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Trauma fiction e 11 settembre: DeLillo, Foer e McEwan

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E

LINGUISTICA

Corso Di Laurea Magistrale In Lingue e Letterature Moderne

Euroamericane

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Trauma fiction e 11 settembre: DeLillo, Foer e McEwan

CANDIDATO RELATORE

Silvia Mastrorilli Chiar.ma Prof.ssa Roberta Ferrari

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“On the TV screen the President was declaring for the time that he would find the folks who did this and smoke out of their caves. Granted, he had not the gift of gab; vocabulary and syntax did not leap at his command. Renata tried to make allowances: there were no proper words. Bliondan had a much richer spectrum of words for shock: five degrees, ranging from mild dismay, dradosk, through stronger and stronger stages –

dradoska, dradosken, to ineffable shock, dradoskis, which was

first used to describe the response to a solar eclipse centuries ago. But even if the President were fluent in Bliondan, the task would be daunting.”

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio la professoressa Ferrari per la grande disponibilità dimostrata durante la stesura di questo elaborato. Un grazie particolare anche alle mie amiche Alessia e Ilaria per aver dato ascolto a ogni mia preoccupazione e aver provato a sciogliere ogni mio dubbio.

Dedico questo lavoro alla mia famiglia e a Gabriele, grazie per aver sempre creduto in me.

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INDICE

INTRODUZIONE………..…………. 7

1 BREVE STORIA DEL TRAUMA IN PSICOLOGIA………...… 10

1.1 Nascita di un concetto: il trauma e l’età moderna………..………. 11

1.2 Il trauma in psicologia……….……...… 13

1.3 Shell Shock……….……….... 24

1.4 Concezione di stress traumatico a partire dagli anni ’70……….………... 28

2 TRAUMA E LETTERATURA: NASCITA E SVILUPPO DEI TRAUMA STUDIES………...……… 31

2.1 Bearing witness: Dori Laub e Shoshana Felman……...………. 32

2.2 Il pensiero di Cathy Caruth………..……….. 38

2.3 Overcoming trauma: Dominick LaCapra………...……… 43

2.4 Trauma Fiction: Anne Whitehead………..………..…. 47

3 11 SETTEMBRE COME EVENTO TRAUMATICO………….……….. 51

3.1 TMT e crollo del mito americano………...……….... 55

3.2 Trauma privato e trauma collettivo…………...………. 59

3.3 Ruolo dei media………..………... 63

3.4 Scrivere sull’11 settembre: prime reazioni………...……….. 66

3.5 Il romanzo post 11 settembre………...………... 70

4 LA MEMORIA TRAUMATICA: FALLING MAN DI DON DELILLO.. 79

4.1 Memoria, arte e trauma nel macrotesto narrativo di DeLillo……….. 80

4.2 Falling Man: sinossi e struttura………...………... 86

4.3 Il trauma di Keith come diretto testimone degli attacchi terroristici…….. 91

4.4 Vicarious Trauma: Lianne………..………..…. 98

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5 AFFRONTARE UN LUTTO: EXTREMELY LOUD AND INCREDIBLY

CLOSE DI JONATHAN SAFRAN FOER………...……….. 108

5.1 Jonathan Safran Foer: breve biografia e macrotesto………... 108

5.2 Extremely Loud and Incredibly Close: sinossi e struttura………... 113

5.3 Il trauma di Oskar………...……….. 120

5.4 I bombardamenti di Dresda e il trauma dei nonni di Oskar………... 127

6 UNO SGUARDO EUROPEO SULL’11 SETTEMBRE: SATURDAY DI IAN MCEWAN………... 134

6.1 Etica, interazione tra pubblico e privato e riflessione metanarrativa nel macrotesto di Ian McEwan………...………….... 134

6.2 Saturday: sinossi e struttura……….……….... 141

6.3 Riferimenti all’11 settembre……….... 146

6.4 L’11 settembre a un livello microcosmico: Baxter come substitute terrorist………..………..… 151

CONCLUSIONI……….. 158

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INTRODUZIONE

Il concetto di trauma, inizialmente associato soltanto a lesioni di tipo fisico, nella seconda metà del XVIII secolo viene riconosciuto in ambito psichiatrico come di-sturbo della mente provocato da un evento o da una situazione sconvolgente. L’ori-gine dell’idea di trauma psichico è legata alla nascita della società industriale ed in particolar modo all’espandersi delle reti ferroviarie. I convogli provocavano infatti numerosi e gravi incidenti e ben presto si osservò che anche gli individui che ave-vano soltanto assistito ad un incidente, non erano in grado di riprendere la loro quo-tidianità, erano cioè sotto shock. È però tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX che hanno inizio i numerosi studi che porteranno alla legittimazione del concetto di trauma psichico fino ad arrivare, nel 1980, al riconoscimento ufficiale da parte dell’associazione psichiatrica americana del disturbo post traumatico da stress (PTSD). Nel primo capitolo di questo elaborato viene trattata brevemente la storia del trauma psichico, a partire dallo shell shock, passando per le teorie dei pilastri della psichiatria quali Charcot, Janet e Freud, fino ad arrivare agli ultimi decenni del Novecento, quando si sviluppano i cosiddetti trauma studies, interessati al le-game fra trauma e letteratura. Quest’ultima risulta infatti essere un mezzo privile-giato per la rappresentazione di un’esperienza traumatica in quanto, grazie alla non referenzialità del proprio discorso, è in grado di esprimere i tratti più irrazionali del trauma e, tramite strategie narrative e stilistiche, mimare l’andamento di una psiche traumatizzata. Tra i nomi più importanti associati a questo ramo di studi si annove-rano Cathy Caruth, Dori Laub, Shoshana Felman, Dominick LaCapra e Anne Whi-tehead, i cui testi principali sono trattati all’interno del capitolo due. La maggior parte di questi testi sono stati scritti alla luce dei grandi eventi traumatici del XX secolo, primo tra tutti l’Olocausto, ma sono generalmente applicabili ad altri gravi traumi della storia mondiale. Lo scopo di questo elaborato è infatti quello di analiz-zare il trauma all’interno dei romanzi scritti in seguito all’evento traumatico che ha segnato il passaggio dal XX al XXI secolo: gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Tuttavia ciò non sarebbe stato possibile senza prima aver approfondito lo studio della storia del trauma e i principi cardine della trauma fiction, genere lette-rario strettamente connesso alle teorie elaborate dai trauma studies e caratterizzato

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8

da precise coordinate tematiche ed estetiche. Prima della sezione dedicata all’analisi dei romanzi, la tesi consta di un’ulteriore parte di natura teorica, dove vengono ana-lizzate le conseguenze degli attentati terroristici sulla psiche della popolazione ame-ricana e mondiale e viene spiegato il ruolo svolto dai mezzi di comunicazione in seguito alla tragedia, caratteristica che distingue l’11 settembre dagli altri major

events della storia. Nell’ultima parte del terzo capitolo ci avviciniamo poi

all’am-bito più prettamente letterario, con l’analisi delle prime reazioni di scrittori ameri-cani e inglesi, i quali, tramite articoli di giornale, sono chiamati a cercare di dare la propria interpretazione di quanto accaduto, e una sintetica presentazione dei princi-pali testi etichettati come romanzi post-11 settembre. Gli ultimi tre capitoli si in-centrano poi sull’analisi dettagliata di tre romanzi di altrettanti autori: Falling Man di Don DeLillo, Extremely Loud and Incredibly Close di Jonathan Safran Foer e

Saturday di Ian McEwan. La scelta di questi tre romanzi è nata dal desiderio di

affrontare le reazioni post traumatiche legate all’11 settembre da tre diverse pro-spettive. Il protagonista del romanzo di DeLillo è infatti un uomo adulto che si trova all’interno di una delle due torri la mattina dell’11 settembre e che riesce a fuggire, fisicamente pressoché illeso ma con eventi segni di shock a livello psichico, mentre Oskar, protagonista di Extremely Loud and Incredibly Close, è un bambino costretto a convivere con il trauma della morte del padre, imprigionato tra le macerie delle

twin towers e il cui corpo non viene ritrovato. Un punto di vista ancora diverso è

poi quello di Saturday, ambientato a Londra il 15 febbraio 2003. Il protagonista, affermato neurochirurgo londinese, si trovava in Inghilterra il giorno degli attentati di New York e non ha perso nessun parente o amico, ma il suo approccio verso la vita è comunque mutato, a causa del clima di terrore creatosi a livello mondiale. Ciascuno di questi romanzi esemplifica una delle quattro categorie attraverso le quali Kristiaan Versluys ha suddiviso i romanzi scritti a proposito degli attentati:

Falling Man, narrando la storia di un sopravvissuto, fa parte dei romanzi “of

first-hand witnessing”, mentre il romanzo di Foer secondo Versluys può essere classifi-cato come “great New York novel” in quanto Oskar, nel tentativo di affrontare il lutto, percorre tutti i distretti della capitale statunitense. Saturday, infine, scritto da un autore inglese ed ambientato a Londra rientra nella categoria “the novel of the

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9

outsider”, la quale dimostra che gli eventi dell’11 settembre non hanno avuto riper-cussioni soltanto negli Stati Uniti. Ognuno dei tre capitoli finali presenta breve-mente il macrotesto letterario di ciascun autore, la sinossi del romanzo preso in esame ed infine l’analisi basata sugli aspetti tematici e stilistici della trauma fiction.

