... 101

 

4.2 Nascita e morte di un parco ... 102

 

4.3 La genesi del Parco Regionale dei Tacchi ... 105

 

4.4 I passaggi istituzionali ... 109

 

4.5 Problemi da affrontare ... 112

 

4.6 Prospettive di sviluppo ... 114

 

Conclusioni ... 117

 

Appendice statistica ... 120

 

Censimento della Popolazione e delle Abitazioni ... 121

 

Censimento dell’Industria e dei Servizi ... 134

 

Censimento dell’agricoltura ... 138

 

Statistiche da varie fonti ... 144

 

Appendice normativa ... 149

 

Legge 6 dicembre 1991, n.394.  Legge quadro sulle aree protette ... 150

 

Intesa Programmatica  preliminare all’istituzione del “Parco Naturale Regionale dei Tacchi”

 .. 173

 

Bibliografia ... 183

 

Sitografia ... 186

 

 

   

(3)

Introduzione 

La protezione, la conservazione e la tutela vengono spesso intesi come salvaguardia di un territorio dall’intervento umano, come preservazione di uno spazio fisico-naturale dai processi antropici. E’ vero che da un punto di vista pratico l’avanzata di processi antropici troppo invasivi per la capacità di carico degli ecosistemi naturali rende sempre più necessarie azioni di chiusura forte, la creazioni cioè di “riserve” di natura, capaci di mantenere la biodiversità.

Tuttavia l’idea di “chiusura” non mi ha mai convinto del tutto in quanto caratterizzata da una “contraddizione biologica”, l’uomo che proteggere una certa area da sé stesso. Spazi di sola natura sono, soprattutto per i territori antropizzati e densi come i nostri, delle forzature artificiali. Ciò era chiaro sin dalla creazione dei primi

“santuari” naturali americani, in cui il territorio del parco era una disconnessione ecosistemica imposta dall’uomo. A corroborare questa prospettiva, vi sono i diversi casi in cui l’uomo è riuscito a trovare la strada della convivenza pacifica in un ambiente ad esso ostile e ad utilizzare al meglio le risorse senza mettere a rischio la sopravvivenza degli ecosistemi; tramite le logiche simbiotiche e grazie alla saggezza ecologica tramandata nelle generazioni, gli ecosistemi e il paesaggio si sono preservati fino ad i giorni nostri.

Uno di questi casi è preso in esame in questo lavoro, cioè l’area dei Tacchi d’Ogliastra. Una zona inserita in un contesto ambientale assai pregevole posto nella zona centro orientale della Sardegna, nella quale è in atto il processo istitutivo di un parco naturale. In questi luoghi l’intervento per la protezione della natura coincide con quello della conservazione del sistema antropico, poiché se non si riesce a mantenere viva l’attività umana avverrebbe una modifica sostanziale del paesaggio e dei sistemi naturali. Questo è evidente se si pensa ai danni in termini idrogeologici che provengono dall’abbandono delle campagne: se manca la figura fondamentale del contadino, viene a mancare anche colui che provvede alla regimazione delle acque o alla manutenzione dei muretti a secco. Un altro esempio riguarda la figura del pastore, soggetto indispensabile per la presenza dell’aquila. Per questa ragione, dove sono venute a mancare le greggi, la presenza del rapace è radicalmente ridotta o è addirittura venuta meno, mancando le prede preferite del volatile, i capretti o gli agnelli.

Sono particolarmente innamorato della mia terra, l’Ogliastra, e questa tesi nasce

dalla volontà di riuscire a valorizzare, nel mio piccolo, questo meraviglioso angolo di

(4)

Sardegna. L’idea di focalizzarmi sul Parco dei Tacchi è maturata in un incontro con il Prof. Piero Carta nel quale è emersa l’esigenza di sviluppare il territorio utilizzando le enormi risorse ambientali che quest’area conserva ancora incontaminate. In associazione a questa esigenza ho sentito la spinta della denominazione del Corso di Laurea che ho frequentato, “Sviluppo e Gestione Sostenibile del Territorio”, una denominazione che mi ha stimolato nel riflettere sui modi per sviluppare e gestire in maniera sostenibile un territorio.

Ho cercato di modellare questa tesi partendo dal presupposto che è impensabile porsi come unico obiettivo lo sviluppo economico o in alternativa la protezione dell’ambiente. I principi di quel concetto tanto famoso, quanto abusato, chiamato sviluppo sostenibile, si basano proprio sull’integrazione delle diverse sfere ambientali, economiche e sociali. In questo contesto è agevole comprendere che lo sviluppo di un territorio è un miglioramento della stabilità armonica di tutte le componenti e non soltanto una crescita economica, che, di per sé, può essere addirittura dannosa per la coesione di un territorio.

Scopo di questa lavoro non è sminuire il ruolo delle aree protette nella salvaguardia della natura, ma più che altro mettere a fuoco una funzione complementare ed integrata ad essa. In particolare si vuole comprendere se la costituzione di un parco può essere uno strumento che il policy maker può utilizzare per arrestare lo spopolamento delle aree interne, salvaguardare gli ecosistemi semi-naturali e proteggere la società e la cultura di un’area, in breve, conservare il sistema antropico in tutte le sue componenti.

Entrando nello specifico della tesi, nel primo capitolo tratterò il concetto di conservazione, prima esaminando l’evoluzione del concetto secondo le varie tradizioni e poi analizzando la tipologia di sviluppo al quale può essere associato. Il secondo capitolo metterà in luce il contesto territoriale della quale la tesi si occupa, l’area dei Tacchi, effettuando un’analisi socio-economica ed esaminando la situazione attuale e le dinamiche che hanno portato alla presente situazione. Il terzo capitolo si concentrerà sull’esame delle risorse materiali ed immateriali che rendono il territorio di estremo interesse ambientale, culturale e scientifico. Nel quarto e ultimo capitolo si tenterà di ricostruire il processo istitutivo del Parco Regionale dei Tacchi, partendo dal turbolento periodo del parco del Gennargentu fino ad arrivare alla situazione istituzionale presente.

Cercherò infine di evidenziare le problematiche in atto e le prospettive di sviluppo che

questo intervento potrà creare.

(5)

Capitolo 1  

Conservazione e sviluppo nei parchi antropizzati 

   

1.1 L’evoluzione nel concetto di conservazione 

Il concetto di conservazione nel tempo ha subito profondi mutamenti e tuttora non si è giunti ad una visione univoca. La contrapposizione di pensiero nel dibattito tra protezione dall’uomo e tra protezione dell’uomo esiste da sempre e nella sua evoluzione ha interessato sia le scienze naturali che quelle sociali. Di seguito viene riportato, senza presunzione di completezza, un excursus di tutte le tappe che hanno portato alla concezione attuale.

1.1.1 I primi “parchi” 

Da quando la civiltà umana è comparsa nella terra ha sempre destinato spazi di territorio a fini particolari. Questo processo trova avvio già nella preistoria, quando si è iniziato a riservare spazi per il culto delle divinità, ed è proseguito nel tempo con le foreste sacre dei Romani fino ad arrivare agli esempi più recenti delle popolazioni basate su cacciatori e raccoglitori che proteggono luoghi come la foresta Naimina Enkiyio in Kenya, considerata sacra dai Maasai Loita o la montagna sacra (Ayers Rock) degli Pitjantjatjara, oggi Parco Nazionale Uluru (Uluru - Kata Tjuta National Park), la cui amministrazione è affidata agli aborigeni australiani (Apat.it e Wikipedia.it, 2007).

Durante il periodo medioevale il concetto di area protetta era inteso come

riserva, infatti per secoli furono creati spazi destinati all’utilizzo esclusivo dell’arte

venatoria da parte dei nobili. Esempi in tal senso sono le riserve di caccia dei Savoia in

diverse valli del Piemonte e della Valle d’Aosta e la foresta nera di Sherwood vicino a

Nottingham, che prima di essere teatro delle ipotetiche scorrerie di Robin Hood, è stata

la riserva reale dei sovrani normanni. Molti di questi territori con il passere del tempo e

con le mutate necessità socioeconomiche sono diventati parchi naturali o riserve

integrali.

(6)

Per trovare i primi episodi di tutela pubblica della natura si deve arrivare fino all’ottocento e sono da ricondursi a finalità esclusivamente estetiche come la riserva delle Hot Springs in Arkansas creata nel 1832 oppure come la riserva artistica della foresta di Fontainebleu vicino a Parigi, fondata nel 1853. Lo scopo istitutivo di quest’ultima era quello di proteggere la selva dalle imponenti opere di disboscamento e preservare così il paesaggio che i pittori già dal XVIII secolo ritraevano.

 

1.1.2 La conservazione nei parchi nazionali 

La concezione di area protetta in termini moderni trova origine già nella seconda metà dell’ottocento, quando si iniziano a sentire gli effetti dirompenti della rivoluzione industriale e dell’espandersi delle città. Inoltre nello stesso periodo si rendono più insistenti le voci preoccupate di naturalisti e zoologi che allarmano l’opinione pubblica contro l’estinzione di alcune specie soggette a sistematico abbattimento come il bisonte nelle pianure dell’West americano. Queste preoccupazioni fecero nascere nelle coscienze una nuova visione della tutela del territorio, e i risultati non tardarono ad arrivare, infatti nel 1864 l’intera vallata di Yosemite viene dichiarata area protetta dagli Stati Uniti d’America.

Per vedere nascere il primo parco nazionale della storia bisogna aspettare il 1872 quando, nel vastissimo territorio appartenente agli stati del Wyoming, Montana, Idaho, viene istituito il parco nazionale di Yellowstone. Negli anni successivi seguiranno i parchi di Mac Kinac Island (1875), Yosemite e General Grant (1890), i quali costituiranno il primo nucleo americano dei parchi nazionali (Giacomini e Romani, 1982).

Questi primi atti di conservazione nel panorama americano denotano alcuni tratti caratteristici: la ricerca di identità nazionale, l’affermazione del principio democratico di public enjoyment e la conservazione di una natura incontaminata (Calafati, 1999).

In questo periodo, e per molti anni a venire, gli intendimenti della conservazione avranno per oggetto le bellezze naturali , e quindi la preservazione di grandi ambiti di eccezionale valore estetico dalle alterazioni umane, ma soprattutto è da notare come essi siano già dal principio finalizzati al “beneficio e godimento del popolo” (Giacomini e Romani, 1982).

Lo scopo principale diventa quello di preservare la natura di un determinato

territorio, sottraendolo a qualsiasi forma di alterazione conseguente all’azione umana,

(7)

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(9)

A livello europeo si è andata ad affermare anche un’altra visione più prettamente scientifica del concetto di conservazione. Infatti i principi di tutela informati e promossi dalle associazioni scientifiche trovarono risposta già agli inizi del novecento.

Nel 1909 vengono istituiti due parchi in Lapponia e nel 1914 viene realizzato in Svizzera il primo parco nazionale europeo. Quest’area protetta denominata parco nazionale dell’Engadina nasce dalla volontà della Società elvetica di scienze naturali di salvaguardare un territorio che era stato teatro di un feroce disboscamento. E’ il primo caso in cui viene istituita una zona protetta con criteri e finalità di salvaguardia scientifica. Ben presto anche l’Italia seguì questa linea con l’istituzione del parco nazionale del Gran Paradiso nel 1922, anche se l’idea risaliva a ben 101 anni prima ad opera del valdostano Giuseppe Delapierre, e con la creazione del parco nazionale d’Abruzzo nel 1923. In entrambi i casi l’istituzione aveva finalità di “tutela della fauna, della flora, delle formazioni geologiche e del paesaggio” (Giacomini e Romani, 1982).

C’è da aggiungere che anche l’Italia con il parco nazionale dello Stelvio ha sposato la visione americana del parco come strumento per la fruizione turistica, infatti fu ideato e istituito con intenti e criteri certamente più vicini alle concezioni del Touring Club, che non a quelle delle osservazioni scientifiche (Bertarelli,1923 in Giacomini e Romani, 1982).

Nella figura 1.4, si possono distinguere le tre principali ideologie istitutive che hanno caratterizzato il panorama mondiale fino agli anni ’70.

Fig. 1.4 – Sintesi delle principali visioni

  

Dal 1933 con la Conferenza di Londra e, con un intensificarsi nel secondo dopoguerra, si è cercato di omogeneizzare le diverse visioni e di creare un’unificazione dei criteri di classificazione ma i risultati raggiunti nei vari vertici fino agli anni ’70 non furono mai molto significativi. Un evento degno di nota è la creazione dell’Unione Internazionale della Conservazione della Natura (UICN) nel 1948, fondata con il preciso scopo di costituire un organismo sovranazionale di costante riferimento.

Ideologia istitutiva Oggetto della conservazione Paesi Impostazione scientifica o

strettamente protezionistica Natura in quanto ecosistema PN Engadina, PN Gran Paradiso Impostazione paesaggistica e

ricreativo-turistica

Natura selvaggia e priva di presenza

umana Stati Uniti, PN Stelvio

Impostazione Mista Natura e modifiche antropiche Inghilterra, Germania, Giappone, Olanda, ecc.