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BREVE STORIA DEL TRAUMA IN PSICOLOGIA

Il termine trauma deriva etimologicamente dal greco antico traumatismos, ossia l’atto di ferire, e dal sostantivo trõma che significa ferita o danno. Inoltre la radice

trõ- rimanda al verbo forare o perforare e lega in questo modo il termine a un tipo

di ferita inflitta con perforazione e alle conseguenti ripercussioni sull’organismo.1

Le prime definizioni di trauma che appaiono sui dizionari di fatto fanno riferimento unicamente a ferite fisiche, lesioni causate da oggetti esterni che inficiano il normale funzionamento del corpo o di un determinato organo. Il concetto di trauma deriva dunque dall’ambito medico e solo nella seconda metà del XVIII secolo viene adottato dalla psichiatria al fine di indicare la sopraffazione del soggetto da parte di uno stimolo eccessivo. Una volta riconosciuta l’esistenza del trauma psichico e del suo impatto nella vita dell’uomo, tuttavia, lo sviluppo del concetto di trauma non ha seguito un andamento lineare ma ha visto l’alternarsi di momenti di grande popolarità e interesse ad altri di oblio o critica. Carlo Bonomi in Introduzione

storica all’idea di trauma psichico suddivide la storia intellettuale del trauma in tre

fasi, attraverso le quali è possibile appunto notare l’andamento altalenante dello sviluppo di questo concetto. La prima fase corrisponde alla nascita e al tramonto del concetto di nevrosi traumatica che comprende il periodo tra il 1870 e il 1920 circa. Questo primo momento è poi seguito da una fase intermedia, durante la quale gli studiosi si dedicano alla riorganizzazione dei problemi per poi giungere alla terza fase, ovvero quella della rinascita del concetto di trauma psichico avviata nel 1980, anno in cui l’associazione psichiatrica americana include nella nuova edizione del suo manuale diagnostico una nuova categoria, il disordine da stress post-traumatico (PTSD, post traumatic stress disorder).2 A partire da questo momento diversi ambiti disciplinari si sono interessati al trauma, considerato ormai come parte integrante della realtà del XX secolo. Il 1900 è infatti ritenuto da molti studiosi il secolo del trauma data la grande quantità e la gravità degli eventi che lo hanno

1 Manlio Cortellazzo- Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna

1989.

2 Carlo Bonomi, Introduzione storica all’idea di trauma psichico, intervento letto in occasione della

presentazione del centro di psicotraumatologia, Firenze, Chiostro del Maglio, 19 maggio 2001. Disponibile al sito http://carlobonomi.it/files/introduzione_al_trauma_psichico.pdf.

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stravolto. A partire dagli anni Ottanta del secolo si vanno sviluppando i cosiddetti

trauma studies volti a legare il trauma e gli studi letterari nel tentativo di

rappresentare il disagio dell’uomo, di dare voce all’indicibile.3 Negli anni duemila

questi studi proseguono, tanto in ambito psicologico quanto letterario, alla luce di nuove tipologie di trauma legate a fenomeni come bullismo o violenza domestica o in riferimento a traumi collettivi su scala mondiale come gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e i conflitti in Medio Oriente.

1.1. Nascita di un concetto: il trauma e l’età moderna.

L’idea di trauma psichico e nevrosi traumatica emerge in ambito neurologico come riflesso delle trasformazioni della società industriale. A partire dagli anni ’80 del 1800 si susseguono infatti anni di grande cambiamento che porteranno alla formazione dello stato moderno. Già alla fine del secolo precedente l’uomo aveva assistito alla radicale trasformazione dei rapporti e degli equilibri che costituivano la società, passando da una piccola realtà come quella del villaggio ad uno spazio nettamente più vasto come la città. Quest’ultima è il simbolo del cambiamento e al suo interno si sviluppano rapporti e scambi commerciali, culturali ed economici. È proprio in città che si sposta la maggior parte degli uomini, attratta dalla disponibilità di posti di lavoro e di prospettive di vita migliori rispetto a quelle offerte dalla campagna. Tuttavia nelle città regna sovrano un clima di frenesia, in cui il tempo viene scandito dagli orari di lavoro e da una richiesta incessante di produzione. L’origine del concetto di trauma è legata proprio a questa fase di cambiamento, al passaggio dai ritmi naturali della campagna ai ritmi artificiali e frenetici della città.4 Se da una parte nelle città si assiste a un grande sviluppo dettato anche dall’introduzione di nuove macchine e nuovi strumenti, allo stesso tempo nasce nell’uomo un nuovo sentimento di smarrimento dato dal vedersi trasformato

3 “And it is at the specific point at which knowing and not knowing intersect that the language of

literature and psychoanalytic theory of traumatic experience precisely meet.” Cathy Caruth,

Unclaimed Experience. Trauma, Narrative, and History. The Johns Hopkins University Press,

Baltimore 1996, p. 3.

4“In these sprawling, artificial terrains, divorced from nature, commentators began to worry about

the overstimulation and exhaustation caused by prolonged immersion in the city.” Roger Luckhurst,

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in un automa la cui unica preoccupazione deve essere lavorare e produrre.5 Più specificatamente, l’origine dell’idea di trauma è legata all’espansione delle reti ferroviarie, icone appunto della modernità. Grazie alla ferrovia è adesso possibile percorrere lunghe distanze in tempi relativamente brevi e si assiste così ad un ridimensionamento dei concetti di spazio e tempo. Tuttavia ai viaggi in treno sono associati sin all’inizio gravi incidenti e un enorme numero di vittime e di feriti.6

Oltre all’elevato numero di morti, ciò che caratterizza questo tipo di incidenti è la loro violenza. I convogli viaggiano infatti a velocità molto elevate e al momento dello scontro si presentano davanti agli occhi dei viaggiatori scene decisamente brutali fino ad allora confinate agli ambienti delle fabbriche. Anche le persone che hanno assistito agli incidenti o che ne sono state vittime senza però riportare gravi ferite apparenti riportano strani effetti a livelli nervoso, che spesso si manifestano a distanza di tempo. Una prima spiegazione viene attribuita alla velocità dei convogli: si ipotizza che l’elevata velocità raggiunta dai treni possa avere ripercussioni negative sui nervi, così come anche la violenza dell’impatto nel momento di un incidente. Viene così introdotto il concetto di railway spine, teorizzato dal chirurgo inglese John Erichsen. Con l’introduzione di questo termine, Erichsen collega i problemi nervosi e psichici dei passeggeri vittime di incidenti ferroviari a lesioni organiche della spina dorsale. Ancora lontano dall’idea di una possibile sindrome psicopatologica, egli attribuisce i quadri sintomatologici dei pazienti alle lesioni fisiche riportate alla spina dorsale durante l’incidente. La condizione di questi pazienti viene appunto definita sindrome da spina dorsale da ferrovia (railway spine

sindrome) ed include sintomi quali stanchezza, ansia, disturbi del sonno, irritabilità,

vertigini, vari tipi di paralisi e problemi di memoria. Erichsen conferisce dunque a queste problematiche una causa prettamente fisica, i problemi nervosi sviluppati dai pazienti secondo l’opinione del chirurgo inglese sono riconducibili alle lesioni spinali e non hanno niente a che vedere con l’isteria. Di opinione diversa, invece, il

5 Come teorizzato da Marx, filosofo che introduce il concetto di materialismo storico. Marx definisce

tutte le attività umane sovrastrutture poiché dipendenti dalla struttura principale, ovvero l’economia, la quale influenza la totalità delle espressioni della società.