(10)

1.1.3 La conservazione come dicotomia uomo‐natura 

Dagli anni ’70 inizia a farsi sentire, anche nell’opinione pubblica, la preoccupazione riguardo ai limiti dello sviluppo. Si comincia a capire che lo sfruttamento indiscriminato, lo spreco e l’inquinamento non erano commisurati alla capacità di carico degli ecosistemi e alla quantità di risorse disponibili

1

. Questa nuova visione porta a rimodellare le coscienze anche a livello scientifico e alla consapevolezza di appartenere ad un unico sistema, limitato, vulnerabile e denso di interrelazioni.

Questa inquietudine a livello globale porta ad assegnare una posizione di rilievo allo studio dell’ecologia, anche per capire che ruolo assegnare all’uomo nelle complesse relazioni ecosistemiche. A livello scientifico si portò avanti la tendenza a separare il mondo antropico da quello naturale, per una difficoltà concettuale ad inserirlo nell’ambiente naturale.

Questo visione era dovuta a due principali fattori: “da un lato la difficoltà di comprendere, fin dai presupposti filosofici, il significato della presenza dell’uomo nella dinamica naturale e a coglierne l’essenza storico-naturale dei rapporti con gli altri fenomeni biologici, dall’altro l’impostazione di tutto il processo di divulgazione ecologica, che è stato proposto alla coscienza di tutti nella considerazione preminente del danno che l’uomo arreca alla natura e nel pericolo che tale danno varchi il limite dell’irreversibilità, con la conseguente compromissione di tutto l’ambiente vitale”

(Giacomini e Romani, 1982).

In questo contesto al concetto della protezione delle “bellezze naturali” si sostituisce quello di tutela dei “valori ecologici”, lasciando l’uomo ancora in secondo piano, nella costante dicotomia uomo-natura. I problemi però nascevano dal generale disorientamento nella materia ecologica che ha portato all’affermazione di una coscienza protezionistica in senso stretto, che mal si coniugava con il ragionare sulle profonde interrelazioni ecosistemiche esistenti tra sistema antropico e ambiente. Questa percezione fatta di ecologismi, porterà anche nell’ambiente giornalistico e politico, a creare una stagione di protezionismo radicale e diffuso con metodi tanto rigidi quanto semplicistici. Con il passare degli anni questa tendenza a disgiungere ciò che in natura è

      

1 Si veda:  

Meadows et al, 1972, The limits to Growth; 

Georgescu‐Roegen, 1971, The entropy law and the economic process; 

Carson, 1962, Silent spring; 

(11)

unito si affievolì a favore di una ecologia globale che non si esauriva più allo stretto campo naturalistico ma si allargava alle interrelazioni del territorio, inteso anche come habitat delle popolazioni umane (Ibidem).

Più recentemente l’obiettivo prioritario dell’ecologia è diventato la ricerca di quei parametri entro i quali il rapporto uomo-natura può definirsi armonico. Questa interpretazione si è andata rafforzando già dalla fine degli anni ’80 con la nascita di quei concetti che poi diverranno famosi con il nome di sviluppo sostenibile. In questo periodo la conservazione statica delle risorse e degli spazi naturali si è tramutata in una missione attiva e adattiva, che porta con se un adeguamento delle azioni nel tempo in relazione alle dinamiche ambientali, economiche e sociali.

Questa nuova situazione è facilmente desumibile anche dal fatto che l’UNESCO ha sentito la necessità di elaborare il programma “Man and the biosphere” (MAB) all’interno del quale sono stati attivati 14 progetti di ricerca, sperimentazione e divulgazione degli modifiche antropogeniche. Anche l’APAT in Italia ha predisposto un’iniziativa in questo senso con il nome di progetto PAESI (Protected Areas and Environmentally Sustainable Initiatives), che vuole essere una sorta di laboratorio per definire ed applicare strumenti di gestione sostenibile delle aree protette.

 

1.1.4 La conservazione nella “Legge quadro sulle aree protette” 

Per ricavare una visione del concetto di conservazione, a livello strettamente italiano, bisogna rifarsi alla “Legge quadro sulle aree protette” del 6 dicembre 1991, n.394

2

.

Una prima definizione di tale concetto la si può dedurre dall’Art. 1 comma 3 (a) dove le finalità della suddetta legge vengono intese come: “conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici”. A questa enunciazione prettamente naturalistica, si deve aggiungere una visione aperta anche alle forme di interazione uomo-natura ricavabile all’Art.1 comma 3 (b) con la quale si intende perseguire una ”applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale,

      

2 Appendice normativa L. 394/91 

(12)

anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali”;

Già in queste espressioni è facile notare come la “Legge quadro” intenda aprirsi nei confronti degli ecosistemi antropici. Questa visione appare corroborata anche dai commi 1 e 2 dell’Art. 2 che riguardano la classificazione delle aree protette nazionali e regionali, nelle quali vengono espressamente previsti gli ecosistemi antropizzati che esprimono valori paesaggistici, culturali e architettonici.

Appare doveroso chiarire che il concetto al quale la Legge intende dare maggiore rilievo, appare quello di conservazione della natura, in quanto è l’unico che viene affermato più volte in modo esplicito. Tuttavia è palese la distanza dalla tradizione americana di salvaguardia di spazi di natura incontaminata, infatti la “Legge quadro” tende ad ampliare il concetto di paesaggio, non solo legato alle bellezze naturali ma anche alle secolari modifiche da parte dei processi antropici sugli ecosistemi naturali. In questo senso la normativa italiana si mostra più vicina alla tradizione inglese (Calafati, 1999).

I caratteri finora delineati dalla “Legge Quadro” fanno apparire una volontà di introdurre, affianco delle finalità classiche dei parchi naturali di conservazione e godimento pubblico, quelle di promozione dello sviluppo economico e sociale delle collettività locali (Giacomini e Romani, 1982; Gambino, 1991).

In questa normativa quindi è possibile notare una proposizione di intenti che esula dalla mera applicazioni di divieti ma che si apre verso una possibile valorizzazione del territorio in termini dinamici. Questo lo si desume anche dallo schema procedurale

3

introdotto dalla “Legge quadro” dove l’obiettivo risulta quello di valutare lo stato di conservazione del patrimonio naturale e culturale, specificare gli obiettivi della conservazione, definire gli strumenti di intervento ed elaborare le strategie di valorizzazione economica (Compagnucci e Mazzoni, 2002).

In definitiva, la volontà di questa normativa appare quella di rompere con la visione del passato di una tutela “museificante” della natura, attuata con l’astratta imposizione di vincoli, e di transitare verso un sistema di protezione dinamico che non esclude le possibilità di sviluppo del territorio legato alle attività antropiche compatibili.

 

      

3 Strumenti principali: 

• Piano del Parco 

• Regolamento del Parco 

• Piano pluriennale economico e sociale 

(13)

1.2  La conservazione come politica di sviluppo 

Con l’emanazione della “Legge quadro sulle aree protette” in Italia è aumentata in maniera considerevole l’attenzione riguardo ai parchi naturali e ciò a portato ad un notevole incremento sia della superficie che del numero delle zone sottoposte a tutela.

Le aree protette nel 1988 erano rappresentate da una superficie di 1 milione 295 mila ettari mentre nel 2003 con l’emanazione del 5° aggiornamento dell’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette sono stati certificati 5 milioni 732 mila ettari, che rappresentano il 19 % della superficie totale nazionale.

 

Tab. 1.1 – Stime sulla superficie nazionale totale e protetta  

Fonte: Min. Ambiente – Istat, 2003 

La nuova geografia della conservazione generata da questa contesto ha portato nel tempo diverse problematiche dal punto di vista della pianificazione, in quanto la maggior parte delle zone protette ricade in territori antropizzati.

La letteratura specializzata

4

più volte ha ribadito la necessità di modificare i contenuti e le procedure delle politiche di conservazione nei parchi naturali per adeguarli ai problemi che caratterizzano i parchi antropizzati.

In particolare con gli anni si è andata ad affermare la visione secondo la quale, le politiche di conservazione nei parchi dove è diffusa la presenza umana devono assumere i connotati di politiche di sviluppo.

Se consideriamo l’attuale situazione, dove il terziario avanzato e il turismo balneare calamitano il capitale umano presente nelle zone più svantaggiate, è agevole vedere come queste comunità locali hanno dinanzi una prospettiva di progressiva degenerazione fino alla scomparsa.

Il progressivo impoverimento del sistema antropico generato dalla privazione della popolazione attiva di giovane età, qualificata e non, comporta necessariamente la conduzione del sistema locale verso il declino.

      

4 Giacomini e Romani, 1982; Gambino 1991; Calafati e Mazzoni 2001 

Assoluti (Ha) Relativi (%)

Superficie protetta a terra        2.911.852        9,7 Superficie protetta a mare        2.820.673        9,4 Superficie protetta totale        5.732.525        19,0 Superficie Italia 30.133.601       100,0

(14)

Per la rivitalizzazione di un tessuto sociale privo di spinte propulsive endogene è necessaria l’introduzione di uno shock esogeno dal lato dell’offerta capace di stimolare le potenzialità latenti nel territorio.

In questo contesto è facile identificare i parchi non come un vincolo ma come un’opportunità, infatti le aree protette sembrano essere una risposta appropriata all’elevata e crescente domanda di servizi naturalistico-ricreativi e naturalistico- didattici. Il parco quindi da mera struttura di conservazione della natura, diventa un’arma che il policy-maker può e deve utilizzare per lo sviluppo del territorio, sopratutto nelle aree dove il sistema antropico è riuscito a gestire in maniera razionale le risorse ambientali.

Questa visione delle politiche di conservazione deve far riflettere sul fatto che se le politiche per la protezione della natura vengono pensate ed attuate in maniera disgiunta delle politiche di sviluppo del sistema antropico si vengono ad incrementare quelle dinamiche che portano alla morte dell’ecosistema umano.

Viceversa è impensabile porsi come unico obiettivo lo sviluppo economico e non inserire nelle politiche criteri di ordine ambientale e sociale. I parchi devono riuscire ad ottimizzare ed integrare le diverse componenti complesse che sono alla base delle interazioni uomo-natura.

La conservazione va interpretata come controllo collettivo della co-evoluzione tra sistema umano e territorio andando ad interrogarsi su quale sentiero permetta di ripristinare una relazione di equilibrio tra processo economico e ambiente. Quindi un processo di conservazione richiede la ricostruzione della società locale, il riuso del capitale edilizio, il ripristino delle attività tradizionali.

Il parco inteso come progetto locale ha la funzione di salvaguardare il sistema antropico tramite la valorizzazione e il ripristino di quelle cose alla quale la collettività assegna un valore.

In territori dove la presenza modificatrice dell’uomo è stata discreta nei secoli, l’istituzione di un’area protetta non può avere come unico obiettivo quello della salvaguardia della natura, perché in questo caso quest’ultima non è minacciata dalla presenza umana, ma lo potrebbe essere dalla sua assenza.

Se come valore viene interpretato il paesaggio rurale, è normale che la presenza dell’essere umano è fondamentale per il mantenimento di questa tipologia di capitale.

Inoltre è da sottolineare come l’area protetta di per se non è detto che salvaguardi la

natura, infatti la struttura del parco imposta in un territorio senza seguire le leggi

(15)

ecosistemiche, ma semplicemente perimentrando e apportando dei vincoli, può avere dei pessimi effetti sull’ambiente.

La perimetrazione di un’area da adibire a riserva integrale è una cesura con il mondo esterno, quindi è come la creazione di un paradossale ecosistema artificiale di natura, una sorta di protezione di un ambiente biologico imposto e mummificato. Ma il mondo naturale non è fatto di barriere fisiche e questo a permesso ai sistemi biotici, tramite le innumerevoli interazioni, di evolversi e di perfezionarsi nei loro processi di resistenza e resilienza alle pressioni esterne.

Un caso su tutti è il Parco Regionale di Migliarino San Rossore e Massaciuccoli, che ha dovuto combattere diversi problemi di riequilibrio faunistico in quanto la presenza di numerose prede (daini e cinghiali) accompagnate dall’assenza di predatori, stava comportando una proliferazione di questi animali con la conseguente copiosa deturpazione dal punto di vista botanico. Il problema viene affrontato riequilibrando artificialmente il numero di esemplari con l’eliminazione annuale di 2000 capi tra daini e cinghiali (dati Ente Parco, 2007).

Ovviamente sono innumerevoli i casi in cui l’intervento umano sregolato ha causato danni al sistema naturale facendone meritare una protezione da ulteriori condotte negative.

In conclusione i progetti di tutela attuati in maniera oculata e con le prospettive di integrare e far coesistere le diverse componenti naturali (compreso l’uomo) del territorio possono avere una grande potenzialità nella modifica della traiettoria evolutiva di aree sottoposte a spopolamento.

 

(16)

1.3  Identità e sviluppo 

Un concetto che dovrebbe essere preso in considerazione all’interno delle politiche di conservazione è l’identità, infatti in associazione alla protezione degli ecosistemi, il parco dovrebbe inserire il patrimonio delle “traditional knowledge”.

Lo sviluppo identitario ha acquisito una certa rilevanza con riferimento all’esperienza delle aree arretrate del Mediterraneo, anche se è rimasto sostanzialmente estraneo al dibattito italiano sullo sviluppo locale (Gualerzi, 2003).