6“From the very first public run of Stephenson’s Rocket in September 1830, death attended the

operation of the railway: the MP William Huskisson was struck on the tracks. With the 1871 Railways Regulation Act, records of fatal accidents were properly reported and for the next thirty years, there were never less than 200 passenger deaths a year, with the peak in 1874 of 758 deaths.” Roger Luckhurst, op. cit., p. 21.

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collega Page, il quale ritiene che i sintomi della spina dorsale da ferrovia abbiano una natura psicologica. È proprio Page infatti a coniare l’espressione nervous shock in riferimento al terrore provato dai passeggeri al momento della collisione.7 Secondo il chirurgo, sono stati commessi numerosi errori nelle diagnosi proprio perché il terrore e lo shock non sono stati tenuti sufficientemente in considerazione.8

Con la nascita del concetto di railway spine si sviluppano, inoltre, dispute di tipo giuridico. Il trauma psichico, oltre a non aver ancora raggiunto il riconoscimento da parte dell’opinione pubblica, incontra notevoli difficoltà nell’essere riconosciuto e accettato dalla legge.9 Le vittime degli incidenti ferroviari che riportano evidenti lesioni fisiche hanno il diritto a indennità o rimborsi, ma le vittime della spina dorsale da ferrovia non possono apportare prove materiali del loro trauma ed iniziano dunque ad essere guardate con sospetto. Inoltre lo shock nervoso spesso si manifesta tardivamente e può coinvolgere persone non presenti durante l’impatto e per la legge risulta dunque difficile collegarlo all’incidente stesso. Anche quando nel corso del XX secolo il nervous shock verrà riconosciuto a livello legislativo, i suoi confini risulteranno sempre sfumati, data l’impossibilità di definire il trauma in maniera precisa.

1.2. Il trauma in psicologia

A cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del XX secolo vengono condotte le prime analisi sistematiche volte ad evidenziare il legame esistente tra il trauma e le malattie psichiatriche. È in questo periodo che si inizia a parlare di psiche traumatizzata come apparato in grado di registrare gli eventi traumatici, nonostante il desiderio dei malati di dimenticare quei momenti. Prendono dunque il via

7 “The vastness of the destructive forces, the magnitude of the results, the imminent danger to the

lives of numbers of human beings, and the hopelessness of escape from the danger, give rise to emotions which in themselves are quite sufficient to produce shock.” Page, Injuries of the Spine and

Spinal Cord without Apparent Mechanical Lesion, and Nervous Shock in their Surgical and Medico-Legal Aspects (1883) cit. in Roger Luckhurst, op. cit., p. 23.

8 Bessel A. Van der Kolk, The History of Trauma in Psychiatry, in Matthew J. Friedman - Terence

M. Keane - Patricia A. Resick, Handbook of PTSD, Science and Practice, The Guilford Press, New York 2014, p. 20.

9 Gli stessi Herichsen e Page vengono accusati di legittimare richieste di indennità per ferite

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numerosi studi che porteranno alla legittimazione del concetto di trauma, processo associato ai pilastri della psichiatria Charcot, Janet e Freud.

Jean-Martin Charcot è uno dei più noti neurologi europei della fine del XIX secolo ed è direttore dell’ospedale psichiatrico Salpêtriere di Parigi. In questo istituto vengono accolte persone con sintomi e problematiche estremamente variegate, si spazia infatti da pazzi criminali a pazienti ritenuti posseduti da forze demoniache. Arrivato al Salpêtriere a Charcot viene affidato il reparto delle convulsionarie, che egli decide di distinguere in due differenti settori, quello delle epilettiche e quello delle isteriche, poiché convinto che i sintomi isterici abbiano una natura psicologica e non fisiologica, a differenza appunto delle crisi epilettiche. Le pazienti isteriche e le pazienti epilettiche erano state raggruppate in un unico reparto data la corrispondenza dei sintomi manifestati quali paralisi o irregolari contrazioni muscolari. La tesi portata avanti da Charcot, però, non si focalizza tanto sui sintomi manifestati quanto sulle cause scatenanti, interesse che lo porta a trasformare l’istituto in un personale laboratorio dove poter studiare i suoi pazienti. Il termine “isteria” deriva dalla parola greca che significa “utero” e data la sua etimologia per molto tempo è stato associato al genere femminile. La convinzione generale era che l’isteria rappresentasse una debolezza genetica e non potesse dunque essere riscontrata in pazienti di sesso maschile. Questa convinzione non è tenuta in considerazione da Charcot che intorno al 1850 inizia ad esaminare casi di nevrosi traumatica negli uomini, presentando nel suo Clinical Lectures on Diseases

of the Nervous System sei casi di isteria maschile. A testimonianza della sua ipotesi

ci sono i numerosi sintomi riscontrabili negli uomini in seguito a incidenti industriali o ferroviari, le vittime del cosiddetto railway spine. Secondo Charcot i sintomi presentati dai pazienti di sesso maschile sono spesso confusi con malattie organiche data la loro natura più persistente e stabile rispetto ai sintomi presentati dalle donne, ma entrambi sono ascrivibili a cause psicologiche e non fisiologiche. Charcot nota, infatti, come incidenti minori possano portare a gravi contratture, paralisi, stati confusionari o amnesie. In linea generale si pensava che il disordine funzionale si originasse a partire dalla ferita fisica per poi iniziare a viaggiare attraverso il sistema nervoso fino ad arrivare alle differenti manifestazioni organiche. Charcot nota, però, che le contratture e le paralisi non possono essere

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tracciate seguendo la distribuzione dei nervi presenti nel corpo umano e dunque non può trattarsi di una disfunzione fisiologica scaturita da una ferita fisica, quanto piuttosto di sintomi isterici, di paralisi psichiche. Con la sua affermazione Charcot non vuole in nessun modo sminuire questo tipo di problematiche, egli non parla infatti di paralisi immaginarie come era invece avvenuto spesso nel corso delle diatribe legali inerenti al diritto di risarcimento o meno da parte dello stato per le vittime di railway spine. Lo scopo di Charcot è proprio il contrario: egli intende dare validità all’isteria e alle paralisi psichiche riconoscendone lo statuto di malattia.10 Sulla scia di Page, Charcot sottolinea l’importanza del terrore e della paura provata al momento di un incidente o di un’esperienza terrificante come quella di un abuso sessuale e indica in queste reazioni emotive la causa principale dei sintomi nevrotici e isterici:

Along with the injury, there is a factor which most probably plays a much more important part in the genesis of the symptoms than the wound itself. I allude to the fright experienced by the patient at the moment of the accident.11

Tuttavia, secondo il neurologo francese i sintomi isterici, anche se provocati da esperienze traumatiche, sono marchi di una debolezza ereditaria. Questa ipotesi spiega il perché alcune persone sono in grado di sopportare gravi eventi traumatici senza riportare conseguenze a livello psichico, mentre altre riportano irreversibili sintomi isterici anche in seguito a incidenti di minore portata. Nell’analizzare un paziente, infatti, Charcot tiene sempre presente la storia della sua famiglia, prestando particolar attenzione ai sintomi che rimandano a possibili problemi psicologici nei genitori o nei parenti più prossimi. Egli dichiara che il settanta per cento dei pazienti isterici di sesso maschile da lui presi in esame deve i suoi disturbi all’isteria della madre. Nei pazienti è dunque presente un’isteria ereditaria che affiora in superficie in seguito a un incidente o ad uno schock, nel momento in cui, usando le parole di Luckhurst, “the accident met destiny, modernity met blood”.12 Charcot conferma poi la sua teoria della predisposizione genetica in maniera

10 “Observe, I do not say imaginary paralyses, for indeed these motor paralyses of psychical origin

are as objectively real as those depending on an organic lesion.” Jean-Martin Charcot, Clinical

Lectures on Diseases of the Nervous System (1989), in Roger Luckhurst, op.cit., p. 35. 11 Ibidem, p. 36.