Le uniche aree che ancora possiedono un’identità forte, intesa come coscienza di appartenenza e intrinseco riconoscimento in un’area e in un modo di vivere, sono quelle aree che sono definite “svantaggiate”. In queste zone la parziale chiusura verso il sistema economico internazionale ha permesso una preservazione della cultura locale dall’invadente e pervasiva avanzata della globalizzazione.

Se le politiche di conservazione devono essere viste come politiche di sviluppo, allora, le strategie di protezione del patrimonio identitario si possono interpretare come un valore aggiunto a queste azioni. Lo sviluppo identitario si deve basare sulla valorizzazione delle risorse che permettono a questi territori di differenziarsi cioè, le risorse ambientali e le risorse umane, intese nella loro accezione più ampia. Quindi vanno ricomprese le materie prime pregiate, ma anche il saper fare tradizionale della trasformazione. In un’ottica di parco ben si sposa la conservazione della natura con la conservazione dei saperi tradizionali, infatti tra i vantaggi che un parco può portare ci sono anche quelli di maggiore visibilità dei prodotti data dall’apposizione di un marchio. Và sottolineata la necessità di uscire dai pericoli derivanti dall’estremizzazione dell’identità con un eccesso di chiusura, limitandosi ad una visione autarchica, o con un eccesso di apertura, cioè una folklorizzazione delle tradizioni.

Insomma l’identità deve essere la condizione di una strategia attraverso cui competere, stare sui mercati internazionali, senza subirne una completa sottomissione;

quindi l’identitario può essere moderno e può coesistere con un settore internazionalizzato (Antomarchi, Taddei, 1997; Gualerzi 2003).

I mestieri e di conseguenza i prodotti generati in un certo contesto e con un certo materiale, lasciano trasparire il sistema locale e sociale nella quale vengono generati.

Anche perché i prodotti locali sono legati a conoscenze tacite, date dalle competenze e

dal sapere contestualizzato in una certa società, che li rendono riproducibili ma non

trasferibili.

(17)

In questo contesto è interessante una riflessione di Gualerzi (2003) su un’ipotesi di preservazione dell’identità sulla base di una strategia di conservazione. L’idea riguarda una comunità locale che decide di non fare dell’aumento del reddito un obiettivo fondamentale, basandosi su forme di lavoro a scambio non monetizzato, accontentandosi di una modesta crescita dei servizi.

In questo caso l’obiettivo della strategia è proprio quello della preservazione della ambiente naturale, economico e sociale. Non è necessario accentrare le energie sulla crescita economica, intesa come aumento di reddito, ma più che altro inseguire un sentiero di sviluppo che permetta alle popolazioni di incrementare il proprio benessere.

Il parco in una visione di questo tipo permette una valorizzazione delle risorse vincolate alla preservazione del profilo socio-economica tradizionale e di quello naturale-paesaggistico. All’interno di questo sistema non si parlerebbe più di turismo ma di un’economia dell’ospitalità, dove l’edilizia tradizionale e le produzioni tipiche sarebbero adeguatamente valorizzate.

Bisogna stare attenti quando si parla di crescita zero, perché nella concezione economica tradizionale purtroppo è spesso inteso come un fallimento delle politiche territoriali. Però se si riflette meglio è per forza desiderabile avere una quantità più elevata di denaro quando però non si hanno servizi adeguati alle proprie necessità o il luogo dove si vive non è come lo si vorrebbe? Non è forse meglio abitare in un territorio dove la maggior parte dei beni che compongono il proprio pattern di consumo provengono da produzioni artigianali e genuine senza mistificazioni e dove il visitatore, (e non turista) può apprezzare e vivere in una sorta di museo a cielo aperto?

Ovviamente è opinabile la desiderabilità di un contesto come questo e in ogni modo non si può imporre un sentiero di sviluppo alle popolazioni, infatti qualsiasi traiettoria deve essere concertata e condivisa con le comunità locali. Tuttavia appare una possibile politica di sviluppo endogeno appetibile in un momento dove la ricerca di tipicità e genuinità è forte.

In conclusione una politica di conservazione non deve essere vista come uno strumento a compartimenti stagni, ma più che altro come un sistema integrato di riequilibrio degli ecosistemi naturali e antropici con tutte le sfaccettature ambientali, economiche e sociali che ne discernono. Quindi una scelta del policy-maker di utilizzare le tradizioni e l’identità del territorio come carta per uno sviluppo auto-centrato potrebbe rivelarsi vincente.

 

(18)

Capitolo 2  

Analisi socio­economica dell’area dei Tacchi 

 

 

2.1 Introduzione 

Una lettura delle difficoltà e dei punti di forza di un certa area è premessa indispensabile per l’elaborazione e per l’attuazione delle politiche territoriali. Tale lettura deve necessariamente comprendere una molteplicità di aspetti, di natura socio- economica, culturale e fisico-naturale. Volendo analizzare, come esplicitato nell’introduzione, il territorio nel quale sorgerà il costituendo Parco Regionale dei Tacchi, in questo capitolo tentiamo di ricostruire l’odierna situazione socio-economica e le dinamiche che ad essa hanno condotto.

Nel capitolo successivo verranno esaminate le peculiarità culturali e fisico naturali che insieme costituiscono le risorse più rilevanti per l’area.

La quasi totalità dei dati è stata ricavata dall’Atlante Statistico dei Comuni d’Italia ISTAT che comprende i censimenti sulla popolazione e abitazioni, sull’industria e servizi e quello sull’agricoltura, aggiornati alle ultime rilevazioni disponibili (rispettivamente 2001, 2001, 2000), mentre i restanti valori sono stati recuperati da i diversi database della Regione Autonoma della Sardegna (RAS), alcuni da i siti internet dei vari Ministeri e altri da rilevazioni dirette. Al momento della definizione delle variabili esaminare si sono scelti solo un ristretto numero di indicatori, ritenuti i più significativi, per completezza tuttavia gli altri indicatori disponibili sono stati riportati nell’appendice statistica che si trova alla fine del presente lavoro.

In particolare, nel paragrafo 2 viene identificata l’area di studio da un punto di

vista geografico introducendo anche qualche indicatore di base, mentre nel paragrafo 3

si pone l’attenzione sulla struttura demografica per verificarne la consistenza numerica e

qualitativa. Nel paragrafo 4 viene presentata la situazione economica del territorio e nel

paragrafo 5 vengono analizzati i dati sull’agricoltura e sugli allevamenti. Nel paragrafo

6 vengono mostrate le infrastrutture e i servizi disponibili per le popolazioni dell’area e

infine nel paragrafo 7 sono esposte le dinamiche socio-economiche che hanno portato

all’attuale situazione del territorio.

(19)

2.2 Identificazione dell’area di studio: L’area dei Tacchi 

Quando si pensa ad un parco, nazionale o regionale che sia, è immediata l’associazione mentale ad uno spazio fisico con un territorio perimetrato e ben definito.

Questa concezione, puramente geografica, non può essere utilizzata se si vogliono investigare le dinamiche socio-economiche dell’area, che hanno i confini diventano molto più sfumati.

Questa incongruenza nasce dal fatto che quando si tracciano i confini di un parco non si tengono in considerazione le logiche economiche e politiche, quindi solitamente esiste una contraddizione tra perimetro e confini sociali (Calafati, 2002).

La Legge quadro sulle aree protette (L. n.394/1991) in parte ha sanato questa incoerenza con il concetto di “area contigua”, cioè una sorta di area pre-parco, nella quale si possono far ricadere gli stessi caratteri dell’area protetta e potenzialmente far coincidere i confini sociali con il perimetro del parco.

Il metodo più immediato per prendere in considerazione i confini sociali di un parco è quello di considerare i confini amministrativi dei comuni che hanno una parte di territorio (significativa) nel perimetro del parco stesso (Compagnucci e Mazzoni, 2002).

Fatta questa premessa metodologica possiamo andare ad identificare il territorio oggetto di studio.

L’area del Parco Regionale dei Tacchi (d’ora in avanti PRT) è localizzata nel settore centro orientale della Sardegna, fino al 2005 apparteneva interamente alla Provincia di Nuoro mentre a seguito della Legge Regionale 12 luglio 2001, n. 9, che regolamenta l’istituzione delle nuove provincie sarde, l’area è stata fatta ricadere tra i territori della Provincia dell’Ogliastra e quella della Provincia di Cagliari.

Il territorio comprende una superficie di quasi 95.000 ettari ricadenti nei confini

di 11 comuni di cui 8 appartenenti alla Provincia dell’Ogliastra: Gairo, Jerzu, Osini,

Perdasdefogu, Seui, Tertenia, Ulassai e Ussassai; mentre gli altri 3 di competenza della

Provincia di Cagliari: Esterzili, Sadali, Seulo; a questi si possono aggiungere i Comuni

di Arzana, Lanusei e Loceri che possiedono un agro nell’area interessata dalla

costituzione del parco, ma tenendo conto che i rispettivi centri abitati risultano essere

piuttosto distante dai confini del Parco si è ritenuto opportuno non considerarli a fini di

analisi.

(20)
(21)

Tab. 2.1 ‐ L’area del PRT: alcuni dati di base, anno 2006 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Demo: Demografia in cifre

La tabella 2.1 ci offre una prima visione dell’entità territoriale dell’area tramite alcuni dati di base sulla dimensione demografica e spaziale dell’area.

Nel 2006 l’area del sistema dei Tacchi ha una popolazione residente di 18.370 abitanti in una superficie di 943,4 kmq, una prima considerazione può essere fatta sulla densità abitativa che risulta essere particolarmente bassa, di appena 19 abitanti/kmq, dato molto significativo se confrontato con quello provinciale 31 ab./kmq e quello regionale 69 ab./kmq.

La popolazione è concentrata maggiormente nei comuni di Jerzu, Perdasdefogu e Tertenia che da soli detengono poco più del 50% degli abitanti dell’area.

Dal dato sull’altimetria, riferito alla quota del municipio, possiamo identificare il territorio come prevalentemente montuoso; solo Jerzu e Tertenia risultano avere valori sotto i 500 m slm questa considerazione e avvalorata dalla classificazione Istat delle zone altimetriche, dove l’area risulta essere suddivisa tra la condizione di montagna interna e collina litoranea.

Dall’analisi della struttura insediativa (tabella 2.2) si delinea una condizione di concentrazione delle abitazioni nei centri urbani, a sola eccezione dei comuni di Jerzu, Tertenia ed Osini che hanno una quota non insignificante di case sparse, inoltre và segnalata la presenza 311 abitazioni in nuclei abitati nel territorio di Tertenia corrispondenti alla frazione costiera di Sarrala in località Marina di Tertenia.

n % Kmq %

Esterzili  818  4,5 100,8 10,7 8 731 CA

Gairo  1.642  8,9 78,5 8,3 21 690 OG

Jerzu  3.285  17,9 102,6 10,9 32 427 OG

Osini  906  4,9 39,7 4,2 23 623 OG

Perdasdefogu  2.262  12,3 77,7 8,2 29 599 OG

Sadali  990  5,4 49,9 5,3 20 740 CA

Seui  1.499  8,2 148,2 15,7 10 820 OG

Seulo  952  5,2 58,9 6,2 16 799 CA

Tertenia  3.722  20,3 117,8 12,5 32 121 OG

Ulassai  1.605  8,7 122,1 12,9 13 740 OG

Ussassai  689  3,8 47,3 5,0 15 670 OG

TOT AREA  18.370  100,0 943,4 100,0 19 632,7

Provincia Ogliastra  58.048   1.854,2  31

Regione Sardegna 1.655.677   24.089,9  69

Provincia di  appartenenza Comuni Pop Residente Superficie Densità 

(Ab/Kmq)

Altimetria    (m slm)

(22)

Tab.  2.2 ‐ Struttura insediativa nell’area del PRT, anno 2001 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni, 2001 

La tabella 2.3 relativa alle abitazioni per anno costruzione ci permette di vedere che la quota maggiore dell’edificato complessivo dell’area risale agli anni ’70. A far crescere il valore complessivo pesano in maniera considerevole i valori di Gairo (42%) e Osini (39%), inoltre questi dati aumentano in maniera importante, rispettivamente al 84% e 83%, se si considera il periodo ’46-’81. Numeri così significativi trovano una spiegazione agevole se si considera che entrambi i comuni sono stati completamente abbandonati nel periodo ’51-’60, in seguito ai pesanti danni riportati dall’abitato durante l’alluvione del 1951, e sono stati interamente ricostruiti a qualche chilometro di distanza.

Meritano attenzione Seui e Ulassai che riportano i valori più alti nell’edificato costruito precedentemente al 1919 a testimonianza dell’importanza storico/culturale dei loro centri storici.

Nella figura 2.1 è rappresentato il numero delle abitazioni totale facendo la distinzione tra le case occupate da residenti e quelle vuote. Si può notare come Jerzu e Tertenia posseggono da sole quasi il 40% dell’edificato ad uso abitativo dell’area, superando entrambe le 2000 unità, rispettivamente con 2154 e 2616 abitazioni. Va fatto notare comunque che di queste abitazioni, oltre il 32% a Jerzu e oltre il 43% a Tertenia risultano essere disabitate.