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sperimentale attraverso l’utilizzo di una tecnica innovativa in psicologia, l’ipnosi.13Con questo metodo egli è in grado di indurre i pazienti in uno stato di

trance e riportare in superficie i sintomi isterici. A suo avviso solo i pazienti predisposti ad una dissociazione dell’apparato psichico sono suscettibili all’ipnosi poiché in assenza di predisposizione non emerge nessun sintomo isterico. Lo stato indotto dall’ipnosi è, agli occhi di Charcot, molto simile a quello causato da uno shock nervoso e dunque le reazioni dei pazienti sottoposti ad ipnosi risultano essere la dimostrazione di ciò che avviene nella psiche in seguito ad un trauma.

L’interesse di Charcot per gli studi sull’isteria e sul trauma crea un grande seguito all’interno del Salpêtriere e numerosi sono infatti i discepoli del neurologo francese. Tra i più degni di nota vi è sicuramente Pierre Janet, annoverato tra i più importanti teorici del trauma. Janet continua a studiare il legame tra l’isteria e le esperienze traumatiche, ritenendo appunto che alla base dei sintomi nevrotici ci siano forti ed ingestibili emozioni causate da eventi scioccanti.14 Janet ritiene la

coscienza personale elemento fondamentale per garantire il corretto funzionamento della psiche, considerando che la consapevolezza del proprio passato, unita a una giusta percezione del presente e dell’ambiente circostante, determina la capacità di rispondere adeguatamente allo stress. Vi sono dunque degli schemi mentali atti a guidare il funzionamento della psiche integrando la memoria di eventi passati con ciò che avviene nel presente. Tuttavia, quando una persona vive un’esperienza traumatica, la mente può non risultare in grado di interpretare ciò che sta succedendo in base ai preesistenti schemi cognitivi. Conseguentemente, la memoria di tale evento non può essere integrata correttamente e viene invece dissociata dalla consapevolezza conscia e dal controllo volontario. Dissociazione è appunto un termine coniato da Janet con lo scopo di indicare la frammentazione e l’allontanamento delle tracce mnemoniche in seguito ad un avvenimento

13 Il fenomeno ipnotico come tale ha origini molto antiche, si hanno notizie dell’utilizzo di tale

tecnica da parte di sacerdoti egizi e greci e di stregoni e sciamani che utilizzavano l’ipnosi per migliorare la loro chiaroveggenza o per applicare cure. A partire dall’Ottocento l’ipnosi viene poi associata al mesmerismo, tecnica di cura basata sulle teorie del tedesco Franz Anton Mesmer che però non venne mai riconosciuta dalla scienza medica. Charcot riprende questa tecnica allo scopo di dimostrare la sua teoria.

14 “Hystericals have not only fixed ideas; they have also persistent emotions and emotions are

complex states of the whole organism in which both the physiological and the psychological phenomena are intimately blended.” Roger Luckhurst, op. cit., p. 42.

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traumatico, aspetto riscontrato in numerosi suoi pazienti. Essi spesso si dimostrano incapaci di ricordare l’evento o se lo ricordano non sono in grado di interpretarlo correttamente e in molti casi si sviluppa anche l’incapacità di assimilare ogni tipo di nuova esperienza.15 Secondo il modello elaborato da Janet dunque un particolare momento scioccante o evento terrificante è in grado di far scaturire una reazione difensiva da parte dell’apparato psichico che opera al fine di nascondere l’evento alla memoria. Nella psiche a questo punto si crea una nuova catena associativa, un nuovo sistema mnemonico indipendente dal primo. Con l’esposizione di questa teoria, Janet formula l’opposizione tra memoria narrativa e memoria traumatica, tuttora fondamentale negli studi sul trauma. La memoria narrativa corrisponde alla memoria ordinaria ovvero quella che opera in base agli schemi cognitivi presenti nella nostra psiche e che cessa di funzionare correttamente proprio in presenza di uno shock. Come abbiamo visto, l’evento traumatico viene isolato dalla psiche al fine di dimenticarlo, ma nel momento in cui determinate situazioni o particolari dettagli ricordano al paziente quell’evento, viene attivata la memoria traumatica, priva di un controllo da parte del paziente stesso. Le tracce mnemoniche del trauma si presentano come idées fixes e continuano a ripresentarsi come percezioni terrificanti e preoccupazioni ossessive.16 Nella memoria traumatica, infatti, gli avvenimenti, le sensazioni, le percezioni vengono alla luce come frammenti isolati e di difficile comprensione. Per guarire dall’isteria e dalla nevrosi, i pazienti devono rendersi conto della presenza di elementi dissociati all’interno della loro psiche e cercare di integrare l’evento traumatico all’interno della memoria narrativa. Solo in questo modo il momento dello shock può essere considerato come un evento passato e il paziente può dunque superarlo. Quando invece quest’ultimo non è in grado di integrare l’evento traumatico con la totalità della sua memoria e coscienza, la sua esistenza risulta gravemente influenzata dal trauma stesso.17 La vittima non riesce ad elaborare normalmente l’esperienza traumatica e quest’ultima acquisisce dunque eccessiva rilevanza, finendo per incidere negativamente sulla percezione

15 “They are unable to integrate their traumatic memories and they seem to lose their capacity to

assimilate new experiences as well.” Cit. in Bessel A. Van der Kolk, Traumatic Stress: The Effects

of Overwhelming Experience on Mind, Body and Society, Guiltford Press, New York 2007, p. 66. 16 Ibidem., p. 23.

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della realtà da parte dell’individuo.18 Janet è tra i primi ad evidenziare il legame tra

i sintomi psicopatologici e il materiale inconscio dissociato, ciò che Sigmund Freud definirà poi materiale rimosso.

Il giovane Freud nell’ottobre del 1885 si reca al Salpêtriere grazie ad una borsa di studio che gli permette di seguire le lezioni di Charcot sull’isteria. Freud, che considera il neurologo francese come un maestro e il pioniere di un nuovo modo di interpretare questo tipo di nevrosi, è affascinato dalla tecnica dell’ipnosi, attraverso la quale Charcot induce volontariamente i suoi pazienti in uno stato di incoscienza. Rientrato a Vienna, Freud decide di dedicarsi alla cura di pazienti isterici e in collaborazione con l’amico e collega Breuer tra il 1892 e il 1895 pubblica gli Studi

sull’isteria, risultato di lunghe ricerche durante le quali Freud esercita l’innovativa

tecnica dell’ipnosi su numerosi pazienti. Leggendo lo scritto è evidente l’influenza del pensiero di Janet, soprattutto per quanto riguarda i concetti di dissociazione e memoria traumatica, poiché anche secondo i due medici austriaci l’isteria corrisponde ad una disfunzione della memoria che porta alla formazione di ossessioni, di idées fixes che sfociano in sintomi isterici.19 Il primo capitolo del volume è scritto in comune da Freud e Breuer, i quali illustrano il meccanismo psichico dei fenomeni isterici confermando ciò che era già stato formulato da Charcot e Janet. Dietro alle manifestazioni isteriche si cela un mondo di ricordi traumatici, preclusi alla coscienza, che riescono ad emergere in superficie nel momento in cui, grazie alla condizione ipnotica, il controllo cosciente è messo a tacere. Mettere il soggetto nella condizione di accedere a tali ricordi e permettergli dunque di organizzarli secondo gli schemi cognitivi della memoria narrativa porta alla scomparsa dei sintomi isterici. Il contrasto tra il normale assetto della coscienza e la dissociazione tipica della psiche dei pazienti isterici è riscontrabile nella quasi totalità dei casi clinici presi in esame dai due medici, cinque dei quali sono riportati nel secondo capitolo del volume. Tra di essi vi è anche il noto caso della signorina

18 Ivi.

19 “Invertendo il detto: cessante causa cessat effectus, ci sarà lecito dedurre da queste osservazioni

che l’evento determinante continua ad agire in qualche modo ancora per anni, non indirettamente ma per il tramite di una catena di anelli causali intermedi, ma come causa diretta, circa come un dolore psichico coscientemente ricordato da sveglio provoca, anche dopo molto tempo, secrezione di lacrime: l’isterico soffrirebbe per lo più di reminiscenze.” Sigmund Freud, Opere (I) Studi