Questi dati possono trovare giustificazione nel fatto che molti ogliastrini pur abitando nei centri regionali più grossi per motivi lavorativi continuano a mantenere dei

Comune Centri abitati Nuclei abitati Case sparse Totale

Esterzili 690 0 1 691

Gairo 965 0 25 990

Jerzu 1554 0 600 2154

Osini 644 0 106 750

Perdasdefogu 1030 0 0 1030

Sadali 576 0 1 577

Seui 1071 0 1 1072

Seulo 631 0 23 654

Tertenia 1555 311 750 2616

Ulassai 957 0 4 961

Ussassai 445 0 0 445

TOT AREA 10118 311 1511 11940

(23)

forti legami con l’area e il conservare l’abitazione nel proprio paese d’origine è sintomo non solo delle radicate relazioni di natura sociale ma anche del desiderio di farvi ritorno.

Tab. 2.3 ‐ Abitazioni per epoca di costruzione nell’area del PRT, anno 2001 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni, 2001

Fig. 2.1 ‐ Abitazioni per tipo di occupazione nell’area del PRT, (val. assoluti) anno 2001

 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni, 2001 

   

Comune

Epoca  prima del 

1919

Epoca 1919‐

45

Epoca 1946‐

61

Epoca 1962‐

71

Epoca 1972‐

81

Epoca 1982‐

91

Epoca dopo  il 1991

TOT  COMUNE

Esterzili 18 15 29 15 7 6 10 100

Gairo 0 8 19 23 42 7 2 100

Jerzu 14 9 17 17 20 14 9 100

Osini 0 0 19 27 39 10 6 100

Perdasdefogu 2 13 31 19 13 18 5 100

Sadali 10 12 28 13 19 11 7 100

Seui 34 15 17 12 11 7 5 100

Seulo 15 16 21 15 11 10 12 100

Tertenia 6 5 12 19 22 20 17 100

Ulassai 26 12 15 15 12 12 7 100

Ussassai 12 11 17 22 20 11 6 100

Val. % AREA 12 10 19 18 20 13 9 100

0 500 1000 1500 2000 2500

Esterzili Gairo Jerzu Osini Perdasdefogu Sadali Seui Seulo Tertenia Ulassai Ussassai

Abitazioni Occupate Abitazioni non Occupate

(24)

2.3 Struttura demografica 

Le potenzialità di un territorio dipendono in primo luogo dalla tipologia di individui che lo abitano. Questo concetto è ancora più forte quando il territorio in questione è interessato da un processo di salvaguardia del sistema antropico tramite la formazione di un parco, quindi non si può esulare da un’analisi del capitale umano presente nell’area. Questa fase permetterà di evidenziare diversi fenomeni attraverso lo studio di alcuni indici demografici di base. Nello specifico si andranno a identificare: a) la struttura per età della popolazione residente; b) la struttura della popolazione attiva;

c) la struttura della formazione scolastica.

Come già detto prima, l’analisi dell’area, e quindi anche lo studio della popolazione prenderà in esame non solo la porzione territoriale all’interno del perimetro del parco, ma anche le aree contigue in quanto territorio di competenza dello stesso.

Come unità di base verranno utilizzati i confini comunali mentre i dati presi in esame saranno quelli censuari, ad eccezione dei dati sulla struttura per età.

Come si può vedere dalla figura 2.2 la popolazione considerata risulta essere pesantemente influenzata da una componente di ultra 64enni che raggiunge quasi il 22% del campione totale, mentre il secondo gruppo più numeroso è quello a cavallo tra i 35 e i 44 anni che rappresenta il 15%.

Se a questi dati si associa una piramide demografica della popolazione dell’area dei Tacchi (figura 2.3) il fenomeno viene agilmente descritto graficamente e risulta essere di facile lettura.

La prima cosa che ci permette di notare è il fatto che la popolazione è in una condizione matura che sta sperimentando una fase c.d. stazionaria bassa, ovvero con un basso tasso di natalità e di mortalità.

Con queste condizioni, graficamente non ci appare una piramide, cioè una figura

con una base molto ampia formata da giovani individui e un restringimento via via che

si raggiungono le classi più elevate di età, ma più che altro una figura romboidale a

testimonianza del fatto che le classi di età media sono le più numerose.

(25)

Fig. 2.2 ‐ Struttura per età della popolazione residente nell’area dei Tacchi d’Ogliastra – anno 2006 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Demo: Demografia in cifre

Fig. 2.3 ‐ Piramide demografica nell’area dei Tacchi d’Ogliastra – anno 2006 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Demo: Demografia in cifre

0 5 10 15 20

< 14 15‐24 25‐34 35‐44 45‐54 55‐64 > 64

1,00 0,80 0,60 0,40 0,20 0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95

101 Femmine

Maschi

(26)

Questa figura, inoltre, ci permette di osservare come sia rispettato il rapporto di genere nelle classi di età più piccole cioè un più cospicuo numero di nascite maschili rispetto a quelle femminili (rapporto biologico: 106 maschi ogni 100 femmine) che però viene compensato durante l’arco della vita fino a invertirsi nella classi di età degli ultra 65enni dove la componente femminile della popolazione e notevolmente più numerosa, nei casi più importanti si raggiungono anche rapporti di 64 individui maschi e 100 individui femmine. La tendenza sembra essere più forte nelle fasce di età degli individui nati nei due periodi bellici.

Andando ad approfondire la tematica della tipologia di popolazione può essere utile impiegare gli Indici di vecchiaia

5 riferiti ai censimenti 1971 e 2001, questo

confronto risulta essere utile per carpire i profondi mutamenti che si sono avvicendati in quest’area fino ai giorni nostri.

Già ad un primo sguardo della figura 2.4 si può notare come la componente anziana della popolazione del 1971 sia notevolmente più piccola rispetto a quella giovane, questo dato può essere spiegato dal fatto che in quel periodo era ancora forte l’espansione demografica e il tasso di natalità era ancora molto elevato di conseguenza il peso della popolazione anziana era sensibilmente basso.

Questo dato risulta essere capovolto nel 2001 e nello specifico il caso più clamoroso è quello di Esterzili dove si passa da un Indice di vecchiaia di 34 nel 1971 ad uno di 262,5 del 2001. Mentre a Tertenia appartiene il risultato meno negativo con un passaggio da 38 nel 1971 a 96,8 del 2001.

Queste dinamiche potrebbero essere interpretate secondo una duplice chiave di lettura, da una parte, con il fenomeno dello spopolamento dell’area che a partire dagli anni ‘70 ha privato il territorio di migliaia di soggetti in età riproduttiva, mentre dall’altra, con il progressivo calo di natalità che caratterizza tutte le popolazione che sperimentano una fase di transizione demografica dovuta al miglioramento dello stile di vita.

Con riferimento alla popolazione in età di lavoro (popolazione attiva) sono stati calcolati gli indici di dipendenza

6

e di ricambio

7

(tabella 2.4)

      

5 L’Indice di vecchiaia è dato dal rapporto tra la popolazione di età superiore a 65 anni e la  popolazione inferiore a 14 anni. Indica quanti anziani si hanno in una popolazione per ogni 100  giovanissimi. Valori superiori a 100 indicano una popolazione tendenzialmente anziana. 