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Anna O., ragazza che porta Freud e Breuer ad allontanarsi dall’idea secondo la quale l’isteria è sintomo di una personalità immatura, suggestionabile o poco dotata. Anna O. è infatti una giovane donna “di intelligenza notevole, dotata di intuizione acuta e di una sorprendente capacità di afferrare le relazioni tra le cose. […] Il suo ricco talento poetico e fantastico era controllato da uno spirito critico molto acuto che la rendeva anche del tutto insuggestionabile.”20 Questo stesso caso porta inoltre Freud a compiere un passo decisivo che lo allontanerà da Charcot e da Janet e in generale dalle idee in voga nella comunità psichiatrica. Il medico austriaco decide infatti di abbandonare l’ipnosi: il metodo che tanto lo aveva affascinato durante la sua visita al Salpêtriere adesso non risulta adatto nel trattamento dell’isteria dei suoi pazienti. La signorina Anna O. era entrata in cura da Breuer in seguito al manifestarsi di una forma di isteria nata mentre accudiva il padre malato. Durante la terapia, Breuer ipnotizzava Anna e nel momento di trance ipnotico la incoraggiava a risalire al momento in cui il sintomo si era manifestato per la prima volta e, in linea con il pensiero di Charcot, notava degli effetti curativi dati dai discorsi che emergevano duranti l’ipnosi e dalla scarica emotiva che ne conseguiva. Tuttavia Freud, seguendo attentamente questo caso, nota che i ricordi che emergevano durante lo stato di trance venivano nuovamente perduti nel momento in cui la paziente tornava ad essere cosciente. La trance ipnotica, infatti, aggirava artificialmente le difese presenti nella mente della paziente, permettendo così all’analista di accedere all’insieme dei ricordi traumatici tenuti nascosti. Tuttavia non è l’analista che ha bisogno di conoscere tali ricordi ma il paziente stesso, che però non è in grado di farlo poiché una volta terminato lo stato di incoscienza, la resistenza della mente ad un determinato evento traumatico viene ripristinata. Questo metodo, dunque, agli occhi di Freud, dà al paziente una consapevolezza esclusivamente indiretta, poiché filtrata dall’analista, il quale terminata la trance fa presente al soggetto ciò che è emerso durante l’ipnosi. 21 Freud nota che il paziente affetto da isteria trae beneficio dal parlare liberamente del suo stato d’animo e dei suoi problemi e così facendo è in grado, guidato dalle domande dell’analista, di

20 Ibidem, p. 189.

21 “I came to dislike hypnosis, for it was a temperamental and, one might say, a mystical ally. […]

It is only if you exclude hypnosis that you can observe resistances and repressions and form an adequate idea of the truly pathogenic course of the events.” Sigmund Freud, Five Lectures on

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accedere a quelle memorie nascoste che causano la sua nevrosi e il suo malessere.22 Nasce così la tecnica delle libere associazioni, fondamento del pensiero freudiano e momento chiave nella nascita della psicoanalisi. Attraverso questo metodo Freud giunge ad avere le prime intuizioni su come è organizzata la psiche umana, formulando la nota struttura tripartita formata da conscio, preconscio e inconscio.23 Tale modello mentale risulta essere completamente diverso da quello dissociativo proposto da Janet. Quest’ultimo parlava infatti di un sistema orizzontale formato da più parti simili tra loro, che venivano frammentate nel momento del trauma provocando appunto la dissociazione della psiche e il conseguente allontanamento dei ricordi traumatici. Quello elaborato da Freud è invece un modello verticale, poiché la psiche è strutturalmente divisa tra sistemi consci e inconsci e conseguentemente tra idee manifeste e idee latenti. I contenuti manifesti si trovano in superficie e la coscienza può accedervi facilmente mentre i contenuti latenti sono sepolti nelle profondità dell’inconscio e nel momento in cui riaffiorano in superficie destabilizzano la psiche e si manifestano appunto tramite incubi, atteggiamenti compulsivi o sintomi isterici. Tali contenuti latenti non sono in grado di riaffiorare alla coscienza non per debolezza ma a causa dell’attivo lavoro di repressione operato dalla psiche. Quest’ultima vede i contenuti traumatici o violenti come

22 “Mi servo allora anzitutto di un piccolo accorgimento tecnico. Comunico al paziente che,

nell’istante successivo, eserciterò una pressione sulla sua fronte, e gli assicuro che durante tutto il tempo della pressione egli vedrà innanzi a sé come un’immagine, o gli verrà in mente come idea, un ricordo, e gli impongo di comunicarmi tale immagine o tale idea, quali essi siano. Egli non deve tenerla per sé perché forse ritenga che non sia la cosa cercata, la cosa giusta, o perché gli sia troppo sgradevole dirla. Nessuna critica, nessuna riserva, per motivi di affetto o di disprezzo! Solo così ci è possibile trovare quel che si cerca, e solo così lo si trova di certo. Poi premo per alcuni secondi sulla fronte del paziente disteso davanti a me; lascio quindi libera la fronte e chiedo con tono tranquillo, come se un insuccesso fosse senz’altro da escludersi: ‘Che cosa ha visto?’ oppure ‘Che cosa le è venuto in mente?’. Questo metodo mi ha insegnato molto e mi ha anche condotto ogni volta alla meta; attualmente non posso più farne a meno. […] Dal fatto che sotto la pressione della mia mano si presenti sempre quello che cerco, traggo questo insegnamento: la rappresentazione patogena apparentemente dimenticata si trova già pronta ‘nelle vicinanze’ ed è raggiungibile mediante associazioni facilmente producibili; si tratta soltanto di eliminarne un qualche ostacolo.” Sigmund Freud, op.cit., p. 408.

23 Questa tripartizione è nota come prima topica freudiana, secondo la quale il conscio è quel sistema

che permette all’uomo di rimanere in contatto con il mondo esterno attraverso le percezioni mentre il preconscio è il sistema psichico dove i processi psicologici sono momentaneamente inconsci ma possono poi diventare processi consapevoli e passare dunque nel conscio. L’inconscio, infine, è la parte sommersa della psiche con funzionamenti autonomi rispetto alla coscienza. La seconda topica freudiana vedrà poi la distinzione tra Es, Io e Super Io.

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inaccettabili e opera dunque al fine di nasconderli nell’inconscio, a cui la coscienza ha appunto difficoltà ad accedere.

Freud nel corso della sua carriera si distacca inoltre dallo stesso Breuer a causa di divergenze inerenti l’importanza della sfera sessuale nella manifestazione di sintomi nevrotici. Già in Studi sull’isteria Freud parla di eventi traumatici legati al sesso e vissuti durante l’infanzia come motivi scatenanti le isterie, per poi dichiarare pochi anni dopo in Etiologia dell’isteria che alla base di ogni attacco isterico vi è sempre almeno un episodio di prematura esperienza sessuale.24 Le violenze sessuali infantili possono provenire da estranei o da adulti cui il bambino è affidato come nutrici, governanti, maestri e spesso anche parenti stretti oppure possono avvenire tra bambini. In quest’ultimo caso, però, Freud nota che il bambino che prende l’iniziativa nella maggior parte dei casi in passato è stato a sua volta sedotto da un adulto. Freud formula così quella che oggi conosciamo come teoria della seduzione, che non viene però condivisa dal collega Breuer, il quale non ritiene che i sintomi nevrotici siano scatenati da pratiche sessuali riguardanti gli anni dell’infanzia. Negli anni seguenti Freud incentra dunque il suo lavoro di analisi sui contenuti psicosessuali latenti nella psiche dei suoi pazienti rigettando l’idea di un unico trauma come causa diretta dei disturbi mentali. Egli nota che la scena traumatica che vede l’insorgere del sintomo spesso non presenta né adeguata idoneità alla determinazione né necessaria forza traumatica25 e appare invece “non soltanto innocua ma anche priva di qualunque relazione con il carattere del sintomo isterico.”26 Il medico austriaco giunge quindi alla conclusione che più eventi

traumatici, legati alla sfera infantile, concorrono allo svilupparsi dei sintomi nevrotici affermando che “nessun sintomo isterico può derivare da un singolo episodio reale, in quanto il sintomo è sempre causato anche dall’azione concorrente del ricordo, risvegliato per via associativa, di episodi precedenti.”27

24 “At the bottom of every case of hysteria there are one or more occurrences of premature sexual

experience.” Sigmund Freud, The Aetiology of Hysteria (1896) in Roger Luckhurst, op. cit., p. 47.

25 Condizioni alle quali la scena traumatica deve rispondere per assumere un significato etiologico.

Freud, S., Opere (II) Progetto di una psicologia 1892-1899, Bollati Bolingheri, Torino 1989, p. 335.