6 L’indice di dipendenza misura il rapporto tra la popolazione in età troppo giovane o troppo  anziana per lavorare (età < 14 anni e > 65 anni) e la popolazione in età lavorativa. A valori 

(27)

Fig. 2.4 ‐ Indice di vecchiaia nell’area dei Tacchi d’Ogliastra – 1971, 2001 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni, 1971, 2001

Tab.  2.4  ‐  Indici  di  dipendenza  e  di  ricambio  nell’area  dei  Tacchi  d’Ogliastra  –  anno  2001

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni,  2001 

      

7 L’indice di ricambio mette a rapporto il numero di individui prossimi all’uscita dal mercato del  lavoro (età compresa tra 60 e 64 anni) e il numero di individui in entrata nel mercato del lavoro  (età compresa tra 15 e 19 anni). Valori superiori a 100 indicano un basso ricambio 

generazionale. 

0 50 100 150 200 250

1971 2001

Comune Indice di 

Dipendenza

Indice di  Ricambio

Esterzili 60,8 130,2

Gairo 51,9 87,4

Jerzu 48,6 83,1

Osini 64,1 93,4

Perdasdefogu 50,3 87,1

Sadali 49,9 80,3

Seui 49,4 91,2

Seulo 66,9 144,4

Tertenia 48,7 76,3

Ulassai 63,9 91,8

Ussassai 61,3 81,1

TOT AREA 53,1 88,2

Provincia Ogliastra   46,9 87,2

Regione Sardegna  42,7 93,1

(28)

Il primo indice viene considerato un indicatore di rilevanza economica e sociale soprattutto da un punto di vista previdenziale perché pone a confronto la quota di popolazione che per ragioni di età non può essere autonoma e la quota di popolazione che essendo in età attiva può provvedere al proprio e l’altrui sostentamento.

I dati di questo primo indice indicano una dipendenza abbastanza forte, superiore in media di circa il 6 punti rispetto alla Provincia dell’Ogliastra e addirittura di 10 punti se si considerano i dati regionali. Questo indice però deve essere interpretato con cautela poiché, quando si considerano società con un componente agricola importante i soggetti molto giovani o anziani non possono essere considerati tutti economicamente o socialmente dipendenti dagli adulti.

Il secondo indicatore ovvero l’indice di ricambio ci permette di osservare la capacità della popolazione di sostituire coloro che escono dal mercato del lavoro per limiti di età con individui giovani. I risultati non evidenziano una particolare distanza dai dati provinciali e regionali, se non in due casi: quello di Esterzili e quello di Seulo rispettivamente di 130,2 e 144,4 a fronte di una media dell’area presa in esame di 88,2.

Questi dati stanno a significare che nel 2001 è stata rilevata una notevole capacità di sistema di sostituire con individui in cerca di prima occupazione la forza lavoro in uscita (su 88 pensionati abbiamo 100 giovani in ingresso). Anche questi dati, come quelli dell’indice di dipendenza, vanno interpretati con tutte le cautele del caso in quanto questo indice risulta essere instabile nell’analisi di piccoli comuni poiché considera solo cinque classi al numeratore e cinque al denominatore. Con questa considerazione possono sembrare normali i dati a prima vista anomali dei Comuni poc’anzi citati, che risultano essere tra i più piccoli dell’area considerata.

Una delle variabili più importanti per comprendere la dotazione di capitale umano di un territorio, riguarda il grado di istruzione formale che è stato calcolato considerando la popolazione di età superiore a 6 anni suddivisa per titolo di studio (figura 2.5).

Come si può notare, nell’area dei Tacchi d’Ogliastra, nel 2001 quasi il 57% della

quota di popolazione oggetto di studio ha raggiunto almeno la licenza media inferiore,

mentre il totale dei laureati e diplomati è pari a poco più del 20%.

(29)

Fig. 2.5 ‐ Popolazione di età superiore a 6 anni per titolo di studio (valori % ‐ 1991, 2001) 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni, 1991, 2001

Se andiamo a considerare le dinamiche dell’ultimo decennio ci accorgiamo che la struttura della formazione scolastica si è modificata a favore dei gradi di istruzione più elevati, infatti è quasi raddoppiata la quota di diplomati e laureati, con una conseguente forte riduzione degli individui senza titolo di studio passando da un 22%

nel 1991 a un 15% nel 2001.

Osservando i valori assoluti riferiti al 2001 (tabella 2.5) ci accorgiamo che Tertenia risulta detenere da sola il 48% della popolazione priva di titolo di studio (alfabeta e analfabeta) inoltre possiamo notare come la quota di popolazione in possesso di una laurea sia concentrata nel comune di Jerzu con un valore che corrisponde addirittura al 30% dei laureati presenti in tutta l’area.

Se analizziamo la figura 2.6 riusciamo ad apprezzare meglio il fenomeno per singolo comune dove ci accorgiamo che solo Ulassai e nuovamente Jerzu, rispettivamente con un 6% e un 6,9%, hanno una quota di laureati che supera il 5%

della propria popolazione comunale.

0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 35,0

Laurea Diploma

Licenza Media Licenza Elementare

Alfabeti senza titolo Analfabeti

2001 1991

(30)

Tab. 2.5 ‐ Popolazione di età superiore a 6 anni per titolo di studio (valori % su tot. area ‐ anno 2001) 

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni, anno 2001 

Fig. 2.6 ‐ Quote di popolazione detentori di Laurea e Diploma (valori % per comune ‐ anno 2001)

Fonte: elaborazioni su dati Istat – Censimento Popolazione e Abitazioni, anno 2001 

   

Comuni

Popolazione  residente >6  anni (2001)

Laurea

Diploma di  scuola  secondaria 

superiore

Licenza di  scuola media  inferiore o di  avviamento  professionale

Licenza di  scuola  elementare

Alfabeti  privi di  titoli di  studio

Analfabeti

Esterzili 819 3 4 4 5 5 10

Gairo 1.578 7 6 10 8 10 6

Jerzu 3.198 30 22 17 19 12 7

Osini 905 5 4 5 5 6 14

Perdasdefogu 2.211 10 17 12 12 10 11

Sadali 1.006 5 5 6 5 5 6

Seui 1.490 8 8 10 7 8 6

Seulo 986 4 5 5 7 5 2

Tertenia 3.497 12 17 20 19 22 26

Ulassai 1.523 13 8 8 8 10 6

Ussassai 724 3 4 4 4 4 5

TOT AREA 17.937 100 100 100 100 100 100

0 5 10 15 20 25

Laurea Diploma

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