26 Ivi, p. 336. 27 Ivi, p. 338.

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Il punto di vista di Freud si vede poi costretto a mutare con lo scoppiare del primo conflitto mondiale e lo svilupparsi delle cosiddette nevrosi di guerra. I soldati di ritorno dai campi di battaglia, che avevano sperimentato la distruzione della guerra e le terribili condizioni delle trincee, presentano sintomi simili a quelli dei pazienti affetti da isteria, ma Freud nota in questi soggetti un maggiore indebolimento delle facoltà psichiche.28 Questo terribile avvenimento lo spinge dunque ad interessarsi nuovamente alle nevrosi traumatiche, sebbene non in linea con le sue idee relative alla sessualità infantile come causa primaria dei disturbi psichici. Freud entra in contatto con i pazienti traumatizzati dalla guerra e li sottopone alla terapia delle libere associazioni, così come aveva fatto con i pazienti isterici, e ciò che nota lo porterà alla formulazione della nota teoria della coazione a ripetere, presentata in Introduzione alla psicoanalisi e poi ampliata in Al di là del

principio di piacere. I reduci di guerra hanno mostrato la tendenza a ripetere le

esperienze traumatiche nei loro sogni, dove rivivono i momenti di terrore che hanno appunto traumatizzato la loro psiche. Questo aspetto risulta difficilmente associabile alla sfera sessuale e porta Freud ad ipotizzare una tendenza contraria al desiderio di soddisfazione libidica, la presenza all’interno della psiche di qualcosa che vada al di là del principio di piacere. Nel testo pubblicato nel 1920 Freud prende appunto in considerazione la possibile esistenza di una pulsione di morte, rivedendo così quanto affermato negli anni precedenti il conflitto mondiale. Secondo la teoria psicoanalitica, infatti, l’andamento dei processi psichici è regolato dal principio di piacere. Esso è messo in moto da una tensione spiacevole ed opera allo scopo di abbassare tale tensione, ovvero al fine di annullare il dispiacere o addirittura produrre un piacere. Nel caso dei reduci di guerra, tuttavia, avviene proprio il contrario poiché la psiche, ripresentando continuamente il momento del trauma, non porta il soggetto verso nessun tipo di piacere ma al contrario lo spinge a rivivere ogni volta l’evento traumatico con sempre maggiore terrore e angoscia. Freud afferma, dunque, che non è corretto parlare di dominio del principio di piacere perché se così fosse tutti i processi psichici dovrebbero essere accompagnati da

28 “Il quadro sintomatico presentato dalla nevrosi traumatica si avvicina a quello dell’isteria, per la

stessa dovizia di sintomi motori, ma, di regola, lo supera per segni evidenti di sofferenza soggettiva (e in ciò assomiglia all’ipocondria o alla malinconia) e per un evidente indebolimento globale e un perturbamento delle facoltà mentali.” Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere, Pearson Paravia Bruno Mondadori, Roma 2007, p. 35.

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sensazioni di piacere ma l’esperienza dei soldati dimostra che di fatto è vero proprio il contrario.29 In L’interpretazione dei sogni Freud aveva individuato come funzione fondamentale dell’attività onirica quella di appagamento dei desideri ma, attraverso l’analisi dei sogni dei soldati, giunge a concludere che nella condizione traumatica i sogni, così come altre funzioni psichiche, sono deviati dai propri scopi.30 Si tratta dunque di incubi che riportano la vittima alla particolare situazione di pericolo o shock, provocando una condizione di rinnovato terrore al momento del risveglio. Freud teorizza dunque la coazione a ripetere a partire dall’analisi dei soldati traumatizzati dalla guerra ma poi la estende alla generalità degli eventi traumatici. Nello stesso capitolo di Al di là del principio di piacere in cui tratta le nevrosi di guerra egli porta come esempio l’esperienza di suo nipote Ernest. Freud osserva il modo in cui il nipote gioca, soprattutto quando la madre si allontana da lui, e nota come il bambino sia solito lanciare oggetti e accompagnare il lancio dal grido “fort!”, parola tedesca che significa “via”. Un giorno lo vede giocare con un rocchetto legato ad un filo: il bambino lancia il rocchetto gridando “fort!” per poi riportarlo a sé gridando “da!” (eccolo!). Freud interpreta questo gioco come la messa in scena dell’allontanamento e successivo ritorno della madre e ciò che lo colpisce è il fatto che la parte che viene ripetuta con maggiore frequenza è quella del lancio, ovvero la parte che rappresenta l’allontanamento, l’abbandono, il negativo.31 Anche il gioco del piccolo Ernest è dunque testimonianza della presenza di un impulso di morte, di una tendenza della psiche a ripetere il momento del trauma. Freud fa quindi propria l’idea di trauma come causa scatenante delle nevrosi, descrivendolo nel quarto capitolo del volume come causa della rottura

29 “Nella teoria psicoanalitica possiamo sostenere senza riserve che l’andamento dei processi

psichici è regolato automaticamente dal principio del piacere. Pensiamo, cioè, che esso sia sempre messo in moto da una tensione spiacevole, e che si orienti in modo tale che il risultato finale consista nell’abbassamento di questa tensione, in altre parole in un annullamento del dispiacere o in una produzione di piacere. […] Facciamo comunque notare che, a rigor di termini, non è del tutto corretto parlare di dominio che il principio del piacere esercita sul corso dei processi psichici. Se un tale dominio esistesse, quasi tutti i nostri processi psichici dovrebbero accompagnarsi al piacere o portare al piacere, conclusione invece completamente smentita dalla generale esperienza.” Ibidem, pp. 23-25.

30“Se, malgrado le caratteristiche dei sogni dei traumatizzati, vogliamo ribadire la nostra

convinzione che la tendenza fondamentale dei sogni sia l’appagamento dei desideri, ci resta ancora a disposizione un’ipotesi: possiamo cioè presumere che nella condizione traumatica, la funzione del sogno, come del resto altre funzioni, sia sconvolta e deviata dai suoi scopi.” Ibidem, p. 43.

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dello scudo protettivo della psiche e come valvola di accensione delle pulsioni contrarie al principio di piacere.32

Egli prosegue poi i propri studi sulle nevrosi traumatiche giungendo alla formulazione di un altro importante concetto, l’incubazione post-traumatica o periodo di latenza, al fine di indicare il periodo durante il quale gli effetti dell’esperienza traumatica non sono ancora evidenti. La tardiva manifestazione dei disturbi nevrotici era stata notata sin dai primi casi di railway spine, aspetto che, come già enunciato, ne rendeva difficoltoso il riconoscimento da parte della legge. Tuttavia Freud è il primo a formulare questa peculiarità nel comportamento del paziente traumatizzato in termini clinici affermando che il trauma trae la sua forza proprio dal ritardo con cui si manifestano i sintomi.33

1.3 . Shell Shock

Un momento di fondamentale importanza nell’evoluzione del concetto di trauma giunge alla fine del XIX secolo quando l’organicista Hermann Oppenheim conia il termine traumatic neurosis per identificare quei quadri di ansia morbosa che insorgono in seguito a gravi traumi e shock emotivi come appunto gli incidenti ferroviari. Egli ritiene che i problemi presentati da questi pazienti siano il risultato di modificazioni molecolari che avvengono all’interno del sistema nervoso centrale. In linea con questa ipotesi verranno poi coniati termini quali cuore irritabile e cuore del soldato34 in riferimento al quadro patologico presentato dai soldati traumatizzati in seguito ad azioni belliche. Si associano così i sintomi post-traumatici a nevrosi cardiache, dato che nei soggetti presi in esame si riscontra un alto tasso di sintomi

32 “Di solito definiamo traumatica qualsiasi eccitazione proveniente dall’esterno dotata di energia

tale da sfondare lo schermo di protezione. Ho l’impressione che il concetto di trauma può essere inteso solo mettendolo in rapporto con una breccia aperta in una barriera, un tempo efficace contro gli stimoli. L’impatto di un trauma esterno è destinato a produrre un grave disturbo nel funzionamento energetico dell’organismo e a mettere in moto tutte le misure di difesa possibili. Contemporaneamente il principio di piacere è momentaneamente messo fuori causa. Non esiste più alcuna possibilità di prevenire che l’apparato psichico venga invaso da una grande massa di stimoli; si presenta invece un altro problema, quello cioè di padroneggiare la massa di stimoli che ha fatto irruzione e di ‘legarli’, nel senso psichico, così che se ne possa disporre in un secondo momento.”

Ibidem, pp. 74-75.

33 Freud enuncia il concetto di incubazione post-traumatica in Mosè e il monoteismo, saggio

pubblicato nel 1939.

34 L’espressione “cuore irritabile” viene coniata nel 1870 da Myers, mentre “cuore del soldato”

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cardiovascolari. Inoltre, associare origini organiche alle nevrosi traumatiche risulta particolarmente utile per i soldati al fine di evitare questioni etiche riguardanti la codardia e il sottrarsi al proprio dovere. Se i sintomi riscontrati nei soldati sono ascrivibili ad una malattia, essa deve essere definita e così nel 1915 Meyers usa per la prima volta il termine shell shock nella letteratura medica. Shell shock significa letteralmente trauma da bombardamento e si origina appunto in seguito a situazioni estremamente violente come le guerre. Il termine nasce al fine di indicare gli impatti traumatici subiti dal corpo durante i bombardamenti ed infatti nelle prime diagnosi si collegano i sintomi nevrotici ai danni fisici subiti dal cervello. Si parla inizialmente di un disturbo organico causato dai danni fisici provocati al cervello dalla deflagrazione degli ordigni, ipotizzando che lo spostamento d’aria dell’esplosione, anche senza arrivare ad uccidere, possa comunque danneggiare il cervello. Questa interpretazione è largamente accettata dai soldati stessi, i quali, come affermato precedentemente, evitano in questo modo di essere accusati di codardia o disonore.35 Inoltre, trattandosi di una lesione fisica essi hanno diritto a

risarcimenti e pensioni di invalidità. Tuttavia, i sintomi dello shell shock36 vengono

riscontrati anche in soldati che non hanno avuto un diretto contatto con la ferocia della guerra e con i bombardamenti e diventa dunque chiaro come spesso la causa sia ascrivibile a ragioni puramente emozionali e psicologiche. Meyers, come molti altri, enfatizza la stretta somiglianza tra la nevrosi di guerra e l’isteria e rifiuta il legame tra la nevrosi e la commozione molecolare all’interno del cervello.37 Escluse

dunque le cause organiche, i medici iniziano ad interrogarsi su altre possibilità, in primis quelle psicologiche. Inizialmente prevale l’idea di una vulnerabilità di fondo dei soldati che manifestavano quei determinati sintomi, fatta emergere dalla durezza della guerra e dalle terribili condizioni al fronte. Tuttavia i medici sono poi costretti ad ammettere che la guerra provoca disturbi nervosi anche in persone in cui non era

35 “Psychological explanations for traumatic neuroses were easier to pursue in civilian settings.”

Bessel A. Van der Kolk, op. cit., p. 21. Con questa affermazione Van der Kolk intende sottolineare la forte influenza esercita dal fattore etico e morale all’interno degli eserciti. In un contesto civile questi aspetti non rivestono la stessa importanza e rendono dunque meno difficoltoso il riconoscimento di cause psichiche in casi di disturbi nevrotici.

36 Attacchi di panico, insonnia, mutismo, paralisi degli arti.

37 Proprio in questi anni Freud avvia i suoi studi relativi alle nevrosi di guerra con la pubblicazione

di saggi quali “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte” nel 1915 e “Psicoanalisi delle nevrosi di guerra” nel 1919. Nel 1918 si tiene inoltre un importante convegno di psicoanalisi a Budapest fortemente legato al tema della nevrosi di guerra.

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stata registrata nessuna predisposizione o tara ereditaria. La guerra di per sé sembra dunque essere la causa primaria di questi sintomi, il trauma scatenante le nevrosi. Quest’ultime sono generalmente suddivise in tre distinti modelli psicologici: l’esaurimento nervoso, la suggestione e il conflitto psicodinamico. Nel primo caso, una frammentazione dell’apparato psichico, provocata da un’emozione eccessiva come appunto la paura o l’orrore, genera una nevrosi. Si distinguono poi due diversi tipi di esaurimento nervoso da shell shock: isteria e nevrastenia. L’isteria è una reazione a breve termine causata dall’estremità di una determinata situazione e, se trattata immediatamente, il soldato può rientrare al fronte in tempi relativamente brevi. Tuttavia, l’isteria non è ben vista negli ambienti militari perché spesso associata a debolezza mentale o morale e viene quindi di norma attribuita ai soldati provenienti dalle classi sociali più basse. La nevrastenia, al contrario, non è una reazione a breve termine ma scaturisce in seguito ad una prolungata esposizione a situazioni di ansia e terrore come quelle vissute al fronte e colpisce prevalentemente gli ufficiali stressati dalla responsabilità del comando in situazioni estreme. Per quanto riguarda il secondo modello, la suggestione, esso è generalmente associato alla debolezza di alcuni soldati, specialmente i più giovani. Una volta colpito un soggetto, il disturbo spesso si propaga all’interno dell’intero battaglione coinvolgendo così un elevato numero di soldati e spingendo i governi ad essere sempre più sospettosi nei confronti di questa malattia. Il terzo modello psicologico di shell shock viene sviluppato da Rivers nel corso della guerra stessa. Egli analizza il trauma da guerra come il risultato di un conflitto psicologico, come un processo di dimenticanza, affermando dunque che le nevrosi di guerra sono causate da materiale psichico dimenticato ma ancora attivo nel sistema mentale. Le esperienze dolorose vengono spinte negli spazi più nascosti della mente, dove accumulano la forza necessaria a provocare nevrosi e attacchi di depressione.38

Tuttavia, nonostante i numerosi studi volti a dimostrare le cause psicologiche delle nevrosi di guerra, durante il primo conflitto mondiale lo shellshock non viene riconosciuto in termini di disturbo psichico poiché se associato all’isteria rischia di

38 “Painful thoughts were pushed into hidden recess of his mind, only to accumulate such force as

to make them well up and produce attacks of depression.” Rivers, Repression of War Experience (1917), cit. in Roger Luckhurst, op.cit., p. 56.

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attribuire tratti di scarsa virilità all’esercito e molti soldati affetti da disturbi nevrotici vengono processati e in alcuni casi addirittura giustiziati.39 La situazione cambierà con lo scoppiare del secondo conflitto mondiale, che vedremo essere, insieme all’Olocausto, l’episodio storico che aprirà la strada verso il riconoscimento ufficiale del trauma e del disturbo post traumatico da stress. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale emerge, infatti, un indipendente ramo di ricerca incentrato sugli effetti a lungo termine riscontrabili nei sopravvissuti all’Olocausto o ad altri episodi connessi con il conflitto. Ciò che maggiormente colpisce questi studiosi è l’effetto devastante che le condizioni estreme dei campi di concentramento hanno provocato sulla vita degli individui che si sono trovati coinvolti in questa orribile parentesi storica. A tal proposito viene coniato il termine

concentration camp syndrome, poiché le vittime non presentano solo i sintomi che

poi verranno classificati come facenti parte del disturbo post-traumatico da stress, ma riportano anche permanenti cambiamenti nella loro personalità.40 Lo studio dei

superstiti dei campi di concentramento è testimonianza di come un trauma estremo abbia gravi ripercussioni biologiche, psicologiche, sociali ed esistenziali, che includono l’incapacità di affrontare nuove situazioni di stress, seppur di minore portata. Tra i ricercatori che si sono interessati agli effetti a lungo termine derivati dal trauma di massa dei campi di concentramento si annovera Henry Kristal, psicoanalista polacco e unico sopravvissuto della sua famiglia allo sterminio nazista. Egli nota un’evoluzione dei sintomi traumatici, osservando come le vittime passino da uno stato di iper-allerta e angoscia ad un progressivo blocco emozionale e comportamentale.41 I pazienti si mostrano infatti incapaci di cogliere il significato delle loro sensazioni corporali e non essendo in grado di comprendere ciò che provano, sono inclini a reazioni psicosomatiche e tempeste emotive. Questo fenomeno, definito alessitimia, è secondo Krystal il fulcro dei sintomi psicosomatici tipici dei traumatizzati cronici. Nel corso del secondo conflitto mondiale, oltre ad un ampliamento degli studi e delle ricerche sul trauma, assistiamo anche ad un diverso trattamento dei soldati traumatizzati. Abbiamo

39 “During World War I, more than 2,200 British soldiers were actually executed.” Bessel A. Van

der Kolk, op.cit., p. 21.

40 Ibidem, p. 29. 41 Ivi.

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infatti visto che durante la grande guerra gli uomini sotto shock venivano giudicati codardi e quindi processati oppure venivano considerati malati e dunque ospedalizzati lontano dal fronte. Adesso la situazione cambia e viene adottata una nuova strategia. Si tende ora a tenere i soldati a riposo ma a contatto con i propri compagni, in modo da mantenere i legami che si erano creati e facilitare così l’alleviarsi dei sintomi. L’uso delle terapie di gruppo è infatti un lascito dell’esperienza della guerra e delle sue condizioni estreme.

1.4. Concezione di stress traumatico a partire dagli anni ‘70

La guerra di Corea scoppiata nel 1950 a causa dell’invasione della Corea del Sud da parte dell’esercito nordcoreano ricalca, per le forze alleate con l’ONU, le orme della seconda guerra mondiale terminata da pochi anni.42 I tassi di soldati colpiti da

disturbi post-traumatici sono infatti simili a quelli del precedente conflitto, dato dovuto probabilmente all’asprezza dei combattimenti e alle dure sconfitte subite. Tuttavia il vero punto di svolta per la classificazione del PTSD, sancito dal suo inserimento ufficiale nel manuale diagnostico di psichiatria, è la guerra del Vietnam. I combattimenti si svolgono prevalentemente nel sud del paese e vedono contrapposte le forze insurrezionali filo-comuniste e le forze governative della repubblica del Vietnam. Diretto è il coinvolgimento degli Stati Uniti d’America, che intervengono in aiuto del governo del Vietnam del sud, impegnando un’enorme quantità di soldati. Tuttavia il conflitto non è avallato dall’opinione pubblica americana e i soldati, in generale, si mostrano ostili all’idea di andare a combattere un nemico che non era stato sufficientemente demonizzato dalla propaganda. Questo aspetto rende la guerra ancora più insopportabile e indebolisce l’animo dei combattenti, portando come risultato la prima e clamorosa sconfitta degli Stati Uniti, nazione sino ad allora imbattuta. Tutto ciò ha profonde ripercussioni sull’animo dei veterani che, una volta terminata la guerra, riportano serie problematiche psichiche. Essi, infatti, rientrano in patria con sintomi che spesso sfociano in gravi problemi cronici che impediscono loro di condurre una vita normale e di integrarsi nella società. Negli anni immediatamente successivi alla fine

42 La guerra di Corea scoppiò nel 1950 a causa dell’invasione della Corea del Sud da parte

dell’esercito nordcoreano. All’invasione rispose rapidamente l’ONU, che intervenne militarmente allo scopo di liberare il paese occupato.

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del conflitto il numero dei suicidi tra gli ex combattenti è elevatissimo, così come quello di coloro che accusano disturbi psichici cadendo in preda a depressioni, frustrazioni e assumendo un atteggiamento di rinuncia alla vita.

Nel 1970 due psichiatri newyorchesi, Chaim Shatan e Robert Lifton, inaugurano i gruppi di discussione tra i reduci di guerra, dove i soldati possono parlare delle loro esperienze e confrontarsi con i loro colleghi. Tali incontri terapeutici hanno grande diffusione in tutto il paese e determinano il formarsi di una rete di professionisti desiderosi di veder riconosciuti gli effetti della guerra sull’igiene mentale della persona. Sulla base di un corpus di opere relative ai superstiti dell’Olocausto e a vittime di incidenti o traumi di altra natura i due psichiatri identificano i ventisette sintomi più comuni nelle nevrosi traumatiche e li confrontano con i casi di reduci del Vietnam sino ad allora documentati. Questo sistema di classificazione conduce alla decisione di includere il PTSD nella terza edizione43 del Diagnostic and

Statistical Manual dell’American Psychiatric Association e tutti i sintomi

appartenenti alle varie sindromi elencate vengono inglobati in questa nuova diagnosi.44 Sebbene debba il suo riconoscimento agli studi sui veterani del Vietnam, il concetto di PTSD non include soltanto i sintomi delle nevrosi di guerra, ma prende in considerazione anche numerosi altri eventi traumatici come le violenze infantili o il trauma da stupro. Le differenti esperienze traumatiche sembrano infatti causare lo sviluppo di sintomi simili quali appunto la tendenza a rivivere il momento dello shock, stati di iper-allerta, manifestazioni di ansia e angoscia e atteggiamenti passivi nei confronti della vita.

Come nota Bonomi in Introduzione storica al trauma psichico, la categoria di disturbo post-traumatico da stress ha dato il via a una proliferazione di ricerche inerenti gli eventi traumatici e le conseguenze che ne scaturiscono, segnando la fase che egli definisce come rinascita del trauma psichico. Nel decennio successivo alla

43 La prima versione fu redatta dall’American Psychiatric Association nel 1952. Il manuale, arrivato

adesso alla quinta edizione, tiene in considerazione i risultati della ricerca psicologica e psichiatrica, modificando e introducendo nuove definizioni di disturbi mentali.

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sua ufficializzazione, infatti, la nozione di trauma si è ulteriormente ampliata tramite l’inclusione di situazioni sempre nuove, siano esse collettive o individuali.45

45 “Un esempio di questa espansione è l’introduzione del termine ‘mobbing’ (attacco, assalto) da

parte dello psicologo svedese Heinz Leymann per indicare una forma di violenza psicologica messa in atto in ambito lavorativo da un superiore o da più colleghi di lavoro nei confronti di una ‘vittima’, la quale è soggetta a continui attacchi e ingiustizie che a lungo andare portano l'individuo ad una condizione di estremo disagio psicologico quando non addirittura ad un crollo del suo equilibrio psicofisico.” Carlo Bonomi, op.cit., p. 7.

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TRAUMA E LETTERATURA: NASCITA E SVILUPPO DEI TRAUMA

STUDIES

In seguito al riconoscimento ufficiale del PTSD da parte dell’American Psychiatric Association si avvia una proliferazione di ricerche in direzioni anche molto diverse tra loro, tutte però incentrate sul concetto di trauma. Le teorie psicoanalitiche sulle dinamiche traumatiche e sui meccanismi della memoria e i successivi approfondimenti clinici che ne avevano confermato la validità acquisiscono un ruolo centrale in un ampio dibattito teorico che vede coinvolte differenti discipline; questo perché gli studi sul trauma sono per loro stessa natura interdisciplinari.46 Il concetto di trauma nasce infatti in ambito medico, per poi diventare più specificatamente di interesse psichiatrico e psicoanalitico e infine allargarsi alla dimensione socio-politica e comprendere gli studi umanistici, che iniziano così ad interrogarsi sulla natura del linguaggio e sulle possibili tecniche di rappresentazione di una realtà traumatica. A partire dagli anni ’80, infatti, il trauma, inizia a godere di forte risonanza anche all’interno degli studi di ambito letterario e la questione dell’incomunicabilità dell’esperienza traumatica sfocia in un vero e proprio dibattito estetico. Nelle pagine iniziali del suo lavoro Trauma Fiction, Anne Whitehead si chiede infatti, partendo dal presupposto che il trauma per sua natura si oppone alla propria rappresentazione, “How then can it be narrativised in fiction?”47 Si tratta dunque di un paradosso del trauma, poiché da un lato vi è la

costante ricerca di un’elaborazione a posteriori degli eventi, ma dall’altro vi è la consapevolezza dell’indicibilità di fondo del trauma stesso, della sua natura inaccessibile. È proprio a partire da questo paradosso che l’arte, e in particolare la letteratura, acquisiscono un ruolo centrale. Le opere letterarie risultano avere le caratteristiche necessarie al fine di articolare la resistenza e l’impatto di un evento traumatico grazie alla non referenzialità del proprio discorso, che permette di

46“Without a multi-disciplinary knowledge, there can only be an unappetizing competition between

disciplines to impose their specific conception of trauma. We need another model for understanding the tortuous history and bewildering contemporary extent of a paradigm that is an intrinsically inter-disciplinary conjuncture. […] It seems to me that the rise of the concept of trauma suggests itself as an exemplary conceptual knot whose successful permeation must be understood by the impressive range of elements that it ties together and which allows it to travel to such diverse places in the network of knowledge.” Roger Luckhurst, op. cit., p. 14.

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